Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Ricerca agraria e forestale: obiettivi e azioni prioritarie (2010-12)
Conferenza Regioni
e Province Autonome
giovedì 28 ottobre 2010
in allegato il documento integrale in formato pdf
CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
10/105/CR07C/C10
OBIETTIVI ED AZIONI PRIORITARIE DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE INDIVIDUATE DALLA RETE INTERREGIONALE PER LA RICERCA AGRARIA, FORESTALE, ACQUACOLTURA E PESCA
(Triennio 2010 – 2012)
Roma, 28 ottobre 2010
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Indice
Premessa ……………………………………………………………………………………………. 3
viticoltura ed enologia .......................................................................................................................... 4
scheda n° 1 ...................................................................................................................................... 8
olivicoltura ed elaiotecnica ................................................................................................................ 12
scheda n° 2 .................................................................................................................................... 14
orticoltura (pieno campo e protetta) ................................................................................................... 17
scheda n° 3 .................................................................................................................................... 20
colture industriali, officinali e no food............................................................................................... 23
scheda n° 4 .................................................................................................................................... 25
foraggicoltura - zootecnia - industrie di trasformazione di settore .................................................... 28
scheda n° 5 .................................................................................................................................... 30
pesca ed acquacoltura ......................................................................................................................... 35
scheda n° 6 .................................................................................................................................... 37
floricoltura e vivaismo ornamentale .................................................................................................. 41
scheda n°7 ..................................................................................................................................... 46
biotecnologie animali e vegetali ........................................................................................................ 52
scheda n° 8 .................................................................................................................................... 54
selvicoltura – arboricoltura da legno – prodotti forestali non legnosi ............................................... 57
scheda n°9 ..................................................................................................................................... 62
frutticoltura........................................................................................................................................ 69
scheda n° 10 .................................................................................................................................. 71
agrobiodiversità animale e vegetale in italia ...................................................................................... 73
scheda n°11 ................................................................................................................................... 78
agricoltura biologica .......................................................................................................................... 82
scheda n° 12 .................................................................................................................................. 84
cerealicoltura ..................................................................................................................................... 86
scheda n° 13 .................................................................................................................................. 89
agricoltura e ambiente ........................................................................................................................ 91
scheda n° 14 .................................................................................................................................. 94
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Premessa
La Rete interregionale per la ricerca agraria, forestale, acquacoltura e pesca è stata riconosciuta
ufficialmente dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome in data 4 ottobre
2001; la segreteria della Rete è stata affidata alla Regione Toscana e per essa all’ARSIA.
Obiettivi principali della Rete sono:
- Definire aspetti di natura metodologica e organizzativa a supporto delle Regioni e P.A. nella
predisposizione di documenti inerenti la programmazione e l’attività di ricerca a livello interregionale e
nazionale;
- Individuare la domanda d’innovazione nei settori d’interesse delle Regioni e P.A. anche al fine di
contribuire a definire le priorità in ordine ai programmi interregionali e nazionali di ricerca in campo
agricolo;
- Creare sinergie tra Regioni e P.A. per affrontare problematiche comuni ed individuare metodologie
relativamente a promozione, collaudo e trasferimento dell’innovazione anche attraverso la realizzazione
congiunta di progetti di ricerca.
La Rete costituisce il supporto tecnico delle Regioni nella definizione delle politiche della ricerca, e si pone
quale interfaccia sia del MiUR che del MiPAF per la definizione del Piano triennale nazionale della ricerca,
per gli argomenti di competenza.
I Referenti Regionali che fanno parte della Rete hanno individuato la domanda di ricerca organizzandola per
le principali filiere produttive o aree problema trasversali dalle quali essa proviene. In ciascuna scheda
allegata sono indicati, oltre allo scenario di riferimento, gli obiettivi e le azioni ordinate per priorità.
Tali schede costituiranno, per il triennio 2010-2012, il riferimento per scelte da operare in relazione ai vari
strumenti operativi e fornire un contributo per: Piattaforme Tecnologiche Nazionali; Piano Nazionale della
Ricerca, programma di attività del CRA, tematiche dei bandi di ricerca del MiPAAF, piani nazionali del
MiPAAF, tematiche dei progetti di ricerca e sperimentazione a carattere interregionale promossi dalle
Regioni e P.A..
Nel documento che segue non sono state indicate priorità tra i vari settori ritenendo che stabilire la rilevanza
di ciascuno di essi sia una scelta di politica agricola e quindi non di competenza della Rete interregionale.
È importante evidenziare che, per l’individuazione della domanda di ricerca proveniente dai vari territori,
ciascuna Regione e P.A. ha operato nel rispetto della propria autonomia organizzativa e normativa.
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VITICOLTURA ED ENOLOGIA
Quadro generale del settore
La filiera vitivinicola rappresenta un asse portante del sistema agroalimentare nazionale ma è anche una
delle componenti fondamentali dell’immagine dell’Italia in grado di rappresentare non solo un’importante
sistema economico ma anche un’insieme di valori che vanno dall’ambiente, al paesaggio, alla cultura ed
alle tradizioni rurali.
Le strategie di sviluppo della vitivinicoltura, che rappresenta per molte Regioni uno dei settori prioritari, si
basano infatti sulla valorizzazione degli aspetti che caratterizzano la qualità del prodotto e sul rapporto tra
prodotto, paesaggio, cultura e storia: il vino racchiude in sé una forte caratterizzazione evocativa, essendo in
grado di rappresentare nell’immaginario collettivo proprio quella sintesi tra valenza paesaggistica, ruralità e
storia che spiega anche il successo dell’attività agrituristica e delle iniziative legate alle strade del vino. La
difesa della tipicità dei prodotti agroalimentari italiani, primo tra i quali appunto il vino, consente la
salvaguardia dell’identità regionale, già affermata a livello nazionale ed internazionale proprio per questa sua
valenza rurale.
Nonostante gli indubbi successi conseguiti dalla vitivinicoltura nazionale, nel tempo le superfici a vigneto
hanno subito una riduzione generalizzata: dal 1967 nel mondo la superficie si è ridotta del 25%, in Europa
del 30%, in Italia la superficie vitata che negli anni ’60 superava 1.400.000 ettari, nel 1990 era di 882,000
ettari e sulla base dei dati in possesso di AGEA riferiti al 2007 il potenziale vitivinicolo nazionale ammonta a
circa 700.000 Ha.
A questo processo di ristrutturazione non ha corrisposto fortunatamente il ridimensionamento del comparto
nei mercati nazionali ed internazionali, che, anzi, ha acquisito importanti spazi commerciali soprattutto per
quelle produzioni vitivinicole di qualità che hanno beneficiato di un processo di profonda razionalizzazione
acquisendo una crescente visibilità. Non sorprende pertanto il progressivo incremento delle superfici DOC e
DOCG e IGT a scapito delle superfici di vini da tavola. Per contro risulta ancora insufficiente l’ampiezza
delle imprese, in gran parte inferiori ad un ettaro.
Il comparto vitivinicolo, rispetto ad altri, ha maturato da tempo una diffusa consapevolezza in merito
all’esigenza di compiere scelte strategiche fortemente orientate al mercato. Non sorprende pertanto che nel
tempo si sia passati da una fase, che ha interessato gli ultimi decenni, in cui si era ridotto il numero di varietà
autoctone a fronte del successo dei principali vitigni internazionali, ad una recente nella quale si sono
riscoperti vitigni di interesse locale.
Il patrimonio vitivinicolo italiano è ricchissimo in variabilità, sono oltre 360 i vitigni iscritti al Registro Nazionale
delle Varietà e di questi oltre 300 sono vitigni autoctoni, nel senso traslato del termine e cioè vitigni
tradizionali con uno stretto legame con un specifico territorio.
Negli ultimi anni, 2007 e 2008 al contrario, la produzione vinicola mondiale è scesa sotto i 270 milioni di
ettolitri, sia per i forti effetti della siccità soprattutto in Italia e Francia, sia per le riduzioni di superfici investite.
In questo contesto internazionale si è inserita la riforma dell’OCM vino (Reg. UE 479/08 e 555/08) che ha
due momenti di entrata in vigore per le diverse Misure, 1 agosto 2008 e 1 agosto 2009.
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Essa si propone di ridurre le eccedenze con l’estirpazione premiata di 175.000 ettari di vigneto comunitario,
qualificare le produzioni e le imprese agricole, quindi risulta quanto mai importante puntare su produzioni
vitivinicole peculiari e riconoscibili capaci di rappresentare le tipicità locali ed accrescere il valore
differenziale dell’offerta enologica italiana. Tra gli altri importanti cambiamenti previsti, l’introduzione della
vendemmia verde, l’eliminazione degli interventi di mercato con l’abolizione degli aiuti all’arricchimento e alla
distillazione, la nuova classificazione dei vini da DOC e IGT a DOP e IGP, la nuova etichettatura. Un ruolo
fondamentale positivo sarà svolto dalle misure a sostegno degli investimenti e soprattutto per la promozione
extracomunitaria.
L’aspetto qualitativo, l’interazione tra vitigno ed ambiente, insieme al valore storico culturale delle produzioni
enologiche italiane continuano a rappresentare, in linea con la OCM, un importante volano per consolidare la
penetrazione commerciale delle produzioni enologiche di punta e nel contempo contribuire alla
valorizzazione di alcuni territori vitivinicoli meno conosciuti.
Punti di forza
Sinteticamente i punti di forza del comparto vitivinicolo si possono riassumere in:
Vocazionalità
Forte ancoraggio tra produzioni e territori (turismo enogastronomico)
Ampia gamma di risorse genetiche
Produzioni di qualità soprattutto nelle fascia di prezzo alta ed in quella intermedia
La riduzione delle eccedenze produttive che potrà consentire migliore programmazione
Il sistema di controllo e tracciabilità messo in atto, ma da incrementare, che può salvaguardare
maggiormente le potenzialità del comparto, anche a garanzia per il consumatore.
Punti di debolezza
A fronte di queste potenzialità si evidenziano aspetti di difficoltà in un ambito di competizione internazionale,
caratterizzati soprattutto da:
Dimensione aziendale, frammentazione dell’offerta e delle attività promozionali
Scarsa qualificazione di alcune produzioni
Adeguamento strutturale delle cantine
Scarsa propensione all’adozione di innovazioni tecniche e tecnologiche nelle realtà con minore
attenzione al mercato
Attuazione limitata di strategie di commercializzazione e di marketing orientate al mercato.
Opportunità offerte dall’innovazione
Di seguito vengono sinteticamente illustrate le opportunità offerte dalla scheda delle priorità della ricerca
individuate dal gruppo di Competenza per la Viticoltura e l’enologia
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In tale contesto si sono individuate azioni di promozione, collaudo e trasferimento di innovazioni in grado di
intervenire direttamente nelle fasi e nei processi produttivi anche attraverso l’innovazione di prodotto e di
processo al fine di favorire lo sviluppo del comparto vitivinicolo nazionale. In questo ambito l’opera della
“ricerca pubblica di base” deve essere sempre più strumento per attivare una ricerca applicata in grado di
rispondere concretamente alle esigenze dei produttori ed alle sfide del mercato.
A seguito degli aspetti sopra citati e degli elementi di scenario evidenziati risulta essenziale il
potenziamento degli standard qualitativi dei vini attraverso l’innovazione tecnologica in enologia: in
questo senso l’aggiornamento delle tecnologie e la continua indagine sulle componenti dei vini, la loro
evoluzione e sulla individuazione dei fattori di qualità e tipicità sono aspetti degni di approfondimento
scientifico che debbono, per presentarsi efficaci, essere tradotti in indicazioni e metodologie operative,
supportate da strumenti di valutazione e di analisi adeguati.
Si ritiene inoltre altrettanto importante affrontare la tematica della valorizzazione del patrimonio viticolo
italiano attraverso il recupero dei vitigni autoctoni di interesse locale e l’ampliamento della diversità
genetica dei vitigni a amggiore diffusione: questa non deve esser intesa come una attività di carattere
“storico- documentale” ma deve avere un forte carattere applicativo, disegnando percorsi coerenti con
obiettivi volti ad acquisire indicazioni operative da valorizzare nei confronti degli operatori del comparto al
fine che questi le percepiscano come una concreta opportunità. In questo senso appare rilevante ed
inderogabile la costituzione di un database relazionale dei profili descrittivi delle varietà iscritte al Catalogo
Nazionale in cui far confluire la documentazione relativa a ciascun vitigno italiano ed inerente informazioni
di carattere ampelografico, viticolo, enologico e genetico. Questo aspetto risulta essenziale se si valuta
l’esigenza prioritaria di fare sistema, di condividere e razionalizzare le informazioni che le singole Istituzioni
acquisiscono nell’ambito dei diversi progetti di ricerca svolti in ambito regionale, nazionale ed europeo. A
questa azione propedeutica va fatta seguire la valorizzazione enologica dei vitigni italiani attraverso
l’adozione di tecniche innovative secondo l’approccio moderno dell’enologia varietale.
Le sfide che oggi la produzione vitivinicola nazionale si trova ad affrontare non possono nel medio-lungo
periodo poggiare sulla sola leva del prezzo o della rendita di posizione delle nostre produzioni. Sempre più
è necessario che la valorizzazione della millenaria cultura vitivinicola presente nei nostri territori sia
continuamente perseguita per mantenere ed accrescere l’appeal delle nostre produzioni. Pertanto si ritiene
opportuno proporre anche il tema dell’individuazione degli indici di qualità e di sostenibilità
dell’ecosistema viticolo con la finalità di accrescere l’efficienza complessiva del “sistema vigneto” in un
ambito di compatibilità ambientale della coltura. Il rapporto tra vitigno e territorio è una componente di
questa linea di ricerca che, partendo dalla conoscenza delle principali interazioni tra diverse componenti che
costituiscono del sistema vigneto, deve innovare le tecniche viticole, valutare l’interazione tra queste e le
componenti costitutive della materia prima al fine di esaltare i tratti di qualità e tipicità.
Inoltre si reputa utile prevedere iniziative di ricerca inerenti la razionalizzazione della difesa, finalizzate in
particolare a definire protocolli di diagnosi e riconoscimento rapidi e l’impatto dei fitofarmaci in funzione delle
caratteristiche varietali e dei sistemi colturali, a favorire processi di induzione della resistenza alle malattie e
l’applicazione di strategie di lotta integrata e biologica.
Risulta di rilevante attualità ed importanza anche l’applicazione di tecniche integrate ed a tecnologia
avanzata, per il miglioramento della gestione delle aziende vitivinicole, per pianificare ed ottimizzare
le operazioni colturali ed accrescere la qualità delle produzioni, in cui si evidenzia l’opportunità di
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sviluppare sistemi e strategie per la riduzione dei costi di produzione, di mettere a punto sistemi di
telerilevamento e biosensori per monitorare le fasi fenologiche e di maturazione dell’uva e di favorire
l’applicazione di idonee tecniche di precisione e di strumenti informatici applicati alla viticoltura a supporto
dell’assistenza tecnica.
Argomento di carattere trasversale alla filiera ma altrettanto interessante ed inerente le peculiarità del settore
è l’introduzione di tecnologie per il rispetto dell’ambiente, quali lo studio delle caratteristiche dei
sottoprodotti della vinificazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura, la ricerca di metodologie per il riciclo in
cantina dell’energia prodotta dal processo enologico, l’applicabilità di sistemi di produzione di energie
rinnovabili nelle aziende, lo studio di sistemi di recupero della CO2 prodotta nei processi di fermentazione
dell’uva e per la fitodepurazione delle acque reflue prodotte durante le attività di cantina.
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SCHEDA N° 1 - VITICOLTURA ED ENOLOGIA
OBIETTIVO AZIONI
1) Potenziamento degli standard qualitativi dei vini
attraverso l’innovazione tecnologica in enologia
AZIONI DI RICERCA DI BASE
1.1 Innovazioni nel campo della chimica
analitica strumentale e delle valutazioni
organolettiche per il potenziamento degli strumenti e
metodi di analisi e di controllo ai fini della definizione
commerciale delle caratteristiche di qualità ed anche
volte a ridurre il rischio alimentare dovuto a
componenti indesiderate.
1.2 Messa a punto di strumentazioni e
metodiche di analisi delle uve, sia in vigneto che in
cantina, per verificare in maniera semplice e ripetibile
la maturazione fenolica e aromatica.
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
1.1 Definizione dei caratteri di tipicità e di originalità
delle uve e studio di tecnologie enologiche
“conservative” per il loro mantenimento nel vino.
1.2 Studio delle pratiche enologiche innovative e del
loro effetto sulle caratteristiche chimico-fisiche ed
organolettiche dei vini.
1.3 Sicurezza alimentare, tracciabilità e qualità delle
produzioni vitivinicole: individuazione di parametri ed
indici in grado di rintracciare la provenienza del vino.
1.4 Miglioramento genetico dei lieviti e batteri e
verifica della loro attività metabolica per accrescere la
qualità delle produzioni e preservare la riconoscibilità
delle produzioni enologiche.
1.5 Studio dei più efficaci parametri di interesse
enologico (chimici, chimico-fisici, organolettici,
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salutistici e nutrizionali) per una valorizzazione
enologica e commerciale delle produzioni vinicole.
1.6 Studi sulle modalità di invecchiamento dei vini e
sulle modifiche dei vini nel processo di affinamento.
2) Valorizzazione del patrimonio viticolo italiano
attraverso il recupero dei vitigni autoctoni di interesse
locale e l’ampliamento della diversità genetica dei
vitigni a maggiore diffusione
AZIONI DI RICERCA DI BASE
2.1 Definizione della metodica per la
caratterizzazione genetica dei vitigni e dei cloni
2.2 Tecniche e tecnologie innovative per accelerare i
tempi di selezione genetica e sanitaria di potenziali
cloni, e di produzione del materiale di moltiplicazione
nel settore del vivaismo viticolo.
2.3 Valorizzazione delle potenzialità intrinseche del
patrimonio genetico di Vitis vinifera, con particolare
attenzione verso i vitigni autoctoni, ai fini di una
maggiore qualità delle produzioni e resistenza alle
principali avversità biotiche e abiotiche.
2.4 Ampliamento della diversità genetica attraverso
incroci.
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
2.1 Individuazione, identificazione genetica,
caratterizzazione pomologica, produttiva, enologica e
sanitaria dei vitigni autoctoni minori delle singole
regioni
2.2 Selezione clonale di varietà autoctone di Vitis
vinifera e di portinnesti
2.3 Messa a punto di tecniche viticole, agronomiche
ed enologiche in grado di esaltare le potenzialità
viticole in relazione alle condizioni ambientali, in
particolare per i vitigni autoctoni.
3) Individuazione degli indici di qualità e di efficienza
in rapporto all'equilibrio interno dell'ecosistema
viticolo.
AZIONI DI RICERCA DI BASE
3.1 Messa a punto di parametri, indici e strumenti in
grado di garantire nelle diverse condizioni ambientali
e fenologiche della coltura una equilibrata nutrizione
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idrica
3.2 Studio sugli effetti indotti dalle infezioni virali sulla
qualità delle uve e dei mosti
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
3.1 Riduzione dell’impatto ambientale e
paesaggistico nella realizzazione e gestione di
vigneti: studio del rapporto tra le principali
componenti dell’ecosistema viticolo e le tecniche
colturali a basso impatto ambientale, anche in
relazione ai cambiamenti climatici, al fine di
accrescere la qualità delle uve ed il paesaggio vitato.
3.2 Studio dei rapporti tra le principali componenti
socio-economiche, ambientali, storico-culturali e
definizione di modelli semplificati per la
caratterizzazione e la valorizzazione di territori a
vocazione viticola.
4) Razionalizzazione della difesa AZIONI DI RICERCA DI BASE
4.1 Studio e messa a punto di metodologie e
protocolli di diagnosi e riconoscimento rapidi,
affidabili e utilizzabili a livello massale.
4.2 Studio dei processi di induzione della
resistenza alle malattie nelle piante attraverso
l’utilizzo di sostanze naturali o di sintesi.
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
4.1 Messa a punto di adeguate strategie di lotta sia
integrata che biologica e verifica delle influenze sulla
quantità e qualità delle produzioni.
4.2 Definizione dell’impatto dei fitofarmaci ai fini
della razionalizzazione dei trattamenti di lotta sulla
base delle caratteristiche delle varietà e dei sistemi
colturali.
5) Applicazione di tecniche integrate ed a tecnologia
avanzata, per il miglioramento della gestione delle
aziende vitivinicole, per pianificare ed ottimizzare le
operazioni colturali e accrescere la qualità delle
AZIONI DI RICERCA DI BASE
Studio e sviluppo di sistemi e strategie per la
riduzione dei costi di produzione finalizzata al
miglioramento delle performance aziendali.
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produzioni
Utilizzo e sviluppo di biosensori per la qualificazione e
quantificazione della produzione vitivinicola.
Individuazione di sistemi e tecniche di precisione
applicati alla viticoltura a supporto dell’assistenza
tecnica.
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
5.1 Messa a punto di sistemi di tele-rilevamento che,
attraverso l’impiego di mezzi aerei e satellitari di
rilevazione e la predisposizione di sistemi informatici
di elaborazione dei dati, consentano di monitorare le
fasi fenologiche, la maturazione tecnologica e fenolica
delle uve.
5.2 Messa a punto di procedure e strumenti software
in grado di interfacciare le documentazioni digitali
disponibili e di nuova generazione.
6) Introduzione di tecnologie in vitivinicoltura per il
rispetto dell’ambiente
AZIONI DI RICERCA DI BASE
6.1 Studio delle caratteristiche dei sottoprodotti della
vinificazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura.
6.2 Ricerca di strumentazioni e metodologie idonee a
recuperare e riutilizzare in cantina l’energia prodotta
dallo stesso processo di trasformazione dell’uva.
6.3 Valutazione dell’applicabilità di sistemi di
produzione di energia alternativa nelle aziende
vitivinicole.
AZIONI DI RICERCA APPLICATA
6.1 Studio e messa a punto di sistemi di recupero di
CO2 prodotta nei processi di fermentazione dei
mosti.
6.1 Verifica ed evoluzione di sistemi per la
fitodepurazione delle acque reflue prodotte durante le
attività di cantina.
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OLIVICOLTURA ED ELAIOTECNICA
Quadro generale del settore
punto di vista geo-economico (distribuzione territoriale, areali vocati, consistenza della filiera, ecc.
La coltivazione dell’olivo trova la sua massima espressione nei paesi del Mediterraneo, tra cui
primeggiano sicuramente Spagna e Italia. Negli ultimi decenni, grazie ad importanti innovazioni di
processo l’olivicoltura si sta diffondendo in Paesi nuovi per questa coltura, tra cui l’Australia, il Cile,
gli Stati Uniti, l’Argentina, ecc. In questi Paesi già vengono prodotti oli di qualità che sempre più
ottengono importanti riconoscimenti a livello internazionale.
In Italia la base produttiva conta più di 1 milione di ettari ed è presente in 1,2 milioni di aziende
coinvolgendo altrettanti operatori impiegati nella sola fase produttiva olivicola; a questo va ad
aggiungersi l’industria molitoria, quella delle raffinerie e tutto l’indotto commerciale e promozionale.
