Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Statuto delle imprese: documento delle Regioni
Conferenza Regioni
e Province Autonome
giovedì 18 novembre 2010
in allegato il documento in formato pdf
CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
10/122/CR13a/C11
DOCUMENTO DELLE REGIONI SUL TESTO UNIFICATO D’INIZIATIVA PARLAMENTARE A.C. 2754 RECANTE “NORME PER LA TUTELA DELLA LIBERTÀ D’IMPRESA. STATUTO DELLE IMPRESE”
La finalità del ddl “Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese” è quella di declinare i diritti fondamentali dell’impresa riconoscendone il valore economico e sociale e definendo il quadro di riferimento di principio per ogni regolamentazione successiva, alla stregua dello statuto dei lavoratori. A differenza di quest’ultimo, però, il testo appare carente nella definizione puntuale dei diritti esigibili da parte dell’imprenditore e dei doveri a cui lo stesso è tenuto ad attenersi (rispetto ambiente, tutela salute lavoratori ecc.). Tali carenze risultano un limite non trascurabile soprattutto se si considera che la presente disciplina non va ad impattare solo sulle micro, piccole e medie imprese, in quanto lo statuto, per essere tale, deve applicarsi alla generalità delle imprese, nella convinzione che quello che va bene alla piccola impresa, va bene a tutte le altre tipologie di imprese.
Il ddl inoltre mira a dare piena attuazione su tutto il territorio nazionale allo Small Business Act, utilizzando il richiamo alle norme fondamentali di riforma economico-sociale e ai principi dell’ordinamento giuridico dello Stato, cui le Regioni devono attenersi. Si ricorda che lo Small Business Act, al fine di valorizzare appieno le potenzialità di crescita e di innovazione delle imprese di minori dimensioni, mira a ricondurre ad un quadro coerente ed organico tutti gli strumenti della politica d’impresa, nel nome di tre principi più volte richiamati nel documento comunitario: il partenariato, la proporzionalità e la sussidiarietà.
Si tratta di una serie di orientamenti non vincolanti, di linee guida, rivolte agli Stati membri sotto forma di invito a collaborare nello spirito della partnership, e ad intervenire in ossequio al principio della sussidiarietà nella formulazione ed attuazione delle politiche atte a creare condizioni di concorrenza paritarie per le PMI e a migliorare il contesto giuridico ed amministrativo in cui esse operano.
E’ un invito rivolto quindi a tutti coloro che nei rispettivi ordinamenti costituzionali, sono deputati alle scelte politiche e alla loro implementazione, ai “policy makers” degli Stati membri.
Ancor più significativo il fatto che la comunicazione UE, in premessa, sancisca l’esigenza di attuare il principio di sussidiarietà non solo nei rapporti UE e Stati membri, ma all’interno degli Stati membri tra livello nazionale e locale, laddove afferma che una politica efficace che miri ad affrontare i fabbisogni delle piccole e medie imprese deve saper riconoscere i differenti modelli di funzionamento e le diversità nella natura delle stesse imprese anche a livello locale.
L’esigenza di dar rilievo alle peculiarità territoriali dei vari sistemi imprenditoriali esistenti in Italia e in tutta Europa ha tra l’altro indotto l’amministrazione statale a proporre, nell’ambito del processo di revisione dello Small Business Act, la “regionalizzazione” dei relativi programmi nazionali, rispetto alla quale la scelta dello strumento legislativo, diretto a garantire un’applicazione uniforme su tutto il territorio, sembra essere in contrasto. A tale scopo era forse auspicabile l’adozione di un piano d’azione, sul modello di quelli adottati in altri paesi, la cui attuazione poteva essere più efficacemente ricondotta a buone pratiche di “governance” tra i vari livelli di governo.
Peraltro la proposta di legge alterna disposizioni relative alla libertà di impresa, sulla cui base occorrerà costruire diritti e doveri dell’imprenditore, a disposizioni attinenti alle politiche di sostegno alle imprese. Tale commistione ingenera confusione anche in relazione al riparto costituzionale delle competenze tra lo Stato e le Regioni, che com’è noto riserva a queste ultime le politiche di incentivazione delle piccole e medie imprese, alla cui tutela è rivolto l’intervento normativo di cui trattasi.
Gli interventi per le politiche di sostegno alle imprese sono il fondamento dello sviluppo locale e quindi sono legate a scelte dei governi regionali in grado di caratterizzare le singole misure in relazione alle specifiche caratteristiche del tessuto produttivo territoriale di riferimento.
