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Regioni.it

n. 3821 - giovedì 16 aprile 2020

Sommario
- Coronavirus: si lavora e si discute per la ripartenza a maggio
- Coronavirus: Ue e provvedimenti economici, norme e ordinanze
- Coronavirus: sanità, verso la fase 2 con prudenza
- L'emergenza Covid-19 e il dibattito sulle competenze: Regioni in prima linea
- Emissioni di carbonio, trasporto aereo e riserva stabilizzatrice mercato: parere sul decreto
- Agricoltura: attività di raccolta dati in allevamento

+T -T
L'emergenza Covid-19 e il dibattito sulle competenze: Regioni in prima linea

(Regioni.it 3821 - 16/04/2020) La difficile e delicata gestione dell'emergenza causata dal diffondersi del virus Covid-19 nel nostro Paese ha avuto come corollario una serie di ragionamenti e qualche estemporanea dichiarazione sull'assetto istituzionale della Repubblica e non è mancato chi ha posto in discussione la distribuzione delle competenze fra lo Stato e le Regioni con particolare riferimento alla sanità (vedi link alle notizie riportati in fondo all'articolo).
Un dibattito che naturalmente ha destato nei giorni scorsi la reazione di diversi Presidenti di Regione ed anche di qualche costituzionalista.
In verità in questo momento "non c'è spazio per la strumentalizzazione politica" ne' per "alcuna alchimia costituzionale", ha detto  Stefano Bonaccini, Presidente dell'Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, che ha lanciato più volte l'invito alle forze politiche in campo a fare fronte comune in questa emergenza sanitaria. "Stiamo facendo il massimo - ha, fra l'altro affermato durante un'informativa all'Assemblea legislativa in videoconferenza - tutto cio' che riteniamo possibile, seguendo le indicazioni della comunita' scientifica, alle prese essa stessa con un virus prima sconosciuto". Dunque "serve il contributo di tutti- richiama Bonaccini- non c'e' spazio per la strumentalizzazione politica, il Paese e' chiamato a unirsi per uscire, insieme, da una stagione davvero fra le piu' buie".
Secondo il presidente della Conferenza delle Regioni, "il principio di leale collaborazione che vale in tempo di pace diventa un imperativo in tempo di guerra. In questi oltre 30 giorni ho cercato di costruire il massimo di consenso tra Governo e Regioni, almeno per la parte che mi competeva. Altrettanto ho fatto sul territorio con i sindaci e i presidenti di Provincia, naturalmente con le Prefetture". Non solo. "Ho difeso le prerogative delle Regioni - rivendica Bonaccini - a differenza di altri osservatori distratti e commentatori da salotto, non concedo nulla alla logica per cui l'emergenza dimostrerebbe che bisogna superare la gestione regionale della sanità nel nostro Paese. Se stiamo reggendo e' grazie al sistema sanitario regionale dell'Emilia-Romagna che abbiamo costruito in questi 40 anni".  Allo stesso tempo, ha proseguito Bonaccini , "sono determinato a fare tutto il possibile perche' il Paese sia unito e coeso, coerente nelle scelte e nel modo di affrontare un problema che è comune, non regionale". La questione dunque "non sono le Regioni o il Governo - ragiona Bonaccini - il problema è essere all'altezza del compito che spetta a ciascuno. E la soluzione a questo non arriva da alcuna alchimia costituzionale, ma dalla qualità delle relazioni e della classe dirigente". Lo stesso vale "per il rapporto tra le forze politiche di maggioranza e minoranza, dal piu' piccolo dei Comuni al Parlamento- ammonisce il presidente- in emergenza, l'unitò è un bene in sé. Non appanna la distinzione dei ruoli né le responsabilita' che si portano, ma ti impone di mettere al primo posto il bene comune rispetto a quello di parte". Secondo Bonaccini, tra l'altro, una delle cose che questa emergenza "insegna è che un grande sistema sanitario, pubblico e universalistico, è un bene essenziale. Tanto piu' in una società globale, esposta a maggiori rischi di diffusione delle malattie. Senza di quello non solo i singoli cittadini sono piu' deboli, poveri o ricchi che siano, e le comunita' piu' fragili, ma come stiamo vedendo diventa piu' vulnerabile anche l'economia, forse la stessa democrazia". Secondo il governatore, infatti, "tra le garanzie di avere un forte sistema pubblico che governa questi processi c'e' anche quella di darsi un metodo efficace e prudenziale. E accanto a questa, più in generale e soprattutto, la disponibilità e la forza di una grande infrastruttura pubblica, che può organizzare il servizio di prevenzione e di profilassi, di analisi e di risposta, di organizzazione del servizio. Tutte cose che, semplicemente e drammaticamente, in altri Paesi mancano. L'Italia viceversa ne e' provvista e l'Emilia Romagna ha dimostrato in questo la sua forza".