La dinamica dei dati riguardanti la SAU olivicola dimostra che questa è in continuo aumento,
malgrado il blocco degli aiuti alla produzione dell’olio di oliva per gli impianti realizzati dopo il
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mercati (nazionale, europeo, mondiale) e tipologie delle produzioni
L’olivicoltura italiana punta sicuramente ad un mercato mondiale, ma la gran parte degli oli è
riservata al mercato interno od europeo. Occorre infatti considerare che di norma la produzione
italiana è insufficiente al soddisfacimento del fabbisogno interno, per cui forte è il ricorso
all’importazione, in particolare dalla Spagna, per compensare il deficit produttivo e le nostre
esportazioni comunque in crescita.
In Italia si producono oli con elevati standard qualitativi, ma la percentuale di oli vergini è tuttora
migliorabile ed in particolare quella degli oli extravergini. L’80 % della produzione oleicola italiana è
concentrata in 3 regioni meridionali, quali Puglia, Sicilia e Calabria, ed è in queste che la produzione
percentuale di extravergine è bassa, anche se vi è un crescente miglioramento in questi ultimi anni.
dinamiche recenti e tendenze in atto
Rispetto al biennio precedente, almeno nelle regioni maggiormente olivicole d’Italia, la redditività
della coltura si è ridotta notevolmente soprattutto a causa della concorrenza dei Paesi del bacino del
Mediterraneo. Altro aspetto negativo, ancora ad oggi, è la mancata trasparenza commerciale che
interessa gli oli extravergini di oliva.
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Si spera che la corretta applicazione della normativa sul “made in Italy” abbinata ad un sistema di
controlli più efficiente possa ridare respiro alla nostra olivicoltura.
Anche il piano olivicolo nazionale, atteso ormai da troppo tempo, potrebbe indurre una spinta
positiva all’innovazione dell’intero settore.
Punti di debolezza
La globalizzazione dei mercati ha posto la nostra olivicoltura di fronte a scelte ormai divenute obbligate. In
particolare l’accelerarsi degli scambi commerciali ha evidenziato nuovi punti di debolezza per la nostra
olivicoltura, tra cui emerge sicuramente la necessità di dover contenere i costi di produzione, anche
attraverso l’individuazione di valide alternative al modello superintensivo basato esclusivamente su cultivar
spagnole o greche, che si sta diffondendo in certe nostre realtà olivicole, con gravi danni dal punto di vista
ambientale e paesaggistico (obiettivo n. 4° azioni 4.1, 4.2 e 4.3).
Certamente la riduzione dei costi di produzione passa anche attraverso il recupero e la valorizzazione di tutti
i sottoprodotti della filiera: dall’utilizzo delle sanse alle bioenergie, ricavabili dal cippato ottenuto dai residui
della potatura (Obiettivo 3°).
Occorre, inoltre, rinnovare la lista dei Presidi Sanitari autorizzati in Italia sull’olivo, rispetto a quanto
permesso negli altri Paesi, sia per far fronte ad esigenze derivanti dai mutamenti climatici sia per mettere i
nostri olivicoltori nelle stesse condizioni operative permesse altrove (Obiettivo 2).
È necessaria altresì una riorganizzazione del nostro sistema commerciale, che deve mostrarsi più capace di
conquistare nuove fette di mercato e/o nuovi mercati (obiettivo 1° azione 1.3), e più fedele all’esaltazione del
rapporto produttore-consumatore (tracciabilità).
Punti di forza
Tra i punti di forza vantiamo, oltre alla millenaria tradizione olivicola, un’importante panorama
varietale, caratterizzato da cultivars che producono oli con elevati pregi organolettici e commerciali.
Patrimonio che occorre valorizzare ulteriormente attraverso azioni che mirano al recupero di cultivar locali e
alla caratterizzazione dei loro oli monovarietali (Obiettivo 5 azione 5.4; obiettivo 1 azione 1.1 e 1.2 – Progetto
OLVIVA). Dal 1996 ad oggi sono ben 36 le DOP riconosciute in Italia per l’olio vergine ed extra-vergine ed
altre sono in corso di riconoscimento (es. Sardegna) oltre ad una IGP della Regione Toscana.
Opportunità offerte dall’innovazione
La scheda tecnica predisposta dal GTC “Olivicoltura ed Elaiotecnica” ha selezionato obiettivi ed azioni
oggetto di futuri programmi di ricerca che rappresentano, se adeguatamente affrontati in tempi relativamente
brevi, forti potenzialità e quindi opportunità di sviluppo per la nostra olivicoltura, in quanto vanno ad agire
direttamente nei confronti dei punti di debolezza suddetti.
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SCHEDA N° 2 - OLIVICOLTURA ED ELAIOTECNICA
OBIETTIVO AZIONI
1) Caratterizzazione quanti-qualitativa degli oli e delle
olive da tavola e loro valorizzazione economica in
funzione delle caratteristiche di tipicità e qualità.
1.1 Screening e validazione di strumentazioni e
procedure per la rapida e sicura (statisticamente)
determinazione della qualità dell'olio, delle olive e
delle olive da tavola processate a supporto del panel
test e loro riconoscimento in ambito normativo.
1.2 Approfondimento dello studio dei parametri
analitici ed organolettici per la differenziazione e
valorizzazione economica degli oli e delle olive da
tavola in funzione delle aree di provenienza e delle
proprietà salutistico-nutrizionali.
1.3 Tracciabilità di origine dell’olio di oliva attraverso
metodologie bio-molecolari, spettrometria di massa
di ioni secondari e spettroscopia di risonanza
magnetica nucleare.
1.4 Studi sugli effetti che le reazioni chimiche,
enzimatiche e microbiologiche, presenti nelle
diverse fasi della filiera di produzione dell’olio extra
vergine di oliva, possono esercitare sulla qualità
finale del prodotto.
1.5 - Studio dei parametri analitici per la definizione
di un indice di maturazione tecnologica delle olive e
per individuare l’arco di tempo più opportuno per la
raccolta delle olive, al fine di ottenere oli con la più
alta qualità nutrizionale e salutistica possibile.
1.6 Individuazione, analisi e attuazione di strumenti
e mezzi di comunicazione idonei alla penetrazione di
nuovi mercati (interni ed esteri) per gli oli e le olive
da tavola tipici di qualità.
2) Individuazione e validazione di molecole
fitoiatriche (tra quelle esistenti) per la lotta alle
avversità biotiche dell’olivo, anche in coltura
2.1 Studio della biologia delle principali crittogame
dell’olivo e messa a punto di efficaci metodiche di
lotta basate su sostanze attive opportunamente
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biologica. (vedi scheda Agricoltura biologica) selezionate (tra quelle esistenti) per efficacia e per
profilo tossicologico ed ambientale;
2.2 Nuove strategie per l’abbattimento delle
popolazioni adulte di Bactrocera oleae nel periodo
primaverile e approfondimento delle conoscenze
sulla biologia riproduttiva del Dittero durante il
periodo invernale-primaverile: studi di base e
valutazioni tecnico-economiche.
2.3 Registrazione delle stesse per l’olivo e
differenziazione tra le olive da olio e quelle da tavola
nel rispetto degli intervalli di sicurezza.
3) Valorizzazione dei sottoprodotti della lavorazione
delle olive
3.1 Riutilizzo agronomico delle sanse e delle acque
di vegetazione, produzione di ammendanti e concimi
organici,
3.2 Individuazione di usi alternativi dei residui della
lavorazione delle olive, comprese le olive da tavola
(recupero di polifenoli ecc).
3.3 messa a punto di una procedura per la raccolta
e lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi che agevoli
anche i piccoli produttori
3.4 Riutilizzo dei prodotti e dei sottoprodotti delle
olive a fini energetici. Studio di tecniche, processi e
gestione innovativi per il risparmio energetico delle
macchine dell’industria olearia e della lavorazione
delle olive da mensa
4) Sviluppo di nuovi modelli di gestione agronomica 4.1 Studio di tecniche colturali finalizzate
all’incremento della produzione e al contenimento
della alternanza di produzione (es.:
razionalizzazione dell'uso delle risorse idriche,
ottimizzazione della fertilizzazione, impiego di idonei
impollinatori, etc.).
4.2 Nutrizione fogliare dell’olivo: necessità, qualità
dei prodotti, tempi e modalità di distribuzione,
valutazione costi/benefici rispetto alla nutrizione
16/98
tradizionale.
4.3 Adattamento di cultivar appartenenti al
germoplasma olivicolo italiano agli impianti di
olivicoltura super intensiva.
4.4 Studio delle relazioni suolo – clima – olio al fine di
definire le condizioni più favorevoli per lo sviluppo di
una olivicoltura da reddito e realizzazione di carte
pedologiche “Terre dell’olivo” (cartografia della
vocazionalità olivicola)
4.6 Applicazione delle tecniche agricole di
precisione e tipologie innovative di meccanizzazione
delle operazioni di raccolta e potatura.
5) Valorizzazione di varietà autoctone 5.1 Reperimento del germoplasma esistente,
anche in funzione dei risultati del progetto Olviva,
5.2 Realizzazione di campi-collezione
5.3 Valutazione della qualità degli oli e delle olive
da tavola
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ORTICOLTURA (PIENO CAMPO E PROTETTA)
COMPRESA FUNGICOLTURA E VALORIZZAZIONE TECNOLOGICA DEGLI ORTAGGI
La filiera orticola ha rilevanza nazionale con una superficie complessiva di ha 530.000 distribuiti per il 23% al
settentrione, per l’11% al Centro e per il restante 66% al mezzogiorno ed una produzione totale stimata
all’incirca di 15 milioni di tonnellate (dati ISTAT). Il comparto comprende le colture protette su una superficie
stimata di oltre 44.000 ha distribuita per il 70% nelle regioni del Sud e del Centro (Sicilia, Lazio, Campania,
Toscana) per il 26% nelle regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Liguria, Piemonte) e per la restante quota in
Sardegna ed altre Regioni
Il comparto si esprime attraverso una molteplicità di situazioni pedo-climatiche, di realtà aziendali e di
capacità imprenditoriali, cui conseguono itinerari colturali, aspetti qualitativi e calendari di produzione molto
diversificati, anche perché tali risultano le innovazioni tecnologiche localmente adottate nei processi
produttivi.
L’orticoltura meridionale ha una destinazione prevalente verso il mercato del consumo fresco, ed è orientata
verso la realizzazione di ortaggi extrastagionali, per spiccata precocità e spesso anche tardività, mentre
l’orticoltura del Centro Nord ed alcune aree di Puglia e Campania è rivolta più a produzioni da destinare
all’industria di lavorazione e trasformazione ovvero l’industria conserviera, la surgelazione e le produzioni di
IV e V gamma.
L’orticoltura si è molto professionalizzata nell’ultimo ventennio, a partire dal vivaismo che ha permesso la
diffusione di sempre più nuove ed efficienti costituzioni (varietà ed ibridi) più orientate verso le richieste di
mercato e dotate di resistenze genetiche alle avversità parassitarie. Nel settore delle colture protette il
ricorso alle piante innestate, alla solarizzazione, alle colture idroponiche, alle piante nematocide, per ovviare
alle problematiche della stanchezza del terreno, la micropropagazione, la fertirrigazione mirata, e tante altre
tecniche agronomiche consentono di realizzare produzioni di rispetto dal punto di vista qualitativo e
quantitativo.
Si è affermata altresì un’orticoltura ecosostenibile che utilizza razionalmente i mezzi tecnici (fertilizzanti,
agrofarmaci) nel rispetto della salute umana e dell’equilibrio ambientale e che segue opportuni disciplinari di
produzione dettati anche dalla Grande Distribuzione Organizzata e parecchio diffusa risulta essere anche
l’orticoltura biologica.
Le Regioni meridionali, per le condizioni climatiche favorevoli (clima caldo-arido) che limitano le epidemie
vegetali, totalizzano le più cospicue percentuali di produzioni integrate e biologiche, come risulta da ricerche
scientifiche di laboratorio e da controlli effettuati nei mercati ortofrutticoli.
Gli ortaggi sono diventati un costituente fondamentale della nostra dieta essendo stati rivalutati per il
modesto contenuto calorico e per l’elevata presenza di fibre e sostanze antiossidanti. Il consumatore di oggi
è sempre più attento agli aspetti salutistici dell’alimentazione ed è alla costante ricerca dei cosiddetti “cibi
funzionali in grado cioè di prevenire alcune patologie e contrastare i fenomeni di invecchiamento. Da queste
esigenze nutrizionali scaturiscono ad esempio le campagne istituzionali a favore del consumo di ortofrutta
nelle scuole. Le mutate esigenze della società contemporanea richiedono inoltre l’offerta di prodotti orticoli
lavorati e pronti al consumo quali gli ortaggi di IV e V gamma .
18/98
Punti di debolezza del comparto :
Carenze strutturali legate alla polverizzazione aziendale, alla presenza di apprestamenti protettivi
obsoleti, alla scarsa meccanizzazione delle operazioni colturali unitamente a carenze infrastrutturali
date dall’inadeguatezza del sistema dei trasporti e dalla indisponibilità delle risorse irrigue,
determinano elevati costi di produzione
Forte presenza di intermediari nella filiera dal campo al consumatore
Scarsa presenza a livello nazionale di Organizzazioni di Produttori rispetto ad altre realtà europee
che non consentono di aggregare e programmare l’offerta con conseguente scarsa competitività sui
mercati nazionali ed esteri;
Mancata applicazione dei sistemi di certificazione di processo e di prodotto, tracciabilità e
rintracciabilità;
Forte dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del materiale di propagazione ed utilizzo di
materiale non certificato;
Punti di forza del comparto
Elemento portante della PLV nazionale in particolare per le produzioni extra-stagionali;
Elevate caratteristiche organolettiche e nutrizionali delle produzioni orticole nazionali ed in
particolare di quelle meridionali;
Presenza di produzioni tutelate;
Diffusione di un’orticoltura sostenibile per la particolare attenzione alle tecniche a basso impatto ed
aumento delle produzioni in biologico;
Maggiore sensibilizzazione dei consumatori sugli aspetti salutistici legati al consumo dell’ortofrutta e
che richiedono un prodotto salubre ed ottenuto con tecniche ecosostenibili .
Opportunità offerte dai mercati contadini con la finalità di accorciare la filiera.
Opportunità offerte dall’innovazione
Fra le politiche di sviluppo a favore del sistema agroalimentare, i PSR regionali rappresentano senz’altro
strumenti volti ad incentivare il comparto attraverso azioni dirette a migliorare la competitività delle imprese
agricole, che si concretizzano nelle misure di sostegno all’ammodernamento delle strutture ed al
trasferimento delle innovazioni .
Altre possibilità sono offerte dal VII Programma Quadro sulla R&ST che prevedono nel settore
agroalimentare il sostegno ad azioni che riguardano le biotecnologie per lo sviluppo di nuovi prodotti, i
sistemi di produzione ecosostenibili, il controllo del sistema di produzione dai campi alla tavola, la richiesta
di alimenti sani, sicuri e di qualità, lo studio del comportamento dei consumatori sulle scelte alimentari,
nonché la richiesta di alimenti innovativi, dietetici con proprietà nutrizionali, l’adozione di tecnologie di
trattamento per migliorare la funzionalità degli alimenti, lo sviluppo e la dimostrazione di metodi di
trattamento ed imballaggio altamente tecnologici ed efficienti. Tali opportunità nel complesso possono
essere di ausilio allo sviluppo del comparto orticolo. In ambito nazionale sono stati portati avanti programmi
ministeriali da parte del Mipaaf quali i Progetti finalizzati ed il progetto PROM coi fondi CIPE per le Regioni
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dell’Obiettivo convergenza . I Programmi PON Ricerca di prossimo avvio a favore sempre delle Regioni OB.
Convergenza privilegeranno per il settore agricolo tematiche che interessano la tutela della biodiversità
orticola, i sistemi colturali innovativi, lo sviluppo delle produzioni di IV gamma
Ad ogni modo, nel prospettare azioni di sviluppo dell’innovazione per il comparto orticolo, occorrerà creare
collegamenti e sinergie con altri settori della produzione che spesso finiscono con invadere e ridurre le
potenzialità dell’ orticoltura (compostaggio, produzione di substrati di coltivazione, imballaggi biodegradabili,
fonti rinnovabili, riduzione della produzione di rifiuti, produzione di energia, fotovoltaico, conservazione e
trasformazione dei prodotti, agricoltura sociale).
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SCHEDA N° 3 – ORTICOLTURA (PIENO CAMPO E PROTETTA)
COMPRESA FUNGICOLTURA E VALORIZZAZIONE TECNOLOGICA DEGLI ORTAGGI
OBIETTIVO AZIONI
1)Valorizzazione commerciale, Qualificazione e
Diversificazione
1.1 Studi sulla caratterizzazione dei componenti
salutistici, nutraceutici, organolettici, finalizzati alla
valorizzazione commerciale e gastronomica
1.2 Incremento del valore biologico degli ortaggi,
riduzione dei fattori antinutrizionali ed altri composti
dannosi alla salute
1.3 Collaudo di sistemi e metodi innovativi di
valutazione e controllo della qualità degli ortaggi,
compresi quelli non distruttivi, lungo tutta la filiera
1.4 Messa a punto di tecnologie innovative per la
salvaguardia della shelf life dei prodotti finalizzata al
mantenimento dei parametri qualitativi ed igienicosanitari
degli ortaggi
1.5 Recupero, caratterizzazione e valorizzazione
di varietà locali e di nuova introduzione di interesse
nazionale e/o regionale, finalizzati alla produzione di
materiale di propagazione idoneo, all’introduzione di
resistenze e/o tolleranze a stress biotici o abiotici ed
al miglioramento della qualità dei prodotti.
1.6 Liste di orientamento varietale per aree
omogenee, definizione di protocolli di produzione,
modalità e tecniche di propagazione, compreso
l’innesto erbaceo
1.7 Collaudo di prodotti,di modalità di presentazione
e di distribuzione innovativi (es. prodotti IV e V
gamma, piante eduli spontanee, nuovi prodotti,
prodotti di altre etnie,)
o Nuove colture (comprese le specie
spontanee eduli) e nuove gamme di prodotti.
o Valutazione agronomica e produttiva delle
cultivar idonee per il biologico
o Adeguamento dei protocolli di coltivazione
alle esigenze legate al processo di
valorizzazione industriale del prodotto
(tecnologie e processi per la valorizzazione
industriale, mezzi e tecniche per ridurre i
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tempi e il lavoro necessari per la
preparazione preliminare alla cottura e/o al
consumo (convenience food))
2)Riduzione impatto ambientale con particolare
riferimento all’ottimizzazione delle risorse
energetiche, idriche e nutrizionali
2.1 Valutazione e messa a punto di apprestamenti
protettivi e materiali di copertura innovativi, compresi
contenitori e film plastici biodegradabili
2.2 Valutazione e messa a punto di prodotti e
tecnologie in grado di migliorare la risposta quantiqualitativa
delle produzioni con particolare riguardo ai
metodi di coltivazione senza suolo (tecnologie,
materiali, idoneità varietale, sistemi a ciclo chiuso,
trattamento delle acque)
2.3 Definizione e modellizzazione delle variabili
irrigue, nutrizionali ed energetiche e progettazione di
sistemi di supporto alle decisioni, compreso il
vivaismo orticolo.:
2.4 Messa a punto di criteri di gestione climatica in
grado di limitare le problematiche fitosanitarie delle
coltivazioni ed ampliare i calendari di produzione
2.5 Valutazione e messa a punto di prodotti e
tecniche di controllo per le problematiche fitosanitarie
con particolare riguardo alle strategie ecosostenibili,
IPM, Agricoltura Biologica.
2.6 Verifica e valutazione dell’efficacia dell’utilizzo
delle alternative al bromuro di metile nella difesa dai
fitopatogeni tellurici nelle colture protette,
(agrofarmaci a basso impatto, uso del vapore, fuori
suolo, solarizzazione, innesto erbaceo, piante
biocide, microrganismi antagonisti)
2.7 Verifica delle strategie atte al contenimento delle
virosi e dei parassiti di recente introduzione e
collaudo di nuovi principi attivi (anche biologici) per il
controllo fitosanitario
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2.8 Valutazione di matrici organiche diverse e
tecniche colturali finalizzata al ripristino della fertilità
dei terreni (anche dal punto di vista microbiologico)
compresa la gestione delle infestanti
2.9 Verifica delle risposte produttive e qualitative
delle principali colture orticole a diversi livelli di
concimazione e definizione di protocolli di
concimazione in funzione anche delle prescrizioni .
agroambientali dei PSR regionali.
2.10 Studio del metabolismo delle piante e delle
tecniche colturali in condizioni agro-ambientali
limitanti (salinità, carenze, eccessi idrici e termici, pH
ecc.) per aumentare l’efficienza d’uso delle risorse,
soprattutto di quelle non rinnovabili.
2.11 Caratterizzazione della qualità totale degli
ortaggi ottenuti con metodo biologico.
2.12 Studi di fattibilità e valutazione di impiego di
fonti energetiche diverse e studio degli effetti
dell’utilizzo dei pannelli fotovoltaici per le serre
3) Innovazioni di prodotto e/o di processo per la
riduzione dei costi di produzione e strategie di
mercato
3.1 Analisi e valutazione tecnico-economica di mezzi
e tecniche al fine di ridurre i costi di produzione in
un’ottica di ecosostenibilità
3.2 Studi degli aspetti di mercato di forme innovative
di vendita
3.3 Tecnologie telematiche a supporto delle vendite e
degli acquisti
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COLTURE INDUSTRIALI, OFFICINALI E NO FOOD
(COMPRESE LE TECNOLOGIE AGROINDUSTRIALI)
La necessità di incrementare il peso delle energie rinnovabili nel bilancio energetico mondiale – dominato dai
paesi industrializzati - è sostenuta da una immensa bibliografia in continua espansione e da una legislazione
internazionale che considera sempre più questa esigenza. La stessa UE ha evidenziato la necessità di
ricorrere alla produzione di energia da fonti rinnovabili, come sottolineato dalla recente Direttiva 28/09 CE e
dalla individuazione della crescita di energie rinnovabili come nuova sfida dello sviluppo rurale insieme ai
cambiamenti climatici, alla biodiversità e al risparmio e qualificazione della risorsa acqua.
Prima di entrare in argomento, tuttavia, può essere utile riassumere le principali motivazioni di fondo che
hanno portato a concentrare tanto interesse sulle energie rinnovabili:
Disponibilità combustibili fossili. Numerosi studi evidenziano due fenomeni legati alla attuale situazione
dei combustibili fossili: la diminuzione della loro disponibilità e il loro legame alle dinamiche geopolitiche,
commerciali e degli investimenti dell’industria petrolifera. In questo contesto le energie
rinnovabili si pongono comunque come un elemento di sostituzione dei combustibili fossili limitandone
quindi la dipendenza, fatto di per sé di natura strategica;
Emissione gas serra. Le emissioni in atmosfera di CO2 e degli altri “gas serra” derivanti da produzione e
utilizzo di tecnologie e prodotti industriali (in primo luogo N2O e CH4) stanno alterando, oramai con una
certa evidenza, il clima e conseguentemente tutti i complessi equilibri ecologici ad esso legati, oltre ad
influire anche su aspetti di natura sociale, specie nei paesi più poveri. Da questo punto di vista, il ricorso
alle energie rinnovabili si pone come uno dei principali mezzi per ridurre le emissioni di CO2 in
atmosfera.;
Questione socio-economica. I paesi industrializzati, peraltro colpiti dalla recente congiuntura e dalla
concorrenza dei paesi in via di industrializzazione che occupano sempre maggiori fette di mercato,
vedono nelle energie rinnovabili (e nel risparmio energetico) un potenziale settore di sviluppo che - se
opportunamente guidato a livello politico - potrebbe stimolare la ripresa di più settori produttivi.
