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Povertà: un italiano su quattro è a rischio
Rapporto Svimez 2022: prime anticipazioni
(Regioni.it 4385 - 17/10/2022) Sono quasi due milioni le famiglie in Italia che risultano in povertà assoluta. Lo certifica il nuovo Rapporto della Caritas italiana diffuso oggi in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà.
Lo Svimez pubblica alcuni dati e delle anticipazioni del suo Rapporto 2022 e in particolare quelli relativi alla povertà nel nostro Paese, ma non solo.
Nel 2021 In Italia il 25,4% (quasi 15 milioni) della popolazione è a rischio povertà ed esclusione (Indagine EU SILC) circa un quarto della popolazione a fronte della media Europea che si colloca intorno ad un quinto. Il dato nazionale è sintesi di una quota molto maggiore nel Mezzogiorno (41,2% pari ad 8,2 milioni di persone) e di una minore nel Centro-Nord (17,4% circa 6,8 milioni).
La diffusione territoriale non è omogenea nemmeno all'interno del Mezzogiorno in 5 regioni (Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Sardegna) è a rischio povertà ed esclusione circa un terzo della popolazione, in Calabria e Sicilia il dato è poco sopra il 40% in Campania è al 50%.
Aumenta la condizione di disagio rappresentata dalle persone in povertà assoluta: le famiglie in povertà assoluta passano da poco meno di 800 mila nel 2006 a circa 2 milioni negli ultimi due anni (da circa 350 mila ad 800 mila nel Mezzogiorno).
Le persone da circa 1,7 milioni a 5,6 milioni. Negli ultimi 15 anni il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che triplicato passando da 780 mila circa del 2006 a 2milioni 455 mila.
L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.
Gli investimenti crescono al Sud più che al Nord nel 2022: +12,2% contro il +10,1%. Al Sud però spingono la crescita soprattutto quelli nel settore delle costruzioni, grazie allo stimolo pubblico (ecobonus 110% e interventi finanziati dal PNNR); la crescita degli investimenti orientati all’ampliamento della capacità produttiva è invece inferiore di tre punti a quella del Centro-Nord (+7% contro +10%).
Nel biennio 2023-2024, in un contesto di drastica riduzione del ritmo di crescita nazionale (+1,5% nel 2023; +1,8% nel 2024), Il Mezzogiorno fa segnare tassi di variazione del Pil inferiori al resto del Paese, nonostante il significativo contributo alla crescita del PNRR.
Nel 2023, il Pil dovrebbe segnare un incremento dell’1,7% nelle regioni centrosettentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita a sfavore del Sud di circa 6 decimi di punto: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.
L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.
Gli investimenti crescono al Sud più che al Nord nel 2022: +12,2% contro il +10,1%. Al Sud però spingono la crescita soprattutto quelli nel settore delle costruzioni, grazie allo stimolo pubblico (ecobonus 110% e interventi finanziati dal PNNR); la crescita degli investimenti orientati all’ampliamento della capacità produttiva è invece inferiore di tre punti a quella del Centro-Nord (+7% contro +10%).
Nel biennio 2023-2024, in un contesto di drastica riduzione del ritmo di crescita nazionale (+1,5% nel 2023; +1,8% nel 2024), Il Mezzogiorno fa segnare tassi di variazione del Pil inferiori al resto del Paese, nonostante il significativo contributo alla crescita del PNRR.
Nel 2023, il Pil dovrebbe segnare un incremento dell’1,7% nelle regioni centrosettentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita a sfavore del Sud di circa 6 decimi di punto: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.
( gs / 17.10.22 )
Il periodico telematico a carattere informativo plurisettimanale “Regioni.it” è curato dall’Ufficio Stampa del CINSEDO nell’ambito delle attività di comunicazione e informazione della Segreteria della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
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