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Documento della Conferenza delle Regioni dell'8 aprile
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Rigenerazione urbana: posizione sul disegno di legge in materia
(Regioni.it 4061 - 03/05/2021) La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella seduta dell’8 aprile 2021, ha approvato un documento che esprime la posizione sul disegno di legge in materia di rigenerazione urbana (testo unificato atti S 1131, 985, 970, 1302, 1943 e 1981).
Il documento (che si riporta di seguito) è stato inviato dal Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, a Vilma Moronese (Presidente della Commissione 13° del Senato), Franco Mirabelli (Relatore), Francesco Bruzzone (Relatore) e a Paola Nugnes (Relatrice).
Posizione sul disegno di legge in materia di rigenerazione urbana (testo unificato atti s 1131, 985, 970, 1302, 1943 e 1981)
Si ritiene importante che un provvedimento legislativo a livello nazionale fornisca il riferimento quadro per le azioni regionali di attuazione delle diverse politiche di rigenerazione urbana e territoriale e ne imposti una sua programmazione
L’importanza dell’iniziativa non deve tuttavia relegare in secondo piano il ruolo e soprattutto le iniziative legislative che negli ultimi anni hanno caratterizzato il quadro normativo del governo del territorio regionale e hanno consentito l’avvio di numerosi interventi di rigenerazione urbana. Pertanto, devono essere fatte salve tutte le normative regionali previgenti già in linea con gli obiettivi nazionali, al fine di tutelare i processi già avviati, garantendone la prosecuzione in un quadro normativo già assestato.
Tali iniziative legislative sono profondamente connesse con la specifica normativa urbanistica regionale e per tale ragione difficilmente emendabili se non rischiando di compromettere il consolidato sistema della pianificazione che ogni Regione ha scelto di perseguire.
In linea generale la proposta nei suoi contenuti contiene molti spunti di interesse come già manifestato nei precedenti contributi forniti dalle regioni sulle diverse proposte ora unificate in un unico testo.
Principali osservazioni di merito
Come ampiamente argomentato, non tanto per salvaguardare interessi di parte, quanto per ossequiare il principio costituzionale della competenza legislativa concorrente Stato-regioni, si richiedeva di prevedere, in una forma da definire, una concertazione più ampia con le Regioni, ed al limite una “norma di salvaguardia” che tenesse conto delle diverse esperienze regionali in tema di rigenerazione, in molti casi ormai mature e sperimentate, composte spesso non da una singola norma, quanto da un complesso organico di norme tra loro correlate, e spesso integrate alle disposizioni per la riduzione del consumo di suolo, strumenti di pianificazione di livello comunale, provinciale e regionale ormai vigenti da anni e atti regolamentari di vario genere, stratificati nel tempo e consolidati proprio negli strumenti di governo del territorio, e di conseguenza anche nel tessuto sociale ed economico.
Si ritiene importante che competa alla norma nazionale definire un quadro di principi generali in materia, a partire dal principio della priorità del riuso e della rigenerazione, da declinarsi non esclusivamente in termini “fisici”, o ancora più limitativamente, edilizi”, che possa costituire una cornice di riferimento chiara per le legislazioni regionali; definendo terminologie, obiettivi, risorse, modalità di lavoro, regole e norme, in ossequio alle ripartizioni delle competenze Stato-Regioni (art. 117 della Costituzione Italiana) che assegna allo Stato, nella materia governo del territorio, la definizione dei principi fondamentali.
L’entrata in vigore della legge col testo attuale determinerebbe l’immediata paralisi della legislazione regionale, nonché a cascata degli strumenti comunali; in attesa di un arduo e lungo lavoro di adeguamento al ddl, e causerebbe incertezze operative gravi per le iniziative in corso e per quelle in programma.
Complessivamente, questo ddl non è innovativo ma resta saldamente inserito nelle maglie tradizionali della zonizzazione della legge urbanistica nazionale 1150/1942 e dei tradizionali parametri urbanistico-edilizi.
L’operatività della proposta è affidata alla creazione di piani e banche dati da parte dei Comuni che non solo molto spesso (soprattutto i piccoli comuni) non hanno le capacità tecniche-economiche per attuarli e per trasmetterli a livello di flussi informativi agli Enti sovraordinati che ne monitorano l’attuazione, ma che rischierebbero di servire a ben poco se concepiti fuori da una logica di conoscenza dinamica e incrementale: requisiti che per la “lettura” del patrimonio dismesso appaiono fondamentali.
L’introduzione di un ulteriore strumento, il piano della rigenerazione, oltre a incorrere nei medesimi difetti di cui sopra, appare da una parte un aggravamento dei processi di gestione della programmazione dei fondi dall’altra una duplicazione degli obiettivi dei piani regolatori comunali (il cui ruolo è indirettamente messo in discussione, ma di cui nulla è detto in termini di coesistenza o integrazione con il piano delle rigenerazione); a tal punto che non appare neppure molto chiaro che cosa sia esattamente il piano comunale di rigenerazione urbana, se un piano urbanistico (generale? attuativo? di nuova configurazione?) oppure un programma da attuare mediante uno o più piani urbanistici attuativi.
Rispetto ai singoli articoli, si riportano di seguito le principali osservazioni:
Art. 1 Finalità e obiettivi, si nota la carenza della qualità degli spazi pubblici anche dal punto di vista dello standard di natura ambientale. Si ritiene che debba esser meglio evidenziata la correlazione con gli obiettivi di sostenibilità. La qualità dello spazio è tanto maggiore quanto contribuisce al raggiungimento di questi obiettivi.
Art. 2 Definizioni, a parte la precisazione che, vista la definizione, si propone di inserire alla lettera a), modificando la titolazione da ‘ambiti urbani’ in ‘ambiti urbani di rigenerazione’, nonché la ripetizione un pò ridondante delle diverse “aree e complessi edilizi….” sarebbe opportuno che finalmente con la lettera f) fosse chiarito il consumo di suolo tra permanente e reversibile. Cioè che fosse una legge statale a determinarne il vero rapporto ai fini del contenimento del consumo di suolo e non da disposizioni di un Ente, quale ISPRA, che definisce le caratteristiche del consumo di suolo senza poi individuare in che termini fa realmente consumo di suolo. Si segnala l’inopportunità dell’affermazione sopra riportata, evidenziata in azzurro. Non dovrebbe essere una legge statale a definire “il vero rapporto ai fini del contenimento del consumo di suolo”;
Di interesse sono le definizioni sui servizi ecosistemici e sul pareggio di bilancio dei servizi stessi, anche se risulta necessario comprenderne bene le modalità di calcolo e di utilizzo. Stesse considerazioni in merito alla definizione di cintura verde.
Perplessità si esprimono sulla definizione di centri storici che sembra non tener in alcun modo conto delle analisi e dei contenuti degli strumenti urbanistici comunali, nonché di letture ed analisi ormai consolidate in molti strumenti che allargano la questione ad una più ampia idea di “città storica”. Si esprimono perplessità anche sui contenuti dell’art. 13 Misure di tutela dei beni culturali e dei centri storici a cui la definizione è connessa per le motivazioni di seguito illustrate.
Lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare dei principi “alti” e non delle definizioni stringenti, ridefinendo la politica urbanistica con una legge “quadro” che superi l’attuale legge nazionale del 1942 ormai datata, che costituisca la cornice dove trovino collocazione i concetti di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, di ecosostenibilità, di contenimento di consumo di suolo, ovvero di tutti i concetti ormai imprescindibili che considerano il governo del territorio in una logica multidisciplinare pretendendo, quello sì, che chi non si è ancora organizzato con un proprio modello di rigenerazione, che lo faccia velocemente e nel rispetto dei suddetti principi, ma consentendo nel frattempo a chi ha da tempo intrapreso un percorso, di poter proseguire, magari con i necessari aggiustamenti, ma non con ingiustificati stravolgimenti. I quali, come detto, avrebbero solo l’effetto di rallentare processi virtuosi che tutto hanno bisogno, tranne che di essere ostacolati, tenendo altresì conto che, ai sensi del Titolo V, il governo del territorio costituisce una materia di competenza concorrente.
Queste definizioni di consumo di suolo riprendono i contenuti delle definizioni proposte con precedenti DDL già esaminati e commentati negativamente nell’ambito del GdL tecnico della Conferenza Stato-Regioni.
Con riferimento alla misurazione e monitoraggio del consumo di suolo, si anticipa che è opportuna e necessaria una precisazione, al fine di evidenziare l’importanza di integrare il sistema di monitoraggio e valutazione dei dati sul «suolo consumato» nello stato di fatto (misurazione riferita alla «copertura artificiale del suolo» adottata a livello nazionale da ISPRA/SNPA) con quello dei dati riferiti alla «limitazione del consumo di suolo» in termini urbanistici (misurazione adottata da Regione Lombardia e da altre regioni italiane), che va ad incidere direttamente nelle politiche di governo del territorio di Province, Città Metropolitane e Comuni (e di riflesso, nella limitazione della copertura artificiale del suolo).
Due approcci distinti ma complementari, che possono essere ricondotti all’interno di una lettura complessiva del problema consumo di suolo e che peraltro, rispecchiano l’approccio sottolineato dalla stessa Unione Europea (COM/571) “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse”), che orienta gli gli Stati Membri affinché nelle politiche territoriali si agisca sia nell’ottica di “limit land take” ovvero di “limitare il più possibile l'occupazione di suolo” che di “soil sealing”, andando quindi a ridurre la superficie impermeabilizzata.
In tale ottica il dato ISPRA/SNPA può essere considerato come dato conoscitivo del livello di copertura artificiale del suolo (stato di fatto), certamente molto utile ai fini della valutazione della resilienza ambientale di un territorio, ma che non può però essere considerato come unico dato quantitativo di riferimento delle politiche urbanistiche per ridurre il consumo di suolo. E’ pertanto opportuno che tale dato, anche al fine di evitarne interpretazioni parziali o distorte, sia ricondotto all’interno di una lettura complessiva dei fenomeni urbani, che considerino i diversi caratteri determinati dalle pianificazioni locali (concentrazione o dispersione insediativa, sprawl urbano e relativi costi pubblici e ambientali in termini di gestione e manutenzione del territorio, frammentazione dei territori agricoli, fenomeni di frange urbane lineari, ecc.).