Competizione tra biomasse energetiche e coltivazioni alimentari. Ben difficilmente nelle condizioni
regionali l’utilizzo di biomasse energetiche può essere a scapito delle produzioni alimentari. Di fatto le
prime si presentano come potenziale fattore di sostegno dei prezzi nei momenti in cui l’agricoltura viene
depressa dalle sovra-produzioni (fatto ciclico). In secondo luogo la conversione energetica riguarda
quasi sempre l’utilizzo di materie prime residuali, che si pongono in coda all’utilizzo alimentare
(esempio: le paglie nel caso dei cereali) o industriale (esempio: i cascami della produzione di
semilavorati di legno ottenuti dalle utilizzazioni forestali);
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Sviluppo del territorio ed in particolare del settore agricolo. Le biomasse sono utilizzabili con diversi
processi di conversione e tecnologie che si prestano ad essere diffuse sul territorio: le filiere agroenergetiche
richiedono quindi molteplici conoscenze e professionalità altrettanto distribuite. Ciò
favorisce la diversificazione dell’offerta lavorativa di livello nelle zone rurali e, in ultima analisi, di un
certo tipo di cultura che rende il tessuto sociale più solido.
In quest’ottica, considerando anche il quadro normativo nazionale abbastanza confuso, appare
fondamentale orientare la ricerca verso strategie di sviluppo che coinvolgono sia l’ambito tecnologico, che
economico, che territoriale e sociale. In particolare, la ricerca è orientata verso:
Il miglioramento di varietà che siano contemporaneamente in grado da un lato di rispondere
qualitativamente alle caratteristiche di un buon combustibile e dall’altro assicurare un reddito
garantito agli agricoltori (es. varietà di girasole altoleico);
La caratterizzazione qualitativa dei combustibili al fine di creare normative tecniche che possano
uniformare e certificare il biocombustibile;
L’ottimizzazione di tutte le fasi della filiera agro energetica al fine di abbassare i costi economici ed
ambientali;
La valorizzazione dell’utilizzo dei residui colturali, attraverso il miglioramento della logistica e della
tecnologia di combustione degli stessi residui;
Miglioramento della tecnologia sia relativa a quella già esistente (es. digestori orizzontali, strippaggio
dell’azoto, etc.) sia rivolta all’utilizzo di nuovi materiali (es. biocombustibile liquido da alghe, etc.).
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SCHEDA N° 4 - COLTURE INDUSTRIALI, OFFICINALI E NO FOOD (COMPRESE LE TECNOLOGIE
AGROINDUSTRIALI)
OBIETTIVO AZIONI
1) Stimolare lo sviluppo delle nuove filiere per le
produzioni “no food” (compresa la valorizzazione dei
sotto prodotti e dei residui di potatura), con
particolare attenzione a:
Filiera Energia e Biomasse (Sub-filiere:
etanolo, biogas da vegetali, energia elettrica
e termica con particolare riferimento a quella
ricavabile dai sottoprodotti delle filiere viticole
ed olivicole, compresi i residui della potatura,
oli vegetali)
Filiera Oli Industriali (Sub-filiere: alto erucico,
alto oleico, oli essiccanti o per altri usi).
Filiera Fibra e Cellulosa
Filiera Amido
Biocombustibili di seconda generazione
.
1.1 - Intensificare la ricerca nell'ambito delle colture
più idonee rispetto alle varietà più produttive in
relazione al territorio, delle tecniche colturali ottimali e
dei possibili sbocchi commerciali. (Interesse
nazionale ma da sviluppare a livello territoriale)
1.2 - Verifica delle attività per la tutela delle
biodiversità, della diversificazione produttiva e del
mantenimento della fertilità dei suoli.
1.3 - Intensificazione della ricerca sulle tecnologie e
sulla razionalizzazione dei processi e dei sistemi
produttivi nell'ambito dell'intera filiera. (Interesse
nazionale)
1.4 - Sviluppo della ricerca per l'utilizzo diretto in
azienda delle risorse energetiche ricavabili dagli oli
vegetali grezzi e dalle biomasse disponibili, con
particolare riferimento a quelle ricavabili dalle
potature dell’olivo e della vite, nel rispetto di una
elevata qualità ambientale. (Interesse nazionale)
1.5 – Certificazione della validità degli effluenti
zootecnici e vegetali digestati e/o compostati in
sostituzione degli ammendanti di sintesi.
1.6 – Organizzazione, bilancio economico, bilancio
energetico dei cantieri agroenergetici (analisi costi
benefici, ricerca di mercato, individuazione delle
figure interessate alla filiera, low imput delle
coltivazioni, ecc.);
2) Miglioramento dei processi produttivi, della qualità
e redditività delle colture industriali tipiche ed
2.1 - Migliorare l'intero processo di coltivazione
attraverso: la verifica delle tecniche colturali più
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emergenti idonee rispetto alle peculiarità dei territori; l'ottimale
utilizzo delle risorse naturali disponibili con
particolare riguardo all'efficiente uso di quelle idriche;
l'utilizzo di varietà con resistenza maggiore alle
fitopatie ed ai patogeni in genere.
2.2 - Intensificare la ricerca per il miglioramento
genetico teso all'aumento dei parametri qualitativi
delle produzioni.
2.3 - Migliorare i processi di meccanizzazione
nell'ambito dell'intera filiera produttiva.
2.4 - Analisi e verifica dei nuovi scenari legati alla
possibile sostituzione di colture attualmente
caratterizzanti determinati territori al fine di
individuare le possibili alternative colturali.
3) Attuazione di programmi specifici per il
miglioramento e lo sviluppo delle Colture Officinali
3.1.1 - Intensificare la ricerca per la messa a punto
dell'intera filiera sotto il profilo della valorizzazione del
germoplasma autoctono;
3.1.2- miglioramento della tecnica colturale -
soprattutto biologica - con la verifica dei possibili
inserimenti nelle rotazioni colturali aziendali;
3.1.3 ottimizzazione dei processi di meccanizzazione
nella fase di coltivazione e prima trasformazione;
3.1.4 approfondimento dello studio varietale sulle
specie aromatiche fresche in funzione del mercato;
3.1.5 focalizzazione dei possibili utilizzi dei prodotti e
sottoprodotti della lavorazione in relazione al
mercato.
3.2 Sviluppo della ricerca finalizzata alla messa a
punto di standard comuni di produzione (anche a
livello europeo) e di sistemi di analisi rispondenti alla
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certificazione della qualità e tracciabilità dei prodotti.
3.3 - Analisi di mercato per individuare le specie di
maggiore interesse, gli standard qualitativi di base, le
metodiche di commercializzazione anche per la
Grande Distribuzione Organizzata.
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FORAGGICOLTURA - ZOOTECNIA - INDUSTRIE DI TRASFORMAZIONE DI SETTORE
La filiera ha una rilevante importanza:
1) Territoriale (1):
i pascoli ed i prati permanenti rappresentano il 25,8% della SAU nazionale con 3,4 milioni di ha,
gran parte dei quali sono localizzati in aree collinari e montane caratterizzate da basse
produttività ma di rilevante importanza per uso e stabilità del territorio;
le foraggere avvicendate sono 1,8 milioni di ha, prevalentemente di erba medica; a seguire gli
erbai di cui circa un terzo di mais ceroso;
2) socio – economica (2):
gli allevamenti sono 498.210,
le industrie di trasformazione lattiero casearia sono 2.249 con oltre 30.000 addetti,
la trasformazione industriale della carne, è caratterizzata da specifici andamenti delle
macellazioni rispetto all’anno precedente, evidenziando nei diversi comparti le seguenti
tendenze, il “bovino” riscontra una flessione del – 2.1 %, il “suino” evidenzia un aumento del 1,6
%, gli “avicoli” registrano un incremento del 16 %, l’ ”ovi-caprino” fa registrare una situazione
pressoché invariata (- 0.2%). Per il comparto “avicoli”, si precisa che la tendenza all’aumento
marcato delle macellazioni, è stata giustificata dalla ripresa dei consumi e dell’aumento della
domanda di mercato, a seguito della regressione degli eventi di influenza aviaria.
3) economica (3):
il valore della produzione degli allevamenti a prezzi di base è di circa 15 miliardi di euro,
pari al 30 % dell’intera produzione agricola,
che al consumo arrivano a 50 miliardi di euro stimati.
Nel corso degli ultimi 20 anni è stata caratterizzata da un generalizzato fenomeno di riduzione delle aziende
agricole a cui ha corrisposto una crescita delle dimensioni aziendali con maggiore concentrazione dei capi e
più accentuata specializzazione orientata alla specie. Il settore bovino è in leggero e costante calo nel
numero dei capi, mentre crescono i suini. Tendenzialmente stabili ovicaprini, avicoli e cunicoli.
Il settore zootecnico da carne italiano rappresenta circa il 65% del valore della produzione zootecnica ma
non è in grado di coprire il fabbisogno interno.
Il settore da latte vive ancora una fase di “assestamento” interno al regime delle quote e risente di una forte
concorrenza estera sul latte alimentare.
Per entrambi i settori esistono buone potenzialità nella trasformazione in prodotti a denominazione (DOP,
IGP, PAT) che esaltano una specifica capacità di produrre alimenti originali legati ad un territorio.
Le industrie di trasformazione sono nella grande maggioranza di piccole dimensioni e scarsamente
integrate tra loro; nell’ultimo decennio si è assistito ad una sostanziale tenuta nel numero delle imprese con
un leggero, ma non generalizzato, aumento del numero di addetti per impresa. Una forte integrazione
verticale è ormai consolidata nel settore avicolo e, in parte, cunicolo.
La DM diventa sempre più forte nella distribuzione dei prodotti alimentari di origine zootecnica, tuttavia
significativa si conferma l’importanza della macelleria tradizionale.
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Dal punto di vista geo-economico la filiera può essere sinteticamente così riassunta:
un distretto padano caratterizzato da sistemi foraggero-zootecnici intensivi impostati sulla coltura del
mais irriguo, prevalentemente bovini, suini e avicunicoli, con consistenti investimenti, orientati alla
produzione di commodities, a forte dipendenza dal mercato dei fattori di produzione e da quello di
sbocco, spesso ad elevata integrazione verticale;
una “corona” alpina e una dorsale appenninica, montana e collinare, con sistemi foraggerozootecnici
bovini e ovicaprini più estensivi, seppur condizionati dalla disponibilità di superfici
utilizzabili, impostati sul prato e sul pascolo, orientati alla produzione di specialties, aperti a mercati
locali e di nicchia o a filiere corte;
una montagna interna delle isole, con sistemi estensivi ovicaprini e suini, condizionati da limitazioni
ambientali, orientati alla produzione di specialties, aperti a mercati locali e di nicchia o a filiere corte;
alcuni areali con sistemi a forte specializzazione produttiva: gli allevamenti avicoli di grandi
dimensioni in Veneto, alcune aree centro-meridionali con allevamenti bovini (Murgia barese e
tarantina, Campidano sardo, pianura laziale), l’allevamento suino di razze autoctone (Cinta senese,
Casertana, Nero siciliano).
La filiera condotta con metodi di produzione biologica, dopo una prima fase espansiva, registra un
assestamento causato da alcuni limiti tecnici irrisolti e da prezzi elevati del prodotto al consumo.
Le possibili strategie nazionali per la filiera devono essere calibrate per ogni prodotto in un ottica di
ragionevole equilibrio del mercato interno, ma tenendo conto delle dinamiche globalizzanti del mercato agroalimentare
europeo e mondiale:
a) il settore della carne bovina vede convivere due realtà importanti: il ciclo chiuso di razze autoctone di
pregio e l’ingrasso di vitelli da ristallo importati; per la prima occorre lavorare sulla modellizzazione del
sistema aziendale e sulla migliore capacità di penetrazione commerciale, per la seconda considerare
l’opportunità di un incremento della produzione interna di vitelli. Sono da sottolineare l’attuale deficit nella
copertura del fabbisogno interno ed il doppio canale commerciale (GDO e macellaio dettagliante) che
interagiscono con sistemi zootecnici diversi;
b) il settore latte bovino ed il suino potrebbero orientarsi sempre più alla diversificazione qualitativa, alla
trasformazione in prodotti a denominazione, inseriti in un percorso di ampliamento del mercato interno e
di sviluppo dell’export;
c) il settore ovi-caprino può puntare ad una maggiore evoluzione verso il prodotto trasformato di elevata
qualità e legato al territorio d’origine (più “facile” per il latte, meno per la carne);
d) il settore avicunicolo, interessato da processi di adeguamento tecnico – gestionale finalizzati a
garantirne la sostenibilità, è caratterizzato da una elevata integrazione verticale e da un mercato interno
“soddisfatto” e maturo, si sta orientando verso la diversificazione di gamma;
e) il settore del “biologico” deve risolvere alcuni problemi di zootecnica e di organizzazione aziendale,
compatibilmente con i limiti di disponibilità delle superfici, mirati ad un contenimento dei costi che
consenta una maggiore penetrazione commerciale del prodotto.
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Annotazioni:
(1) - Dati ISTAT relativi all’anno 2008;
(2) - Dati ISTAT relativi all’anno 2007;
(3) - Dati ISTAT relativi all’anno 2007;
SCHEDA N° 5 - FORAGGICOLTURA - ZOOTECNIA - INDUSTRIE DI TRASFORMAZIONE DI SETTORE
OBIETTIVO AZIONI
1) Valorizzazione e tutela dei prodotti di origine
animale tipici (latte, formaggi, salumi, carni, ecc.)
1.1 Individuazione e validazione di strumenti per la
certificazione dell’origine, e rintracciabilità, dei
prodotti lattiero-caseari e carnei attraverso lo studio
dei fattori di produzione e trasformazione, nei diversi
stadi della filiera.
1.2 Caratterizzazione chimico-nutrizionale e
sensoriale dei prodotti di origine animale, con
particolare riguardo agli aspetti nutraceutici e
salutistici.
1.3 Studio degli ecosistemi microbici dell’area
geografica di origine dei prodotti tipici: (tipizzazione,
anche genetica delle microflore autoctone, selezione
e produzione di starter microbici tipici)
1.4 Individuazione e misurazione on line di nuovi
parametri qualitativi del latte e della carne per una
migliore valorizzazione
1.5 Valutazione dei parametri qualitativi delle uova in
funzione dell’evoluzione normativa e gestionale degli
allevamenti (gabbia, a terra, free-range).
1.6 Valutazione qualitative dei prodotti di origine
animale da sistemi produttivi alternativi (zootecnia
biologica, basso impatto, estensivi).
2) Miglioramento della sostenibilità ambientale degli
allevamenti
2.1 Valutazione sperimentale e validazione in
campo, di piani alimentari per la riduzione dei
contenuti di azoto e fosforo negli effluenti zootecnici
di bovini (latte, carne), bufali, suini, avicoli, cunicoli,
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in funzione della specificità della gestione degli
allevamenti e delle produzioni foraggiere del
territorio.
2.2 Valutare la possibilità di riduzione delle emissioni
di metano da parte dei ruminanati attraverso la
gestione dei piani alimentari.
2.3 Individuazione di criteri di valutazione e
possibilità di riduzione dell’impatto ambientale
complessivo (aria, acqua, pesaggio) degli
allevamenti intensivi in aree sensibili (vulnerabili,
montane, ad alta valenza ambientale_ZPS o
paesaggistica);
2.4 Valorizzazione dei sistemi zootecnici a basso
impatto, estensivi o biologici, in termini di
connessione alle produzioni foraggiere del
comprensorio e di benefici per la collettività.
3) Prodotti innovativi di origine zootecnica e
ampliamento della gamma commerciale
3.1 Studio di prodotti innovativi ottenuti da latte,
carne e loro sottoprodotti
3.2 Messa a punto di innovazioni tecnologiche, nel
confezionamento, nella distribuzione, per il
miglioramento della qualità, sicurezza alimentare e
shelf life dei prodotti trasformati.
3.3 Studio di prodotti innovativi no food (cosmesi,
fibre tessili, pelletteria, ecc.)
4) Incremento e miglioramento delle prestazioni
produttive degli animali allevati e dell’efficienza degli
allevamenti
4.1 Applicazione delle biotecnologie e messa a
punto di tecniche innovative nel campo della
genetica molecolare e della riproduzione animale
4.2 Sviluppo di tecniche per migliorare la risposta
immunitaria degli animali in allevamento e la difesa
dalle patologie infettive
4.3 Miglioramento dell’efficienza riproduttiva delle
32/98
specie di interesse zootecnico
4.4 Miglioramento genetico per i caratteri non
direttamente produttivi (longevità, resistenza
patologie, adattamento, ecc.) degli animali (bovina
da latte)
4.5 Elaborazione di piani di miglioramento genetico
per accrescere la qualità delle produzioni
4.6 Caratterizzazione di tipi genetici per la
produzione del suino pesante italiano, del suino
medio di qualità e del suino da allevamento
semibrado
4.7 Caratterizzazione produttiva delle popolazioni
animali e razze autoctone anche a limitata diffusione
4.8 Selezione genetica e gestione della
riproduzione finalizzata al miglioramento del
benessere animale
5) Valutazione del benessere animale e delle sue
correlazioni con i sistemi produttivi zootecnici
5.1 Valutazione degli del benessere animale in
rapporto al sistema di allevamento, nonché, alla
destinazione od utilizzo non
produttivo/multifunzionale (esempio pet terapy)
5.2 Definizione di metodi di misurazione e di
indicatori del benessere animale in allevamento,
durante le fasi di trasporto e di pre-macellazione
5.3 Sviluppo e validazione in campo di “tecniche
sostenibili” per ridurre le tecnopatie da allevamento
intensivo e migliorare il benessere animale
6) Adeguamento del comparto zootecnico alla
normativa relativa alla sicurezza alimentare e alla
tracciabilità
6.1 Valutazione delle implicazioni e impatto della
coesistenza di organismi GM e non GM nelle filiere
zootecniche a marchio e nella zootecnia biologica
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6.2 Indagini conoscitive, monitoraggi, studi mirati per
la conoscenza delle possibili contaminazioni da
micotossine, residui di fitofarmaci, metalli pesanti
nelle materie prime per alimentazione animale
6.3 Studio dei sistemi di allevamento intensivo come
bacino e fonte di rischio per i patogeni trasferibili ala
catena alimentare nella lavorazione dei prodotti
(latte e carni)
7) Sviluppo, sostenibilità e funzionalità dei sistemi
foraggeri
7.1 Gestione delle risorse foraggere prato-pascolive
e pascolive: individuazione e realizzazione di
strumenti gestionali territoriali e aziendali finalizzati
ad un uso razionale della risorsa
7.2 Sperimentazione di tecniche innovative di
raccolta e conservazione dei foraggi in relazione
all’ambiente colturale, alle esigenze
dell’allevamento, ai consumi energetici
7.3 Messa a punto di sistemi foraggeri ad alta
efficienza e basso costo
7.4 Miglioramento dell’efficienza del sistema
sementiero per la disponibilità dei materiali vegetali
adatti ai diversi ambienti climatici e alle diverse
condizioni d’uso anche mediante lo sviluppo della
produzione di sementi di ecotipi locali
7.5 Elaborazione di modelli di gestione sostenibile di
aziende foraggero-zootecniche a basso impatto
ambientale, garanti del reddito, del benessere
animale e della qualità aziendale.
8) Razionalizzazione della apicoltura 8.1 Valorizzazione qualitativa dei prodotti
dell’alveare, e valutazione del rischio di
contaminazione ambientale e tracciabiliotà dei
prodotti
34/98
8.2 Elaborazione di strumenti e di tecniche per la
valorizzazione dell’attività pronuba delle api
8.3 Elaborazione di soluzioni a basso impatto
ambientale (omeopatia, fitoterapia) nella profilassi
nella lotta alle malattie dell’alveare e nel controllo di
parassiti e patologie di nuova introduzione
8.4 Salvaguardia della purezza genetica dell’Apis
mellifera L. mediante studi biometrici e genetici
35/98
PESCA ED ACQUACOLTURA
Il quadro generale e normativo di riferimento.
Il settore della pesca sta affrontando con molte difficoltà la fase di attuazione della recente politica
comune della pesca ( PCP ) che negli ultimi anni in particolare ha evidenziato, per citare i problemi più
evidenti che sussistono un eccessivo sfruttamento degli stock ittici, una sovracapacità delle flotte di pesca
, la perdita di redditività delle imprese di pesca , un eccessivo scarto dei prodotti pescati , una
commercializzazione dei prodotti poco efficace, un.
In questo contesto gli operatori della pesca , frammentati in mille piccole imprese non riescono ad
organizzarsi in forme associative più forti poiché troppo legati ai sistemi di pesca del passato né perseguono
salvo casi particolari ( consorzi fra imprese di pesca per la cattura dei molluschi bivalvi ) forme di
autogestione della propria attività.
La produzione normativa comunitaria sempre più rigida ( Regolamento CE 1967/2006, Regolamento CE
1005/2008 , Regolamento 1010/2009 , Regolamento 1077/2008 ) impone l’adozione di misure di gestione
per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca, strumenti di pesca sostenibili, certificazione delle
catture per import/export, tracciabilità dei prodotti, pacchetti sicurezza alimentare e molte altre regole molto
rigide e prescrittive.
Anche in relazione alle attività di acquacoltura che soprattutto negli ultimi anni hanno dimostrato molta
dinamicità sussistono disposizioni normative comunitarie e nazionali che richiedono agli interventi nel
settore molta attenzione alle tecniche produttive di effetti positivi sull’ambiente, alla valorizzazione delle
produzioni biologiche , all’attenzione alla qualità, tracciabilità e salute degli animali allevati etichettature dei
prodotti.
Anche la normativa nazionale più recente ( legge 23 luglio 2009n. 99) al fine di tutelare la qualità del
prodotto nazionale e contrastare le frodi impone iniziative finalizzate a rafforzare le azioni a tutela dei prodotti
della pesca ed acquicoltura.
Evoluzione dei settori
E’ necessario pertanto accompagnare gli operanti della pesca ed acquacoltura verso una
modernizzazione complessiva del settore che possa determinare anche una stabilizzazione dell’economia
ittica.I processi avviati con la politica comune della pesca devono essere accompagnati con tutti gli strumenti
necessari per transitare il settore verso la razionalizzazione delle risorse, l’ organizzazione comune delle
attività di pesca, il rispetto dell’ambiente e degli stock ittici, lo sviluppo dell’acquacoltura nel senso indicato
dalla disciplina comunitaria.
La strategia della ricerca
In questo contesto la ricerca mai come di questi tempi deve facilitare l’attività degli operatori economici per
metterli in condizione di essere competitivi rispettando le condizioni generali imposte dalle regole europee e
nazionali.