Tra l’altro alcune norme della proposta di legge introducono scelte in materia di incentivi del tutto avulse da un quadro di riforma organica che da tempo le Regioni auspicano, a partire dalla definizione della consistenza finanziaria degli stessi. La ricognizione delle risorse disponibili per il sostegno alle imprese e delle tipologie di incentivi attivati a livello centrale e territoriale risulta infatti imprescindibile per rendere concrete le politiche pubbliche per la competitività.
E’ ovvio che ogni riforma delle misure di sostegno alle imprese non può prescindere da un confronto preventivo con le Regioni.
Per tutte le suddette motivazioni, si sottolineano forti perplessità sulla congruità dello strumento legislativo per dare attuazione agli orientamenti sanciti dalla Commissione in materia di impresa. Ciò ancor più se si prende in considerazione la previsione di una legge nazionale annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese che, sul modello della legge comunitaria annuale, definisce per l’anno successivo gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, senza peraltro provvedervi con un’adeguata copertura finanziaria. Già la sua complessa articolazione ed il rinvio a provvedimenti normativi di rango inferiore prefigurano una infinita proliferazione di adempimenti che rischiano di vanificare l’obiettivo di sostenere e tutelare la micro piccola e media impresa.
In conclusione, laddove lo strumento legislativo sia ritenuto il più idoneo per definire lo status giuridico delle imprese, non possono non destare forti perplessità le seguenti considerazioni:
1) il ddl, al pari della proposta di legge annuale PMI predisposta dal Tavolo permanente PMI istituito dal Ministero dello Sviluppo economico nel marzo 2010 e della proposta di integrazioni al documento di consultazione lanciato dalla Commissione UE sulla revisione dello Small Business Act, vertono su una materia demandata alla potestà regionale ai sensi del titolo V della Costituzione;
2) la consultazione degli enti rappresentativi degli interessi territoriali continua ad essere ignorata, a beneficio invece dell’intensa attività di concertazione svolta con le associazioni di categoria nazionali, laddove si prevede la predisposizione di una legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle PMI che, a prescindere dalla complessa articolazione e dai rinvii a norme di rango inferiore di cui esporremo a seguire, non può non richiamare l’attenzione per gli attori coinvolti nella sua predisposizione: il Governo, una costituenda Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese e un Tavolo permanente di consultazione delle associazioni di categoria, con l’esclusione pressoché totale di qualunque ente pubblico territoriale, se non attraverso un parere non vincolante espresso dalla Conferenza Unificata e la partecipazione di un membro della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel’ambito della suddetta Agenzia;
3) senza alcun riconoscimento delle prerogative regionali, i riferimenti contenuti all’art. 1 e all’art. 21 sono da considerare come tentativi di ampliare i limiti della competenza legislativa statale e di aggirare la potestà regionale in materia di PMI. Nel caso dell’art. 1, circoscrivendola entro i limiti di una competenza legislativa concorrente, vincolata al rispetto dei principi fondamentali contenuti o desumibili dalla legge; nel caso dell’art. 21, laddove, con un’interpretazione piuttosto libera, si riserva allo Stato una generale competenza esclusiva in merito a tutte le disposizioni della legge quali espressione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, relegando le Regioni e gli EE.LL al mero ruolo di garanti di ulteriori livelli di tutela, nell’ambito delle rispettive competenze;
4) oltre ad invadere la sfera di competenza legislativa regionale ai sensi del comma 4 dell’art. 117 della Costituzione, la proposta di legge, nel dettare all’art. 13 disposizioni in merito alle politiche pubbliche per la competitività, tra l’altro prevedendo una riserva del 50% degli incentivi, ignora la delega di funzioni amministrative inerenti gli incentivi in materia di industria ed artigianato e opera un riaccentramento degli strumenti, anche finanziari, di sostegno alle PMI;
5) in assenza almeno di un’auspicata procedura di consultazione con le Regioni, tratta inopportunamente tematiche come quella fiscale, in prossimità di un riforma in senso regionalistico della stessa.
Proposta:
Il ddl è finalizzato a redigere lo statuto delle imprese e a dare piena attuazione allo SBA, ponendo, da un lato, le norme fondamentali per la tutela della libertà di impresa e, dall’altro, creando le condizioni di contesto, politiche, amministrative, procedurali, favorevoli alla crescita e competitività sostenibili delle PMI, affrontando tutti i temi della loro attività, dalla fase di avvio, allo sviluppo, alla cessazione.
