50° a Statuto ordinario: Intervento del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini, durante l'incontro con il Capo dello Stato - 04.08.2020
martedì 4 agosto 2020
Intervento del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
Palazzo del Quirinale - 4 agosto 2020
Signor Presidente della Repubblica,
50 anni fa, con le elezioni del 1970, nascevano le Regioni a Statuto ordinario. Si completava così quell’assetto regionalista delineato dai padri costituenti nel 1948 e già avviato con l’istituzione delle Regioni a statuto speciale. Un disegno che l’Assemblea Costituente definì convintamente non solo con il dettato della parte del Titolo V dedicata alle Regioni e agli Enti locali – che oggi stabilisce che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” – ma ancor più inscrivendo già nei principi fondamentali, all’articolo 5 della Carta, tanto l’unità e indivisibilità della Repubblica, quanto il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali.
L’incontro odierno, di cui Le siamo profondamente grati Presidente, non è un evento celebrativo. Né potrebbe esserlo, nel contesto difficile che il nostro Paese sta attraversando. Vuole essere piuttosto l’occasione – per noi davvero preziosa – per una riflessione propositiva sulla funzione che le Regioni hanno svolto e possono svolgere per assicurare un più efficace governo del Paese. Funzione che hanno svolto in mezzo secolo di vita repubblicana, essendo nate in una grande stagione di riforme civili, economiche e sociali quale quella degli anni ’70; che svolgono oggi, come si è ben visto anche nella gestione della pandemia di questi mesi; e che possono svolgere anche per il futuro, a partire da quello immediato per la ripresa del Paese, concorrendo attivamente ad un progetto di sviluppo e coesione di cui l’Italia ha assoluta necessità.
Poter affrontare questa riflessione in questa sede ha un grande valore, dicevo: per quello che il Quirinale rappresenta per il Paese, naturalmente, ma anche per quello che Lei Presidente esprime, non solo come Capo dello Stato ma per la Sua sensibilità personale verso la vita e il ruolo delle autonomie nel nostro Paese.
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Sono convinto - e credo di poter esprimere in questo il pensiero di tutti i Presidenti delle Regioni - che i cambiamenti della società impongano oggi un modo diverso di interpretare il proprio compito da parte delle Regioni: per ciascuna in sé, in rapporto al proprio territorio; e per tutte insieme, in rapporto al Paese. E’ importante che tale necessità e opportunità venga colta positivamente anche da parte delle altre istituzioni.
Occorre coniugare pienamente potestà e responsabilità. Se da un lato le Regioni sono chiamate a rappresentare in modo più incisivo le istanze delle proprie comunità, assicurando risposte tempestive ed efficaci a bisogni vecchi e nuovi che via via emergono, dall’altro possono e debbono farlo sempre più insieme, condividendo decisioni nell’interesse della Nazione. Sono due obbiettivi distinti, talvolta confliggenti, talvolta complementari, in ogni caso imprescindibili. Compatibili nella misura in cui si punti davvero ad un cambiamento culturale delle relazioni Stato-Regioni, che faccia perno su un potenziamento degli istituti della collaborazione istituzionale.
E’ un cambiamento di prospettiva che la stessa gestione dell’emergenza della pandemia da Covid-19 ha reso tanto evidente quanto ineludibile. La capacità di ascolto delle comunità, che le Regioni hanno dimostrato anche nelle fasi più critiche e drammatiche, ha permesso al sistema istituzionale territoriale di fornire risposte tempestive e concrete ai propri cittadini, da un lato; dall’altro, la gestione di un’emergenza nazionale ha reso impraticabile qualsiasi risposta che non fosse concepita dentro un quadro di comune assunzione di responsabilità.
E’ stato così anche nel governo della ripartenza di questi ultimi mesi, dopo il lockdown; quando la “Conferenza delle Regioni” ha dovuto assicurare che le scelte territoriali puntuali fossero collocate sempre all’interno di una cornice nazionale, da riaffermare nella costante collaborazione tra le Regioni stesse e tra queste e il Governo. Anche questo, anzitutto questo direi, ha consentito al Governo di assumere decisioni per la riapertura sicura di diverse attività nel modo il più possibile omogeneo sul territorio.
Se il diverso manifestarsi dell’emergenza sanitaria sui territori e la corrispondente esigenza di risposte differenziate ha esaltato il ruolo delle singole regioni, solo la comune responsabilità ha assicurato la definizione di una strategia necessariamente nazionale. Non il conflitto tra prerogative, ma la leale collaborazione istituzionale ha consentito a tutti gli attori istituzionali coinvolti di sviluppare tempestivamente quelle risposte, nazionali e regionali, che lo stato di emergenza dichiarato lo scorso 31 gennaio imponeva.