Iil presidente del Veneto Luca Zaia rispondendo alle ipotesi di centralizzazione della sanità dopo l'emergenza Coronavirus avanzate da alcuni esponenti politici ricorda che "Da noi la sanità funzione: quindi se l'obiettivo è quello di una equa divisione del malessere, allora prendo atto. Oppure è una uscita improvvida.  Dico anche che se qualcuno vuole azzardarsi a mettere in discussione il nostro modello sanitario - aggiunge - noi ci mettiamo due secondi a far rispondere il popolo. Sapete come? Chiedendo ai veneti se vogliono essere curati da Roma o dal Veneto". E "Resti chiaro che con l'ultimo paziente di Coronavirus dimesso si riinizia con l'autonomia - conclude -. Che qualcuno non pensi che sia finita qui".
E dopo la videoconferenza con il premier Giuseppe Conte, il Presidente del Veneto ha detto che "c'e' stata la rassicurazione "che non è un obiettivo del governo rimettere in discussione le deleghe sulla sanita'" come invece emerso da alcune prese di posizione. "Posso dire - ha spiegato nel corso di un punto stampa - che chi ha detto quella frase sul ritorno della sanita' allo Stato ha avuto una sensibilità da elefante in un negozio di cristalli visto quello che sta succedendo di questi tempi". In ogni caso Zaia  ha ribadito di essere pronto ad un eventuale secondo referendum dopo quello sull'autonomia del Veneto del 22 novembre 2017.
Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti (che è anche Vicepresidente della Conferenza delle Regioni), intervendo durante un Consiglio regionale in videoconferenza,  ha ricordato che "Le Regioni hanno resistito nonostante questo Governo, le Regioni hanno salvato delle vite umane nonostante la confusione comunicativa del Governo, le Regioni sono riuscite a tenere in piedi il sistema sanitario mandando infermieri, medici e oss in corsia nonostante non avessimo materiale adeguato da parte del Governo".  E in un'ntervista rilasciata al Secolo XIX,  ha sottolineato che "sembra surreale l'idea di proporre la narrazione di uno Stato efficace e di Regioni sbandate. La fotografia di questo mese e mezzo è l'opposto: mentre il governo trasformava i decreti in un genere televisivo, sfornava moduli di autocertificazione e non faceva arrivare le mascherine, le Regioni si sono rimboccate le maniche, abbiamo raddoppiato le terapie intensive, creato la nave ospedale, aumentato i laboratori". "Ricordo - ha proseguito - che il governo ha già il potere di indirizzo sulla politica sanitaria ma si è dimostrato pasticcione".
Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, chiede uno Stato centrale piu' forte sulla sanita', ma boccia la completa rinazionalizzazione della materia. Lo ha spiegato durante un'intervista a Radio Popolare: "Rinazionalizzare tutto - ha dichiarato - mi pare un'operazione francamente poco fondata e poco seria anche solo a dirla. Chi parla di nuovo di una sanità centralizzata sa poco di cosa parla. Lo dico senza timore di essere smentito. Dopodiché che le Regioni non facciano da sole lo abbiamo sempre chiesto". Tuttavia la risposta dei governi in questi anni non è stata sempre improntata alla collaborazione in questo senso, fa notare il presidente della Giunta regionale della Toscana, bensì a scelte di tipo economico basate sui tagli. "Quando andavamo a Roma - ricorda - l'unica cosa che ci dicevano è che avevamo speso per il personale l'1,3% e non l'1,4% in meno rispetto al tetto del 2004. E che per questo motivo ci commissariavano anche se avevamo i bilanci in pareggio. Questo era il governo della sanità". Pertanto a gli esponenti che chiedono di riportare la sanità interamente sotto il cappello romano replica con una battuta: "Si accomodino". Allo Stato la richiesta di Rossi, invece, è di svolgere un ruolo maggiormente da protagonista: "Nella sanità trovo che il centro sia eccessivamente debole e deve, dunque, rafforzarsi. Bisogna - ha avvertito Rossi - che riprenda in mano con le Regioni il governo della sanità sui grandi temi nazionali. Uno fra questi è come si fa assistenza a domicilio agli anziani, magari costituendo un fondo per curare come si deve la non autosufficienza". Il maggiore coordinamento auspicato, in ogni caso, per Rossi non deve andare a detrimento delle scelte specifiche nei territori del servizio sanitario perché "una certa variabilità non deve essere sempre vista come un fatto negativo".
"In questi giorni ho visto crescere un dibattito lunare sui rapporti tra Stato e Regioni. Non e' il momento delle polemiche. Dico solo che senza l'impegno delle Regioni, l'Italia oggi sarebbe sprofondata". Lo dice in diretta facebook il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, facendo il punto della situazione sull'emergenza coronavirus. "Sono tra quelli che hanno apprezzato molto il lavoro del ministro della Salute - ha aggiunto – un lavoro eccellente, ma questo è il momento meno adatto per aprire dibattiti. Lo Stato aveva un solo impegno dal punto di vista operativo: garantire il flusso permanente e adeguato delle forniture, mentre quelle che dovevano arrivare dalla centrale di acquisti Consip sono saltate".
"Mi auguro che nessuno abbia intenzione di bloccare la discussione sulle autonomie. In questa situazione difficile le Regioni hanno funzionato bene. E non mi riferisco solo a quelle del Nord. Anche Marche, Emilia-Romagna e Campania hanno saputo affrontare bene questa crisi", ha detto alla Stampa, Massimiliano Fedriga, Presidente del Friuli Venezia Giulia. E sulla sanità regionale Fedriga sottolinea: ''Siamo una Regione a statuto speciale. Il privato è meno del 3%. Il bilancio è di 5 miliardi, 2, 8 sono per la sanità".
A chi gli ha chiesto quali fossero gli insegnamenti di questa esperienza emergenziale dal punto di vista della gestione dei poteri a livello locale e centrale, il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana,  ha risposto in modo categorico :"Bisognerà sicuramente cambiare andando verso una maggiore autonomia perché la parte regionale ha funzionato in maniera impeccabile e eccellente"."Credo che quando saremo liberi dalla preoccupazione del virus ci dovranno essere anche maggiori autonomie locali, questa crisi lo sta dimostrando". E "Sono convinto - ha detto in un collegamento con Uno Mattina - che avremo le risorse, le opportunità, la creatività che ci consentirà di arrivare più veloci degli altri a risolvere i problemi", ma per farlo, ha detto Fontana, "dovremo sicuramente cambiare in modo sostanziale il mondo: ad esempio dobbiamo partire da una sburocratizzazione, smetterla di accettare tempi assolutamente incompatibili con la nostra società, avere il coraggio di mettere in campo procedure più rapide e lineari, dedicarci allo sviluppo sostenibile, investire nell'innovazione, guardare ai giovani e al futuro".
"L'idea che la sanità debba essere nazionale io la trovo pericolosissima perché non riesco a immaginare uno Stato centrale che sia in grado di organizzare al meglio sul territorio un servizio così delicato e così importante", ha detto il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, alla trasmissione radiofonica Zapping su Rai Radiouno.
L'ide di riportare la gestione della sanità in mano allo Stato: "È una specie di illusione" in base alla quale si immagina "che centralizzando si riformano le cose", ha continuato Ceriscioli. "È vero che in un'emergenza occorre superare i confini delle singole Regioni ma la sanità è regionale nella gestione mentre ènazionale negli indirizzi e le linee guida. Io sono invece convinto che la sanità italiana sia sottofinanziata da molti anni. Basta fare i confronti con le medie europee ed rapporti Pil/investimenti in sanita'".