In sostanza si ritiene di poter sostenere che, in perfetta coerenza con la Comunicazione UE del 2008, si tratta di un quadro di riferimento politico e normativo per la piccola e media impresa, materia riservata alla potestà legislativa regionale, ma nel contempo composita, articolata, suscettibile di possibili interferenze di competenza statale laddove coinvolge profili di tutela della concorrenza, di ordinamento civile e tributario, che, in quanto tali, richiedono una regolamentazione uniforme a livello statale.
Il testo così costruito presenta problemi di compatibilità costituzionale in termini di riparto di competenze legislative ai sensi dell’art. 117 della Costituzione.
Di qui l’opportunità:
1) di portare il presente documento all’attenzione della Conferenza delle Regioni al fine di chiedere una audizione al Parlamento per esporre tali considerazioni in ordine alla proposta di legge;
2) che si attivi, come per la legge annuale PMI, il Ministero dello Sviluppo economico, per definire un testo alternativo che tenga conto dei profili di competenza sopra richiamati.
Osservazioni e proposte di emendamenti
Art. 1 - Finalità
Comma 1
Nella definizione di impresa si coglie l’intento del legislatore di recepire la definizione comunitaria contenuta nella raccomandazione del 2003, laddove si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica, ritenendo fattore determinante quest’ultima piuttosto che la forma giuridica. Anche se nella formulazione licenziata dalla Commissione X della Camera dei Deputati il concetto di impresa rimane legato alla definizione del Codice Civile, senza innovare. Al contrario la formulazione rischia di creare confusione.
Ad oggi la finalità della definizione di impresa della raccomandazione è limitata alla questione degli aiuti, una eventuale estensione ad altre finalità richiede una revisione organica e chiara delle definizioni e del regime giuridico dell’impresa e delle professioni innovando il codice civile e l’intera normativa di riferimento
Si propone di eliminare l’ultimo paragrafo del comma 1.
Comma 2
Fatti salvi i rilievi espressi sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni nella parte generale del documento, non si ritiene corretto il riferimento ai principi della legge quali “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica” che, a seguito della revisione del titolo V della Costituzione, si pongono come limiti esclusivamente per la legislazione delle Regioni a statuto speciale.
Si propone di eliminare il comma 2.
Comma 3
E’ collegato al comma precedente e poiché il contenuto della legge è eterogeneo, è necessaria l’indicazione puntuale delle disposizioni che rappresentano principi fondamentali a cui le Regioni devono attenersi nell’esercizio della potestà legislativa concorrente.
Si propone l’abrogazione del comma 3 e l’indicazione nel corpo del provvedimento di previsioni espresse.
Comma 4
Si richiamano le osservazioni svolte nella parte generale del documento, 1° paragrafo.
Si propone:
- di integrare la norma con il “riconoscimento dei diritti esigibili da parte dell’imprenditore e dei doveri cui lo stesso è tenuto ad attenersi”;
- alla lettera b-bis) del comma 4 eliminare la parola “commerciale”;
- di eliminare la lettera g).
Art. 2 - Principi generali
I principi enucleati nell’articolo sono in via generale condivisibili e sono già previsti nell’ordinamento costituzionale e comunitario.
Anche in tale enunciazione si alternano disposizioni relative a diritti e libertà dell’impresa e disposizioni che rappresentano delle indicazioni di riferimento per le politiche di sostegno al sistema produttivo, sulle quali si richiamano la forte contrarietà delle Regioni come già evidenziato in premessa.
Per fornire comunque un contributo nel merito dei principi evocati, si evidenzia l’inopportunità di annoverare tra i principi generali il principio di cui alla lettera o), ovvero la garanzia che nei rapporti tra imprese e nei rapporti tra imprese e P.A. la durata dei processi civili relativi al recupero di un credito sia superiore ad un anno. Quest’ultimo punto, ripreso dal comma 6 dell’art. 7, da un lato solleverebbe problemi di disparità di trattamento con gli analoghi processi civili in cui è parte un privato, dall’altro resta una mera enunciazione di principio, se non si individuano con provvedimenti più pertinenti le misure concrete con cui si assicurare il rispetto della durata del processo.