Inoltre si indicano le possibili conseguenze all’applicazione della lettera g, comma 1 dell’art. 2:
con la sola definizione di Consumo di suolo indicata da ISPRA sono automaticamente più virtuosi, in termini di Cds, gli interventi a bassa densità (ad esempio villette con giardino che hanno determinato il consumo di suolo generalizzato di ampie aree della pianura padana) che non gli interventi ad alta densità presenti nelle parti centrali delle città. Con questa definizione di Cds ogni operazione di razionalizzazione dell’edificato che tenda ad una densificazione e all’ottimizzazione dell’uso del suolo risulta impossibile (risultando impossibile, di fatto, il bilancio dei servizi ecosistemici). La soluzione potrebbe essere quella di condizionare la fattibilità degli interventi di rigenerazione ad un miglioramento delle permeabilità rispetto alla situazione precedente. Sul punto, però, sembra inevitabile introdurre delle eccezioni, ad esempio per consentire la rigenerazione di aree apparentemente libere ma, ad esempio, oggetto di fenomeni di contaminazione che necessitino di bonifica.
Sul punto si evidenzia che tutti (o comunque la maggior parte) gli strumenti di pianificazione territoriale o gli strumenti urbanistici si rifanno ad un concetto “urbanistico” di “consumo di suolo”, ove il consumo di suolo è fatto coincidere con la destinazione urbana (esistente o in previsione) di un’area. Tale definizione “urbanistica” di cds è l’unica in grado di prefigurare un disegno del territorio equilibrato, utile da un lato alla salvaguardia e alla continuità del sistema ambientale esterno e dall’altro lato a consentire forme di organizzazione sostenibile del tessuto urbano. Laddove si proceda con la sola definizione di ISPRA, tutti gli strumenti di pianificazione (territoriale o urbanistica) appena approvati dovranno essere “rifatti” non trovando alcun riscontro nella legge.
(lettera f) comma 1 art. 2 - la definizione di «pareggio di bilancio non economico dei servizi ecosistemici» conferma quanto sopra. Il richiamo generico al “ripristino delle funzioni ecologiche” del suolo non discrimina tra aree di basso valore (ad esempio aree a verde pertinenziale) e aree “ecologiche” del sistema ambientale esterno, uniche a svolgere vere funzioni ecologiche od ecosistemiche, data la priorità sempre data al valore della “permeabilità” rispetto ad altre variabili.
Art. 3 Cabina di regia nazionale per la rigenerazione, si conferma un giudizio positivo sull’istituzione della Cabina di Regia a condizione che le Regioni siano adeguatamente rappresentate e che l’organo assuma una connotazione operativa.
Art. 4 Programma nazionale della rigenerazione urbana, sono da chiarire i contenuti legati al programma sia in termini di tempistiche relative all’approvazione del programma stesso che paiono essere molto ridotti, sia in relazione all’adeguamento della normativa regionale in termini di contenuti rispetto all’autonomia legislativa concorrente. È inoltre da chiarire la modalità di aggiornamento, che non potrà prescindere dall’assegnazione di un ruolo alle Regioni.
Art. 5 Fondo nazionale per la rigenerazione, si conferma il giudizio positivo rispetto alla previsione di un fondo stabile e con un significativo orizzonte temporale che consente per Regioni e Comuni la programmazione pluriennale di attività e interventi anche di natura complessa.
Si segnala tuttavia che in relazione alle disposizioni in materia fiscale di cui all’art. 20 andrebbero maggiormente chiarite le modalità di compensazione dei mancati introiti in capo alle amministrazioni comunali, ripartendo in modo più chiaro le quote del Fondo nazionale destinate a finanziare gli interventi e quelle destinate coprire i mancati introiti.
Art. 6 Riparto delle risorse per la rigenerazione urbana, non si condividono pienamente i criteri di riparto dei fondi in funzione delle richieste in quanto tale discrezionalità rischia di creare squilibri tra Regioni; potrebbe invece ipotizzarsi un riparto provvisorio in funzione ad esempio del numero di comuni, della densità della popolazione, etc...da definire entro un congruo termine nel quale Regioni e amministrazioni comunali possono presentare i propri progetti; decorso tale termine la mancata presentazione dei progetti comporta la ripartizione del fondo residuo proporzionalmente alle richieste di finanziamento presentate da altre Regioni.
Art. 7 Interesse pubblico in materia di rigenerazione urbana, non si comprende appieno se tale dichiarazione sia il presupposto giuridico alle deroghe a disposti normativi nazionali quali ad esempio il Dm 1444/1968, o se si prefigga altre finalità, inoltre anche la dichiarazione di pubblica utilità appare una forma non più attuale di approccio attuativo che non si concilia con strumenti moderni di attuazione quali le forme di perequazione o le modalità perequative.
Art.8 (Compiti delle regioni e delle province autonome)
Sottrae alle Regioni ordinarie il potere attualmente riconosciuto loro dalla legislazione statale di provvedere, oltre che alla pianificazione territoriale anche alla pianificazione paesaggistica, d’intesa con lo Stato. Lo fa per di più in modo surrettizio, col prevedere che, se le Regioni entro il termine – irrealistico – di 6 mesi non approvino i Piani paesaggistici, la competenza passi allo Stato, a mezzo del MIC, in via sostitutiva. Ciò oltretutto scardina ogni coordinamento e semplificazione derivanti dalle attuali previsioni di Piani territoriali regionali a valenza paesaggistica, molti dei quali in itinere. Per tale ultimo aspetto, e come rappresentato anche rispetto al successivo Art. 11, si evidenzia che appare alquanto limitante considerare quali riferimenti pianificatori i soli piani paesaggistici e non anche i piani territoriali.
E’ ricorrente in più di un articolo il principio della deroga agli strumenti urbanistici che non è condivisibile, in quanto vanifica le attività di pianificazione e programmazione urbanistica comunale, oltre che la valutazione della conformità degli interventi edilizi rispetto ai contenuti normativi degli strumenti urbanistici. Meglio sarebbe ricondurre tale fattispecie ad una maggiore flessibilità di indici e parametri da definire attraverso il riconoscimento da parte delle Regioni dei criteri per l’individuazione e l’attuazione degli ambiti di rigenerazione di cui al comma 1 lettera c), da recepire negli strumenti urbanistici in virtù proprio dell’interesse pubblico che gli interventi di rigenerazione urbana o riqualificazione energetica rivestono.
Ulteriori criticità è riscontrata nella previsione di stabilire un incremento volumetrico massimo pari al 20% “per tutti” indistintamente, a prescindere dal contesto degli edifici, dalla loro ubicazione, dalla loro densità urbanistica, dall’uso attuale e da altri aspetti urbanistici ed ambientali. La definizione della soglia di incremento ammissibile caso per caso dovrebbe essere ascrivibile alle competenze urbanistiche comunali, in funzione della qualità progettuale e della sostenibilità ambientale, sociale ed economica degli interventi in progetto. In generale le “premialità” volumetriche non appaiono più attuali e sembrano non essere più remunerative rispetto al costo totale dell’intervento e alla situazione del mercato immobiliare.
Parimenti le perplessità riguardano anche i limiti stabiliti per legge relativamente alla modifica delle destinazioni d’uso.
Art. 9 Bandi regionali per la rigenerazione urbana, si richiamano le perplessità relative in generale per le tempistica assegnata alle varie fasi di attuazione della legge, sia per i ruoli assegnati allo stato, sia per i compiti assegnati alle Regioni.
Art. 10 Banca dati del riuso Forti perplessità desta la lett. a) del comma 1 a norma del quale i comuni dovrebbero, entro sei mesi dall’approvazione della legge, eseguire un censimento edilizio comunale, secondo linee guida condivise con l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), asseverato ai sensi di legge.
Il testo risulta di difficile comprensione ed attuazione (linee guida Istat? Censimento asseverato ai sensi di legge?). Peraltro il censimento dovrebbe essere aggiornato ogni 2 anni e pubblicato in forma aggregata.
Più in generale la complessa serie di adempimenti amministrativi definita dalla legge è per la maggior parte ascrivibile alle competenze dell’urbanistica, generale e attuativa; tale complesso di adempimenti (piano comunale di rigenerazione urbana, censimento edilizio comunale da aggiornare ogni due anni, banca dati del riuso, registro delle proprietà immobiliari in stato di abbandono, perimetro delle aree da assoggettare agli interventi di rigenerazione da aggiornare ogni due anni e trasmettere all’Ispra e all’Istat) costituirebbe per la gran parte dei Comuni italiani, soprattutto in contesti regionali dove la prevalenza è quella dei comuni medio/piccoli, con strutture tecnico-amministrative inadeguate a gestire ulteriori compiti connessi ai diversi tipi di censimento previsti, un aggravio ingiustificabile, peraltro con termini temporali che, come detto, si ritengono inadeguati a seguire le dinamiche del settore immobiliare.
Interessante la mappatura dei centri e dei nuclei abitati perché introduce il concetto di “dentro e fuori”, nonché, anche se da declinare con maggiore attenzione, il riferimento alle trasformazioni da ammettere all’esterno del perimetro del territorio urbanizzato.
In tal senso è opportuno un raccordo tra il testo nazionale e le corrispondenti disposizioni regionali ove presenti (si tratta in ogni caso di contenuti propri degli strumenti urbanistici e sarebbe improprio inserire una normativa che stabilisce una generica limitazione all’uso del suolo quale divieto assoluto ad edificare nelle aree agricole o naturali, indipendentemente da qualunque altra considerazione e valutazione di natura urbanistica).
Forti perplessità si esprimono anche nei confronti dei contenuti del comma 3 a norma del quale i comuni sono tenuti annualmente a comunicare alle Regioni (non si comprende peraltro completamente a quale fine) le proprietà immobiliari in stato di abbandono o suscettibili, a causa dello stato di degrado o incuria, di arrecare danno al paesaggio, alle attività produttive o all'ambiente.
Per le motivazioni l’articolo, con esclusione del comma 2, è da rivedere completamente. Da valutare anche la sua espunzione dal testo.
Art. 11 Piano comunale di rigenerazione urbana e priorità del riuso e della rigenerazione urbana, oltre a quanto già espresso in riferimento all’art. 10, si aggiunge che le previsioni relative all’approvazione dei Piano paesaggistici e al relativo adeguamento dei Piani comunali sono irrealistiche e inattuabili anche alla luce delle esperienze delle Regioni che hanno già approvato i PPR e ne stanno attuando l’adeguamento:
- approvazione dei piani paesaggistici da parte delle regioni entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge (comma 3);
- adeguamento degli strumenti comunali al piano paesaggistico entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge (comma 4).