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In questo senso i quattro obiettivi della ricerca declinati nelle rispettive azioni sono stati individuati per
rispondere concretemente alle esigenze del settore tenendo conto della delineata evoluzione del settore
suinduicata.
Gli obiettivi della ricerca proposti sono:
gestione e sfruttamento sostenibile ed ecocompatibile delle risorse ittiche naturali;
miglioramento e ampliamento della base produttiva acquacolturale;
gestione ecocompatibile e tecnica di impianti di acquicoltura e maricoltura
valorizzazione delle risorse ambientali , dei prodotti ittici e del mercato
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SCHEDA N° 6 – PESCA ED ACQUACOLTURA
OBIETTIVO AZIONI
1) Gestione e sfruttamento sostenibile ed
ecocompatibile delle risorse ittiche naturali.
1.1 Indagini sulla biologia, consistenza e diffusione di
specifici genotipi di interesse commerciale.
1.2 Indagini comparate sulla consistenza delle
popolazioni ittiche e sulla portanza ittiogenica delle
acque soggette ad attività di pesca professionale, sia
in mare che nelle acque interne, in rapporto allo
sforzo di pesca ed alla entità del prelievo con
particolare riferimento alle zone di tutela biologica.
1.3 Analisi delle popolazioni ittiche autoctone
soggette ad attività di pesca, sia in mare che nelle
acque interne, caratterizzate da uno status
sfavorevole di conservazione e studio di eventuali
interventi per il ripristino di tali popolazioni (es.
anguilla).
1.4 Analisi di modelli di gestione associata delle
attività di pesca al fine di migliorare la sostenibilità del
prelievo anche in termini di selettività dei sistemi per
aree di pesca omogenee.
1.5 Individuazione e sviluppo di tecniche idonee postsemina
per la sopravvivenza e l’ambientamento di
giovanili di specie marine costiere.
1.6 Caratterizzazione delle unità di produzione di
giovanili da ripopolamento, a livello regionale e
nazionale, e del relativo tasso quali-quantitativo di
funzionalità produttiva in rapporto alle esigenze dei
connessi bacini idrografici di utenza.
1.7 Sviluppo di protocolli operativi standardizzati per
la caratterizzazione della qualità biotica degli
ecosistemi acquatici.
1.8 Sviluppo di protocolli operativi per le buone
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pratiche di ripopolamento di ceppi autoctoni in
relazione alla portata, alle captazioni e al deflusso
minimo vitale dei corpi idrici.
1.9 Ottimizzazione delle attrezzature e delle tecniche
di pesca ai fini del miglioramento della selettività e
del contenimento dell’impatto ambientale. Ruolo
ecologico dei Fad’s (Fish aggregating devices)
sull’ecosistema pelagico, sul reclutamento e la
biodiversità, per lo sviluppo dell’uso dei sistemi
artificiali di attrazione.
1.10 Identificazione dei livelli di variabilità genetica e
della capacità riproduttiva di specie ittiche di
interesse alieutico a livello di popolazioni lacustri e di
materiale da ripopolamento di incubatoio, per il
miglioramento dei ripopolamenti e la conservazione
della biodiversità delle specie.
1.11 Definizione di protocolli di riproduzione
artificiale, primo allevamento e/o accrescimento di
soggetti autoctoni da ripopolamento, di qualità,
nell’ottica di logiche di tutela genetica delle
popolazioni ittiche.
2) Miglioramento e ampliamento della base
produttiva acquacolturale.
2.1 Messa a punto di protocolli di riproduzione e
primo allevamento di nuove specie ittiche autoctone
(marine e/o di acqua dolce) con particolare
riferimento ai molluschi cefalopodi, crostacei
decapodi ed echinodermi di particolare interesse
economico e/o locale.
2.2 Sviluppo di modelli bio-economici di simulazione
per la ottimizzazione gestionale e di produzione degli
allevamenti ittici e di modelli matematici previsionali
in merito all’impatto ambientale degli allevamenti.
2.3 Messa a punto di tecniche di produzione di catene
alimentari fito-zooplanctoniche ad alto contenuto di
acidi grassi insaturi, per l’alimentazione degli stadi
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larvali delle specie di allevamento. Indagini
sull’utilizzo alternativo (principi attivi, energia) del
fitoplancton.
2.4 Valutazione dell’applicabilità di standard
internazionali sul benessere animale.
3) Gestione ecocompatibile e tecnica di impianti di
acquacoltura e maricoltura
3.1 Studio dei parametri fisici, chimici e biologici
delle acque di immissione e reflue degli impianti di
acquacoltura e dei bacini naturali, nonché delle
tecniche utili per la loro depurazione e riutilizzo con
particolare riferimento alle tecniche di fitodepurazione
3.2 Messa a punto e collaudo di attrezzature
innovative per l’allevamento off-shore, con tecnologie
a ridotto impatto ambientale. Indagini
sull’acquacoltura sostenibile (policoltura, vallicoltura),
ricercando modelli gestionali innovativi, con metodi e
materiali testati.
3.3 Individuazione e ricerca di tecniche di
alimentazione e di tipologie di mangimi anche
alternativi a quelli attualmente in uso che
garantiscano un basso impatto ambientale.
3.4 Studio di tecniche profilattiche innovative e
ricerca di nuovi principi attivi da impiegare per la
difesa di tutte le specie ittiche allevate, anche nella
molluschicoltura.
4) Valorizzazione delle risorse ambientali , dei
prodotti ittici e del mercato
4.1 Identificazione e standardizzazione di
metodologie scientifiche per la certificazione e la
valorizzazione delle filiere produttive e dei prodotti
della pesca e dell’acquacoltura, ai fini della tutela
igienico-sanitaria, alimentare e nutrizionale del
consumatore per la valorizzazione della qualità del
prodotto.
4.2 Studi di fattibilità socio-economica di modelli di
40/98
pesca-turismo ed acquacoltura-turismo trasferibili agli
operatori della pesca e dell’acquacoltura nelle acque
interne e nelle realtà rurali
4.3 Messa a punto di tecniche di trasformazione,
condizionamento e commercializzazione di prodotti
ittici, strategie per la valorizzazione di preparazioni
alimentari derivati da prodotti tipici locali, messa a
punto di strumenti e tecniche per la conservazione
del pescato sui pescherecci.
41/98
FLORICOLTURA E VIVAISMO ORNAMENTALE
L’evoluzione del mercato mondiale
Nel mondo l’estensione delle superfici destinate al florovivaismo è di circa 1.400.000 ha (AIPH/Union Fleurs
2007). La superficie mondiale riservata alla coltivazione di fiori e piante (bulbi inclusi) è circa 600.000 ha
(oltre il 50% in Asia, il 20% in Europa e il 18% in America) mentre circa 720.000 ha sono costituiti da piante
da vivaio. Il mercato floricolo internazionale ruota attorno a tre aree geografiche: l’Europa occidentale; gli
Stati Uniti/Canada e l’Estremo Oriente (Giappone, Cina, Corea del Sud) che da sole rappresentano circa i ¾
del consumo globale di prodotti floricoli stimato in circa 70 miliardi di euro, considerando anche le piante da
giardino (Rabobank 2008). Tra i paesi extra UE è aumentata fortemente la produzione e la competitività dei
paesi africani (Kenya, lo Zambia e l’Uganda, etc.), Sudamerica (Ecuador e Colombia) e Asia (India, etc. e
più recentemente Cina la cui superficie oggi è stimata in 100.000 ha di cui 40.000 dedicati ai fiori recisi ed il
resto alle piante in vaso, il cui valore alla produzione è intorno al 4,1% di quella mondiale.
Il florovivaismo europeo con il 24% della superficie (62.000 ha) ed il 20 % della produzione mondiale riveste
una notevole importanza economica e sociale. La UE è il principale mercato al mondo per il consumo dei
fiori recisi (53%). I flussi maggiori di importazioni giungono dai Paesi terzi passando per l’Olanda che funge
da cerniera negli scambi intracomunitari. Il 72% dei fiori recisi e il 43% del totale dei prodotti floricoli proviene
da quattro paesi: Kenia, Colombia, Israele ed Ecuador.
Tra i paesi produttori l’Italia con 18.000 ha è al 1° posto per le superfici dedicate, seguita dall’Olanda, il
Regno Unito , la Germania,la Spagna e la Francia. Le superfici protette raggiungono il 70% in Olanda, il 60%
in Spagna, il 50% in Italia, il 46% in Francia e il 15% in Gran Bretagna.
La situazione nazionaleIl florovivaismo rappresenta un settore importante del sistema agricolo nazionale:
contribuisce per circa il 6% al totale del valore della produzione agricola per un valore di circa euro
2,5 miliardi di euro di cui 1,5 miliardi per fiori e piante in vaso e quasi un miliardo per i prodotti
vivaistici (Inea 2008);
le zone di produzione sono localizzate prevalentemente in Liguria, Toscana, Campania, Sicilia,
Lazio, Puglia, Lombardia;
è composto da quasi 20.500 aziende che operano su una superficie aziendale complessiva di oltre
36.000 ha con una media aziendale circa 1,76 ha (MiPAAF/Consorzio ITA 2009);
è praticato in aziende di limitata superficie, inferiore ad 1 ettaro nel caso di quelle floricole e a circa 2
ha per quelle vivaistiche.
Il segmento del verde ornamentale, composto da fronde verdi, fiorite, a frutto e dalle foglie va assumendo
sempre più rilevanza nell’ambito della floricoltura. Diversamente dai fiori recisi, che stanno risentendo di un
sensibile calo produttivo per la forte concorrenza, il settore delle piante in vaso è in progressiva espansione
come pure le specie arbustive coltivate per rispondere alla crescente domanda dell’arredo degli spazi verdi.
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Il segmento delle piante in vaso e vivai ha risentito molto meno dell’allargamento degli scambi su scala
internazionale anche per la minore convenienza al trasporto su lunghe distanze. L’aumento dell’offerta ha
comunque indebolito il potere contrattuale delle aziende e determinato una selezione.
In Italia il consumo coincide prevalentemente in circostanze prestabilite (festività, ricorrenze, etc.). La scelta
del canale è ancora dominata dal negozio del fiorista (circa 80% per i fiori recisi, circa 50% per le piante
secondo i dati di Rabobank 2008), ma stanno assumendo una sempre maggiore importanza la Grande
distribuzione, i Garden Center e i Plant Center.
La crisi economica che da un anno sta interessando l’economia mondiale ha avuto naturalmente un impatto
molto importante sull’economia stessa con una contrazione dei consumi nei paesi con mercati maturi e con
una riduzione dei prezzi alla produzione. Probabilmente questa situazione è transitoria e legata quindi ai
fondamentali economici tra l’altro si osserva che l’aumento del consumo di prodotti florovivaistici è
direttamente collegato al PIL procapite di ogni paese. E’ probabile che quindi dopo una fase di assestamento
che presuppone anche grandi cambiamenti nella filiera commerciale e nella catena di distribuzione che si
stanno già intravedendo ci sarà una ripresa dei consumi ed aumenterà significativamente anche questa
quota in paesi di recente sviluppo economico (Polonia, Russia, India, Cina) che potrebbero cominciare a
diventare consumatori. Questo è il contesto in profonda evoluzione e da monitorare costantemente che deve
guidare tutte le azioni di supporto alla filiera produttiva.
Punti di forza del settore
Fermo restando che è stato recentemente costituito uno specifico Tavolo di Filiera e definito il Piano di
Settore per il Florovivaismo che dovrà rappresentare il documento di indirizzo strategico al livello nazionale
per lo sviluppo e il potenziamento del settore, i fattori che costituiscono i punti di forza del settore possono
essere così riassunti:
le condizioni pedoclimatiche favorevoli.
aree produttive ad elevato "know how" in grado di offrire prodotti di elevata qualità.
ricchezza varietale della flora mediterranea che consente un ampliamento delle specie autoctone.
la buona flessibilità delle aziende agricole
le buone peculiarità d’origine di alcuni prodotti floricoli e vivaistici.
la presenza in differenti regioni dell'Italia di strutture associative, Distretti floricoli, Mercati, reti
commerciali e aziende medio-grandi con buon posizionamento sui mercati esteri.
la presenza di strutture e enti di ricerca pubblica e privata presenti sul territorio;
Punti di debolezza del settore
insufficienti risorse per la promozione e marketing
forte competitività sui mercati da produzioni extraregionali (UE ed extra UE);
insufficiente capacità di investimento e difficoltà ad innovare il processo produttivo;
insufficiente tutela e valorizzazione delle produzioni nazionali;
elevato impatto ambientale e forte incremento dei costi di produzione (es. energia, acqua e mezzi
tecnici);
43/98
scarsa innovazione di prodotto e dipendenza brevettuale dall’estero;
insufficiente uso di tecnologia nelle serre ed elevato utilizzo della manodopera, metodi di coltivazione
ancora tradizionali;
scarsa programmazione delle produzioni;
mancanza di punti di concentrazione dell’offerta nelle maggiori zone di produzione.
scarsa differenziazione del packaging che rende il prodotto indifferenziato.
ridottissima capacità di investimento negli studi di marketing nel settore .
difficoltà commerciali per dimensioni aziendali ridotte, frammentazione dell’offerta;
debolezza del sistema infrastrutturale e di filiera e logistica insufficiente;
– debolezza del sistema della ricerca pubblica in floricoltura;
– basso livello di investimenti nella ricerca e nel suo trasferimento.
La ricerca nel florovovaismo
L’attuale sistema della ricerca pubblica nel campo florovivaismo comprende prioritariamente:
– il CRA - Istituto Sperimentale per la Floricoltura nelle unità di ricerca di Sanremo, Pescia, Pontecagnano
e Palermo
– Istituto Regionale per la Floricoltura di Sanremo, ente strumentale della Regione Liguria
– Università e CNR
– Altri Enti di ricerca regionali: Fondazione Minoprio, CeRSSA di Albenga, CRAS, Veneto Agricoltura,
CeSpeVi, , etc
I principali punti di debolezza della ricerca pubblica nel florovivaismo:
– scarso coordinamento tra le strutture di ricerca competenti in materia;
– esiguità di risorse finanziarie per la ricerca in floricoltura;
– frammentazione e dispersione delle ricerche e dei finanziamenti disponibili;
– indirizzi e linee di ricerca non strategiche, non funzionali ad esigenze/problematiche del mondo
produttivo;
– scarso trasferimento dei risultati della ricerca ai produttori;
– scarsa compartecipazione finanziaria del mondi produttivo.
– Scarso collegamento con la ricerca di altri settori.
– Scarso o nullo rapporto con la ricerca privata.
In tale contesto organizzativo e strutturale si inseriscono gli obiettivi e le azioni individuate dalle Regioni per
la ricerca in floricoltura che mirano a differenziare e indirizzare la ricerca in base alla categoria produttiva
(fiore e fronde reciso, piante da esterno e piante in vaso).
Le tematiche Prioritarie per la ricerca per il settore floricolo individuate dalla Rete risultano al
momento:risulteranno
– Introdurre nelle imprese innovazione di prodotto, processo e tecnologie;
– ridurre i costi produttivi e l’impatto sull’ambiente;
– introdurre studi di settore ed economici per finalizzare le ricerca.
44/98
RACCOMANDAZIONI (comuni per i tre segmenti)
Al fine di indirizzare le attività di ricerca applicativa a livello nazionale è necessario prioritariamente, da parte
di tutti i soggetti interessati (committenza ed operatori della ricerca), avere ben chiaro lo stato dell’economica
del comparto floricolo, delle sue interrelazioni, necessità, priorità e delle esigenze dei consumatori. Occorre
tener conto di quello che avviene negli altri paesi perché solo da uno scenario chiaro, condiviso e globale
possono discendere scelte razionali utilizzabili dalla filiera produttiva. In particolare è opportuno evitare di
lavorare su specie che dal punto di vista del mercato sono in regressione.
In generale sarà indispensabile e doveroso promuovere la rete tra i Centri e Enti di ricerca a livello
nazionale, regionale favorendo anche la collaborazione internazionale attraverso la costituzione di
partenariati, la realizzazione di progetti di ricerca integrati e multidisciplinari anche promuovendo la
formazione e lo scambio dei ricercatori. Particolare attenzione dovrà essere posta ad evitare sovrapposizioni
ed assenza di coordinamento tra i diversi gruppi di ricerca.
Occorrerà prevedere forme di collaborazione, ove possibile, con i soggetti della ricerca privata o per lo meno
comprendere le loro necessità e coinvolgere le Regioni, la filiera produttiva (i Distretti se presenti), i portatori
d’interesse nell’impostazione di dettaglio, in particolare per la scelta delle specie e delle relative
problematiche e nella valutazione dei risultati, anche attraverso la costituzione di gruppi di lavoro tematici; la
creazione di rapporti stabili tra ricerca pubblica e privata, tra tecnici pubblici e privati, sarà utile per finalizzare
meglio le ricerche di base e di metodiche; la nascita e lo sviluppo di nuove realtà che si occupino di
miglioramento genetico (spin-off e/o nuovi privati)
Sarà necessario realizzare sistemi di verifica dei risultati condivisi, la trasferibilità degli stessi e l'effettiva
ricaduta delle ricerche nel mondo produttivo promuovendo sinergie e collaborazioni con i servizi di
sviluppo regionale, con tutti i tecnici pubblici e privati curando in modo puntuale la divulgazione.
Per quando riguarda l’innovazione di prodotto il nostro Paese non è all’avanguardia, basti pensare che
solo il 2,5% delle nuove varietà ornamentali protette a livello comunitario arriva dall’Italia. Inoltre il
miglioramento genetico nazionale è concentrato su poche specie e ne trascura moltissime altre oggi
importanti. Questo costituisce un grave gap nei confronti dei nostri competitori. Ricordiamoci inoltre che
affinché una specie o una varietà nuova si affermi è necessario non solo creare nuove varietà bensì
conoscere adeguatamente la fisiologia, le tecniche colturali, la risposta alla forzatura, il post raccolto al fine
di renderle utilizzabili nella filiera commerciale. Questo presuppone quindi anche innovazione di processo.
In particolare occorre:
creare una rete a livello nazionale di collezioni di germoplasma per specie di particolare
interesse e relative banche dati informatizzate in modo standardizzato tra le diverse
realtà..
finalizzare bene l’attività di ricerca e sperimentazione che non si deve limitare ai soli aspetti
di base ma deve avere una finalizzazione applicativa da parte della nostra filiera produttiva e
commerciale ed in particolare prestare attenzione alle problematiche della sostenibilità ed
alle relative certificazioni.
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verificare la possibilità di costituire gruppi di riferimento organizzati per specifici interessi e
competenze, per tipologia produttiva (es: gruppo “Rosa”) o per tematica (es: gruppo
“energia” o “management”) in grado di fornire metodologie, dati e di coordinare le attività e
gli scambi d’informazione con la partecipazione dei rappresentati degli Enti di ricerca, delle
amministrazioni locali e dei portatori d’interesse. Questo permetterà di migliorare il rapporto
tra la filiera produttiva e le strutture di ricerca e sperimentazione.
Predisporre una banca dati per quanto riguarda il comparto pubblico che contenga le linee di
ricerca portate avanti, i risultati attesi e quelli ottenuti, le pubblicazioni prodotte e quant’altro
necessita per una rapida ed efficace divulgazione.
In generale, considerato lo scenario attuale occorre un grosso sforzo per creare e sviluppare l’idea d’impresa
(“fare impresa”) e la consapevolezza degli strumenti necessari per aggredire i mercati globali da parte delle
PMI. Saranno da prendere in considerazione gli aspetti economici delle produzioni e delle aziende nel loro
insieme anche con l’utilizzo di strumenti commerciali innovativi: certificazioni, utilizzo di strumenti bilanciatici
nella normale pratica imprenditoriale agricola, benchmarking ed indicatori di efficienza aziendale analisi di
mercato, di settore e strategie di marketing, creazione a livello territoriale di strumenti che in modo costante
aggiornino sulle dinamiche di mercato locale, nazionale ed internazionale (osservatori economici) etc…
Le specie su cui si dovrà prioritariamente porre attenzione sono quelle di tipo mediterraneo, legate alla
biodiversità ed alla riduzione dell’impatto ambientale.
Tra queste si posso indicare con un’elencazione esplicativa ma non esaustiva: Camellia, Girasole da reciso
e da vaso, Proteaceae, Summer flowers, Acacia glaucoptera, Arbutus, Lisianthus, Dianthus barbatus, Calla
bianca, Ranuncolo, Anemone, Papavero, margherita da vaso e da reciso, wildflowers, specie autoctone,
rose multifunzionali, Pancratium, Limonium, Helleborus, Dahlia etc…
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SCHEDA N°7 – FLORICOLTURA E VIVAISMO ORNAMENTALE
1) PIANTE DA FIORI E FRONDE RECISE
OBIETTIVI AZIONI
1 Introduzione di novità, commerciali o con
potenzialità di sviluppo, adatte alle esigenze delle
aree floricole nazionali al fine di:
ampliare l'offerta nei periodi di limitata
disponibilità merceologica (primaveraestate)
introdurre specie o varietà a basse
esigenze termico – energetiche
1.1 recupero, selezione, caratterizzazione, anche
con metodologie molecolari e valutazione
agronomica, ornamentale e commerciale, delle
varietà e/o specie soprattutto quelle
mediterranee, autoctone e naturalizzate, anche
tramite la costituzione di campi di collezione e
orientamento varietale. L’utilizzo di metodi
molecolari e la costituzione di banche dati
genomiche deve essere strettamente finalizzato
a piani di miglioramento genetico applicativo.
1.2 ampliamento della gamma varietale mediante
la creazione di nuove varietà
1.3 messa a punto e valutazione di protocolli di
produzione tecnica compresi gli aspetti del postraccolto
2 miglioramento delle varietà e specie strategiche
per le aree floricole nazionali, con particolare
riguardo alla qualità delle produzioni,
all’allungamento del periodo di produzione ed al
controllo del ciclo produttivo
.
2.1 approfondimento degli aspetti fisiologici e
tecnico-commerciali (propagazione in vitro e in
vivo, nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,
modalità di presentazione e di distribuzione).
2.2 individuazione e messa a punto di tecniche
innovative sul mantenimento dei parametri
qualitativi in post raccolta
2.3 messa a punto per le specie mediterranee
più note e diffuse delle conoscenze della
fisiologia della fioritura e del post-raccolto tali da
permetterne una gestione migliore delle
produzioni ed un’offerta produttiva nei migliori
periodi di mercato e soprattutto molto ampia nel
tempo.
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3 introduzione di innovazioni tecnologiche e di
processo per il miglioramento delle produzioni,
con particolare riguardo alla riduzione dei costi di
produzione ed energetici, all’impatto ambientale,
ed a tutte le metodiche che aumentano la
compatibilità ambientale ed il recupero ed il
riutilizzo degli scarti e dei reflui
3.1 utilizzo di strategie, materiali, fonti rinnovabili,
impianti e strutture innovative nel campo del
risparmio energetico al fine e della riduzione dei
costi di produzione
3.2 introduzione di prodotti e di sistemi innovativi
di, prevenzione e difesa biologica e/o integrata
con razionale uso dei parametri climatici; messa
a punto di kit per la diagnosi precoce e di sistemi
di monitoraggio delle problematiche fitosanitarie;
studio della resistenza dei patogeni indotta
dall'uso dei fitofarmaci.