Inoltre il principio richiamato alla lettera m) appare fortemente riduttivo rispetto alla valenza generale dei principi indicati nel comma 1). In effetti il sostegno pubblico dovrebbe mirare in maniera più efficace alla creazione di un contesto di regole e di tutela volto a garantire condizioni di uguaglianza sostanziale per tutte le tipologie di imprese. Peraltro l’esigenza di corrispondere ad una delle indicazioni del documento di revisione dello Small Business Act impone di incentivare, a livello di Stati membri, l’imprenditorialità femminile, e pertanto si propone di modificare la disposizione di cui al punto m) nel modo seguente “il sostegno pubblico all’imprenditoria femminile, giovanile e ad alta tecnologia, al fine di garantire condizioni di uguaglianza sostanziale per tutte le tipologie di imprese.
Art. 3 e 3bis - Libertà associativa e legittimazione ad agire delle associazioni
Le due disposizioni sono intimamente connesse e la lettura va fatta congiuntamente.
Al comma 1 dell’art. 3 si afferma la libertà di associazione che, com’è noto, è già prevista dall’ordinamento, pertanto si propone di riformulare la previsione in maniera tale da evitare l’introduzione negli strumenti di diritto privato di clausole che siano limitative di tale diritto, prevedendone espressamente la nullità.
Il comma 2 del medesimo articolo sembra contraddire il comma 1 quando introduce criteri di selettività nel riconoscimento delle associazioni di rappresentanza, facendo riferimento alle associazioni rappresentate nel sistema delle camere di commercio o nel CNEL.
Il sistema delle rappresentanze nelle Camere di commercio è regolamentato dai singoli statuti, per loro natura autonomi, che non sempre rispecchiano i pesi e l’importanza di una singola categoria di imprese.
Si formulano forti perplessità in ordine alla titolarità ad agire, nei processi civili, penali ed amministrativi, per la tutela di tali interessi, limitata soltanto alle associazioni riconosciute.
Il correlato articolo 3 bis introduce infatti una corsia preferenziale per le associazioni rappresentate nel sistema delle Camere di commercio e nel Cnel e quindi riconosciute nella legittimazione ad agire per la tutela degli interessi diffusi, creando una discriminazione nei confronti di aggregazioni di per sé portatrici di interessi rilevanti ma non aventi i requisiti suddetti.
Il combinato disposto del comma 2 dell’articolo 3 e del presente comma sembrerebbero contraddire il principio di libertà di associazione sancito al primo comma dell’art. 3.
Quanto all’art. 3 bis, comma 1, è apprezzabile il fatto che venga formalizzata la definizione di interesse diffuso, distinguendola da quella di interesse collettivo, integrando al riguardo la disciplina della legge 241/90, nonché il fatto che si possa ricorrere anche per la tutela degli interessi di una parte della categoria rappresentata, cosa prima inibita dalla giurisprudenza.
Appare in ogni caso superfluo il comma 2 bis dell’articolo 3, in quanto già normato in altra disciplina, e quindi se ne propone la cassazione.
Art. 4 – Procedure di valutazione
Comma 1, punto a-bis
Si tratta di un’affermazione pleonastica in quanto volta a garantire “l’effettiva applicazione” di una disciplina già vigente sull’AIR e sulla VIR.
Si propone la cassazione del comma 1, punto a-bis.
Comma 2
Poiché si tratta di una disposizione volta a regolamentare puntualmente l’organizzazione di un ufficio presso le Regioni e gli enti locali, la norma lede l’autonomia organizzativa e finanziaria di tali enti.
Si propone l’abrogazione del comma 2.
Comma 3
La disposizione fa riferimento a procedure di concertazione ampiamente consolidate presso le amministrazioni regionali e peraltro l’inciso “di norma” sottrae ogni vincolatività alla disposizione stessa.
Si propone pertanto di limitarne l’applicazione all’ambito statale.
Art. 7 – Rapporti con la pubblica amministrazione
Comma 2
La disposizione appare norma di dettaglio e pertanto inopportuna in un testo di principi, che dovrebbe rinviare all’autonomia regolamentare e organizzativa degli enti territoriali l’articolazione delle modalità attuative della disciplina richiamata.
Pertanto si propone la sostituzione del comma 2 con i seguenti commi:
2. Lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e le autorità competenti garantiscono la massima diffusione delle informazioni in materia di requisiti per l'esercizio di ciascuna tipologia di attività d'impresa adottando le misure necessarie;
2.bis. Al comma 1 dell’art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 è aggiunto il punto b bis), “raccolta, nell'ambito della circoscrizione territoriale di loro competenza, delle norme e dei regolamenti relativi ai requisiti per l'esercizio di ciascuna tipologia di attività d'impresa”;
2 ter. Lo Stato adotta procedure semplificate e dispone la riduzione al minimo dei diritti di segreteria, delle imposte e delle tasse dovuti in sede di iscrizione presso le camere di commercio, per l'avvio e per l'esercizio da parte di micro, piccole e medie imprese.