Si ritiene che il piano di rigenerazione debba essere integrato e dialoghi con il Piano regolatore comunale. Così come impostato dalla proposta in esame appare come uno strumento parallelo. In qualche modo con questo articolo si pone in discussione il sistema della pianificazione urbanistica in Italia.
Si esprime forte perplessità circa la capacità tecnico-economica dei piccoli comuni nell’affrontare un incombenza di questo tipo. Infine, dovrebbe essere approfondita la questione della VAS.
Il contenuto di detti piani non sembra coerente con le esigenze di rapidità, efficienza ed efficacia dei comuni rispetto alla politica di rigenerazione, data la complessità delle attività ivi ipotizzate. Andrebbero pensati Piani meno codificati, più flessibili e snelli. Del tutto irrealistico il termine di sei mesi (dalla data di entrata in vigore della legge) dato alle Regioni per l’approvazione dei Piani Paesaggistici, anche considerando il peso determinante occupato, a tal fine, nelle attività di copianificazione con il MIBAC. Ancor più irrealistico il termine di dodici mesi dato ai comuni per l’adeguamento ai PPR, considerando che nell’arco temporale di un anno dalla data di entrata in vigore della legge i comuni dovrebbero procedere al censimento degli immobili dismessi o sottoutilizzati, alla costruzione della banca dati, alla redazione del Piano delle Rigenerazione e all’adeguamento del PPP.
art. 11 (Piano comunale di rigenerazione urbana e priorità del riuso e della rigenerazione urbana) e art. 12 (Formazione dei Piani comunali di rigenerazione urbana)
Non è chiara la correlazione tra i contenuti dell’art. 11. e quelli dell’art. 12. All’articolo 11 sembra infatti descritto un processo di pianificazione urbanistica comunale, di carattere generale. All’art. 12 sembrano invece descritti i contenuti di strumenti di pianificazione attuativa. In tale Art. 12 sembra inoltre che lo strumento proposto sia non tanto un piano, quanto un programma di interventi (sommatoria delle proposte di intervento che vengono presentate all’amministrazione comunale).
Si considera inopportuno introdurre un nuovo strumento urbanistico (Piano comunale di rigenerazione urbana), che implica di per sé un appesantimento per gli EELL rispetto al numero degli strumenti urbanistici che devono mettere in campo per gestire il proprio territorio, con possibili riflessi anche in termini di maggiore impegno di risorse pubbliche comunali.
Inoltre si ritiene che gli ambiti di rigenerazione debbano essere inclusi nello strumento cardine della pianificazione urbanistica comunale (piano regolatore comunale/piano di governo del territorio), affinché gli stessi siano ricondotti all’interno di una strategia complessiva di qualificazione dell’intero territorio comunale. La stesura e l’approvazione di un nuovo Piano implica inoltre, solitamente, un lavoro di medio-lungo termine, non coerente con la necessità di utilizzo tempestivo delle risorse del “Fondo nazionale per la rigenerazione urbana”.
Art. 12 Formazione dei piani comunali di rigenerazione urbana, si ritiene che tali piani non possano essere avulsi rispetto allo strumento di pianificazione comunale e non possano formarsi semplicemente aggregando proposte progettuali d’iniziativa presumibilmente privata, senza che vi sia un disegno progettuale e programmatorio urbanistico coerente con il disegno urbano in tutte le sue componenti (dimensionali, infrastrutturali, paesaggistiche, ambientali, funzionali...) da parte del Comune. Con riferimento alle procedure di cui al comma 5 le stesse devono necessariamente tenere conto ed essere coerenti con le procedure urbanistiche già definite dalle diverse leggi regionali.
Art. 13 Misure di tutela dei beni culturali e dei centri storici L’inclusione di una quota di edilizia residenziale sociale negli interventi di rigenerazione urbana, in sintonia con l’obiettivo, ormai acquisito nella pianificazione locale, di voler dare vita ad insediamenti misti anche dal punto di vista sociale, è condivisibile. Si ritiene, però, preferibile perseguire la massima distribuzione di quota parte della residenza sociale, evitando la concentrazione solamente in tali ambiti. Si suggerisce quindi di introdurre il principio del mix sociale, demandando alle singole progettualità comunali la previsione di quota di edilizia residenziale sociale per tutti gli interventi di rigenerazione urbana, anche interessanti altri contesti urbani oltre a quello storico, in quanto le politiche abitative sono essenziali in tali processi. Non si comprende, peraltro, per quale motivo gli interventi di rigenerazione nel centro storico non possano essere ricompresi nei piani di cui all’art. 11.
Si ritiene preliminarmente opportuna una valutazione in tal senso.
Nel merito desta forti perplessità il comma 1 a norma del quale il comune approva il piano “d’intesa (?) con le competenti soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio.”
Non è chiaro in particolare il ruolo della soprintendenza e la natura dell’intesa a cui viene fatto riferimento.
Peraltro con l’acquisizione dell’intesa si determina l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di rigenerazione urbana attuativi del Piano.
Interessante è il comma 5 che contiene disposizioni per contrastare lo spopolamento dei centri storici: Al fine di consolidare e incrementare la funzione residenziale nei centri storici e arrestare i gravi fenomeni di spopolamento, gli interventi di rigenerazione urbana devono prevedere una quota non inferiore al 25 per cento della superficie utile lorda da destinare ad alloggi a canone concordato o da cedere in locazione a canone agevolato.
Il comma 8, infine, relativo alla conformità urbanistica delle strutture ricettive nei centri storici risulta di difficile comprensione: Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano, nel rispetto del codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, la propria legislazione del turismo, per la parte in cui classifica e disciplina le caratteristiche di strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, eliminando per gli ambiti territoriali individuati come zone territoriali omogenee (ZTO) di tipo A (centro storico), di cui all’articolo 2, primo comma, lettera A), del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, l’eventuale esclusione dall’obbligo di conformità con la destinazione di zona prevista dallo strumento urbanistico comunale ovvero dall’obbligo di richiesta dell’atto abilitativo comunale per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, per l’insediamento di alcune categorie di ricettività turistica complementare. Tutto questo articolo appare in contraddizione logica con il resto del disegno di legge che cerca di “incentivare” interventi di rigenerazione, mentre questo articolo è tutto orientato alla funzione della tutela. Forse si prevede di escludere completamente i centri storici da questa modalità di trasformazione del territorio.
Art. 14 Attuazione degli interventi e 20 Incentivi fiscali, in linea generale si ritiene che le previsioni degli articoli citati riferite ad agevolare oltre alla previsione di maggiore capacità edificatoria anche la riduzione del contributo privato alla costruzione della città pubblica, sia in termini di cessione di aree a standard, sia di riduzione del contributo di costruzione fino al 70 %, sia in riduzione dei contributi di natura fiscale (art. 20) richiedano l’istituzione di forme compensative stabili e dedicate per ristorare le minori entrate comunali in sostituzione della generica previsione riportata nell’art. 5, c. 2, lett. f) (assegnazione di contributi ai Comuni a titolo di rimborso del minor gettito derivante dall’applicazione degli esoneri e/o riduzione degli oneri di urbanizzazione). E’ necessario infatti evitare che i benefici fiscali a sostegno delle iniziative private penalizzino negativamente le risorse economiche comunali e di conseguenza la disponibilità di risorse per la manutenzione e la riqualificazione anche dal punto di vista ambientale degli spazi pubblici.
Art. 19 Disposizioni in materia di qualità della progettazione. Di assoluto interesse, anche se si ritengono necessari maggiori approfondimenti ai fini della sua effettiva applicazione, è il contenuto del comma 1: Ai fini di cui alla presente legge, la progettazione degli interventi ricompresi nel Piano comunale di rigenerazione urbana, qualora non possa essere redatta dall'amministrazione comunale interessata, si svolge mediante ricorso alla procedura del concorso di progettazione o del concorso di idee di cui agli articoli da 152 a 156 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Molto interessanti gli incentivi previsti per la rigenerazione del suolo edificato al di fuori dei centri abitati mediante riconversione agricola dei terreni interessati da costruzioni.
Analogo interesse per il riconoscimento della figura di “agricoltore custode dell’ambiente e del territorio”.
Art. 20 – Incentivi fiscali. Molto interessante e condivisibile il tema dell’esonero dalla fiscalità statale e locale per gli immobili oggetto di rigenerazione fiscale che contribuiscono davvero ad incentivare interventi nella città esistente e costruita, nella quale gli interventi richiedono risorse maggiori rispetto alla città non costruita. Si condivide comunque l’attenzione ai minori introiti da parte dei Comuni che dovrebbe essere compensato. Altrettanto interessante e condivisibile l’attenzione a tutti gli interventi (comma 7) relativi alle opere di risparmio energetico, di consolidamento antisismico, eccetera favorita da riduzioni delle imposte statali.
Art. 26 Disposizioni per garantire la continuità degli interventi di rigenerazione urbana. Pur comprendendone le finalità, si ritiene che la modifica al testo unico degli enti locali debba essere sottoposta ad attenta valutazione, soprattutto nel caso in cui non si sia giunti all’approvazione di atti formali o alla sottoscrizione di atti giuridicamente vincolanti:
Il consiglio subentrante, a seguito della cessazione del mandato del sindaco ai sensi degli articoli 51 e 53, ha l'obbligo di dare continuità ai programmi per l'attuazione di interventi di rigenerazione urbana sostenibile, già avviati dall'amministrazione precedente e per i quali non sussistano elementi di interesse pubblico, all'interruzione o revoca del processo, prevalenti rispetto a quelli che lo hanno avviato.
Art. 27 Disposizioni finali
I contenuti delle disposizioni finali dovranno essere oggetto di attenta valutazione soprattutto nelle parti che incidono direttamente sulla strumentazione urbanistica comunale vigente.