3.3 studio dei fabbisogni idrici, nutrizionali ed
energetici e sviluppo di modelli e di sistemi
colturali innovativi, compresi i sistemi fuori suolo.
2) PIANTE DA ESTERNO
OBIETTIVI AZIONI
1. introduzione di innovazione di prodotto,
sfruttando la biodiversità, con riferimento tra
l’altro a:
resistenza agli stress
adattabilità di specie e cultivars
all’impianto in aree d’interesse
paesaggistico-ambientale e adatte ad
impianti d’ingegneria naturalistica
1.1 selezione e miglioramento genetico di novità
commerciali e di germoplasma autoctono e/o
naturalizzato, anche con riferimento a specie
mediterranee e da giardino secco
1.2 utilizzo di marcatori molecolari come valido
strumento operativo per la caratterizzazione,
valutazione e comportamento agronomico delle
novità all’interno di piani di miglioramento integrati
e ben finalizzati.
1.3 studi per la modifica dell'architettura e delle
dimensioni delle piante
48/98
2. introduzione di specie autoctone per l’utilizzo in
ambito urbano
3.3 studio di tecniche estirpazione, trasporto,
impianto e cura post impianto di alberi
monumentali
3.5 tecniche vivaistiche innovative per ridurre
stress da trapianto di alberi e arbusti ornamentali
3. riduzione dell'impatto ambientale e
paesaggistico, miglioramento ed ottimizzazione
delle tecniche produttive e valutazione
quantitativa delle capacità di specie arbustive e
arboree ai fini della mitigazione dell’inquinamento
atmosferico in ambiente urbano e perturbano
2.1 studi per l'utilizzo di metodiche alternative a
basso impatto ambientale (acque reflue a fini
irrigui, contenitori biodegradabili, substrati,
compost soppressivi e biostimolanti; difesa a
basso impatto, irrigazione puntiforme, controllo
fisico infestanti, geodisinfezione, energie
alternative, vasi innovativi etc…)
2.2 valutazione dell'efficacia e della selettività di
nuovi prodotti; studio di strategie di monitoraggio
e lotta biologica e integrata; messa a punto di
metodologia standard per valutazione dello stato
sanitario e di stabilità, ed eventuali azioni di
risanamento, con particolare riferimento alle
piante destinate al verde urbano e spazi pubblici.
2.3 valutazione di specie ornamentali per il
miglioramento della qualità ambientale, ecologica
e paesaggistica con particolare riferimento alle
piante destinate al verde urbano ed alle aree
degradate.
3.1 valutazione e messa a punto di tecniche per
ottimizzare la qualità merceologica
3.2 studi per migliorare l'efficienza dell'uso delle
risorse idriche e nutrizionali; introduzione di
tecniche innovative di gestione degli arbusti
ornamentali compresa una valutazione tecnicoagronimica
ed un’approfondita conoscenza delle
esigenze nutrizionali delle specie
49/98
4. sviluppo di prodotti e tecnologie a basso impatto
ambientale tra cui il recupero e riutilizzo dei reflui
agricoli o industriali e scarti aziendali, compost e
substrati soppressivi
3.4 studi su assorbimento inquinanti gassosi,
sull’emissione di CO2 e cattura particolato, effetti
sulle condizioni micrometeorologiche quali la
mitigazione della temperatura con effetti positivi
sul consumo energetico dovuti all’ombreggiatura
della vegetazione di alto fusto ed all’effetto
barriera
5. studio di forme di aggregazione e
standardizzazione dell’offerta.
3) PIANTE DA VASO
OBIETTIVI AZIONI
1. introduzione di novità, commerciali o con
potenzialità di sviluppo, adattabili alle esigenze
delle aree floricole nazionali al fine di:
a. introdurre specie a basse esigenze
termico- energetiche
introduzione di innovazioni di processo e
tecnologiche per il miglioramento delle produzioni
con particolare riguardo alla riduzione dei costi di
produzione ed energetici e dell'impatto ambientale
1.1 recupero, caratterizzazione, anche con
metodologie molecolari, e valutazione
agronomica, ornamentale e commerciale delle
varietà e/o specie, comprese quelle
mediterranee, autoctone e naturalizzate.
Costituzione di banche dati genomiche vegetali
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2. razionalizzazione e innovazione degli aspetti
tecnico - commerciali delle varietà e specie
strategiche per le aree floricole nazionali,con
particolare riguardo alla qualità delle produzioni.
Risparmio energetico: tecnologie che utilizzano
cogeneratori, scambiatori di calore geotermici e
energie alternative per le serre
2.1 approfondimento degli aspetti tecnici -
commerciali (propagazione in vitro e in vivo,
nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,
modalità di preparazione e di trasporto); studi e
strategie tecnico-gestionale rivolte alla riduzione
del consumo energetico nella coltivazione
2.2 protocolli di produzione e strategie tecnicogestionali
rivolte all’aumento qualitativo e/o
quantitativo della produzione, all'allungamento
del periodo produttivo e alle modifiche
dell'architettura e delle dimensioni delle piante;
approfondimento degli aspetti tecnici -
commerciali (propagazione in vitro e in vivo,
nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,
modalità di preparazione e di trasporto)
2.3 Messa a punto di substrati alternativi anche
ad elevata capacità di ritenzione idrica.
3. studi sulla filiera produttiva e commerciale che
portino ad aggregazione e standardizzazione
dell’offerta
3.1 utilizzo di strategie, materiali, fonti
rinnovabili, impianti e strutture innovative nel
campo del risparmio energetico al fine della
riduzione dei costi di produzione; studio di
impiego dei sottoprodotti agricoli, agroalimentari
e zootecnici, nuovi prodotti e scarti di
macellazione per produzione energetica e il
recupero delle acque reflue per la riduzione
dell’impatto sull’ambiente
3.2 introduzione di prodotti e di sistemi innovativi
di prevenzione e difesa biologica e/o integrata,
anche in base alla razionale gestione dei
parametri climatici, messa a punto di kit per la
diagnosi precoce e di sistemi di monitoraggio
delle problematiche fitosanitarie; studio della
resistenza dei patogeni indotta dall'uso dei
fitofarmaci
3.3 studio dei fabbisogni idrici, nutrizionali ed
energetici e sviluppo di modelli e di sistemi
colturali alternativi
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4. sviluppo di strutture di protezione a basso costo
e ridotti consumi energetici.
6. studio di forme di aggregazione e
standardizzazione dell’offerta.
4) comune ai tre settori
OBIETTIVI AZIONI
4.1 messa a punto di opportune strategie di
divulgazione e di trasferimento che permettano
alle innovazioni di arrivare a contatto con la
produzione e supporto all’assistenza tecnica.
4.2 attività di divulgazione e trasferimento delle
conoscenze.
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BIOTECNOLOGIE ANIMALI E VEGETALI
Le opportunità offerte dallo sviluppo del settore biotecnologico, in particolare riguardo alla capacità delle
strumentazioni, in continua e rapida evoluzione, nonché delle conoscenze prodotte, in realtà più all’estero
che nel nostro Paese, ma con elementi di novità negli ultimi cinque-dieci anni anche in progetti nazionali.
Data la sensibilità che accompagna gli aspetti applicativi delle biotecnologie in agricoltura, un occhio di
riguardo è doveroso nei confronti delle evoluzioni in questo campo negli altri Paesi, ed anche per le novità
tecnologiche recenti nonché le possibilità di controllo, tracciabilità e vantaggi per la nostra agricoltura di
qualità.
Un quadro strategico di sviluppo non può prescindere dalla acquisizione di una adeguata strutturazione delle
disponibilità tecnologiche presenti sul territorio, che può poi essere focalizzata su necessità di ordine
legislativo-organizzativo (coesistenza OGM con colture tradizionali) o progetti strategici nazionali
(sequenziamento di una coltura mediterranea come l’olivo, oppure applicazione delle più avanzate tecniche
genetico molecolari su larga scala sulle colture tipiche)
Sicurezza alimentare, coesistenza, tracciabilità, tipizzazione prodotti agroindustriali. Le indicazioni di
Bruxelles sulla coesistenza tra OGM e colture convenzionali e biologiche nonché l’introduzione nel nostro
Paese di colture e sementi che necessitano di essere tracciate e documentate richiedono la nostra
attenzione nello sviluppo di adeguati strumenti per la valutazione, la riduzione e la gestione dei rischi/regole
associati all’impiego degli OGM in agricoltura.
Sullo stesso piano si pongono le necessità di migliorare lo stato sanitario delle specie di interesse agrario, la
qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari e la qualità dell’ambiente.
Sia il primo che il secondo punto necessitano dello sviluppo e l’applicazione di nuove tecniche di diagnostica
molecolare di facile applicazione, possibilmente economiche, di ampia diffusione.
Innanzi tutto la Rete necessita di individuare laboratori che si assumano il ruolo di Osservatori per il
monitoraggio di piante geneticamente modificati e loro prodotti. L’autorevolezza di questi laboratori superpartes,
ovvero non ideologicamente schierati, da individuare nelle Università o nei centri di ricerca più
avanzati nel nostro Paese, dovrebbero garantire quel necessario equilibrio nonché garanzia di assoluta
correttezza che un settore così delicato richiede. Non sono auspicabili infatti né allarmismi né eccessi di
superficialità ma assoluta credibilità e correttezza nelle analisi e nella diffusione dei risultati. Tali osservatori
dovrebbero dotarsi di analoghe e comparabili metodologie per il campionamento e l’individuazione di OGM
nelle sementi, nelle materie prime, negli ingredienti, negli alimenti e nei prodotti e per l’analisi di rilascio e
valutazione del rischio ambientale. Inoltre dovrebbero dotarsi di analoghe metodologie per valutare le
caratteristiche di sicurezza e nutrizionali di alimenti e mangimi geneticamente modificati. Periodicamente, e
su scala nazionale, tali monitoraggi dovrebbero essere sia di supporto al legislatore che di corretta diffusione
ai cittadini per una diffusa conoscenza dello stato dell’arte. Non ultimo si ritiene necessario a supporto della
normativa sulla etichettatura lo sviluppo di metodologie per la tracciabilità di OGM nella filiera agroalimentare
attraverso marcatori molecolari e biochimici.
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In parallelo alle necessità della sicurezza e della convivenza, si vede come indispensabile una
partecipazione allo sviluppo di nuovi metodi di trasformazione genetica “soft”, al fine di collaborare allo
sviluppo di tecnologie meno impattanti e contribuire alla crescita di biotecnologie ed ad una loro applicazione
controllata, si sottolinea, da istituzioni pubbliche, per una maggiore garanzia per la società.
Non ultimo, anche un maggior impegno delle istituzioni, dove maggiore è l’esperienza nel settore, nel flusso
della comunicazione all’utenza nei riguardi delle biotecnologie sarebbe fortemente auspicabile. Corsi di
scienza della comunicazione applicati al settore delle biotecnologie in particolare potrebbe garantire una
maggiore e migliore conoscenza nonché sensibilizzazione a queste tematiche anche nel nostro Paese,
visibilmente carente da questo punto di vista rispetto ai paesi nord europei.
Miglioramento genetico e applicazione tecnologie genomiche alla tipicità, al basso impatto ambientale, alla
qualità agro-alimentare. Piattaforme tecnologiche di elevato profilo si sono sviluppate anche nel nostro
Paese, pur con qualche ritardo rispetto agli altri paesi altamente industrializzati, ma in rapida ascesa. Queste
piattaforme, focalizzate sullo sviluppo delle “omiche” (metabolomica, genomica, trascrittomica, proteomica),
in gran parte nate in un contesto di ricerca di base, possono trovare ampia applicazione nelle attività di
miglioramento genetico, di tipizzazione dei prodotti nazionali, per un minor impatto antropico nell’ambiente
agrario, nonché per la caratterizzazione delle qualità nutrizionali dei prodotti agroalimentari nazionali.
Si auspicano fortemente, e si propone di stimolare, delle sinergie tra piattaforme tecnologiche sparse sul
territorio e si propongono progetti di ampia condivisione per coadiuvare tali sinergie. Un progetto di sicuro
interesse nazionale, e altamente caratterizzante la nostra agricoltura, è il sequenziamento del genoma
dell’olivo, ai fini delle sue applicazioni alla caratterizzazione del prodotto (sempre più malamente imitato), al
miglioramento genetico della pianta, alla conoscenza della pianta ai fini di un minore impatto antropico nelle
colture.
Altri progetti su colture orticole, di elevato valore aggiunto e altrettanto caratterizzanti una agricoltura di
qualità, focalizzati sulla analisi della biodiversità e salvaguardia del germoplasma, risanamento e
nicroporpagazione, nonché applicazione di tecnologie biotecnologiche avanzate, potrebbero trovare grande
supporto dalle piattaforme tecnologiche citate. Pertanto una rete di tali piattaforme sarebbe fortemente
auspicata con un forte supporto nazionale e regionale.
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SCHEDA N° 8 – BIOTECNOLOGIE ANIMALI E VEGETALI
OBIETTIVI AZIONI
1. Valutazione, riduzione e gestione dei rischi
associati all’impiego degli OGM in agricoltura e a
supporto delle strategie sulla coesistenza tra colture
transgeniche, convenzionali e biologiche.
1.1 Sviluppo e validazione di metodologie per
valutare le caratteristiche di sicurezza e nutrizionali di
alimenti e mangimi geneticamente modificati;
1.2 Istituzione di "Osservatori per il Monitoraggio di
piante geneticamente modificati e loro prodotti";
1.3 Sviluppo e validazione di nuove metodologie per
il campionamento e l’individuazione di OGM nelle
sementi, nelle materie prime, negli ingredienti, negli
alimenti e nei prodotti e per l’analisi di rilascio e
valutazione del rischio ambientale: sviluppo di corredi
commerciali e produzione seriale;
1.4 Sviluppo di metodologie per la tracciabilità di
OGM nella filiera agroalimentare attraverso marcatori
molecolari e biochimici a supporto della normativa
sulla etichettatura;
1.5 Sviluppo di nuovi metodi di trasformazione
genetica “soft” ;
1.6 Studi volti a definire sistemi di coltivazione e di
trasformazione di prodotti agroalimentari in filiere
“non OGM” e a supporto delle misure di gestione
relative alla coesistenza;
1.7 Valutazione del rischio biologico ed ambientale
della dispersione di OGM negli ecosistemi anche a
supporto alle misure di gestione relative alla
coesistenza;
1.8 Miglioramento del flusso della comunicazione
all’utenza nei riguardi delle biotecnologie.
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2. Sviluppo di nuove tecniche di diagnostica
molecolare al fine di migliorare lo stato sanitario delle
specie di interesse agrario, la qualità e la sicurezza
dei prodotti agroalimentari e la qualità dell’ambiente.
2.1 Sviluppo e validazione di supporti biotecnologici
per l’identificazione e la quantificazione dei principali
patogeni per le specie animali e vegetali di interesse
agrario;
2.2 Sviluppo e validazione di supporti biotecnologici
per l’identificazione e la quantificazione di agenti
contaminanti nelle filiere agroalimentari;
2.3. Analisi di composti biochimici e di marcatori
molecolari presenti nelle piante o nei prodotti
agroalimentari da consumo fresco o trasformati
utilizzabili per la tracciabilità del prodotto nella filiera
di trasformazione;
2.4. Analisi genica e miglioramento genetico di
microrganismi utili alla trasformazione agroindustriale
dei prodotti ortofrutticoli;
2.5 Miglioramento del monitoraggio ambientale con
tecniche di diagnostica molecolare;
2.6 Realizzazione di banche dati metabolomiche
delle specie vegetali più importanti per la regione
mediterranea, al fine di esaltare le qualità nutrizionali
delle specie caratterizzanti la dieta mediterranea
3. Miglioramento dell’efficienza della selezione
genetica nelle specie di interesse agrario e
caratterizzazione genetica degli ecotipi e delle razze
locali mediante marcatori molecolari.
3.1 Sviluppo, mantenimento e messa in rete delle
piattaforme tecnologiche a servizio del
miglioramento genetico assistito da marcatori
molecolari;
3.2 Tipizzazione genetica (fingerprinting) di razze,
ecotipi o individui di interesse.
3.3 Descrizione e caratterizzazione della biodiversità;
3.4 Sviluppo, ottimizzazione e trasferimento di
tecniche di colture cellulari o in vitro di specie
ortofrutticole per applicazioni di miglioramento
genetico tradizionale e biotecnologico, risanamento e
micropropagazione.
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4. Sviluppo di metodi di coltivazione e allevamento a
basso impatto ambientale basati sull’approccio
genomico
4.1 Sviluppo di piattaforme tecnologiche per il
sequenziamento di genomi e per la gestione
informatica dei risultati (bioinformatica) per un
ristretto gruppo di specie animali e vegetali rilevanti
per il territorio nazionale e non adeguatamente
esplorate.
4.2 Sequenziamento completo del genoma di una o
più specie di interesse agrario (specie vegetale
candidata: olivo)
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SELVICOLTURA – ARBORICOLTURA DA LEGNO – PRODOTTI FORESTALI NON LEGNOSI
Quadro generale del settore
Lo stato delle foreste e le prospettive del comparto forestale in Italia sono stati recentemente analizzati e
descritti in due documenti:
il documento di sintesi del Gruppo di lavoro “Foreste e cambiamento climatico”, redatto nel 2005
nell’ambito del Piano Strategico Nazionale propedeutico alla stesura dei Programmi di sviluppo
rurale regionali (di seguito PSR) 2007-13;
il successivo ed approfondito Piano Quadro per il settore Forestale (di seguito PQSF), redatto
da un gruppo di lavoro interistituzionale (MiPAAF, MATTM, INEA, Regioni) in attuazione della L.
296/2006 (Legge finanziaria 2007), approvato dalla Conferenza Stato Regioni in data
18.12.2008.
Facendo riferimento a tali documenti, in particolare all’ultimo, si traccia di seguito un quadro molto sintetico
del settore forestale italiano.
Le foreste e il comparto forestale in Italia
La superficie forestale in Italia, secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio 2005, è stimata
in 10,6 milioni di ettari, pari al 34,7% della superficie territoriale complessiva, con una chiara tendenza
all’aumento da alcuni decenni, a causa dell’abbandono delle colture agricole e dei pascoli nelle aree
marginali di montagna e collina.
All’interno della superficie forestale, l’arboricoltura da legno copre circa 120.000 ettari, dei quali 66.000 di
pioppeti, questi in netta diminuzione (superficie dimezzata dal 1982).
A fronte della notevole estensione delle foreste, va sottolineata la crescente consapevolezza della loro
importanza: accanto alle tradizionali funzioni di: (a) produzione (di legno - per l’industria o per energia - e di
prodotti non legnosi), e (b) protezione idrogeologica del territorio (tutela delle acque, dei suoli e dei versanti),
nell’ultimo quarto del secolo scorso si sono evidenziate altre importanti valenze sociali e ambientali:
il miglioramento e il mantenimento del paesaggio;
la fruizione, a scopo ricreativo o didattico;
la depurazione dell’aria, l’assorbimento e la fissazione di anidride carbonica;
la conservazione della biodiversità, vegetale e animale.
Peraltro tali servizi finora non sono stati concretamente riconosciuti e remunerati al proprietario o al gestore,
accentuando così l’abbandono di gran parte delle superfici forestali montane, spesso con scarsa attitudine
produttiva e a macchiatico negativo.
Considerando la sola funzione di produzione di materie prime legnose dalle foreste e dall’arboricoltura,
secondo i dati ISTAT il valore complessivo di tali prodotti, come media nell’ultimo ventennio, ammonta a
poco più dell’1% della produzione totale del settore primario.
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Sul totale delle utilizzazioni nazionali, in media 7-8 milioni di metri cubi all’anno secondo l’ISTAT, oltre il 60%
è costituito da legna da ardere (il prelievo di legna da ardere è in realtà ben superiore, sfuggendo alle
rilevazioni statistiche la gran parte dei tagli effettuati nei cedui). Per quel che riguarda il legname da lavoro,
circa il 40% proviene dalla pioppicoltura, che occupa poco più dell’1% della superficie forestale italiana.
Considerando che l’importazione annua (soprattutto di legno grezzo e semilavorato) è pari a circa 14 milioni
di metri cubi, l’Italia risulta il Paese dell’UE a 25 (esclusi Malta e Lussemburgo) con il più basso grado di
autosufficienza nell’approvvigionamento di materia prima legnosa per l’industria.
Il PQSF individua i seguenti punti di forza del settore forestale e dei boschi italiani:
il costante aumento della superficie forestale italiana (circa un terzo del territorio nazionale);
l’incremento annuale della provvigione superiore ai tassi di utilizzo;
la crescente tendenza alla gestione forestale pianificata;
l’elevata diversità paesaggistica e territoriale e diversificata presenza di habitat, fauna e flora;
l’elevata presenza di aree forestali protette;
la molteplicità di funzioni, servizi e beni che le foreste offrono alla collettività;
l’azione positiva di prodotti forestali e attività connesse sullo sviluppo di importanti settori economici
(costruzioni, pannelli, industria cartaria, riciclo, energia, commercio).
Più numerosi i punti di debolezza evidenziati:
scarsa gestione attiva del territorio e del patrimonio forestale;
frammentazione e dispersione delle proprietà forestali e ridotta dimensione aziendale;
scarsa propensione del settore forestale a un adeguamento gestionale, strutturale e produttivo;
scarso ricambio generazionale e vulnerabilità delle culture tradizionali legate alle attività
forestali;
insufficiente rete viaria e difficoltà di accesso alla proprietà;
scarsa qualità merceologica del legname, produttività incostante e forte dipendenza dall’estero;
mancanza di informazioni di settore armonizzate, sia cartografiche che statistiche;
inadeguatezza del sistema di leggi, piani e modelli organizzativi nazionali, regionali e locali;
mancanza di coordinamento tra i diversi strumenti di programmazione, di pianificazione
territoriale e tra i diversi soggetti che operano nel settore;
scarsa integrazione verticale ed orizzontale tra le imprese che operano nelle filiere forestali
carenze formative di tipo tecnico e gestionale per addetti, operatori e proprietari;
difficoltà a remunerare i servizi non monetari offerti dalle risorse forestali.
Il PQSF individua quindi priorità d’intervento, raggruppate in 4 ambiti e di seguito riassunte:
1. Priorità strutturali
incentivare la gestione attiva e un’adeguata pianificazione forestale mirate al mantenimento e al
miglioramento della sostenibilità e della multifunzionalità;
prevedere nuovi strumenti di politica fiscale, che supportino lo sviluppo competitivo dell’economia
forestale;
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promuovere nuovi modelli organizzativi idonei a garantire una gestione attiva e costante della
proprietà forestale pubblica e privata (modelli associati e partecipati);
tutelare le imprese e gli operatori forestali riconoscendone il ruolo sociale, migliorare produttività e
sicurezza del lavoro in bosco;
favorire e valorizzare lo sviluppo della filiera foresta-legno, tramite la realizzazione di filiere corte e
un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori;
promuovere la certificazione forestale e la rintracciabilità del legno;
adeguare le infrastrutture alla multifunzionalità forestale, minimizzando gli impatti negativi
sull’ambiente;
incentivare la formazione sia tecnico specialistica, gestionale e di sicurezza sul lavoro che
ambientale.