Comma 3:
Pleonastico, in quanto già disciplinato dagli articoli 2 e 2 bis della legge n. 241/90 che infatti non viene modificata con la disposizione in oggetto. Il ritardo nella conclusione del procedimento è comunque già causa di responsabilità dirigenziale e di risarcimento del danno.
Si propone la soppressione del comma 3.
Comma 5, ultimo periodo: si ritiene importante il principio dell’accesso telematico e senza oneri delle pubbliche amministrazioni al registro delle imprese. Andrebbe previsto come comma aggiuntivo al presente articolo per ampliarne la portata, come richiesto più volte dalle Regioni, in conformità al Codice dell’Amministrazione Digitale. Inoltre non sembra tecnicamente preciso il riferimento al codice di iscrizione delle imprese per cui si propone di sopprimere, lo stesso.
Al comma 6 si ripropone l’inopportunità della disposizione per le motivazioni riportate a proposito dell’art. 2.
Si propone la soppressione.
Art. 8 – Lotta contro i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali e delega al Governo in materia di disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 7 ottobre 2002, n. 231
Comma 2
E’ da valutare l’eventuale incidenza che una tale disposizione possa avere sul bilancio degli enti e sul patto di stabilità.
La norma è evidentemente collegata al comma 2 dell’art. 14.
Si evidenzia peraltro la necessità di un’armonizzazione della terminologia utilizzata nelle due disposizioni collegate e una precisa definizione della decorrenza reale dei termini di pagamento.
Comma 5, punto c)
Si evidenzia un ampliamento delle funzioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato da quelle normalmente svolte di indagine, segnalazione e comminazione di diffide e sanzioni indirizzate ad imprese, ma non a pubbliche amministrazioni per comportamenti illeciti.
Art. 9 – Certificazione sostitutiva e procedura di verifica
Si esprimono forti perplessità in ordine alla continua produzione di norme relative all’avvio dell’attività di impresa ed alla definizione del ruolo dei soggetti privati abilitati a svolgere funzioni pubbliche, che crea incertezza sul quadro normativo di riferimento.
Pur nella convinzione che l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale è uno degli elementi su cui far leva per le politiche di semplificazione, l’introduzione di nuove norme dalla portata indefinita, come nel caso del presente articolo ingenera ulteriori incertezza.
La disposizione del primo comma infatti non consente una adeguata individuazione delle fattispecie a cui si riferisce, né prevede il rinvio a provvedimenti attuativi che ne chiariscano la portata. Se la norma si riferisce alle certificazioni ambientali e di qualità, sembra più chiara ed attuabile la norma già vigente prevista all’articolo 30 del D.L. 112/2008 convertito in l. 133/2008. Se invece ci si riferisce alle certificazioni rilasciate dai professionisti e dalle Agenzie per le imprese all’interno dei procedimenti di competenza dello sportello unico la normativa di attuazione della stessa e la recente introduzione della SCIA hanno già disposto in merito.
Si propone la soppressione.
Art. 10 - Delega per disposizioni correttive ed integrative della disciplina delle procedure concorsuali.
Pur condividendo la necessità di aiutare il fallito ad intraprendere una nuova attività imprenditoriale (finalità che peraltro ha già ispirato la riforma del 2006) destano delle perplessità le lettere b) e c) del comma 2 in quanto la procedura fallimentare è in primo luogo finalizzata a soddisfare le ragioni dei debitori e, pertanto, ad essa devono necessariamente seguire degli effetti di natura personale come l’indisponibilità dei beni da parte del fallito.
In particolare al punto b) l’inciso “e garantendo ad essi gli stessi trattamenti di chi avvia una nuova impresa, compresi i regimi di sostegno” - concetto peraltro presente nella comunicazione dello Small Business Act – andrebbe declinato sulla base delle situazioni oggettive del fallito.
Al punto c), tra i creditori privilegiati figurano i lavoratori, per i quali desta perplessità la previsione di una soddisfazione soltanto parziale del relativo credito.
Al comma 3 occorre valutare gli effetti per l’erario di una tale previsione.