"Il quadro delle regole e' identico in tutta Italia, poi ogni Regione si organizza in maniera autonoma. Il vero problema della sanità pubblica non è la centralizzazione delle competenze, ma - ha ribadito il Presidente delle Marche - il definanziamento a cui è stata sottoposta anno dopo anno". "L'incidenza della spesa sanitaria è calata in termini reali a un punto critico nel rapporto con il Pil, come confermano diverse fonti autorevoli". Ceriscioli ha anche ricordato che il governo, nel quadro della riforma dei servizi per il lavoro, "avrebbe voluto centralizzare la gestione dei centri per l'impiego". "Tergiversò per un anno - ha detto ancora -: un anno in un limbo e poi la riorganizzazione è stata affidata alle Regioni". Nel ragionamento del presidente delle Marche, "se lo Stato non riesce a gestire i centri per l'impiego, come riuscirà a prendere in mano la sanita'?". "La gestione di questo settore non la fanno i direttori – ha concluso Ceriscioli -. Al contrario, è fatta di prossimità, di rapporti continui, di relazioni sul territorio: come si potrà gestire tutto questo da Roma?".
In un articolo pubblicato sulla "Nuova Venezia" il 6 aprile, Mario Bertolissi (Università di Padova) ha ricordato che "il Sistema sanitario regionale: vale a dire, medici, infermieri, personale amministrativo e strutture di governo. Presidente e assessori regionali alla sanità e alla protezione civile, unitamente ai sindaci" sono stati e sono "la prima linea. Con la metafora della guerra, questa è la prima linea, sulla quale piovono i proiettili. Poi, c’è lo stato maggiore: a Roma, con tanto di circoli ufficiali, sott’ufficiali…"
"Vagheggiare di una ricentralizzazione del sistema sanitario spiace davvero", sottolinea Roberto Bin (Università di Ferrara) , in un articolo pubblicato su lacostituzione.info . Bisognerebbe, prosegue Bin "ricordare l’inefficienza del sistema centralizzato che precedeva la riforma del 1978, una delle poche grandi riforme fatte in Italia" e "cosa fossero gli ospedali “della mutua”, dell’Inam". E' proprio grazie a quella "riforma, oggi il nostro sistema sanitario è tra i migliori del mondo: e anche tra quelli che costano di meno, se paragonato agli altri paesi europei".
Quanto alle responsabilità relative alle carenze e alle incongruenze:  "Di chi ne è la responsabilità?", si chiede Bin. "Naturalmente è colpa del cattivo governo locale e dei cittadini che lo hanno lasciato prosperare: è un argomento che ricorda un po’ quello che si dice in certi ambienti olandesi e tedeschi a proposito dell’Italia: un argomento fastidioso ma non del tutto privo di fondamento. Ma la responsabilità principale è del Governo, che non assolve ai suoi compiti. La riforma costituzionale del 2001, tanto deprecata, in una cosa aveva visto giusto: rafforzando un modello in cui i servizi sociali (sanità inclusa) avrebbero dovuto essere collocati  in periferia (uso il condizionale, perché l’attuazione della riforma l’ha smentita in molti punti nevralgici), ha però dotato lo Stato di due strumenti fondamentali: la definizione dei «livelli essenziali» dei servizi (i famosi LEP o LEA) e il potere di intervenire laddove questi non fossero garantiti sostituendo le amministrazioni locali di ogni tipo. Questo è il sistema, disegnato – come si vede – con una certa intelligenza.".
"Quello che manca in questo panorama è il Governo, che non esercita affatto il ruolo che la Costituzione gli assegna"(...) Un Governo che  dovrebbe riformare le sue strutture e renderle capaci di svolgere il ruolo che la Costituzione gli assegna. Ricentralizzare il servizio sanitario - ha concluso Bin - distruggerebbe invece tutto quello che in tante regioni si è fatto e riporterebbe la garanzia dell’effettività dei nostri servizi nelle mani di una burocrazia ministeriale che non si mostra capace di esercitare nemmeno le funzioni fondamentali che oggi le sono assegnate".

 

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( sm / 16.04.20 )
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