2. Priorità di tutela e conservazione:
potenziare la tutela della biodiversità negli ecosistemi forestali;
promuovere la gestione integrata bosco-fauna;
incentivare la realizzazione di interventi di imboschimento, privilegiando specie autoctone e
materiale di provenienza certificata e locale, favorendo la ricostituzione di areali frammentati;
promuovere le iniziative strategiche volte alla salvaguardia in situ ed ex situ del patrimonio
genetico forestale;
incentivare il mercato dei prodotti e delle attività ad “emissione zero”, promuovendo la cultura
dell'uso del legno a partire dal Green Public Procurement;
definire strategie di lungo termine per la tutela del patrimonio forestale dai rischi e fenomeni di
degrado (incendi, patogeni, fenomeni climatici estremi);
3. Priorità di presidio del territorio:
favorire la permanenza delle comunità nei luoghi di montagna e di collina, attraverso la
creazione e/o valorizzazione di adeguati servizi;
riconoscere agli imprenditori e proprietari forestali i benefici diffusi e servizi di pubblico
interesse, che una corretta gestione del bosco produce a favore dell’intera collettività;
promuovere, prioritariamente nei contesti rurali e nelle aree montane, lo sviluppo e la creazione di
filiere collegate all’utilizzo energetico delle biomasse forestali.
4. Priorità di coordinamento:
promuovere l’armonizzazione e la semplificazione normativa in ambito forestale, favorendo la
condivisione di intenti e il coordinamento fra le istituzioni competenti, incentivando l’armonizzazione
dei sistemi di monitoraggio e pianificazione forestale;
creare una struttura permanente di coordinamento che rappresenti il punto di riferimento
interistituzionale sia per l’attuazione delle politiche forestali sul territorio nazionale che per tutto il
settore;
valorizzare gli strumenti, i metodi e i processi di programmazione e gestione lungimiranti, sostenibili,
condivisi e partecipati.
Infine il PQSF definisce 4 obiettivi prioritari nazionali:
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A. sviluppare un’economia forestale efficiente e innovativa, presupposto per l’uso sostenibile del
patrimonio forestale;
B. tutelare il territorio e l’ambiente;
C. garantire le prestazioni di interesse pubblico e sociale, trasformando i boschi in uno strumento di
sviluppo, coesione sociale e territoriale;
D. favorire il coordinamento e la comunicazione, al fine di coordinare e calibrare gli obiettivi
economici, ambientali e socioculturali ai diversi livelli organizzativi e istituzionali, informando anche il
pubblico e la società civile.
Tutti e 4 concorrono all’Obiettivo Generale:
incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento
climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo
termine, la multifunzionalità e la diversità delle risorse forestali.
Le linee prioritarie per la ricerca forestale definite dalle Regioni
Di seguito vengono sinteticamente illustrati i contenuti della scheda delle priorità della ricerca individuate dal
Gruppo di Competenza Selvicoltura, Arboricoltura da legno, Prodotti forestali non legnosi.
Il GC si è attivato fin dall’inverno 2008-09 per una revisione approfondita delle Linee prioritarie per la ricerca
forestale, tenendo conto che:
- le priorità espresse nella consultazione 1998-99 tra le Regioni, preliminare al progetto Ri.Selv.Italia,
non avevano subito modifiche rilevanti nei successivi 10 anni;
- nuovi problemi e nuove esigenze di ricerca stavano emergendo dalla prima attuazione dei
Programmi di Sviluppo Rurale regionali PSR 2007-13.
Nell’impostare la revisione delle Linee prioritarie si è tenuto conto in particolare di due aspetti:
- i risultati e i suggerimenti emersi dal progetto di ricerca nazionale forestale Ri.Selv.Italia, oggetto di
approfondita valutazione da parte del GC durante il 2008;
- il fatto che l’obiettivo guida, definito dagli atti e accordi, stipulati a livello internazionale, comunitario e
nazionale, buon ultimo il PQSF, non potesse che essere la gestione forestale sostenibile.
Ciò premesso, operativamente, si è ritenuto opportuno distinguere la gestione sostenibile dei boschi dalla
gestione sostenibile delle piantagioni legnose fuori foresta.
Sono stati perciò definiti due ambiti principali: (1) pianificazione e gestione forestale sostenibile, (2)
piantagioni fuori foresta.
Per rendere più efficace l’individuazione delle azioni di ricerca, si è poi preferito esplicitare altri tre ambiti,
trasversali alla selvicoltura e all’arboricoltura da legno: (3) vivaistica forestale; (4) prodotti e servizi,
economia, mercato, societa'; (5) interazioni con le altre componenti dell’ ecosistema.
All’interno dei 5 ambiti sono stati poi individuati 19 temi, in alcuni casi ulteriormente dettagliati in sottotemi.
Al termine di un lavoro che ha coinvolto ben 18 Amministrazioni su 21, sono state esplicitate 62 azioni di
ricerca, raggruppate in corrispondenza a ciascun tema secondo le priorità espresse dalle Regioni.
Gli ambiti in cui le azioni di ricerca risultano più dettagliate e numerose sono: Piantagioni fuori foresta (in
particolare il nuovo tema Nuove foreste, fasce tampone boscate e sistemi verdi in pianura) e Pianificazione
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e gestione forestale sostenibile, staccato di poco l’ambito Prodotti e servizi, economia, mercato, societa',
nettamente più indietro Vivaistica forestale e Interazioni con le altre componenti dell’ ecosistema, ambiti che
comunque si è ritenuto opportuno mantenere distinti dai macroambiti dei boschi e dell’arboricoltura.
Scorrendo le 62 azioni di ricerca, si ritrova una stretta correlazione con le priorità (strutturali, di tutela e
conservazione, di presidio del territorio) individuate dal PQSF.
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SCHEDA N°9
SELVICOLTURA – ARBORICOLTURA DA LEGNO – PRODOTTI FORESTALI NON LEGNOSI
AMBITO AZIONI DI RICERCA
1) pianificazione e gestione forestale sostenibile
Pianificazione forestale e inventari
Monitoraggio delle risorse forestali: parametri e
metodologie comuni per gli inventari e per le indagini
sullo stoccaggio del Carbonio e su altri aspetti
ambientali
1. Ricerca sugli effetti della gestione forestale
sullo stoccaggio del Carbonio, confrontando
diverse modalità di gestione attiva e la libera
evoluzione.
2. Inventario nazionale di 3 ^ fase: metodi
applicativi comuni per utilizzo e integrazione a livello
regionale dei dati sugli stock di Carbonio.
3.Utilizzo di dati telerilevati (LIDAR, immagini
multispettrali da satellite, etc.) per la
caratterizzazione dei popolamenti forestali ai fini
gestionali, protocolli per inventari, pianificazione
forestale e mappaggio di danni.
4. Studio sulla realizzazione della carta dei disturbi
in foresta (incendi, danni abiotici, attacchi
parassitari) da integrare nei Piani di gestione
forestale, anche per monitorare gli impatti sul bilancio
del carbonio.
Linee guida di pianificazione forestale: sistemi e
metodi, anche per aree protette e siti Natura 2000
Individuazione di criteri e metodi comuni per la
pianificazione forestale territoriale o di area vasta,
come strumento interdisciplinare valido anche per le
proprietà private, collegato agli altri strumenti di
pianificazione territoriale.
Selvicoltura
Gestione di boschi in situazioni speciali 1. Deperimento dei querceti: studio delle dinamiche
e delle possibilità gestionali.
2.Gestione dei boschi di neo formazione su ex
coltivi in ambiente mediterraneo e su ex pascoli
in ambiente alpino.
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3.Metodi di gestione selvicolturale in aree
mediterranee vulnerabili.
4. Cedui invecchiati: studio delle dinamiche
evolutive e della gestione sostenibile al fine di
valorizzarne la multifunzionalità anche attraverso la
selvicoltura d'albero.
5. Gestione delle pinete di origine artificiale
orientata alla rinaturalizzazione.
Selvicoltura e manutenzione del territorio
(sistemazioni idraulico-forestali e ingegneria
naturalistica)
1. Valutazione della stabilità e della funzione di
protezione della copertura forestale, con particolare
riferimento ai cedui invecchiati di castagno.
2.Vegetazione riparia: valutazione della stabilità
meccanica e della funzione consolidante delle specie
riparie, con particolare riferimento alle Salicacee.
Selvicoltura per la prevenzione degli incendi boschivi
e ripristino delle superfici percorse da incendio
Metodologie e tecniche per la prevenzione incendi
e tecniche di ripristino post-incendio a minimo
costo.
Selvicoltura e paesaggio 1. Definizione di criteri comuni per l'individuazione e
gestione dei boschi e degli alberi di interesse
storico, culturale, spirituale e paesaggistico.
2.Istituzione di una rete nazionale di riserve
forestali.
Conservazione ed aumento della biodiversità Individuazione di parametri e indicatori per la
determinazione oggettiva del livello di
biodiversità specifica e strutturale dei popolamenti
forestali e per la valutazione quali-quantitativa
della necromassa.
Sistemi di lavoro in bosco
Sistemi di utilizzazione forestale e loro sostenibilità 1. Indicatori, metodi e sistemi di utilizzazione
sostenibile (con riferimento anche alla sicurezza
degli operatori e al mantenimento della funzionalità
ecosistemica) delle biomasse forestali a scopo
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energetico.
2. Definizione di standard ottimali di
meccanizzazione e della rete viaria per la
sostenibilità delle utilizzazioni.
2) piantagioni fuori foresta
Arboricoltura da legno e multifunzionale con
latifoglie di pregio
Nuove piantagioni: modelli colturali, ecologia, funzioni 1. Studio e sperimentazione di nuovi modelli
colturali finalizzati ai diversi ambienti (pianura,
collina, montagna) ed obiettivi (produzione legnosa,
ambiente, ecc.), e con specie con cicli di diversa
lunghezza.
2. Carte di vocazionalità/attitudine per tipologia di
impianto e specie.
Impianti esistenti: modelli per la gestione e il
recupero
Metodi e indicatori per il monitoraggio e la
valutazione, anche in riferimento agli assortimenti
legnosi ritraibili, e indicazioni per la gestione e il
recupero degli impianti.
Nuove foreste, fasce tampone boscate e sistemi
verdi in pianura
1. Studio di modelli selvicolturali multifunzionali,
con particolare riferimento alla funzione di tutela delle
acque
2. Individuazione di moduli colturali atti a diminuire il
livello di artificialità dei nuovi boschi e di metodi per
incrementare/valutare la biodiversità (floristica,
micologica, pedologica, faunistica) dei nuovi boschi di
pianura.
3. Ricerche sulla capacità fonoassorbente e di
captazione polveri delle bande boscate.
4. Criteri e linee guida per la creazione di corridoi
ecologici, mettendo in rete nuovi boschi e boschi
relitti preesistenti.
5. Creazione di modelli in cui si persegua anche la
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produzione legnosa di pregio assieme alle altre
funzioni richieste.
6.Realizzazione di modelli di impianto adatti per le
fasce fluviali.
Piantagioni legnose per biomasse a fine
energetico (SRF)
1. Indagine sulle vocazioni territoriali della coltura.
2.Individuazione di modelli logistico-organizzativi.
3. Sperimentazione di nuovi macchinari per la
raccolta della biomassa
Pioppicoltura Creazione di una rete di parcelle prova dei vari
cloni già registrati o in via di registrazione nei vari
ambiti regionali.
Piantagioni multifunzionali e cambiamenti
climatici
Realizzazione di impianti che garantiscano un miglior
adattamento al riscaldamento globale, impiegando
anche specie d'interesse economico (es. sughera,
cipresso).
Tema trasversale a tutte le tipologie di piantagioni:
Monitoraggio e inventari, compreso gli aspetti
ecologici, il bilancio energetico e del carbonio
nelle piante e nei suoli delle piantagioni
1. Creazione di una rete interregionale di impianti
sperimentali e dimostrativi, anche per la
valutazione dei prodotti e servizi ambientali,
economici e sociali, compreso lo stoccaggio del
carbonio.
2.Definizione di una metodologia inventariale
continua e comune a tutte le Regioni, in particolare
per il monitoraggio delle risorse pioppicole, al fine
di predisporre un Data base nazionale, svincolato dai
rilievi statistici periodici
3.Individuazione di criteri e metodi comuni per la
valutazione della qualità di piante in piedi e dei
potenziali assortimenti e per la valorizzazione dei
prodotti legnosi intermedi.
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4. Studio degli effetti sull'ambiente (acqua, suolo,
fauna, ecc.) delle diverse tipologie d’impianto a
confronto tra loro e con le colture agricole
tradizionali (es. mais).
5.Individuazione di pacciamature alternative al film
plastico tradizionale, sostenibili per costi e impatto
ambientale.
3) VIVAISTICA FORESTALE (ambito trasversale)
Conservazione della biodiversità in situ
(popolamenti da seme) e nelle successive fasi di
raccolta, trattamento del seme e produzione del
materiale di propagazione
1. Individuazione delle regioni di provenienza a
livello nazionale, anche tramite la caratterizzazione
genetica delle principali specie arboree e di alcune
arbustive di particolare interesse.
2. Realizzazione con criteri comuni di una rete
interregionale di arboreti da seme e di prove di
provenienza.
3. Linee guida comuni per la gestione dei boschi
da seme (disciplinari, piani di gestione forestale).
4. Metodologie di conservazione del seme e di
produzione vivaistica adeguate al mantenimento
della biodiversità intraspecifica.
Definizione di criteri e standard per la
qualificazione del materiale di moltiplicazione, in
relazione ai diversi tipi di impiego.
1. Messa a punto di linee guida per le principali
specie arboree finalizzate all'ottenimento di
materiale forestale di moltiplicazione con adeguati
requisiti morfologici, fisiologici e sanitari.
2. Selezione e valorizzazione di materiali forestali di
moltiplicazione per piantagioni a finalità
produttiva.
4) PRODOTTI E SERVIZI, ECONOMIA, MERCATO,
SOCIETA' (ambito trasversale)
Qualificazione e riconoscimento professionale
delle imprese forestali
1.Criteri e percorsi per omogeneizzare i diversi
sistemi di riconoscimento della professionalità
attivi a livello regionale (patentini e albi).
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2.Definizione giuridica e fiscale dell'impresa
forestale.
Metodi, parametri e indicatori per la valutazione
economica ed ambientale di interventi pubblici
(PSR in primis)
1. Definizione di linee guida condivise per la
realizzazione di prezzari.
2.Stima dei minori redditi e dei maggiori costi
della gestione sostenibile dei cedui rispetto alla
gestione tradizionale.
Qualificazione e quantificazione dei prodotti
legnosi dai boschi e dalle piantagioni,
miglioramento del mercato e monitoraggio delle
filiere
1. Studio di fattibilità territoriale per la creazione
di filiere corte di prodotti legnosi derivanti dalla
selvicoltura e dall'arboricoltura a ciclo medio-lungo,
per usi industriali e/o energetici.
2. Nuovi impieghi, prodotti e processi di
trasformazione del legno dalla selvicoltura e
dal'arboricoltura.
3. Realizzazione di osservatori del mercato del
legno (pioppo, legname da opera etc.) finalizzati ad
una maggiore trasparenza e migliore funzionamento
del mercato stesso.
4.Costituzione di banche dati regionali e
interregionali su ditte boschive e imprese di
trasformazione.
5. Classificazione, sistemi di marcatura,
tracciabilità geografica del legname con impiego di
metodologie analitiche.
6. Definizione dei profili prestazionali per il
legname di specie locali.
Funzioni non produttive degli ecosistemi
forestali
Ricerca applicata sulla valutazione economica dei
servizi ambientali e sociali forniti dal bosco alla
collettività con particolare riguardo a: protezione
acque e suoli, tutela della biodiversità, funzione
ricreativa. Definizione di un metodo di valutazione del
valore economico per alcuni gruppi di servizi.
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Prodotti forestali non legnosi (tartufi, funghi,
sughero, castagne, fauna selvatica, oli essenziali,
ecc.)
Valutazione economica e sostenibilità dell'utilizzo
dei boschi per produzioni non legnose
Utilizzo responsabile/sostenibile di prodotti
legnosi
1. Ricerca volta a individuare quali sono i punti di
forza e le debolezze del Green Public Procurement
e dei prodotti legnosi certificati in Italia.
2.Valorizzazione di prodotti legnosi locali
(es.quercia, castagno, robinia, larice) in sostituzione
di legname tropicale (soprattutto se di dubbia
provenienza) e di materiali ad alta intensità
energetica.
5) INTERAZIONI CON LE ALTRE COMPONENTI
DELL’ ECOSISTEMA (ambito trasversale)
Difesa dalle avversità biotiche 1. Adozione di un protocollo fitosanitario per aree
geografiche omogenee (alpina, appenninica,
mediterranea) di controllo, lotta e monitoraggio dei
principali organismi biotici dannosi, già presenti o
di probabile introduzione (es. specie esotiche
invasive di Heterobasidion, Phytophtora ramorum).
2. Riscaldamento globale: individuazione di scenari
di incremento degli organismi biotici dannosi e
definizione di strategie di contenimento dei danni.
Gestione sostenibile della fauna in rapporto alla
selvicoltura e all' arboricoltura da legno
1. Valutazione dei danni ecologici ed economici
dagli ungulati selvatici in bosco.
2.Interventi selvicolturali mirati al miglioramento
dell'habitat dei galliformi alpini.
3. Valutazione della sostenibilità dell'allevamento di
animali domestici in bosco.
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FRUTTICOLTURA
compreso agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca, castagno e valorizzazione tecnologica della frutta
Il comparto frutticolo costituisce uno dei settori più importanti a livello di produzione agroalimentare
nazionale. Benché il settore sia stato interessato, specie negli ultimi anni, da alterne situazioni di
profonda crisi che hanno riguardato diversi livelli della filiera, la superficie frutticola totale ammonta a più di
439 mila ettari, con una produzione complessiva di circa 7,2 milioni di tonnellate di prodotto
commercializzato per un valore totale superiore ai 2,5 miliardi di euro. (dati riferiti all’anno 2008). Per l’uva da
tavola la produzione interessa circa 70 mila ettari per un totale di 1,3 milioni tonnellate.
Per quanto concerne gli agrumi la superficie totale supera i 170 mila ettari e la produzione supera i 3,5
milioni di tonnellate per un valore totale superiore ad 1,2 miliardi di euro.
Nel complesso, nel 2008 sono stati prodotti circa 25,4 milioni di tonnellate di frutta, agrumi e uva da
tavola interessando una superficie superiore a 680 mila ha. La PLV dei prodotti frutticoli raggiunge nel
2007 i 11,3 milioni di euro, che rappresenta il 28% dell’intera PLV agricola.
Per il castagno si rileva un notevole calo delle produzioni, tanto che dal 2003 ci si attesta su produzioni
intorno a 550.000 quintali, per una superficie coltivata di circa 76.000 ha.
La fragola ricopre una superficie di circa 3600 ha di cui quasi l’80% in coltura protetta, con una produzione di
656.672 quintali.
I piccoli frutti (lampone, ribes, mora e mirtillo) rappresentano all’interno del panorama frutticolo italiano una
piccola, ma importante componente, sia per la quota attualmente rappresentata (circa 500 ha di superficie,
per una produzione di più di 30.000 quintali), sia per le prospettive di sviluppo.
Nell’anno 2007 i prezzi medi al dettaglio dell’ortofrutta sono cresciuti del 4% rispetto all’anno
precedente; la frutta ha registrato un aumento addirittura del 9% mentre per gli ortaggi è scesa lievemente (-
0,9%). Il confronto rispetto al 2000 evidenzia un aumento rispettivamente del 35% per la frutta e del 40% per
gli ortaggi.
L’andamento negativo dei consumi e la sempre maggiore concorrenza estera richiedono interventi
innovativi volti al rilancio del comparto frutticolo dal lato sia dell’offerta che della domanda.
Dal lato dell’offerta, si deve innanzitutto agire sul fronte della riduzione dei costi di produzione
attraverso l’adozione di tecniche colturali a più bassa intensità di input produttivi. Il maggiore
orientamento della produzione al mercato può essere agevolato con lo sviluppo di adeguate tecniche
per l’organizzazione aziendale nonché di specifiche tecniche commerciali e di marketing.
E’, inoltre, importante sostenere la riconversione varietale per le produzioni non adeguate alle
esigenze di mercato e le misure di lotta alle fitopatologie. La riconversione varietale è riveste
particolare importanza nelle aree non caratterizzate dalla presenza di un patrimonio genetico locale
che deve essere salvaguardato e per il quale devono essere avviate adeguate campagne di
valorizzazione.
Sempre ai fini di agevolare l’integrazione di filiera, è opportuno provvedere alla promozione di livelli
di efficienza dei sistemi distributivi e di trasporto agendo sull’ottimizzazione dei sistemi logistici,
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estremamente importanti nel caso della frutta, che implica la gestione dei prodotti freschi e l’utilizzo
della catena del freddo
Sulla domanda è possibile intervenire sviluppando azioni di valorizzazione alimentare e di promozione al
consumo, che esaltino la stagionalità, la sicurezza e la convenienza della merce italiana e gli effetti
positivi per la salute del consumo della frutta.
In relazione a quanto sopra indicato si sono individuati come prioritari i seguenti obiettivi e le azioni relative:
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SCHEDA N° 10 – FRUTTICOLTURA
compreso agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca, castagno e valorizzazione tecnologica della frutta
OBIETTIVO AZIONI
1) Incremento della qualità dei frutti (compresa
agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca,
castagno)
1.1 Miglioramento genetico delle varietà e dei
portinnesti per l’incremento della qualità globale e la
resistenza ad organismi nocivi animali e vegetali,
anche con interventi di tipo biotecnologico. (p. e.
Selezione assistita con impiego genomica, nel
rispetto della normativa vigente sullo stato sanitario,
mediante accertamenti sanitari ed eventuale
risanamento)
1.2 Completamento dell’attività relativa alle liste di
orientamento varietale dei fruttiferi (anche specie
minori e frutta secca) e dei portinnesti, attraverso
una maggiore concertazione col mondo produttivo e
nel rispetto della normativa vigente sullo stato
sanitario del materiale.
1.3 Messa a punto di protocolli diagnostici in grado
di intercettare i patogeni in modo rapido, semplice e
affidabile
2) Razionalizzazione dei metodi di difesa nel frutteto
e del vivaismo.
2.1 Studio e indagine su malattie infettive emergenti
causate da fitoplasmi, virus e batteri e messa a
punto di idonei mezzi di prevenzione/lotta a livello
interregionale
2.2 Studi sull’ottimizzazione e sull’adeguamento delle
diverse linee tecniche e strategie di difesa, in sintonia
con l’evolversi degli scenari di coltivazione, dei
cambiamenti del clima e della disponibilità di agro
farmaci a seguito della revisione comuniaria.
2.3 Studio sul potenziamento degli aspetti preventivi
di carattere agronomico e colturale, per ridurre
l’incidenza delle problematiche fitosanitarie (aumento
della biodiversità, razionalizzazione della nutrizione,
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varietà resistenti e/o tolleranti alle principali avversità,
ecc..).