Art. 11 – Disciplina degli appalti pubblici
L’articolato evidenzia incongruenze di carattere formale e sostanziale, e sotto un profilo generale non sembra innovare il dettato del codice degli appalti, prefigurando un quadro di principio più favorevole alla micro, piccola e media impresa, ma lasciando alle stazioni appaltanti locali il problema di rendere il filtro territoriale compatibile con i principi di tutela della concorrenza, di parità di trattamento, di trasparenza e non discriminazione sanciti dalla normativa comunitaria e nazionale in materia.
Fermo restando l’intento di dare massima diffusione e pubblicità a tutte le attività a favore delle PMI, si nutrono perplessità in ordine alla collocazione dei bandi relativi agli incentivi nel portale web dedicato agli appalti, soprattutto in considerazione della diversa utenza.
Ciò premesso, si ritiene comunque di segnalare quanto segue:
- Dalla lettura dell’emendamento aggiunto al comma 1 al termine dei lavori istruttori della Commissione Attività Produttive sembra rilevarsi un’incongruenza con il comma 1 dell’art. 13, laddove con il termine “incentivi” si intenda in entrambi i casi forme di incentivazione di cui le imprese beneficiano tramite bandi di accesso: mentre nel 1° caso si dispone l’istituzione di portali telematici anche per ampliare l’accesso all’informazione sui bandi per l’accesso agli incentivi alle imprese di micro e piccole dimensioni, nel secondo caso, a prescindere dalle osservazioni formulate di seguito, si prospetta una riserva di incentivi a favore non solo delle micro e piccole, ma anche delle medie imprese. Non si comprende la portata riduttiva del comma 1 dell’art. 11.
Comma 2, lettera a) la disposizione formalizza il frazionamento dell’appalto in lotti funzionali nel rispetto dell’art. 29 del codice degli appalti pubblici, per cui può ritenersi disposizione pleonastica, ma qualche problema interpretativo lo solleva l’intera disposizione laddove imputa alla stazione appaltante l’onere di “rendere visibili le opportunità di subappalto, garantendo la conoscibilità della corresponsione dei pagamenti da parte della stazione appaltante nei vari stati di avanzamento”.
Se l’intendimento del legislatore era di quello di porre a carico della stazione appaltante l’obbligo di prevedere nella gara d’appalto il subappalto, si rinvia all’art. 118 del codice degli appalti pubblici che sancisce un ricorso generalizzato al subappalto. Se, al contrario, si richiede alla stazione appaltante di specificare i lotti dell’opera, servizio o fornitura, oggetto di subappalto, si ritiene tale previsione in contrasto con il medesimo art. 118, che pone questo onere in capo ai soggetti concorrenti.
Comma 2, lettera b) disposizione pleonastica alla luce di quanto previsto dal d.lgs. 163/2006 sui criteri di selezione delle offerte.
Nella lettera c) del comma 2, laddove si ipotizza l’adozione di misure per sostenere forme di aggregazione tra micro, piccole e medie imprese, sembra opportuno chiedersi se c’è una ratio sottesa all’esclusione del contratto di rete, invece a più riprese evidenziato nel disegno di legge annuale PMI d’iniziativa del Governo, nella direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e nel documento ministeriale di proposta alla revisione SBA, dove addirittura si ipotizza un contratto di rete europeo.
La lettera d) del medesimo comma 2 prefigura una serie di condizioni di favore per le micro e piccole imprese per l’accesso agli appalti pubblici di fornitura di servizi pubblici locali, banditi da Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e per importi sottosoglia comunitaria, come previsto dalla direttiva del 4 maggio 2010.
Si tratta di misure apprezzabili per sostenere un rapporto più proficuo tra pubbliche amministrazioni e imprese locali in caso di appalti di minore entità, purché la clausola territoriale venga interpretata come elemento di premialità e non criterio di aggiudicazione, al fine di renderla compatibile con i principi di parità di trattamento e non discriminazione.
Appare in ogni caso eccessiva la previsione del ricorso generalizzato, per l’assegnazione delle forniture di servizi pubblici locali, al medesimo punto d) 1), alla gara ad evidenza pubblica o alternativamente a società miste pubblico-private in cui la gara per il socio privato viene effettuata privilegiando la partecipazione di consorzi o forme di aggregazione di micro e piccole imprese locali), in considerazione che la maggior parte degli interventi in Comuni di queste dimensioni vengono ormai attivati ad un livello sovracomunale (Comunità montane o Unioni di Comuni), e che i restanti interventi, in carico ai singoli Comuni sono di minima entità e per essi si ricorre, per economia, alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara.