Fin da ora si evidenzia comunque quanto segue:
- non è chiara l’effettiva portata del comma 2 lett. a) “è fatto obbligo della priorità del riuso e della rigenerazione urbana e non è consentito consumo di suolo in violazione delle disposizioni di cui alla presente legge” (in cosa si traduce esattamente l’obbligo di dare priorità al riuso? Quali sono le disposizioni del testo che vietano espressamente il consumo di suolo?);
La norma ha carattere generale per tutta la pianificazione urbanistica comunale? Introduce il consumo di suolo “zero” da subito e non al 2050? Con necessità di rifare tutti i piani urbanistici? Con ricadute dirette su tutte le aree pertinenziali e libere?.... Non si capisce, ma letto il contenuto del successivo comma, si direbbe di sì: “Sono fatti salvi i titoli abilitativi edilizi comunque denominati, rilasciati o formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché gli interventi e i programmi di trasformazione previsti nei piani attuativi, comunque denominati, approvati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e le relative opere pubbliche derivanti dalle obbligazioni di convenzione urbanistica ai sensi dell'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, fino a decadenza, come disposto dai commi 2 e 2-bisdell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.- la disposizione di cui al c. 2 lett. b) in materia di pericolosità idrogeologica rischia di sovrapporsi con le disposizioni regionali vigenti;
- il c. 2 lett. c) relativo all’autorizzazione paesaggistica sembra riproporre adempimenti già previsti dal codice del paesaggio;
- appare critica e non condivisibile la scelta, operata dal c. 4, di inserire tra le aree tutelate per legge dal codice del paesaggio gli “agglomerati urbani di valore storico consolidato”, peraltro individuati in maniera automatica, sulla base del nuovo catasto edilizio urbano dei cui al regio decreto 652/39 (art. 2 c. 1 lett. h);
- non risulta chiara la finalità del c. 5 che interviene sull’art. 10 “Interventi subordinati a permesso di costruire” del DPR 380/2001, modificando la dizione “permesso di costruire” con “concessione edilizia”;
- è necessario un maggior coordinamento degli art. 11 e 12 con il c. 7, che individua il piano comunale di rigenerazione urbana quale contenuto proprio del Piano Regolatore Generale. Si ritiene, a tale proposito, indispensabile una netta distinzione tra previsione urbanistica, che correttamente deve stare all’interno dello strumento urbanistico e proposte operative che attengono, al contrario, alla procedura selettiva.
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Giudizio sintetico
Il DDL presenta tre livelli normativi:
1° "Livello statale”. È la parte più significativa del testo in quanto definisce un sistema strutturato ed organico di programmazione degli interventi di rigenerazione urbana.
Si esprime un giudizio sostanzialmente positivo per pochi aspetti del DDL in questione, riferibili:
• alla previsione di una Cabina di Regia e di una filiera di Stato – Regioni – Enti Locali delineata nel DDL con alcuni appesantimenti procedurali che potrebbero essere snelliti, ma sulla base di un’architettura sostanzialmente condivisibile (art. 3);
• alla previsione di un programma nazionale per la rigenerazione urbana ed al relativo fondo nazionale, con risorse garantite per un congruo periodo strutturale per la rigenerazione urbana (artt. 4 e 5);
• ai ruoli di cerniera delle Regioni (artt. 6, 8 e 9), pure nella necessità di rivedere alcune previsioni di eccessivo dettaglio dell’art. 8;
• a diverse previsioni di cui al Capo VII – Misure fiscali ed incentivi, non limitate ad incentivazioni meramente volumetriche (inutili in molti contesti), fermo restando che le de-contribuzioni locali (IMU. TARI ecc.) debbano in qualche modo essere compensate con altre e diverse risorse.
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Si ritiene, però, che un testo normativo in materia debba considerare la rigenerazione urbana come “LA” questione urbanistica, di cui gli strumenti regionali e comunali esistenti debbano, con le necessarie riscritture, modifiche e integrazioni, occuparsi, senza introdurre nuove ed ulteriori forme di pianificazione o di strumenti specifici, che si sommano ad un quadro già farraginoso e complesso e assai diversificato su base regionale, rispetto al quale il DDL in oggetto sembra disinteressarsi completamente come se il tema fosse “altro” rispetto a quello già trattato negli strumenti vigenti; comportando in tal modo effetti del tutto opposti a quelli della semplificazione desiderata.
L’introduzione di norme “tematiche” che si pongono un orizzonte parziale (sulla rigenerazione, sul consumo di suolo, sui centri storici ecc.) rischia di frammentare ancora di più una disciplina che, viceversa, avrebbe necessità di ritrovare un assetto organico, nonché coerenza e consequenzialità tra obiettivi, pratiche e strumenti.
E’, invece, assolutamente prioritario procedere (di concerto con le Regioni) ad un riassetto normativo complessivo in materia di governo del territorio, a partire dall’aggiornamento di una legge nazionale che ne disciplini i principi generali, di cui la rigenerazione urbana dovrebbe costituire uno dei primari temi ed obiettivi; nonché, concludere urgentemente il processo di aggiornamento delle normative statali vigenti, quali il DPR 380/2001 e soprattutto il DM 1444/1968, avviato con i tavoli tecnici di confronto Stato-Regioni già da oltre due anni, non potendosi più continuamente proporre una perenne logica di deroga a norme ormai desuete, ma apparentemente immortali, che altro esito non ha se non di aumentare rischi di contenzioso.
ATTENZIONE, infine, ad imporre definizioni univoche a livello nazionale non concordate e rispettose di quanto già adottato a livello regionale.
2° “Livello regionale” Giudizio complessivamente NEGATIVO in quanto, pur valutando in linea generale positivamente la previsione ed i contenuti dei bandi regionali, i compiti assegnati alla regione sono molto dettagliati, oltrepassando il limite della legge di cornice, e vanno a sovrapporsi con le esperienze in corso nelle singole realtà regionali. Non viene fatta salva alcuna legislazione regionale in materia: i contenuti del DDL non sono coordinati con quelli di numerose leggi regionali in vigore da anni (es. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), ormai noti e sui quali gli operatori hanno fatto affidamento per i loro investimenti e progetti in corso.
Il DDL appare inoltre meno innovativo, e per vari aspetti riduttivo e limitativo, rispetto alla legislazione regionale; rimanendo agganciato a logiche operative della L 1150/1942, del DM 1444/1968, del DPR 380/2001, nate e strutturate per affrontare contesti e problemi assai diversi da quelli all’ordine del giorno.
È indispensabile intervenire per garantire la necessaria autonomia alle singole regioni nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione, facendo salve le discipline vigenti.
3 “Livello comunale” Giudizio NEGATIVO È nel complesso la parte del testo più problematica in quanto introduce il Piano comunale di rigenerazione urbana, di cui non si comprende la relazione con il sistema di pianificazione vigente, oltre ad una serie di adempimenti molto onerosi e di dubbia efficacia, come la Banca dati del riuso. La complessità (e onerosità) di redazione di uno strumento quale il “Piano comunale di rigenerazione urbana”, che si accompagna poi a termini del tutto non realistici per tutta una serie di complesse operazioni (redazione dei Piani Paesaggistici regionali in 6 mesi e adeguamento comunale in 12 mesi, costituzione della banca dati sul riuso, solo per fare degli esempi), evidenziano altresì un’impostazione tutt’altro che indirizzata alla economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
Si esprime un giudizio fortemente critico sull’architettura generale del DDL, in particolare riguardo:
o all’assoluta mancanza di integrazione con i sistemi di pianificazione vigenti, regionali e locali, quasi che il tema in questione non sia già oggetto di numerosissime attenzioni, sperimentazioni ed attuazioni da parte della normativa regionale e degli strumenti e prassi locali;
o alla conflittualità di molti punti del DDL con la vigente legislazione regionale, a partire dal concetto di “consumo di suolo” e delle limitazioni conseguenti;
o all’introduzione del Piano di “rigenerazione comunale” di cui nulla si dice in relazione alla pianificazione vigente, con conseguenti fortissime perplessità sia in termini amministrativi che attuativi, caricato di numerosissime aspettative ed intenti difficilmente raggiungibili, peraltro fondati sul caso per caso, luogo per luogo, intervento per intervento;
o alla sostanziale assenza di innovazione del dettato normativo proposto, che affida a continue soluzioni derogatorie a norme statali, regionali o locali gran parte delle azioni previste, e che riconduce i propri meccanismi attuativi alla L. 1150/1942, al DM 1444/1968 ed la DPR 380/2001.
In generale, si ritiene che le previsioni della proposta normativa resteranno inattuate, per la gran parte dei Comuni italiani - soprattutto in contesti regionali dove la prevalenza è quella dei comuni medio/piccoli, con strutture tecnico-amministrative e capacità tecnico-economiche inadeguate a gestire – con riferimento:
- sia agli ulteriori compiti connessi ai diversi compiti pianificatori e tipi di censimento previsti, con un aggravio ingiustificabile, peraltro con termini temporali che, come detto, si ritengono inadeguati a seguire le dinamiche del settore immobiliare;
- sia agli ulteriori compiti attuativi di soggetti attuatori/stazioni appaltanti degli interventidi rigenerazione urbana.
A tale ultimo proposito, è necessario - all’interno delle politiche assunzionali in itinere promosse dal governo – prevedere, per ciascuna regione, in via generale, l’istituzione di una struttura tecnica dedicata, attuativa degli interventi rilevanti e strategici in materia di infrastrutture, mobilità e governo del territorio, ivi inclusa la selezione e l’attuazione di interventi di rigenerazione urbana.
In conclusione, pur riconoscendo il valore di una iniziativa di livello nazionale su un tema urgente e non più rimandabile, che non si limita a regolare gli aspetti meramente urbanistico-edilizi, ma che allarga gli orizzonti anche ad altri temi riguardanti le trasformazioni territoriali, ambientali e fiscali di rilievo, non si può che auspicare un più stretto livello di collaborazione inter-istituzionale che garantisca il giusto grado di responsabilità e autonomia nelle scelte legate al governo del territorio.
La condivisione delle strategie di sviluppo, garantendo i principi costituzionali richiamati, rappresenta l’unica via per il successo di una operazione di tale complessità e portata.
In tale prospettiva, appare percorribile, purché la partecipazione regionale sia adeguatamente rappresentata, l’istituzione della Cabina di Regia nazionale, alla quale andrebbe affidata l’elaborazione di linee di indirizzo nonché di procedure di programmazione del Fondo nazionale per la rigenerazione urbana coerenti con le esperienze regionali in corso ed improntate alla semplificazione, economicità ed efficacia dei procedimenti.