E’ per questa strada, e non per altra, che si è attivato quel processo che ha portato all’adozione dei Protocolli di sicurezza e delle Linee guida per la riapertura delle attività economiche, nel pieno rispetto dei principi della legislazione nazionale e reginale, nonché delle valutazioni tecniche espresse dagli organismi competenti in materia sanitaria. Ed è stato proprio l’impegno comune dei Presidenti riuniti nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome – un impegno che, mi permetta, rivendichiamo con un certo orgoglio - a consentire la celere adozione di provvedimenti che, pur rispondendo ad istanze espresse dai singoli territori, hanno comunque assicurato un’omogenea applicazione sull’intero territorio nazionale.
Di questo voglio ringraziare in modo non formale anche il Ministro per gli Affari Regionali e le autonomie, on. Francesco Boccia, per aver costantemente operato con noi per cucire quanto una fredda disamina delle reciproche prerogative avrebbe invece rischiato, colpevolmente, di strappare.
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Ho citato l’emergenza perché è stato il trauma che ha scatenato una reazione comunque positiva dell’organismo repubblicano, da cui dobbiamo saper apprendere qualcosa. La “comune” determinazione ad affrontare una “comune” avversità, per un “comune” obiettivo: è stata questa la grande lezione dell’emergenza.
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Una situazione eccezionale richiede, per definizione, risposte eccezionali. E’ stato così per la gestione dell’emergenza sanitaria, così deve essere per la gestione dell’emergenza economica e sociale che si è determinata.
L’Europa lo sta facendo, come in molti invocavamo e come forse in pochi credevamo. Comunque la si pensi, quello del Recovery fund è un accordo storico, che mette nelle nostre mani una straordinaria opportunità e sulle nostre spalle una altrettanto grande responsabilità. Proprio per questo, come accaduto nell’emergenza e forse ancor più, occorrerà un’azione corale del sistema Paese. Una strategia nazionale condivisa, fondata su una più stringente “inclusione istituzionale”, dove ciascuno sia chiamato a svolgere compiutamente la propria parte.
Una fase eccezionale richiede risposte eccezionali, dicevo; ma perché i termini non siano fuorvianti, aggiungo subito che il percorso giusto ce lo indica ancora una volta la Costituzione, laddove nell’articolo 119 sancisce la necessità della piena corrispondenza tra le funzioni esercitate e le risorse assegnate.
Per questo, Signor Presidente, abbiamo rappresentato e torniamo a ribadire da qui, e con decisione, al Governo la necessità che nella redazione del Piano nazionale per il Recovery fund le Regioni abbiano un coinvolgimento pieno e diretto. Mai come in questa occasione, di fronte ad un obiettivo così ambizioso, dobbiamo lavorare insieme come Governo, Regioni ed Enti locali. L’auspicio è davvero che non prevalga una logica burocratica di breve respiro, un concerto ministeriale che cali sui territori decisioni prese dall’alto. Tra gli altri, l’effetto più negativo sarebbe quello dell’incapacità di spendere in fretta e spendere bene, vanificando la capacità di risposta nel momento in cui il Paese ha necessità di uno shock, nonché di investimenti strutturali per aggredire quei fattori di ritardo che ne limitano la crescita la coesione.
Ripeto spesso, anzitutto a me stesso, come il fattore tempo non sia nell’emergenza una variabile indipendente, ammesso possa esserlo in tempi normali. La miglior decisione o il miglior provvedimento, se presi in ritardo, possono risultare inutili. Per questo occorre fare presto e bene.
Abbiamo scelto di presentare oggi, Presidente, un documento con alcune riflessioni e diverse proposte per una più efficace organizzazione del lavoro e della collaborazione istituzionale. Un testo corredato anche da una serie di temi e di obiettivi che, a nostro avviso, dovranno essere centrali nell’agenda di governo dei prossimi mesi. Un lavoro per il quale desidero ringraziare tutti i presidenti delle Regioni e delle Province per il prezioso contributo fornito dalle loro strutture e dai loro uffici.