La lettera e) del medesimo comma 2) utilizza la dizione “bandi” in un’accezione che potrebbe creare una certa confusione interpretativa. Considerato il contesto in cui è collocata la disposizione, cioè nell’ambito della disciplina sugli appalti pubblici, si suggerisce di sostituire con “bandi di gara” o “gare d’appalto”.
Relativamente al comma 2-ter si chiede di chiarire meglio a cosa la norma si riferisca quando parla di requisiti di idoneità previsti dal d.lgs 163/2006 e s.m., se a quelli di ordine generale cosiddetti “morali”, o anche ai requisiti di idoneità professionale, ai criteri di capacità economico-finanziaria, o ancora a quelli di capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori dei servizi.
Resta fermo il fatto che la disposizione non sembra voler riservare di fatto alle micro, piccole e medie imprese un trattamento preferenziale rispetto a quello indicato dal codice degli appalti, laddove si prevede che i requisiti possono essere provati in sede di gara mediante dichiarazione sottoscritta in conformità alle disposizione del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000 n. 445; solo al concorrente aggiudicatario è richiesta la documentazione probatoria, a conferma di quanto dichiarato in sede di gara.
A meno che la norma non voglia rinviare, per le micro, piccole e medie imprese, alla fase dell’aggiudicazione anche la presentazione della dichiarazione di almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, unico documento che negli appalti di forniture e servizi viene richiesto all’atto della presentazione dell’offerta a dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti; oppure che voglia esentare le PMI stesse dai controlli sul possesso dei requisiti prima dell’aperture delle buste secondo quanto previsto dall’art. 48 del d. lgs. 163/2006.
Nel comma 3, laddove si rinvia al comma 1 per vietare la richiesta di requisiti finanziari sproporzionati alle imprese aggiudicatarie, si propone di utilizzare la stessa terminologia nelle due disposizioni, sostituendo il termine “contratti” con “appalti”.
La disposizione in sé è pleonastica perché formalizza anche se solo limitatamente al profilo finanziario, un principio sancito dalla direttiva comunitaria 18/2004 e dal codice nazionale degli appalti e poi più volte ripreso dalla giurisprudenza secondo cui le amministrazioni non possono introdurre nei bandi di gara prescrizioni concernenti i requisiti di ammissione che risultino non ragionevoli, avuto riguardo all'oggetto dell'appalto e alle sue caratteristiche particolari, ed in contrasto con i principi, di derivazione comunitaria ed immanenti nell'ordinamento nazionale, di ragionevolezza e proporzionalità, nonché di apertura alla concorrenza degli appalti pubblici
Peraltro se in merito ai lavori pubblici non sembrano sussistere problemi di identificazione del concetto di “proporzionalità” o “adeguatezza”, perché vigono le disposizioni del DPR 34/2000 sull’attestazione SOA che dispone la verifica nell’impresa concorrente di tutti i requisiti di ordine generale e speciale, inclusi quelli di profilo finanziario, sarebbe opportuno declinare il concetto con maggiore precisione per i servizi e le forniture rispetto a quanto previsto dall’art. 41 del codice degli appalti.
Capo III
Si rinvia alle considerazioni fatte in premessa in merito alle politiche di sostegno alle imprese.
Art. 12 – Definizioni
L’elencazione delle definizioni di cui al presente articolo rischia di riprodurre, in maniera non esaustiva, le definizioni relative alle tipologie di imprese ed alle forme aggregative contemplate in atti normativi nazionali e regionali. Tali definizioni peraltro rischiano di configgere con quelle attualmente vigenti proprio ai fini dell’accesso agli incentivi a cui l’articolo stesso fa riferimento.
Si propone la soppressione dell’articolo.
Art. 13 – Politiche pubbliche per la competitività
Come evidenziato nella parte generale del documento, l’articolo confligge con le competenze costituzionalmente riservate alle Regioni in materia di industria e artigianato, commercio ed internazionalizzazione delle imprese, operando un riaccentramento degli strumenti anche finanziari di sostegno alle PMI.
Pertanto, tutte le disposizioni dell’articolo, ad eccezione delle lettere b), d) ed e) andrebbero soppresse. In subordine se ne propone la sostanziale modificazione a seguito di confronto con le Regioni, ferma restando in ogni caso la soppressione dei punti c), c-bis), c.ter).