Roma, 8 aprile 2021
Link al documento approvato della Conferenza delle Regioni dell'8 aprile: Posizione sul disegno di legge in materia di rigenerazione urbana (testo unificato atti s 1131, 985, 970, 1302, 1943 e 1981)
Il documento (che si riporta di seguito) è stato inviato dal Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, a Vilma Moronese (Presidente della Commissione 13° del Senato), Franco Mirabelli (Relatore), Francesco Bruzzone (Relatore) e a Paola Nugnes (Relatrice).
Posizione sul disegno di legge in materia di rigenerazione urbana (testo unificato atti s 1131, 985, 970, 1302, 1943 e 1981)
Si ritiene importante che un provvedimento legislativo a livello nazionale fornisca il riferimento quadro per le azioni regionali di attuazione delle diverse politiche di rigenerazione urbana e territoriale e ne imposti una sua programmazione
L’importanza dell’iniziativa non deve tuttavia relegare in secondo piano il ruolo e soprattutto le iniziative legislative che negli ultimi anni hanno caratterizzato il quadro normativo del governo del territorio regionale e hanno consentito l’avvio di numerosi interventi di rigenerazione urbana. Pertanto, devono essere fatte salve tutte le normative regionali previgenti già in linea con gli obiettivi nazionali, al fine di tutelare i processi già avviati, garantendone la prosecuzione in un quadro normativo già assestato.
Tali iniziative legislative sono profondamente connesse con la specifica normativa urbanistica regionale e per tale ragione difficilmente emendabili se non rischiando di compromettere il consolidato sistema della pianificazione che ogni Regione ha scelto di perseguire.
In linea generale la proposta nei suoi contenuti contiene molti spunti di interesse come già manifestato nei precedenti contributi forniti dalle regioni sulle diverse proposte ora unificate in un unico testo.
Principali osservazioni di merito
Come ampiamente argomentato, non tanto per salvaguardare interessi di parte, quanto per ossequiare il principio costituzionale della competenza legislativa concorrente Stato-regioni, si richiedeva di prevedere, in una forma da definire, una concertazione più ampia con le Regioni, ed al limite una “norma di salvaguardia” che tenesse conto delle diverse esperienze regionali in tema di rigenerazione, in molti casi ormai mature e sperimentate, composte spesso non da una singola norma, quanto da un complesso organico di norme tra loro correlate, e spesso integrate alle disposizioni per la riduzione del consumo di suolo, strumenti di pianificazione di livello comunale, provinciale e regionale ormai vigenti da anni e atti regolamentari di vario genere, stratificati nel tempo e consolidati proprio negli strumenti di governo del territorio, e di conseguenza anche nel tessuto sociale ed economico.
Si ritiene importante che competa alla norma nazionale definire un quadro di principi generali in materia, a partire dal principio della priorità del riuso e della rigenerazione, da declinarsi non esclusivamente in termini “fisici”, o ancora più limitativamente, edilizi”, che possa costituire una cornice di riferimento chiara per le legislazioni regionali; definendo terminologie, obiettivi, risorse, modalità di lavoro, regole e norme, in ossequio alle ripartizioni delle competenze Stato-Regioni (art. 117 della Costituzione Italiana) che assegna allo Stato, nella materia governo del territorio, la definizione dei principi fondamentali.
L’entrata in vigore della legge col testo attuale determinerebbe l’immediata paralisi della legislazione regionale, nonché a cascata degli strumenti comunali; in attesa di un arduo e lungo lavoro di adeguamento al ddl, e causerebbe incertezze operative gravi per le iniziative in corso e per quelle in programma.
Complessivamente, questo ddl non è innovativo ma resta saldamente inserito nelle maglie tradizionali della zonizzazione della legge urbanistica nazionale 1150/1942 e dei tradizionali parametri urbanistico-edilizi.
L’operatività della proposta è affidata alla creazione di piani e banche dati da parte dei Comuni che non solo molto spesso (soprattutto i piccoli comuni) non hanno le capacità tecniche-economiche per attuarli e per trasmetterli a livello di flussi informativi agli Enti sovraordinati che ne monitorano l’attuazione, ma che rischierebbero di servire a ben poco se concepiti fuori da una logica di conoscenza dinamica e incrementale: requisiti che per la “lettura” del patrimonio dismesso appaiono fondamentali.
L’introduzione di un ulteriore strumento, il piano della rigenerazione, oltre a incorrere nei medesimi difetti di cui sopra, appare da una parte un aggravamento dei processi di gestione della programmazione dei fondi dall’altra una duplicazione degli obiettivi dei piani regolatori comunali (il cui ruolo è indirettamente messo in discussione, ma di cui nulla è detto in termini di coesistenza o integrazione con il piano delle rigenerazione); a tal punto che non appare neppure molto chiaro che cosa sia esattamente il piano comunale di rigenerazione urbana, se un piano urbanistico (generale? attuativo? di nuova configurazione?) oppure un programma da attuare mediante uno o più piani urbanistici attuativi.
Rispetto ai singoli articoli, si riportano di seguito le principali osservazioni:
Art. 1 Finalità e obiettivi, si nota la carenza della qualità degli spazi pubblici anche dal punto di vista dello standard di natura ambientale. Si ritiene che debba esser meglio evidenziata la correlazione con gli obiettivi di sostenibilità. La qualità dello spazio è tanto maggiore quanto contribuisce al raggiungimento di questi obiettivi.
Art. 2 Definizioni, a parte la precisazione che, vista la definizione, si propone di inserire alla lettera a), modificando la titolazione da ‘ambiti urbani’ in ‘ambiti urbani di rigenerazione’, nonché la ripetizione un pò ridondante delle diverse “aree e complessi edilizi….” sarebbe opportuno che finalmente con la lettera f) fosse chiarito il consumo di suolo tra permanente e reversibile. Cioè che fosse una legge statale a determinarne il vero rapporto ai fini del contenimento del consumo di suolo e non da disposizioni di un Ente, quale ISPRA, che definisce le caratteristiche del consumo di suolo senza poi individuare in che termini fa realmente consumo di suolo. Si segnala l’inopportunità dell’affermazione sopra riportata, evidenziata in azzurro. Non dovrebbe essere una legge statale a definire “il vero rapporto ai fini del contenimento del consumo di suolo”;
Di interesse sono le definizioni sui servizi ecosistemici e sul pareggio di bilancio dei servizi stessi, anche se risulta necessario comprenderne bene le modalità di calcolo e di utilizzo. Stesse considerazioni in merito alla definizione di cintura verde.
Perplessità si esprimono sulla definizione di centri storici che sembra non tener in alcun modo conto delle analisi e dei contenuti degli strumenti urbanistici comunali, nonché di letture ed analisi ormai consolidate in molti strumenti che allargano la questione ad una più ampia idea di “città storica”. Si esprimono perplessità anche sui contenuti dell’art. 13 Misure di tutela dei beni culturali e dei centri storici a cui la definizione è connessa per le motivazioni di seguito illustrate.
Lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare dei principi “alti” e non delle definizioni stringenti, ridefinendo la politica urbanistica con una legge “quadro” che superi l’attuale legge nazionale del 1942 ormai datata, che costituisca la cornice dove trovino collocazione i concetti di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, di ecosostenibilità, di contenimento di consumo di suolo, ovvero di tutti i concetti ormai imprescindibili che considerano il governo del territorio in una logica multidisciplinare pretendendo, quello sì, che chi non si è ancora organizzato con un proprio modello di rigenerazione, che lo faccia velocemente e nel rispetto dei suddetti principi, ma consentendo nel frattempo a chi ha da tempo intrapreso un percorso, di poter proseguire, magari con i necessari aggiustamenti, ma non con ingiustificati stravolgimenti. I quali, come detto, avrebbero solo l’effetto di rallentare processi virtuosi che tutto hanno bisogno, tranne che di essere ostacolati, tenendo altresì conto che, ai sensi del Titolo V, il governo del territorio costituisce una materia di competenza concorrente.
Queste definizioni di consumo di suolo riprendono i contenuti delle definizioni proposte con precedenti DDL già esaminati e commentati negativamente nell’ambito del GdL tecnico della Conferenza Stato-Regioni.
Con riferimento alla misurazione e monitoraggio del consumo di suolo, si anticipa che è opportuna e necessaria una precisazione, al fine di evidenziare l’importanza di integrare il sistema di monitoraggio e valutazione dei dati sul «suolo consumato» nello stato di fatto (misurazione riferita alla «copertura artificiale del suolo» adottata a livello nazionale da ISPRA/SNPA) con quello dei dati riferiti alla «limitazione del consumo di suolo» in termini urbanistici (misurazione adottata da Regione Lombardia e da altre regioni italiane), che va ad incidere direttamente nelle politiche di governo del territorio di Province, Città Metropolitane e Comuni (e di riflesso, nella limitazione della copertura artificiale del suolo).
Due approcci distinti ma complementari, che possono essere ricondotti all’interno di una lettura complessiva del problema consumo di suolo e che peraltro, rispecchiano l’approccio sottolineato dalla stessa Unione Europea (COM/571) “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse”), che orienta gli gli Stati Membri affinché nelle politiche territoriali si agisca sia nell’ottica di “limit land take” ovvero di “limitare il più possibile l'occupazione di suolo” che di “soil sealing”, andando quindi a ridurre la superficie impermeabilizzata.
In tale ottica il dato ISPRA/SNPA può essere considerato come dato conoscitivo del livello di copertura artificiale del suolo (stato di fatto), certamente molto utile ai fini della valutazione della resilienza ambientale di un territorio, ma che non può però essere considerato come unico dato quantitativo di riferimento delle politiche urbanistiche per ridurre il consumo di suolo. E’ pertanto opportuno che tale dato, anche al fine di evitarne interpretazioni parziali o distorte, sia ricondotto all’interno di una lettura complessiva dei fenomeni urbani, che considerino i diversi caratteri determinati dalle pianificazioni locali (concentrazione o dispersione insediativa, sprawl urbano e relativi costi pubblici e ambientali in termini di gestione e manutenzione del territorio, frammentazione dei territori agricoli, fenomeni di frange urbane lineari, ecc.).