2.2 Studio sulla validazione delle metodiche per gli
accertamenti sanitari e di corrispondenza varietale
per la certificazione delle produzioni vivaistiche a
livello nazionale.
2.3 Messa a punto di disciplinari per produzioni
vivaistiche di qualità anche per agricoltura biologica
3) Analisi dei sistemi di organizzazione aziendale
finalizzate al contenimento dei costi di produzione.
3.1 Definizione ed analisi dei punti critici dei costi di
produzione di impianti frutticoli e di gestione delle fasi
di post raccolta e di condizionamento nelle diverse
aree produttive nazionali
3.2 Studi per mettere a punto sinergici sistemi
produttivi frutticoli volti a aumentare la
diversificazione dell’impresa frutticola anche
mediante la trasformazione e la vendita diretta e
analisi della redditività degli investimenti necessari.
4) Valorizzazione delle produzioni frutticole e delle
loro caratteristiche alimentari e nutrizionali.
4.1 Innovazioni di prodotto e di processo nel settore
del consumo fresco e della trasformazione
industriale, con particolare riferimento ai prodotti
minimamente processati (es. IV gamma)
4.2 Caratterizzazione dei prodotti, dei componenti di
interesse nutrizionale e degli allergeni nelle strutture
dei tessuti vegetali (genetica, qualitativa,
nutrizionale, sanitaria).
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AGROBIODIVERSITA’ ANIMALE E VEGETALE IN ITALIA
Premessa
La Conferenza-Stato Regioni, in data 14 febbraio 2008, ha approvato il Piano Nazionale sulla Biodiversità di
interesse Agricolo, pubblicato sul sito del MiPAAF e attualmente in fase di attuazione.
Tale Piano risulta essere il primo piano nazionale sulla biodiversità che sia mai stato approvato in Italia ed
ha visto il concorso di tutte le Regioni e Province Autonome attraverso la Rete Interregionale per la Ricerca
Agraria, Forestale, Acquacoltura e Pesca e il MiPAAF tramite il CRA.
L’attività del Piano si è avviata con la costituzione del Comitato permanente delle risorse genetiche
(nominato dal MiPAAF su designazione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome)
ed ha operato a partire dal 24 marzo 2009. Il Comitato ha il compito di raccogliere la domanda di ricerca
emergente dal territorio e di convogliarla alle istituzioni scientifiche competenti, di favorire lo scambio di
esperienze e di informazioni per l’applicazione della normativa vigente, di assicurare uno sviluppo delle
azioni nazionali e regionali in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale sulla Biodiversità, di concentrare le
domande e le proposte progettuali di intervento a livello locale e nazionale in materia, allo scopo informativo,
propositivo e se possibile di coordinamento delle azioni da realizzare, favorendo il trasferimento delle
informazioni agli operatori locali. Ciò in quanto si rende sempre più necessario un coordinamento delle
iniziative messe in atto dai diversi soggetti scientifici al fine di evitare la duplicazione delle iniziative e il
disperdersi di risorse economiche e umane su iniziative locali.
Il suddetto Comitato è così costituito:
Blasi Giuseppe (MIPAAF) con funzioni di coordinamento;
Russo Vincenzo (MIUR)
Gomes Stefano (Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare)
Bianchi Alessandra Regione Lazio
Cilardi Anna Maria Regione Puglia
Soster Moreno Regione Piemonte
Spartà Giuseppe Regione Siciliana
Turchi Rita Regione Toscana
I punti salienti del Piano Nazionale sono:
il concetto di biodiversità agricola o agrobiodiversità;
la definizione di razze e varietà locali;
l’individuazione di uno strumento a livello nazionale come l’Anagrafe delle razze e varietà locali che,
similmente a quanto avviene per i repertori o registri regionali, deve riportare la caratterizzazione
morfologica e ove possibile anche quella genetica delle varietà vegetali locali e razze animali
autoctone presenti sul territorio italiano; deve riportare inoltre il rapporto di esse con il territorio
(ricerca storico-documentale, interviste agli attori locali) volta a dimostrare il reale legame con esso
delle varietà locali regionali; l’Anagrafe ha lo scopo di creare un quadro informativo corretto per
impostare un altrettanto corretta tutela delle varietà e razze locali e delle azioni da intraprendere ad
essa legate sia a livello nazionale che regionale;
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le priorità per una corretta tutela dell’agrobiodiversità dalle quali discendono i relativi obiettivi da
raggiungere nel triennio di attuazione del Piano, di seguito riportate (obiettivi già approvati in sede di
Comitato permanente delle risorse genetiche):
o definizione a livello nazionale degli strumenti operativi minimi, comuni e condivisi per la
ricerca e l'individuazione di varietà e razze locali, la loro caratterizzazione, la definizione del
rischio di erosione/estinzione e infine per la loro corretta conservazione "in situ", "on farm"
ed "ex situ", attraverso i seguenti obiettivi:
l’individuazione dei descrittori comuni per specie per la caratterizzazione delle
varietà vegetali e delle razze-popolazioni animali locali;
la definizione di una metodologia comune e condivisa per la ricerca e la
caratterizzazione delle varietà e razze-popolazioni locali al fine di permettere il
confronto dei dati e dei risultati, l’uso comune dei termini e degli strumenti utilizzati a
livello locale;
la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ”, "on farm" ed
“ex situ” delle varietà vegetali locali;
la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ”, "on farm" ed
“ex situ” delle razze-popolazioni animali locali;
la definizione di rischio di estinzione e di erosione genetica, attraverso soglie o
criteri, per le principali specie vegetali del settore agricolo;
o realizzare progetti interregionali, volti essenzialmente all'applicazione degli strumenti
operativi definiti, per l'individuazione, la caratterizzazione, la valutazione e la conservazione
delle varietà e razze locali;
o l’attivazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali e del sistema
nazionale di tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario anche con progetti
interregionali.
In merito alla ricerca e sperimentazione, il Piano Nazionale sulla Biodioversità di interesse Agricolo prevede
quanto segue:
Risorse genetiche vegetali
È necessario proseguire e implementare le azioni già in atto al fine di conseguire l’obiettivo di
conservazione, caratterizzazione, valorizzazione e documentazione della biodiversità delle risorse genetiche
vegetali presenti, ai diversi livelli (privato e pubblico) anche mediante una capillare indagine conoscitiva sul
territorio, finalizzata alla raccolta mirata del materiale vegetale esistente, attraverso il coinvolgimento attivo
degli agricoltori mettendo in atto le seguenti azioni:
rinnovamento, dove necessario, delle attuali collezioni di germoplasma attraverso
moltiplicazione, ri-collezione o ri-acquisizione del materiale da altre fonti;
mantenimento della biodiversità delle diverse specie presenti;
raccolta di materiale genetico e costituzione di collezioni di germoplasma specifiche per
alcune specie (quali ad esempio arancio amaro, arancio dolce, limone)
rilievi fenologici, morfo-fisiologici, produttivi, sanitari etc., sulle collezioni e correlazioni fra i
caratteri morfologici e fisiologici.
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L’attività di valorizzazione prevista si incentrerà sulle seguenti azioni:
predisposizione di cataloghi agronomici di interesse applicativo;
avvio di prove agronomiche ‘regionali’ per la valutazione delle vecchie cultivar più interessanti
per un recupero produttivo e amatoriale.
Per le risorse genetiche vegetali, si rende inoltre necessario rivedere il sistema di conservazione delle
varietà locali, attualmente svolta prevalentemente “ex situ”, essendoci
concretamente l’impossibilità di conservare una risorsa genetica vegetale solo attraverso le
banche del germoplasma (CDB e Trattato FAO 2001). È pertanto necessario individuare nelle reti di
agricoltori delle comunità locali, il principale punto di forza della conservazione delle risorse genetiche. Tutto
questo va supportato dalla sperimentazione e attuazione di metodi di monitoraggio e di osservazione
continua dell’attività all’interno delle varie reti di agricoltori, svolta da parte dei soggetti scientifici responsabili
delle banche del germoplasma.
Risulta, anche, di fondamentale importanza che i soggetti scientifici che operano nell’ambito delle risorse
genetiche, mettano a disposizione degli Enti locali la loro esperienza, i loro laboratori per la caratterizzazione
genetica o molecolare delle varietà locali, qualora ve ne fosse necessità. Questo risulta di particolare
importanza in considerazione della possibilità di avviare con la nuova programmazione, solo alcune tipologie
di interventi per i quali si rendono necessarie azioni complementari e integrative.
Risorse genetiche microbiche
Lo studio della diversità microbica a partire dagli acidi nucleici direttamente estratti da suolo viene realizzato
utilizzando oligonucleotidi specifici per l'RNA ribosomiale e/o per geni (segmenti di DNA codificanti
polipeptide/i) codificanti funzioni metaboliche specifiche, capaci di rivelare un determinato gruppo di
microrganismi come pure di descrivere i rapporti tra le varie popolazioni delle comunità microbiche.
Risorse genetiche animali
Presupposto fondamentale per la conservazione del patrimonio genetico autoctono esistente è il
coinvolgimento dei singoli allevatori nelle azioni di recupero, conservazione e difesa delle popolazioni o
razze a rischio di scomparsa. Come precedentemente indicato, solo il coordinamento tra azioni di
conservazione “in situ” ,ed “ex situ” (incluso le tecniche di crioconservazione) è in grado di assicurare gli
obiettivi di salvaguardia delle risorse genetiche. La conservazione della diversità genetica si potrà ottenere
attraverso l’attuazione delle seguenti linee di azione:
identificazione, studio e recupero di tutte le razze e le popolazioni autoctone, a rischio di estinzione,
presenti nelle aree marginali;
studi di modelli di valorizzazione naturale ed ecologica di aree di allevamento altrimenti destinate
all’abbandono (terreni marginali montani o sub montani);
attività di conservazione, collezione, documentazione, caratterizzazione, valutazione e utilizzazione
delle risorse genetiche vegetali necessarie per la conservazione delle suddette risorse;
studi di modelli di valorizzazione delle produzioni derivanti dalle suddette razze e popolazioni.
Stato di attuazione del Piano Nazionale sulla Biodiversità di interesse Agricolo (PNBA).
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Il Comitato permanente per le risorse genetiche ha approvato un progetto di attuazione del PNBA, messo a
punto dal GC Biodiversità animale e vegetale della Rete Interregionale per la Ricerca Agraria, Forestale,
Acquacoltura e Pesca; il progetto prevede l’attuazione del PNBA in 3 fasi:
o fase A) condotta a livello nazionale direttamente dal MiPAAF con soggetti scientifici
attraverso la procedura del bando;
o fase B) condotta a livello regionale da ogni singola Region e P.A. sul proprio territorio;
o fase C) attivazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali e del
sistema nazionale di tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario.
Obiettivi FASE A:
o l’individuazione dei descrittori comuni per la caratterizzazione delle varietà e delle
razzepopolazioni locali;
o la definizione di una metodologia comune e condivisa per la caratterizzazione delle varietà e
razze-popolazioni locali al fine di permettere il confronto dei dati e dei risultati, l’uso comune
dei termini e degli strumenti utilizzati a livello locale;
o la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ” ed “ex situ” delle varietà
vegetali locali;
o la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ” ed “ex situ” delle razzepopolazioni
animali locali;
o la definizione di rischio di estizione o di erosione genetica, attraverso soglie o criteri, per le
principali specie vegetali del settore agricolo.
Obiettivi FASE B:
VEGETALI:
o valutazione da parte delle Regioni e P.A., delle varietà locali ad oggi individuate, al fine della
loro comune caratterizzazione e descrizione;
o valutazione da parte delle Regioni e P.A. del sistema di conservazione “in situ” ed “ex situ”
esistente e individuazione degli eventuali correttivi da apportare o delle iniziative da attivare.
ANIMALI:
o descrizione delle razze-popolazioni animali regionali (solo per quelle per le quali non è stato
attivato un libro genealogico o un registro anagrafico);
o valutazione del sistema di conservazione “in situ” ed “ex situ” esistente e individuazione dei
correttivi da apportare o delle iniziative da attivare.
Obiettivi FASE C:
o realizzazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali;
o attivazione del sistema nazionale di tutela delle biodiversità di interesse agrario;
o azioni di valorizzazione delle varietà e razze-popolazioni locali di interesse agricolo;
o comunicazione.
L’attuazione della FASE A del progetto di attuazione del PNBA è già avviata attraverso la costituzione di un
Gruppo di lavoro (GlBA) il cui coordinamento è stato affidato alla FAO nella persona del Dott. Mario Marino.
Per il mese di aprile sono attesi i primi risultati che verranno valutati in sede di Comitato.
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In tale contesto si inseriscono gli obiettivi e le azioni individuate dalle Regioni per la ricerca nel campo della
tutela dell’agrobiodiversità.
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SCHEDA N°11 – AGROBIODIVERSITA’ ANIMALE E VEGETALE IN ITALIA
1) Biodiversità animale
OBIETTIVO AZIONI
1. Migliorare la conoscenza della biodiversità
animale di interesse zootecnico, nei diversi
territori regionali ed interregionali.
1.1 indagine e inventario delle risorse genetiche
animali di interesse zootecnico ancora presenti sul
territorio allevate in situ (allevamenti),
1.2 indagine e inventario delle risorse genetiche
animali di interesse zootecnico ancora presenti sul
territorio allevate presso specifici centri (ex situ) o
conservate nelle banche del germoplasma;
1.3 individuazione del legame fra risorse genetiche
di interesse zootecnico e relativo territorio di origine;
2. Caratterizzare le risorse genetiche di interesse
zootecnico.
2.1 individuazione di criteri condivisi di descrizione e
caratterizzazione per gli aspetti morfologicifenotipici;
2.2 definizione dei criteri di tipizzazione genetica
delle razze e popolazioni e sviluppo di nuove
tecniche efficaci ed economicamente sostenibili per
la tipizzazione genetica attraverso analisi molecolare
DNA
3. Individuare le necessarie strategie di
conservazione. 3.2 definizione e messa a punto di linee guida e
protocolli operativi per la conservazione in situ, ex
situ , idonei per le diverse razze o popolazioni
considerate (ovini, bovini, avicoli, ecc.);
3.3 conservazione in situ ed on farm: organizzazione
di reti di allevatori “custodi” e di filiere produttive
ambientalmente ed economicamente sostenibili;
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3.5 tecniche di conservazione del germoplasma
animale (criobanche) e collegamenti fra le diverse
istituzioni coinvolte sul territorio nazionale;
3.6 pianificazione congiunta dei due precedenti
sistemi di conservazione attraverso la creazione di
network nazionali di conservazione: coinvolgimento
degli agricoltori, delle istituzioni locali e delle diverse
istituzioni scientifiche;
4. Valorizzare il patrimonio zootecnico autoctono. 4.1 valutazione dell'impiego razionale delle razze
autoctone in funzione del programma di
conservazione;
4.2 individuazione di biomarcatori per la
caratterizzazione dei prodotti derivati da razze
autoctone (latte, lana, carne) ai fini della tracciabilità
dei prodotti.
4.3 caratterizzazione della qualità dei prodotti e
promozione degli stessi in sintonia con il territorio di
produzione;
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2) Biodiversità vegetale
OBIETTIVO AZIONI
1. Individuazione di una metodologia comune che
permetta il confronto dei dati e dei risultati di
caratterizzazione e conservazione delle varietà
locali, compreso l'uso dei termini (es. varietà
locale e varietà da conservazione, agricoltore
custode, ecc.) e degli strumenti utilizzati
(descrittori).
1.1 - Definizione di varietà locale: caratteristiche
distintive rispetto alle varietà standard.
1.2 - Definizione di "rischio di estinzione" per specie
e per le più diffuse piante coltivate delle principali
varietà agrarie: individuazione di parametri di
riferimento nazionali.
1.3 - Definizione di un metodo comune per
l'individuazione e caratterizzazione delle varietà
locali
1.4 - Definizioni di standard qualitativi di riferimento
per le varietà locali e per la loro
commercializzazione.
1.5 - Individuazione di descrittori comuni per le
varietà locali, sia per le erbacee o da
"conservazione" (Dir. 98/95/CE, Dir. 2002/53/CE e
Dir. 2002/57/CE), sia per le fruttifere che per le
principali ornamentali e da fiore.
1.6 - Varietà da conservazione: individuazione delle
“adeguate restrizioni quantitative” (Direttiva
2002/53/CE Art. n° 20 comma 2, lettera b) alla luce
anche delle nuove normative comunitarie.
Osservazioni: riterremmo utile unificare i punti 1.1,
1.2, 1.4, e il punto 1.3 con 1.5. Riteniamo sia utile
mantenere il punto 1.6, come attività di ricerca!!!!!!
2. Caratterizzazione e valutazione delle
germoplasma vegetale
2.2 - Definizione di linee guida per la
caratterizzazione delle principali varietà locali: a)
caratterizzazione morfologica (attraverso l'utilizzo
dei descrittori comuni individuati al precedente punto
1.4); b) caratterizzazione agronomica, culturale,
storica, ecc.; c) caratterizzazione organolettica
(panel test delle principali specie).
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2.1 - Studio sull'utilizzo e sulle ricadute della
caratterizzazione genetica o molecolare delle varietà
locali, ai fini della conservazione della biodiversità e
della loro valorizzazione ed eventuale individuazione
delle tecniche e metodi più opportuni.
2.3 - Messa a punto di un metodo per il
monitoraggio delle varietà locali a rischio di
estinzione, ai fini della valutazione periodica del
rischio di estinzione.
3. Conservazione Conservazione "in situ":
3.1 - definizione di protocolli di gestione per la
conservazione "in situ" delle principali varietà locali.
Il punto 3.1 potrebbe già comprendere gli agricoltori
custodi, e comunque quello che comprendeva il
punto 3.2 non si può definire proprio attività di
ricerca.
Conservazione "ex situ":
3.3 - definizione di protocolli di gestione delle
banche del germoplasma e la definizione di una rete
di conservazione "ex situ" delle principali varietà
locali.
4. Valorizzazione Definizione dei parametri qualitativi (organolettici,
nutrizionali, ecc.) dei prodotti delle varietà locali
4.1 - Definizione di criteri per il mantenimento o
reintroduzione sul territorio delle varietà locali a
rischio di estinzione.
4.3 - Studio per la valorizzazione economica delle
varietà locali sia per i prodotti tal quali che
trasformati, sia per le sementi.
L’aspetto commerciale può essere già compreso nel
punto 4.3 (se si ritiene opportuno)
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AGRICOLTURA BIOLOGICA
Quadro generale del settore
L’agricoltura biologica con le sue pratiche colturali obbligatorie che vincolano l’attuazione di colture
cosiddette “sfruttatrici” ad altre che reintegrano la fertilità del terreno, è di fatto la prima attività agricola che
può fregiarsi dell’aggettivo “sostenibile”.
La superficie agricola biologica nazionale è destinata per oltre il 40% a coltivazioni foraggere, pascoli e prati
pascoli che alimentano un consistente numero di allevamenti zootecnici.
Gli impegni delle superfici agricole biologiche hanno raggiunto nel 2008 un milione di ettari pari all’8,9% della
SAU nazionale e la seconda estensione a livello europeo dopo la Spagna.
Il valore a livello italiano è dato dalla sommatoria delle situazioni regionali a sua volta da ascrivere
all’andamento dei contributi previsti dai differenti Piani di Sviluppo Regionale, non essendo in grado il
mercato di compensare i maggiori costi della tecnica agricola biologica.
La consistenza media delle aziende biologiche è nettamente superiore a quella convenzionale e la più bassa
età media dei titolari delle stesse mettono in risalto le potenzialità che il settore ha di resistere nel tempo
anche con ridotti contributi, producendo per un mercato che richiede sempre più tali produzioni.
Mercato
Il mercato dei prodotti biologici, da alcuni rilevato ancora come nicchia, è molto giovane, il Regolamento
CEE è del 1991, ed è stato caratterizzato da una offerta consistente del settore produttivo quasi
completamente rivolto all’esportazione che, solo negli ultimi anni, ha visto l’interesse del mercato nazionale e
più concretamente della G.D.O. e in parte del dettaglio specializzato.
La richiesta dei prodotti biologici, anche in questi ultimi anni di crisi, è in continua crescita sia nel mercato
nazionale che internazionale.
Un crescente interesse da parte del consumatore, che si esplicita in un suo coinvolgimento diretto nella
filiera corta, permette un futuro alle piccole aziende biologiche in prossimità dei centri urbani.
La quantità delle produzioni biologiche nazionali, certificate da una efficiente rete di Organismi di Controllo,
non è sufficiente a rifornire le richieste di prodotto biologico per le aziende di trasformazione, che arriva con
sempre maggior quantità ormai da tutto il mondo (Cina, Argentina, Nuova Zelanda, ecc.).
Questa tendenza ha portato all’abbassamento dei prezzi al consumo di alcuni prodotti biologici facilmente
conservabili, con maggiori difficoltà per le aziende italiane operanti nello stesso ambito produttivo (cereali e
trasformati) e con la necessità di differenziare le proprie produzioni attingendo al patrimonio culturale e
colturale locale.
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Dinamiche recenti e tendenze in atto
La recente normativa europea tendente a maggiori restrizioni nel settore fitosanitario e di impatto ambientale
pongono l’agricoltura biologica come battistrada e campo di prova per arrivare ad una maggiore sostenibilità
di tutta l’agricoltura nazionale.
In quest’ottica, considerando anche il nuovo quadro normativo europeo e nazionale, appare fondamentale
orientare la ricerca verso strategie di sviluppo che coinvolgono l’ambito tecnico, economico, territoriale e
sociale.
Si ritiene opportuno che l’orientamento della ricerca debba essere distinto fra produzioni zootecniche e
produzioni vegetali. Per le prime si prevede di approfondire gli aspetti legati alla salvaguardia della
Biodoversità, all’ottimizzazione della gestione agronomica delle superfici in funzione delle aziende
zootecniche, alle pratiche sanitarie terapeutiche e di profilassi. Per le seconde viene ritenuto indispensabile
indirizzarsi in maniera decisa verso forme di difesa fitosanitaria strategiche ed in sintonia con l’ambiente,
identificare varietà più specifiche che possano dare risultati soddisfacenti in agricoltura biologica, proseguire
ed approfondire studi per la valutazione di sistemi colturali in funzione della sostenibilità agronomica ed
economica.
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SCHEDA N° 12 – AGRICOLTURA BIOLOGICA
A) PRODUZIONI ZOOTECNICHE
OBIETTIVO AZIONI
1) Approfondimento degli aspetti genetici e
salvaguardia della biodiversità
1.1 Individuazione di nuovi criteri di selezione delle
razze.
1.2 Valutazione dell’impatto degli OGM e
coesistenza con l’agricoltura biologica.
2) Ottimizzazione della gestione agronomica
delle superfici in funzione dell’azienda
zootecnica
2.1 Approvvigionamento di alimenti energetici e
proteici (OGM free, rapporto concentrati e foraggi)
valutando anche gli aspetti economici
3) Orientamento alle pratiche sanitarie
(profilattiche e terapeutiche)
3.1 Preparazione di elenchi di principi attivi
utilizzabili.