Ciò premesso, si ritiene comunque di segnalare quanto segue:
- la dizione “reti di imprese” così formulata include anche la grande impresa, per cui sarebbe più opportuna la dizione “e le relative reti di imprese”;
- la dizione “50% degli incentivi” andrebbe sostituita con la dizione “50% di ogni forma di incentivazione”, per non ingenerare confusioni interpretative;
- gli incentivi automatici non si ritengono una modalità di agevolazione adeguata per favorire la micrompresa;
Art. 14 – Delega al Governo in materia di imposizione tributaria relativa alle imprese e di compensazione tra i crediti delle imprese nei confronti delle amministrazioni pubbliche e i debiti relativi ad obbligazioni tributarie e per oneri sociali
Si nutrono perplessità sull’opportunità di trattare tematiche come quella fiscale, in prossimità di un riforma in senso regionalistico della stessa.
Nello specifico dell’articolato, la lettera d-bis del comma 4- bis specifica l’importo delle deduzioni ulteriori da applicarsi a determinati soggetti ( società in nome collettivo o accomandita, persone fisiche o società semplici) : si dovrebbe quindi parlare di elevazione delle deduzioni piuttosto che elevazione della soglia di tassazione.
Art. 15 – Imprenditoria giovanile, femminile, tecnologica e nelle aree svantaggiate
Si ripropongono le perplessità già evidenziate nella parte generale del documento e nell’art. 14.
Il comma 1 dispone genericamente di regimi fiscali di maggiore vantaggio, per cui andrebbe inclusa una disposizione specifica nell’articolo precedente con la previsione esplicita delle modalità attraverso cui si traduce il vantaggio, altrimenti la norma resta una mera enunciazione di principio.
Il comma 2 sembra configurare un intervento di agevolazione per l’impresa, che non può prescindere dalla modalità del bando e dal regime di aiuto, eventualmente di minore entità, de minimis.
Si propone pertanto la riproposizione della norma all’interno dell’art. 14 e la conseguente soppressione del presente articolo.
Art. 16 – Istituzione e compiti dell’Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese
Art. 17 – Organi dell’Agenzia
Non si comprendono la ratio della costituzione, della composizione (anche in questo organismo si lamenta la prevalenza degli interessi corporativi sugli interessi territoriali) né delle attività cui l’Agenzia è deputata. Sembra di fatto attività che può essere svolta direttamente dal Tavolo tecnico-consultivo di monitoraggio costituito dal Ministero dello Sviluppo economico, eventualmente integrato nella composizione.
Si propone pertanto una radicale rivisitazione dell’articolo, a seguito di confronto con le Regioni.
Art. 19 – Attività della Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese
Al comma 2, in ossequio a quanto indicato nel processo di revisione dello SBA in merito alla necessità di mettere in atto tutti i meccanismi di governance a livello comunitario e nazionale, si propone di annoverare, tra i soggetti chiamati alle attività di scambio di informazioni e di definizione di opportune sinergie, anche le Regioni e gli enti territoriali, quali soggetti attivi nella tutela e promozione delle micro, piccole e medie imprese.
Art. 20-bis – Legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese
Al riguardo si formulano le seguenti perplessità:
1) sull’opportunità di introdurre uno strumento legislativo nazionale in materia di tutela e di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese che, sul modello della legge comunitaria annuale, definisce per l’anno successivo gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, in considerazione della competenza regionale in materia e senza peraltro prevedere un’adeguata copertura finanziaria;
2) sulla complessa articolazione e sul rinvio ad atti normativi di rango inferiore, che prefigurano una infinita proliferazione di atti che rischiano di vanificare l’obiettivo di sostenere e tutelare la micro piccola e media impresa;
3) sugli attori coinvolti nella sua predisposizione: il Governo, una costituenda Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese e un Tavolo permanente di consultazione delle associazioni di categoria, con l’esclusione pressoché totale di qualunque ente pubblico territoriale, se non attraverso un parere non vincolante espresso dalla Conferenza Unificata e la partecipazione di un membro della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel’ambito della suddetta Agenzia. Al riguardo si propone di sostituire la dizione “sentita la Conferenza Unificata” con la dizione “previa intesa con la Conferenza Unificata”.
Si propone pertanto una radicale rivisitazione dell’articolo, a seguito di confronto con le Regioni e al comma 2 di sostituire la dizione “sentita la Conferenza Unificata” con la dizione “previa intesa con la Conferenza Unificata”.
Roma, 18 novembre 2010