Inoltre si indicano le possibili conseguenze all’applicazione della lettera g, comma 1 dell’art. 2:
con la sola definizione di Consumo di suolo indicata da ISPRA sono automaticamente più virtuosi, in termini di Cds, gli interventi a bassa densità (ad esempio villette con giardino che hanno determinato il consumo di suolo generalizzato di ampie aree della pianura padana) che non gli interventi ad alta densità presenti nelle parti centrali delle città. Con questa definizione di Cds ogni operazione di razionalizzazione dell’edificato che tenda ad una densificazione e all’ottimizzazione dell’uso del suolo risulta impossibile (risultando impossibile, di fatto, il bilancio dei servizi ecosistemici). La soluzione potrebbe essere quella di condizionare la fattibilità degli interventi di rigenerazione ad un miglioramento delle permeabilità rispetto alla situazione precedente. Sul punto, però, sembra inevitabile introdurre delle eccezioni, ad esempio per consentire la rigenerazione di aree apparentemente libere ma, ad esempio, oggetto di fenomeni di contaminazione che necessitino di bonifica.
Sul punto si evidenzia che tutti (o comunque la maggior parte) gli strumenti di pianificazione territoriale o gli strumenti urbanistici si rifanno ad un concetto “urbanistico” di “consumo di suolo”, ove il consumo di suolo è fatto coincidere con la destinazione urbana (esistente o in previsione) di un’area. Tale definizione “urbanistica” di cds è l’unica in grado di prefigurare un disegno del territorio equilibrato, utile da un lato alla salvaguardia e alla continuità del sistema ambientale esterno e dall’altro lato a consentire forme di organizzazione sostenibile del tessuto urbano. Laddove si proceda con la sola definizione di ISPRA, tutti gli strumenti di pianificazione (territoriale o urbanistica) appena approvati dovranno essere “rifatti” non trovando alcun riscontro nella legge.
(lettera f) comma 1 art. 2 - la definizione di «pareggio di bilancio non economico dei servizi ecosistemici» conferma quanto sopra. Il richiamo generico al “ripristino delle funzioni ecologiche” del suolo non discrimina tra aree di basso valore (ad esempio aree a verde pertinenziale) e aree “ecologiche” del sistema ambientale esterno, uniche a svolgere vere funzioni ecologiche od ecosistemiche, data la priorità sempre data al valore della “permeabilità” rispetto ad altre variabili.
Art. 3 Cabina di regia nazionale per la rigenerazione, si conferma un giudizio positivo sull’istituzione della Cabina di Regia a condizione che le Regioni siano adeguatamente rappresentate e che l’organo assuma una connotazione operativa.
Art. 4 Programma nazionale della rigenerazione urbana, sono da chiarire i contenuti legati al programma sia in termini di tempistiche relative all’approvazione del programma stesso che paiono essere molto ridotti, sia in relazione all’adeguamento della normativa regionale in termini di contenuti rispetto all’autonomia legislativa concorrente. È inoltre da chiarire la modalità di aggiornamento, che non potrà prescindere dall’assegnazione di un ruolo alle Regioni.
Art. 5 Fondo nazionale per la rigenerazione, si conferma il giudizio positivo rispetto alla previsione di un fondo stabile e con un significativo orizzonte temporale che consente per Regioni e Comuni la programmazione pluriennale di attività e interventi anche di natura complessa.
Si segnala tuttavia che in relazione alle disposizioni in materia fiscale di cui all’art. 20 andrebbero maggiormente chiarite le modalità di compensazione dei mancati introiti in capo alle amministrazioni comunali, ripartendo in modo più chiaro le quote del Fondo nazionale destinate a finanziare gli interventi e quelle destinate coprire i mancati introiti.
Art. 6 Riparto delle risorse per la rigenerazione urbana, non si condividono pienamente i criteri di riparto dei fondi in funzione delle richieste in quanto tale discrezionalità rischia di creare squilibri tra Regioni; potrebbe invece ipotizzarsi un riparto provvisorio in funzione ad esempio del numero di comuni, della densità della popolazione, etc...da definire entro un congruo termine nel quale Regioni e amministrazioni comunali possono presentare i propri progetti; decorso tale termine la mancata presentazione dei progetti comporta la ripartizione del fondo residuo proporzionalmente alle richieste di finanziamento presentate da altre Regioni.
Art. 7 Interesse pubblico in materia di rigenerazione urbana, non si comprende appieno se tale dichiarazione sia il presupposto giuridico alle deroghe a disposti normativi nazionali quali ad esempio il Dm 1444/1968, o se si prefigga altre finalità, inoltre anche la dichiarazione di pubblica utilità appare una forma non più attuale di approccio attuativo che non si concilia con strumenti moderni di attuazione quali le forme di perequazione o le modalità perequative.
Art.8 (Compiti delle regioni e delle province autonome)
Sottrae alle Regioni ordinarie il potere attualmente riconosciuto loro dalla legislazione statale di provvedere, oltre che alla pianificazione territoriale anche alla pianificazione paesaggistica, d’intesa con lo Stato. Lo fa per di più in modo surrettizio, col prevedere che, se le Regioni entro il termine – irrealistico – di 6 mesi non approvino i Piani paesaggistici, la competenza passi allo Stato, a mezzo del MIC, in via sostitutiva. Ciò oltretutto scardina ogni coordinamento e semplificazione derivanti dalle attuali previsioni di Piani territoriali regionali a valenza paesaggistica, molti dei quali in itinere. Per tale ultimo aspetto, e come rappresentato anche rispetto al successivo Art. 11, si evidenzia che appare alquanto limitante considerare quali riferimenti pianificatori i soli piani paesaggistici e non anche i piani territoriali.
E’ ricorrente in più di un articolo il principio della deroga agli strumenti urbanistici che non è condivisibile, in quanto vanifica le attività di pianificazione e programmazione urbanistica comunale, oltre che la valutazione della conformità degli interventi edilizi rispetto ai contenuti normativi degli strumenti urbanistici. Meglio sarebbe ricondurre tale fattispecie ad una maggiore flessibilità di indici e parametri da definire attraverso il riconoscimento da parte delle Regioni dei criteri per l’individuazione e l’attuazione degli ambiti di rigenerazione di cui al comma 1 lettera c), da recepire negli strumenti urbanistici in virtù proprio dell’interesse pubblico che gli interventi di rigenerazione urbana o riqualificazione energetica rivestono.
Ulteriori criticità è riscontrata nella previsione di stabilire un incremento volumetrico massimo pari al 20% “per tutti” indistintamente, a prescindere dal contesto degli edifici, dalla loro ubicazione, dalla loro densità urbanistica, dall’uso attuale e da altri aspetti urbanistici ed ambientali. La definizione della soglia di incremento ammissibile caso per caso dovrebbe essere ascrivibile alle competenze urbanistiche comunali, in funzione della qualità progettuale e della sostenibilità ambientale, sociale ed economica degli interventi in progetto. In generale le “premialità” volumetriche non appaiono più attuali e sembrano non essere più remunerative rispetto al costo totale dell’intervento e alla situazione del mercato immobiliare.
Parimenti le perplessità riguardano anche i limiti stabiliti per legge relativamente alla modifica delle destinazioni d’uso.
Art. 9 Bandi regionali per la rigenerazione urbana, si richiamano le perplessità relative in generale per le tempistica assegnata alle varie fasi di attuazione della legge, sia per i ruoli assegnati allo stato, sia per i compiti assegnati alle Regioni.
Art. 10 Banca dati del riuso Forti perplessità desta la lett. a) del comma 1 a norma del quale i comuni dovrebbero, entro sei mesi dall’approvazione della legge, eseguire un censimento edilizio comunale, secondo linee guida condivise con l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), asseverato ai sensi di legge.
Il testo risulta di difficile comprensione ed attuazione (linee guida Istat? Censimento asseverato ai sensi di legge?). Peraltro il censimento dovrebbe essere aggiornato ogni 2 anni e pubblicato in forma aggregata.
Più in generale la complessa serie di adempimenti amministrativi definita dalla legge è per la maggior parte ascrivibile alle competenze dell’urbanistica, generale e attuativa; tale complesso di adempimenti (piano comunale di rigenerazione urbana, censimento edilizio comunale da aggiornare ogni due anni, banca dati del riuso, registro delle proprietà immobiliari in stato di abbandono, perimetro delle aree da assoggettare agli interventi di rigenerazione da aggiornare ogni due anni e trasmettere all’Ispra e all’Istat) costituirebbe per la gran parte dei Comuni italiani, soprattutto in contesti regionali dove la prevalenza è quella dei comuni medio/piccoli, con strutture tecnico-amministrative inadeguate a gestire ulteriori compiti connessi ai diversi tipi di censimento previsti, un aggravio ingiustificabile, peraltro con termini temporali che, come detto, si ritengono inadeguati a seguire le dinamiche del settore immobiliare.
Interessante la mappatura dei centri e dei nuclei abitati perché introduce il concetto di “dentro e fuori”, nonché, anche se da declinare con maggiore attenzione, il riferimento alle trasformazioni da ammettere all’esterno del perimetro del territorio urbanizzato.
In tal senso è opportuno un raccordo tra il testo nazionale e le corrispondenti disposizioni regionali ove presenti (si tratta in ogni caso di contenuti propri degli strumenti urbanistici e sarebbe improprio inserire una normativa che stabilisce una generica limitazione all’uso del suolo quale divieto assoluto ad edificare nelle aree agricole o naturali, indipendentemente da qualunque altra considerazione e valutazione di natura urbanistica).
Forti perplessità si esprimono anche nei confronti dei contenuti del comma 3 a norma del quale i comuni sono tenuti annualmente a comunicare alle Regioni (non si comprende peraltro completamente a quale fine) le proprietà immobiliari in stato di abbandono o suscettibili, a causa dello stato di degrado o incuria, di arrecare danno al paesaggio, alle attività produttive o all'ambiente.
Per le motivazioni l’articolo, con esclusione del comma 2, è da rivedere completamente. Da valutare anche la sua espunzione dal testo.
Art. 11 Piano comunale di rigenerazione urbana e priorità del riuso e della rigenerazione urbana, oltre a quanto già espresso in riferimento all’art. 10, si aggiunge che le previsioni relative all’approvazione dei Piano paesaggistici e al relativo adeguamento dei Piani comunali sono irrealistiche e inattuabili anche alla luce delle esperienze delle Regioni che hanno già approvato i PPR e ne stanno attuando l’adeguamento:
- approvazione dei piani paesaggistici da parte delle regioni entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge (comma 3);
- adeguamento degli strumenti comunali al piano paesaggistico entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge (comma 4).