E’ fuori di discussione che occorra un grande Piano nazionale, capace anzitutto di ridurre gli squilibri territoriali e sociali, ma anche generazionali e di genere che attanagliano l’Italia. Le proposte che abbiamo avanzato, Signor Presidente, hanno esattamente questo tenore: dal rafforzamento della rete dei servizi sanitari alla scuola, per costruire un Paese più giusto e coeso, che non discrimini tra ricco e povero rispetto ai diritti essenziali; dalle infrastrutture materiali a quelle immateriali, per accrescere il diritto alla mobilità, anzitutto in chiave di sostenibilità, a quello alla connessione per i ragazzi e le famiglie, per le imprese e la pubblica amministrazione; dall’economia circolare alle fonti rinnovabili, per una rivoluzione verde che assicuri una crescita di qualità e occupazione buona; dal contrasto al dissesto idrogeologico alla riqualificazione delle nostre città, per accrescere la sicurezza del nostro territorio, la resilienza delle nostre periferie, l’efficienza degli edifici pubblici e privati.
Un Piano simile, dicevo, o è nazionale o non è. Ma con altrettanta convinzione aggiungiamo che un piano simile, senza le Regioni, nessun Governo di nessun colore politico potrà mai realizzarlo: perché richiede programmazione, gestione, capacità di spesa. E aggiungo subito, a scanso di equivoci, che le stesse Regioni hanno uguale necessità di coinvolgere gli Enti locali per realizzare una mole da un lato così significativa, dall’altro così puntuale di investimenti sul territorio.
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Il documento che Le presentiamo ci unisce tutti, dal Nord al Sud, e al di là delle appartenenze politiche. E’ un manifesto che – nel 50° delle Regioni a statuto ordinario – propone un “Patto rinnovato tra le Regioni” ed alcune “Proposte per l’Italia”. Idee per migliorare il sistema delle relazioni fra Stato e Regioni su cui concentreremo i nostri sforzi sin dai prossimi giorni.
Gliene voglio citare solo alcune:
- il superamento di una ripartizione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni fondata su criteri di contrapposizione e reciproca esclusione;
- la complementarità tra centro e periferia che porti alla condivisione ex ante di comuni obiettivi strategici;
- la centralità delle sedi di cooperazione istituzionale e della concertazione fra i diversi livelli istituzionali, a partire dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, anche con il riconoscimento costituzionale del “sistema delle Conferenze”;
- la necessità di un patto politico che, anche attraverso il Recovery plan, consenta di superare i divari territoriali.
Un manifesto di impegni di cui, signor Presidente, sentiamo la responsabilità: per gli obiettivi ambiziosi che propone a fronte delle necessità che il nostro Paese vive. Un percorso che non è solo la dimostrazione che rifuggiamo da ogni tentazione celebrativa, ma che avvertiamo una comune responsabilità verso le nostre comunità regionali e anzitutto verso quella nazionale di cui siamo parte.
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“Unità” e “Autonomia”, nel dettato costituzionale, sono facce della stessa medaglia della Repubblica. Sono termini che possono diventare confliggenti laddove potestà e responsabilità non camminino insieme. La concertazione e la leale collaborazione istituzionale possono senz’altro essere una “porta stretta”, ma sono anche la via maestra per il perseguimento del bene comune.
Mi lasci dire che questo lo sappiamo bene, noi rappresentanti delle Regioni, che veniamo da territori diversi e che esprimiamo orientamenti politici differenti. Lo sappiamo e lo misuriamo quotidianamente, quando siamo impegnati a collaborare tra noi; e lo viviamo e lo pratichiamo ogni giorno, quando collaboriamo con governi espressione di maggioranze differenti. Personalmente, ho il privilegio di guidare la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome da 5 anni: in questo tempo, se la composizione politica della Conferenza è profondamente cambiata, e si sono avvicendati ben quattro governi, abbiamo sempre avuto la capacità di assicurare orientamenti omogenei e intese istituzionali con lo Stato.
La fatica della responsabilità l’abbiamo praticata, Presidente. Non è merito mio, ma dei 21 presidenti che hanno sempre tentato di coniugare l’interesse territoriale con quello nazionale e hanno sempre anteposto, questo glielo posso testimoniare, l’interesse dell’istituzione che pro-tempore servono a quello dell’appartenenza politica.
Non sarà tutto, ma è certamente tanto per il bene della Repubblica.
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Oggi Presidente vogliamo donarLe una stampa del 1758. E’ una piccola cosa, una carta dell’Italia pre-unitaria, realizzata da un celebre incisore e cartografo. L’unità della Repubblica è per tutti noi un valore imprescindibile, ma le cartine antiche dell’Italia sono il simbolo di un Paese che già esisteva come entità geografica, culturale, linguistica e morale ben prima che i suoi popoli riuscissero a raggiungere l’unità politica. Sono le nostre radici che sanno spiegare meglio di ogni altra cosa le tante soggettività e identità che compongono il nostro Paese, ma anche il senso e la forza della nostra Nazione, di cui Ella è l’interprete più autorevole e sensibile.
Davvero grazie,
Signor Presidente