Si ritiene che il piano di rigenerazione debba essere integrato e dialoghi con il Piano regolatore comunale. Così come impostato dalla proposta in esame appare come uno strumento parallelo. In qualche modo con questo articolo si pone in discussione il sistema della pianificazione urbanistica in Italia.
Si esprime forte perplessità circa la capacità tecnico-economica dei piccoli comuni nell’affrontare un incombenza di questo tipo. Infine, dovrebbe essere approfondita la questione della VAS.
Il contenuto di detti piani non sembra coerente con le esigenze di rapidità, efficienza ed efficacia dei comuni rispetto alla politica di rigenerazione, data la complessità delle attività ivi ipotizzate. Andrebbero pensati Piani meno codificati, più flessibili e snelli. Del tutto irrealistico il termine di sei mesi (dalla data di entrata in vigore della legge) dato alle Regioni per l’approvazione dei Piani Paesaggistici, anche considerando il peso determinante occupato, a tal fine, nelle attività di copianificazione con il MIBAC. Ancor più irrealistico il termine di dodici mesi dato ai comuni per l’adeguamento ai PPR, considerando che nell’arco temporale di un anno dalla data di entrata in vigore della legge i comuni dovrebbero procedere al censimento degli immobili dismessi o sottoutilizzati, alla costruzione della banca dati, alla redazione del Piano delle Rigenerazione e all’adeguamento del PPP.
art. 11 (Piano comunale di rigenerazione urbana e priorità del riuso e della rigenerazione urbana) e art. 12 (Formazione dei Piani comunali di rigenerazione urbana)
Non è chiara la correlazione tra i contenuti dell’art. 11. e quelli dell’art. 12. All’articolo 11 sembra infatti descritto un processo di pianificazione urbanistica comunale, di carattere generale. All’art. 12 sembrano invece descritti i contenuti di strumenti di pianificazione attuativa. In tale Art. 12 sembra inoltre che lo strumento proposto sia non tanto un piano, quanto un programma di interventi (sommatoria delle proposte di intervento che vengono presentate all’amministrazione comunale).
Si considera inopportuno introdurre un nuovo strumento urbanistico (Piano comunale di rigenerazione urbana), che implica di per sé un appesantimento per gli EELL rispetto al numero degli strumenti urbanistici che devono mettere in campo per gestire il proprio territorio, con possibili riflessi anche in termini di maggiore impegno di risorse pubbliche comunali.
Inoltre si ritiene che gli ambiti di rigenerazione debbano essere inclusi nello strumento cardine della pianificazione urbanistica comunale (piano regolatore comunale/piano di governo del territorio), affinché gli stessi siano ricondotti all’interno di una strategia complessiva di qualificazione dell’intero territorio comunale. La stesura e l’approvazione di un nuovo Piano implica inoltre, solitamente, un lavoro di medio-lungo termine, non coerente con la necessità di utilizzo tempestivo delle risorse del “Fondo nazionale per la rigenerazione urbana”.
Art. 12 Formazione dei piani comunali di rigenerazione urbana, si ritiene che tali piani non possano essere avulsi rispetto allo strumento di pianificazione comunale e non possano formarsi semplicemente aggregando proposte progettuali d’iniziativa presumibilmente privata, senza che vi sia un disegno progettuale e programmatorio urbanistico coerente con il disegno urbano in tutte le sue componenti (dimensionali, infrastrutturali, paesaggistiche, ambientali, funzionali...) da parte del Comune. Con riferimento alle procedure di cui al comma 5 le stesse devono necessariamente tenere conto ed essere coerenti con le procedure urbanistiche già definite dalle diverse leggi regionali.
Art. 13 Misure di tutela dei beni culturali e dei centri storici L’inclusione di una quota di edilizia residenziale sociale negli interventi di rigenerazione urbana, in sintonia con l’obiettivo, ormai acquisito nella pianificazione locale, di voler dare vita ad insediamenti misti anche dal punto di vista sociale, è condivisibile. Si ritiene, però, preferibile perseguire la massima distribuzione di quota parte della residenza sociale, evitando la concentrazione solamente in tali ambiti. Si suggerisce quindi di introdurre il principio del mix sociale, demandando alle singole progettualità comunali la previsione di quota di edilizia residenziale sociale per tutti gli interventi di rigenerazione urbana, anche interessanti altri contesti urbani oltre a quello storico, in quanto le politiche abitative sono essenziali in tali processi. Non si comprende, peraltro, per quale motivo gli interventi di rigenerazione nel centro storico non possano essere ricompresi nei piani di cui all’art. 11.
Si ritiene preliminarmente opportuna una valutazione in tal senso.
Nel merito desta forti perplessità il comma 1 a norma del quale il comune approva il piano “d’intesa (?) con le competenti soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio.”
Non è chiaro in particolare il ruolo della soprintendenza e la natura dell’intesa a cui viene fatto riferimento.
Peraltro con l’acquisizione dell’intesa si determina l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di rigenerazione urbana attuativi del Piano.
Interessante è il comma 5 che contiene disposizioni per contrastare lo spopolamento dei centri storici: Al fine di consolidare e incrementare la funzione residenziale nei centri storici e arrestare i gravi fenomeni di spopolamento, gli interventi di rigenerazione urbana devono prevedere una quota non inferiore al 25 per cento della superficie utile lorda da destinare ad alloggi a canone concordato o da cedere in locazione a canone agevolato.
Il comma 8, infine, relativo alla conformità urbanistica delle strutture ricettive nei centri storici risulta di difficile comprensione: Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano, nel rispetto del codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, la propria legislazione del turismo, per la parte in cui classifica e disciplina le caratteristiche di strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, eliminando per gli ambiti territoriali individuati come zone territoriali omogenee (ZTO) di tipo A (centro storico), di cui all’articolo 2, primo comma, lettera A), del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, l’eventuale esclusione dall’obbligo di conformità con la destinazione di zona prevista dallo strumento urbanistico comunale ovvero dall’obbligo di richiesta dell’atto abilitativo comunale per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, per l’insediamento di alcune categorie di ricettività turistica complementare. Tutto questo articolo appare in contraddizione logica con il resto del disegno di legge che cerca di “incentivare” interventi di rigenerazione, mentre questo articolo è tutto orientato alla funzione della tutela. Forse si prevede di escludere completamente i centri storici da questa modalità di trasformazione del territorio.
Art. 14 Attuazione degli interventi e 20 Incentivi fiscali, in linea generale si ritiene che le previsioni degli articoli citati riferite ad agevolare oltre alla previsione di maggiore capacità edificatoria anche la riduzione del contributo privato alla costruzione della città pubblica, sia in termini di cessione di aree a standard, sia di riduzione del contributo di costruzione fino al 70 %, sia in riduzione dei contributi di natura fiscale (art. 20) richiedano l’istituzione di forme compensative stabili e dedicate per ristorare le minori entrate comunali in sostituzione della generica previsione riportata nell’art. 5, c. 2, lett. f) (assegnazione di contributi ai Comuni a titolo di rimborso del minor gettito derivante dall’applicazione degli esoneri e/o riduzione degli oneri di urbanizzazione). E’ necessario infatti evitare che i benefici fiscali a sostegno delle iniziative private penalizzino negativamente le risorse economiche comunali e di conseguenza la disponibilità di risorse per la manutenzione e la riqualificazione anche dal punto di vista ambientale degli spazi pubblici.
Art. 19 Disposizioni in materia di qualità della progettazione. Di assoluto interesse, anche se si ritengono necessari maggiori approfondimenti ai fini della sua effettiva applicazione, è il contenuto del comma 1: Ai fini di cui alla presente legge, la progettazione degli interventi ricompresi nel Piano comunale di rigenerazione urbana, qualora non possa essere redatta dall'amministrazione comunale interessata, si svolge mediante ricorso alla procedura del concorso di progettazione o del concorso di idee di cui agli articoli da 152 a 156 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Molto interessanti gli incentivi previsti per la rigenerazione del suolo edificato al di fuori dei centri abitati mediante riconversione agricola dei terreni interessati da costruzioni.
Analogo interesse per il riconoscimento della figura di “agricoltore custode dell’ambiente e del territorio”.
Art. 20 – Incentivi fiscali. Molto interessante e condivisibile il tema dell’esonero dalla fiscalità statale e locale per gli immobili oggetto di rigenerazione fiscale che contribuiscono davvero ad incentivare interventi nella città esistente e costruita, nella quale gli interventi richiedono risorse maggiori rispetto alla città non costruita. Si condivide comunque l’attenzione ai minori introiti da parte dei Comuni che dovrebbe essere compensato. Altrettanto interessante e condivisibile l’attenzione a tutti gli interventi (comma 7) relativi alle opere di risparmio energetico, di consolidamento antisismico, eccetera favorita da riduzioni delle imposte statali.
Art. 26 Disposizioni per garantire la continuità degli interventi di rigenerazione urbana. Pur comprendendone le finalità, si ritiene che la modifica al testo unico degli enti locali debba essere sottoposta ad attenta valutazione, soprattutto nel caso in cui non si sia giunti all’approvazione di atti formali o alla sottoscrizione di atti giuridicamente vincolanti:
Il consiglio subentrante, a seguito della cessazione del mandato del sindaco ai sensi degli articoli 51 e 53, ha l'obbligo di dare continuità ai programmi per l'attuazione di interventi di rigenerazione urbana sostenibile, già avviati dall'amministrazione precedente e per i quali non sussistano elementi di interesse pubblico, all'interruzione o revoca del processo, prevalenti rispetto a quelli che lo hanno avviato.
Art. 27 Disposizioni finali
I contenuti delle disposizioni finali dovranno essere oggetto di attenta valutazione soprattutto nelle parti che incidono direttamente sulla strumentazione urbanistica comunale vigente.
Fin da ora si evidenzia comunque quanto segue:
- non è chiara l’effettiva portata del comma 2 lett. a) “è fatto obbligo della priorità del riuso e della rigenerazione urbana e non è consentito consumo di suolo in violazione delle disposizioni di cui alla presente legge” (in cosa si traduce esattamente l’obbligo di dare priorità al riuso? Quali sono le disposizioni del testo che vietano espressamente il consumo di suolo?);
La norma ha carattere generale per tutta la pianificazione urbanistica comunale? Introduce il consumo di suolo “zero” da subito e non al 2050? Con necessità di rifare tutti i piani urbanistici? Con ricadute dirette su tutte le aree pertinenziali e libere?.... Non si capisce, ma letto il contenuto del successivo comma, si direbbe di sì: “Sono fatti salvi i titoli abilitativi edilizi comunque denominati, rilasciati o formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché gli interventi e i programmi di trasformazione previsti nei piani attuativi, comunque denominati, approvati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e le relative opere pubbliche derivanti dalle obbligazioni di convenzione urbanistica ai sensi dell'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, fino a decadenza, come disposto dai commi 2 e 2-bisdell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.- la disposizione di cui al c. 2 lett. b) in materia di pericolosità idrogeologica rischia di sovrapporsi con le disposizioni regionali vigenti;
- il c. 2 lett. c) relativo all’autorizzazione paesaggistica sembra riproporre adempimenti già previsti dal codice del paesaggio;
- appare critica e non condivisibile la scelta, operata dal c. 4, di inserire tra le aree tutelate per legge dal codice del paesaggio gli “agglomerati urbani di valore storico consolidato”, peraltro individuati in maniera automatica, sulla base del nuovo catasto edilizio urbano dei cui al regio decreto 652/39 (art. 2 c. 1 lett. h);
- non risulta chiara la finalità del c. 5 che interviene sull’art. 10 “Interventi subordinati a permesso di costruire” del DPR 380/2001, modificando la dizione “permesso di costruire” con “concessione edilizia”;
- è necessario un maggior coordinamento degli art. 11 e 12 con il c. 7, che individua il piano comunale di rigenerazione urbana quale contenuto proprio del Piano Regolatore Generale. Si ritiene, a tale proposito, indispensabile una netta distinzione tra previsione urbanistica, che correttamente deve stare all’interno dello strumento urbanistico e proposte operative che attengono, al contrario, alla procedura selettiva.
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Giudizio sintetico
Il DDL presenta tre livelli normativi:
1° "Livello statale”. È la parte più significativa del testo in quanto definisce un sistema strutturato ed organico di programmazione degli interventi di rigenerazione urbana.
Si esprime un giudizio sostanzialmente positivo per pochi aspetti del DDL in questione, riferibili:
• alla previsione di una Cabina di Regia e di una filiera di Stato – Regioni – Enti Locali delineata nel DDL con alcuni appesantimenti procedurali che potrebbero essere snelliti, ma sulla base di un’architettura sostanzialmente condivisibile (art. 3);
• alla previsione di un programma nazionale per la rigenerazione urbana ed al relativo fondo nazionale, con risorse garantite per un congruo periodo strutturale per la rigenerazione urbana (artt. 4 e 5);
• ai ruoli di cerniera delle Regioni (artt. 6, 8 e 9), pure nella necessità di rivedere alcune previsioni di eccessivo dettaglio dell’art. 8;
• a diverse previsioni di cui al Capo VII – Misure fiscali ed incentivi, non limitate ad incentivazioni meramente volumetriche (inutili in molti contesti), fermo restando che le de-contribuzioni locali (IMU. TARI ecc.) debbano in qualche modo essere compensate con altre e diverse risorse.
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Si ritiene, però, che un testo normativo in materia debba considerare la rigenerazione urbana come “LA” questione urbanistica, di cui gli strumenti regionali e comunali esistenti debbano, con le necessarie riscritture, modifiche e integrazioni, occuparsi, senza introdurre nuove ed ulteriori forme di pianificazione o di strumenti specifici, che si sommano ad un quadro già farraginoso e complesso e assai diversificato su base regionale, rispetto al quale il DDL in oggetto sembra disinteressarsi completamente come se il tema fosse “altro” rispetto a quello già trattato negli strumenti vigenti; comportando in tal modo effetti del tutto opposti a quelli della semplificazione desiderata.
L’introduzione di norme “tematiche” che si pongono un orizzonte parziale (sulla rigenerazione, sul consumo di suolo, sui centri storici ecc.) rischia di frammentare ancora di più una disciplina che, viceversa, avrebbe necessità di ritrovare un assetto organico, nonché coerenza e consequenzialità tra obiettivi, pratiche e strumenti.
E’, invece, assolutamente prioritario procedere (di concerto con le Regioni) ad un riassetto normativo complessivo in materia di governo del territorio, a partire dall’aggiornamento di una legge nazionale che ne disciplini i principi generali, di cui la rigenerazione urbana dovrebbe costituire uno dei primari temi ed obiettivi; nonché, concludere urgentemente il processo di aggiornamento delle normative statali vigenti, quali il DPR 380/2001 e soprattutto il DM 1444/1968, avviato con i tavoli tecnici di confronto Stato-Regioni già da oltre due anni, non potendosi più continuamente proporre una perenne logica di deroga a norme ormai desuete, ma apparentemente immortali, che altro esito non ha se non di aumentare rischi di contenzioso.
ATTENZIONE, infine, ad imporre definizioni univoche a livello nazionale non concordate e rispettose di quanto già adottato a livello regionale.
2° “Livello regionale” Giudizio complessivamente NEGATIVO in quanto, pur valutando in linea generale positivamente la previsione ed i contenuti dei bandi regionali, i compiti assegnati alla regione sono molto dettagliati, oltrepassando il limite della legge di cornice, e vanno a sovrapporsi con le esperienze in corso nelle singole realtà regionali. Non viene fatta salva alcuna legislazione regionale in materia: i contenuti del DDL non sono coordinati con quelli di numerose leggi regionali in vigore da anni (es. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), ormai noti e sui quali gli operatori hanno fatto affidamento per i loro investimenti e progetti in corso.
Il DDL appare inoltre meno innovativo, e per vari aspetti riduttivo e limitativo, rispetto alla legislazione regionale; rimanendo agganciato a logiche operative della L 1150/1942, del DM 1444/1968, del DPR 380/2001, nate e strutturate per affrontare contesti e problemi assai diversi da quelli all’ordine del giorno.
È indispensabile intervenire per garantire la necessaria autonomia alle singole regioni nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione, facendo salve le discipline vigenti.
3 “Livello comunale” Giudizio NEGATIVO È nel complesso la parte del testo più problematica in quanto introduce il Piano comunale di rigenerazione urbana, di cui non si comprende la relazione con il sistema di pianificazione vigente, oltre ad una serie di adempimenti molto onerosi e di dubbia efficacia, come la Banca dati del riuso. La complessità (e onerosità) di redazione di uno strumento quale il “Piano comunale di rigenerazione urbana”, che si accompagna poi a termini del tutto non realistici per tutta una serie di complesse operazioni (redazione dei Piani Paesaggistici regionali in 6 mesi e adeguamento comunale in 12 mesi, costituzione della banca dati sul riuso, solo per fare degli esempi), evidenziano altresì un’impostazione tutt’altro che indirizzata alla economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
Si esprime un giudizio fortemente critico sull’architettura generale del DDL, in particolare riguardo:
o all’assoluta mancanza di integrazione con i sistemi di pianificazione vigenti, regionali e locali, quasi che il tema in questione non sia già oggetto di numerosissime attenzioni, sperimentazioni ed attuazioni da parte della normativa regionale e degli strumenti e prassi locali;
o alla conflittualità di molti punti del DDL con la vigente legislazione regionale, a partire dal concetto di “consumo di suolo” e delle limitazioni conseguenti;
o all’introduzione del Piano di “rigenerazione comunale” di cui nulla si dice in relazione alla pianificazione vigente, con conseguenti fortissime perplessità sia in termini amministrativi che attuativi, caricato di numerosissime aspettative ed intenti difficilmente raggiungibili, peraltro fondati sul caso per caso, luogo per luogo, intervento per intervento;
o alla sostanziale assenza di innovazione del dettato normativo proposto, che affida a continue soluzioni derogatorie a norme statali, regionali o locali gran parte delle azioni previste, e che riconduce i propri meccanismi attuativi alla L. 1150/1942, al DM 1444/1968 ed la DPR 380/2001.
In generale, si ritiene che le previsioni della proposta normativa resteranno inattuate, per la gran parte dei Comuni italiani - soprattutto in contesti regionali dove la prevalenza è quella dei comuni medio/piccoli, con strutture tecnico-amministrative e capacità tecnico-economiche inadeguate a gestire – con riferimento:
- sia agli ulteriori compiti connessi ai diversi compiti pianificatori e tipi di censimento previsti, con un aggravio ingiustificabile, peraltro con termini temporali che, come detto, si ritengono inadeguati a seguire le dinamiche del settore immobiliare;
- sia agli ulteriori compiti attuativi di soggetti attuatori/stazioni appaltanti degli interventidi rigenerazione urbana.
A tale ultimo proposito, è necessario - all’interno delle politiche assunzionali in itinere promosse dal governo – prevedere, per ciascuna regione, in via generale, l’istituzione di una struttura tecnica dedicata, attuativa degli interventi rilevanti e strategici in materia di infrastrutture, mobilità e governo del territorio, ivi inclusa la selezione e l’attuazione di interventi di rigenerazione urbana.
In conclusione, pur riconoscendo il valore di una iniziativa di livello nazionale su un tema urgente e non più rimandabile, che non si limita a regolare gli aspetti meramente urbanistico-edilizi, ma che allarga gli orizzonti anche ad altri temi riguardanti le trasformazioni territoriali, ambientali e fiscali di rilievo, non si può che auspicare un più stretto livello di collaborazione inter-istituzionale che garantisca il giusto grado di responsabilità e autonomia nelle scelte legate al governo del territorio.
La condivisione delle strategie di sviluppo, garantendo i principi costituzionali richiamati, rappresenta l’unica via per il successo di una operazione di tale complessità e portata.
In tale prospettiva, appare percorribile, purché la partecipazione regionale sia adeguatamente rappresentata, l’istituzione della Cabina di Regia nazionale, alla quale andrebbe affidata l’elaborazione di linee di indirizzo nonché di procedure di programmazione del Fondo nazionale per la rigenerazione urbana coerenti con le esperienze regionali in corso ed improntate alla semplificazione, economicità ed efficacia dei procedimenti.
Roma, 8 aprile 2021
Link al documento approvato della Conferenza delle Regioni dell'8 aprile: Posizione sul disegno di legge in materia di rigenerazione urbana (testo unificato atti s 1131, 985, 970, 1302, 1943 e 1981)
( red / 03.05.21 )
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