3.2 Messa a punto di protocolli sanitari.
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B) PRODUZIONI VEGETALI
OBIETTIVO AZIONI
1) Ottimizzazione della difesa sanitaria 1.1 Riduzione dei dosaggi di rame e alternative ad
esso per il controllo delle diverse fitopatie e
fisiopatie;
1.2 Sperimentazione e ricerca per supportare lo
sviluppo e la registrazione di alcuni prodotti di
interesse strategico:
1.2.1 Per la frutticoltura le alternative al rame;
1.2.2 Per l’orticoltura utilizzo degli insetti predatori
e studio dell’equilibrio parassita predatore;
1.2.3 Per la viticoltura lotta contro la peronospora,
ed altre fitopatie;
1.2.4 Per la olivicoltura lotta alla mosca dell’olivo;
1.2.5 Per l’agrumicoltura lotta alle cocciniglie, agli
afidi e ai fillominatori
2) Identificazione delle varietà più idonee 2.1 Realizzazione di prove varietali per valutare
l’adattabilità delle varietà affermate e delle
nuove varietà idonee alla conduzione con
metodi biologici e per definire liste di
orientamento
3) Miglioramento della gestione del suolo 3.1 Approfondimento delle conoscenze sulla
fertilità del suolo (cicli di sostanza organica,
equilibri di microrganismi) in funzione delle diverse
pratiche di gestione del suolo (inerbimenti, sovesci,
controllo delle malerbe, dinamica dei nutrienti e
messa a punto di efficaci linee tecniche di
nutrizione) in zone con caratteristiche
pedoclimatiche diverse.
3.1 Valutazione di sistemi colturali in funzione
della sostenibilità agronomica ed economica.
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CEREALICOLTURA
I principali cereali coltivati in Italia sono mais, riso, frumento duro, frumento tenero ed orzo.
Complessivamente rappresentano una superficie di 3,9 milioni di ettari (ISTAT 2007), vale a dire oltre il 60%
del totale dei seminativi in Italia, con una distribuzione relativa equilibrata nelle tre grandi ripartizioni
territoriali (Nord, Centro e Sud), a conferma del ruolo fondamentale di presidio del territorio. Con una PLV
pari a 4.250 milioni di euro (fonte ISTAT 2007), i cereali sono alla base delle nostre filiere agroalimentari più
qualificate e consistenti dal punto di vista economico. I prodotti derivati dai cereali costituiscono la base della
cosiddetta “dieta mediterranea”, tanto apprezzata a livello internazionale, e contribuiscono in modo
determinante all’immagine del made in Italy in tutto il mondo.
Si tratta di un complesso sistema produttivo che risente, in genere, di una strutturazione piuttosto debole.
Questa condizione, in un mercato sempre più internazionale, le cui fluttuazioni sono sempre meno
controllabili con politiche di sostegno comunitarie e/o nazionali, sta causando una perdita di competitività
allarmante, dati i ridotti margini di redditività delle aziende cerealicole nel 2008 e, soprattutto, 2009.
Di seguito si fornisce una sintetica analisi per ciascuna specie:
MAIS: l’Italia è il primo utilizzatore e il secondo produttore di mais europeo, con oltre 1,260 milioni di
ettari (fonte INEA 2008) e 9,5 milioni di tonnellate di granella destinati per oltre il 90% alla
produzione zootecnica; nel corso del 2009 si è assistito ad una ulteriore contrazione delle superfici
di oltre il 20%. La coltivazione del mais si sviluppa in prevalenza nelle regioni del bacino padano
(circa l’89% delle superfici e il 91,2% della produzione), in cui raggiunge livelli di specializzazione
molto elevati: le rese unitarie negli ambienti più favorevoli sono tra le più alte e competitive a livello
internazionale. La produzione di mais ha supportato, in questo stesso bacino, lo sviluppo di una
zootecnia altamente produttiva. La redditività della coltura risente della crescente competizione a
livello internazionale rappresentata da Paesi quali l’Ungheria (31% nel 2007), la Romania e il
Brasile, i cui costi di produzione sono nettamente inferiori ai nostri e da una caduta dei prezzi a
livello internazionale per un aumento consistente dell’offerta.
La maidicoltura presenta un rilevante quadro di criticità, le più attuali delle quali sono da ricondurre
ad elementi agronomico-produttivo (stabilizzazione delle rese, ridefinizione delle tecniche irrigue,
costi di produzione elevati ecc.) e a crescenti vincoli di natura sanitaria e agro-ambientale
(applicazione della “Direttiva Nitrati”, lotta alla diabrotica, regolamentazione europea sulla
presenza di contaminanti quali ad es. le micotossine) .
FRUMENTO DURO: L’Italia è il primo produttore europeo di frumento duro e il secondo a livello
mondiale. Gli ettari investiti nel corso 2008 sono stati circa 1,58 milioni con circa 5,1 milioni di
tonnellate prodotte e un valore medio annuo della produzione ai prezzi correnti di quasi 1,5 milioni
di euro, pari al 25,5% del comparto cerealicolo. La produzione si concentra in prevalenza al Sud
Italia, in misura minore al Centro (oltre il 28% della produzione sul 22% delle superfici) e
comunque in distretti produttivi ad elevata vocazione. Negli ultimi anni si è assistito a una ripresa
della produzione anche nel Nord Italia. La produzione di frumento duro è destinata
all’alimentazione umana, in particolare alle paste alimentari. Anche per questo cereale si pone un
problema di approvvigionamento: oltre 2 milioni di tonnellate devono essere annualmente
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importate dall’estero per soddisfare il fabbisogno dei trasformatori. La filiera del frumento duro è
caratterizzata da alcune debolezze quali la polverizzazione produttiva, una diminuita attenzione
alla qualità nelle fasi di coltivazione a causa della contrazione della redditività, lo scarso livello
organizzativo nella concentrazione dell’offerta, la scarsa omogeneità del prodotto stoccato e una
scarsa differenziazione delle partite.
FRUMENTO TENERO: nel 2008 le superfici a grano tenero si attestano su poco meno di 700.000
ha con una produzione di circa 3,7 milioni di tonnellate. Questa coltura, come l’orzo, si è
avvantaggiata dell’applicazione del disaccoppiamento, che ha favorito una stabilizzazione o un
lieve aumento delle superfici investite. La coltivazione del frumento tenero è diffusa
essenzialmente al Nord (66% delle superfici e 73% del prodotto), in Emilia Romagna in particolare,
e in misura minore al Centro Italia (26% delle superfici e 22% del prodotto). L’approvvigionamento
nazionale è fortemente deficitario: importiamo il 60% del frumento tenero utilizzato dall’industria di
trasformazione. L’importazione è in buona parte di origine comunitaria, soprattutto per le qualità
più elevate. La destinazione prevalente di questo cereale è per l’alimentazione umana, in
particolare per la panificazione (66,8%) e per i prodotti dolciari (12,4%). Una parte (16,3%) ha
destinazione mangimistica. Per questa coltura alcuni nodi strutturali penalizzano fortemente la
produzione nazionale: offerta indifferenziata (per i diversi profili qualitativi), scarsa organizzazione
della filiera, buoni livelli di specializzazione produttiva solo in pochi areali, miglioramento genetico
da incrementare.
ORZO: la superficie investita a questo cereale nel 2008 si attesta sui 325.000 ha e ha confermando
una certa stabilità a seguito dell’entrata in vigore del disaccoppiamento. In particolare, nelle regioni
meridionali, ha conquistato parte degli spazi liberati dal frumento duro grazie ai minori costi di
produzione e alle caratteristiche di rusticità e capacità di adattamento agli ambienti marginali
superiori a quelle di frumento tenero e mais. A differenza degli altri cereali, la coltura è distribuita in
tutta la penisola con una prevalenza delle superfici al Sud Italia. La produzione di orzo italiana è
pari a circa 1,2 milioni di tonnellate prodotte per il 45% al Nord (che vanta rese unitarie quasi
doppie rispetto al mezzogiorno); oltre il 50% dell’orzo utilizzato in Italia è di provenienza estera, in
prevalenza dall’est Europa. La principale destinazione (86%) è costituita dall’alimentazione
animale, seguita dagli usi industriali (produzione di malto).
RISO: L’Italia è il principale paese produttore di riso della Comunità Europea, con una superficie
coltivata di 224 mila ha nel 2008 (Fonte INEA) e una produzione di 1.460.000 tonnellate di risone,
pari ad oltre il 50% della produzione comunitaria. La produzione di risone si concentra in massima
parte in due regioni (Lombardia e Piemonte) e la produzione di riso da seme vede la Sardegna
come protagonista. Il valore della produzione che si aggira sui 450 milioni di euro: in termini
economici, il riso rappresenta il 9% del valore della produzione cerealicola italiana. L’allargamento
ai nuovi 10 paesi ha determinato un cambiamento nel rapporto tra domanda e offerta: anche nel
2008/2009 si è assistito ad un incremento delle vendite.
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Pur con le diverse specificità, per tutti i cereali diventa fondamentale consolidare il livello di
approvvigionamento nazionale per non incidere ulteriormente sul già pesante deficit del settore
agroalimentare italiano, per favorire le importanti filiere agroalimentari di riferimento e per mantenere quel
presidio del territorio che da sempre la cerealicoltura ha garantito. L’obiettivo deve essere perseguito in uno
scenario economico non favorevole (caduta dei prezzi, aumento del costo di alcuni mezzi tecnici,
allargamento dell’Unione Europea a paesi produttori di cereali ecc.) e tenendo conto di una debolezza
strutturale del comparto cerealicolo (offerta disaggregata e poco organizzata a formare prodotti omogenei e
differenziati in funzione delle richieste della trasformazione, mancanza di contratti tipo di riferimento adeguati
alle nuove esigenze, mancanza di integrazione di filiera ecc.).
In questo contesto la ricerca e l’innovazione contribuire a:
migliorare l’efficienza produttiva ed economica delle colture cerealicole nel rispetto delle
“condizionalità” imposte ai moderni sistemi agricoli (es. conservazione e protezione delle risorse non
rinnovabili, gestione dei patogeni con strategie rispettose dell’ambiente ecc.);
favorire la differenziazione della tipologia di prodotto sulla base delle richieste della trasformazione in
termini di caratteristiche intrinseche e di “processo” (qualità d’uso, preferenze del consumatore) o di
rispondenza ad una sempre più stringente regolamentazione in materia di sicurezza alimentare (es.
limiti europei per le micotossine ed altri contaminanti);
supportare, negli aspetti tecnologici, il processo di riorganizzazione e di integrazione delle diverse
filiere;
migliorare la sostenibilità economica e ambientale dei sistemi colturali caratterizzati dalla presenza di
colture cerealicole.
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SCHEDA N° 13 – CEREALICOLTURA
OBBIETTIVI AZIONI
1. Individuazione e sviluppo di efficienti sistemi
colturali cerealicoli per migliorare la sostenibilità
economica, energetica e ambientale e la
rispondenza delle produzioni a requisiti di qualità e
salubrità
1.1 Miglioramento genetico “in loco” (con metodiche
tradizionali e derivate da applicazioni della
genomica) per la costituzione di varietà:
Adattabili a differenti sistemi colturali e ambienti di
coltivazione (agricoltura intensiva, agricolture low
input, biologica ecc.);
Con resistenze ad avversità e stress climatici
(patogeni, parassiti e ambienti estremi di coltura
estremi);
Con caratteristiche qualitative rispondenti alle
esigenze delle diverse filiere di trasformazione e
consumo ( contenuto proteico, produzioni tipiche,
speciali ecc.);
1.2 Messa a punto di idonei sistemi di valutazione
del comportamento differenziale delle varietà in
funzione dell'ambiente, del sistema colturale e
dell'utilizzo;
1.3 Individuazione di nuove tecnologie e nuovi
supporti decisionali per sistemi produttivi integrati
(aziendali e per bacini produttivi) che favoriscano:
Conservazione e protezione della risorsa suolo;
Conservazione e protezione delle risorse idriche;
Uso efficiente in termini ambientali ed economici dei
fattori di produzione (lavorazione terreno,
concimazioni, presidi fitosanitari ecc.) con
particolare riguardo a quelli provenienti da risorse
non rinnovabili;
Gestione delle popolazione patogene e parassite
attraverso strategie rispettose dell'ambiente anche
con l’utilizzo di modelli di previsione
1.4 Individuazione/confronto di percorsi colturali
caratterizzati da diversi livelli di intensificazione
colturale e/o dall’introduzione di colture alternative
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ai sistemi cerealicoli tradizionali
2. Miglioramento della qualità e della sicurezza
d’uso delle produzioni cerealicole per rispondere
alle esigenze dei consumatori, aumentare la
collocabilità delle partite e creare nuovi sbocchi di
mercato
2.1 Individuazione di nuovi parametri qualitativi e/o
precisazione di quelli già impiegati per la
classificazione delle partite di cereali (incluse le
produzioni speciali)
2.2 Messa a punto di metodiche di rapida
esecuzione per la caratterizzazione qualitativa dei
cereali
2.3 Sviluppo di procedure per la caratterizzazione,
la formazione ed il mantenimento di partite/lotti
omogenei e per la certificazione di processo e di
prodotto (tracciabilità, razionalizzazione dei sistemi
di stoccaggio)
2.4 Individuazione di nuovi prodotti, nuovi processi
produttivi e nuovi impieghi;
2.5 Individuazione e caratterizzazione delle
componenti funzionali dei cereali e loro contributo
alla salute umana.
2.6 Individuazione/precisazione di parametri relativi
alle caratteristiche igienico sanitarie delle partite;
2.7 Messa a punto e/o precisazione di modelli
previsionali e di monitoraggio delle rese e degli
aspetti qualitativi (inclusi i contaminanti).
2.8 Messa a punto di metodi di indagine e di criteri
standard di valutazione dell’efficienza dei centri di
stoccaggio
3. Razionalizzazione dell’uso dell’acqua irrigua Messa a punto di sistemi irrigui che consentano
l’ottimizzazione dell’efficienza e la riduzione dei
costi di irrigazione
3. Razionalizzazione dell’uso dell’acqua irrigua Messa a punto di sistemi irrigui che consentano
l’ottimizzazione dell’efficienza e la riduzione dei
costi di irrigazione
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AGRICOLTURA E AMBIENTE
In conseguenza delle evidenti alterazioni nello stato dell’ambiente i più recenti indirizzi di politica agricola
stanno attribuendo un crescente rilievo all'integrazione delle problematiche ambientali nella normativa che
disciplina la PAC e allo sviluppo di pratiche colturali che consentano di conservare l'ambiente e
salvaguardare il paesaggio.
Di fatto, numerose risultano le problematiche ambientali ritenute prioritarie a livello comunitario
(http://www.eea.europa.eu/it/themes), tra cui vanno indubbiamente annoverati il cambiamento climatico
globale, l’inquinamento delle acque e del suolo, gli effetti conseguenti alla perdita di biodiversità, la riduzione
di disponibilità idrica, la tutela della salute umana dipendente dalla qualità ambientale.
Allo stesso tempo nel corso degli ultimi anni il mondo agricolo nel suo complesso, nell’ambito della sfida
connessa alla globalizzazione del mercato mondiale, si trova a dover gestire una fase di adeguamento alle
politiche di sviluppo del settore e si trova nella necessità di disporre di strategie a supporto non soltanto degli
aspetti connessi ai diversi processi produttivi, ma anche di soluzioni innovative per diversificare il ventaglio di
attività da poter condurre sul territorio.
Si va sempre più affermando la convinzione che l’azienda agricola e agro-forestale infatti potrà uscire dalla
situazione di crisi economica che il comparto agricolo sta attraversando non soltanto puntando alla qualità
delle produzioni, ma interpretando un ruolo sempre più attivo nella salvaguardia del territorio, nel riequilibrio
ambientale nel ripristino e nella protezione della biodiversità, nella tutela del paesaggio, nella difesa
idrogeologica, nell’offerta ricreativa, nella produzione di materie prime utilizzabili anche per la produzione di
energia e la realizzazione di prodotti di tipo innovativo, quali biolubrificanti, fibre e coloranti naturali,
biopolimeri, ecc) e, non ultimo, nella valorizzazione delle nostre tradizioni culturali e dei saperi legati al
mondo rurale.
In tal senso sta assumendo un crescente rilievo il ruolo multifunzionale delle imprese agro-forestali, come
modello organizzativo per creare una proficua sinergia tra potenzialità produttive e quelle di gestione e
manutenzione del territorio, che potrebbe permettere una valorizzazione del contesto ambientale e culturale
e garantire all’impresa agricola una possibilità alternativa di permanenza nel contesto produttivo .
I Piani di Sviluppo Rurale 2007-2013 delle diverse regioni evidenziano a questo proposito, oltre che la
necessità per le aziende di un loro consolidamento nei confronti dei mercati agricoli, favorendo gli
investimenti tecnologici e fondiari, anche la necessità di un adeguamento finalizzato allo svolgimento di altre
importanti funzioni e attività, che possano consentire alle imprese di aumentare il reddito prodotto ed
incrementare il loro collegamento con il territorio. Parallelamente agli obiettivi specifici relativi al
miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale, da realizzare attraverso l'ammodernamento
e l'innovazione delle imprese, i PSR prevedono una serie di misure finalizzate all’utilizzo sostenibile delle
aree rurali e forestali, in particolare per la conservazione della biodiversità e del suo ruolo funzionale, la
tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche superficiali e profonde, la riduzione dei gas serra, la
conservazione e miglioramento del paesaggio, il contenimento dell’erosione ed il mantenimento della
sostanza organica dei suoli.
Diventa quindi fondamentale il ruolo della ricerca nel fornire strategie e risposte da proporre al settore
agricolo e agro-forestale, che si trova ad affrontare in questo momento una situazione piuttosto critica e
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complessa, che porterà indubbiamente ad un profondo cambiamento del ruolo dell’azienda agricola non
soltanto nel contesto rurale ed economico, ma nell’ambito dell’intero panorama socio-culturale.
In relazione a tali presupposti, nell’ambito del gruppo specifico ‘Agricoltura e Ambiente’, appare opportuno
orientare gli obiettivi della ricerca agraria per il triennio 2010-2012 alla gestione sostenibile delle risorse
naturali e alla definizione di modelli organizzativi mirati al consolidamento del ruolo multifunzionale
dell’azienda agraria, nel quadro di uno sviluppo integrato dell’economia delle aree rurali.
La salvaguardia delle risorse idriche, il mantenimento della fertilità dei suoli, la prevenzione del dissesto idrogeologico,
la tutela del paesaggio agrario e agro-silvo pastorale, la conservazione della biodiversità e del
suo ruolo funzionale, il mantenimento della funzionalità degli ecosistemi agrari e forestali, l'adozione di
pratiche agro-forestali che limitino gli impatti sui cicli biogeochimici del carbonio e dell'azoto, l’utilizzazione
agronomica di reflui agricoli rappresentano gli argomenti di maggiore interesse per le regioni italiane, al fine
di supportare il processo di adeguamento che il mondo agricolo è chiamato a compiere, per rendere
compatibile l’attività agricola con la tutela ambientale e la salute.
La ricognizione dei progetti e delle attività di studio condotte dal mondo scientifico evidenziano che la ricerca
agronomica ha spostato il centro di interesse dal risultato produttivo delle colture, che pure resta un
imprescindibile obiettivo economico, alla valutazione della sostenibilità dei sistemi colturali, sia in termini
ambientali che in termini di qualità globale delle produzioni e del territorio. La valutazione della sostenibilità
ambientale di sistemi aziendali in agricoltura biologica ed integrata, l’analisi paesaggistica dei modelli
produttivi, la caratterizzazione qualitativa delle produzioni, la garanzia della sicurezza alimentare, la tutela
delle acque dal rischio di inquinamento da nitrati di origine agricola, lo studio di tecniche colturali che
consentono di salvaguardare la fertilità del suolo agricolo e la protezione di quello forestale, la
sperimentazione di nuove filiere produttive, la simulazione degli effetti delle pratiche colturali e della possibile
evoluzione nel tempo del paesaggio agricolo e naturale in diversi scenari di cambiamento climatico, la
dinamica del carbonio e dell'azoto negli ecosistemi agro-forestali rappresentano indubbiamente temi di
evidente rilievo.
L’importanza di rendere disponibili le informazioni relative alla grandi macro aree della sostenibilità
ambientale, della salvaguardia delle risorse naturali, della multifunzionalità dell’azienda agraria, pone
l’esigenza di compiere un sforzo coordinato per realizzare un’ azione più incisiva di trasferimento al fine di
consentire al mondo tecnico e produttivo un migliore accesso ai risultati della ricerca.
La scheda elaborata dal gruppo di competenza “Agricoltura e Ambiente” ha individuato una serie di azioni e
di approfondimenti conoscitivi su aspetti relativi alle interazioni tra attività agricola e ambiente di
fondamentale importanza, da realizzare secondo diverse dimensioni di scala (azienda, territorio, regione,
sistema agricolo e forestale), che sono state primariamente aggregate in relazione a quattro macro-obiettivi:
gestione sostenibile delle risorse e sistemi innovativi di valutazione della funzionalità
ecosistemica;
gestione sostenibile delle aziende agricole e agro-forestali
sostenibilità socio-economica dell’attività agricola e forestale
sostenibilità sociale dell’attività agricola e agro-forestale
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Per quanto riguarda i contenuti specifici delle singole azioni, le attività di ricerca proposte focalizzano la
necessità e la priorità di un approfondimento di alcuni rilevanti temi, di seguito esplicitati, che trovano
rispondenza nella scheda attraverso una serie di parole chiave, evidenziate in corsivo :
Agricoltura e paesaggio: applicazione di tecniche agricole e forestali compatibili con la tutela del paesaggio
dei territori rurali e la prevenzione del dissesto-idrologeologico; utilizzo di sistemi innovativi di valutazione
integrata delle interazioni ecologiche tra ecosistemi agricoli ed ecosistemi naturali;
Mantenimento e ripristino della fertilità dei suoli: individuazione di strategie per la protezione del suolo
dall'erosione, il mantenimento della sostanza organica e della struttura nel suolo;
Cambiamenti climatici: diffusione di pratiche colturali idonee a limitare le emissioni di gas serra e
l’incremento dell’accumulo di carbonio nei terreni; valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla
qualità e quantità della produzione agricola; ; adozione di pratiche selvicolturali volte alla conservazione degli
"stocks" di carbonio immagazzinati nella biomassa e nel suolo forestale;
Tutela quantitativa delle risorse idriche: miglioramento dello stato delle infrastrutture di irrigazione e
promozione di tecniche di distribuzione e di gestione dell’irrigazione più efficienti, allo scopo di contenere i
volumi di acqua impiegati ad uso irriguo;
Tutela qualitativa delle risorse idriche: applicazione di strategie per la corretta applicazione della Direttiva
Nitrati e delle altre norme sulla eco-condizionalità;
Agricoltura e salubrità delle produzioni: diffusione di pratiche colturali che minimizzano l'impatto negativo
sull'ambiente e sulle produzioni dei fertilizzanti e dei fitofarmaci;
Agricoltura e biodiversità: interventi per la conservazione della diversità biologica negli ecosistemi agrari,
peri-agrari ed aree marginali, con valutazione degli effetti sulla funzionalità ecosistemica;
Produzione di energia: analisi delle potenzialità produttive di fonti energetiche ecocompatibili;
Fitodepurazione e riuso: sviluppo di metodologie per l’utilizzazione di reflui e di sottoprodotti agroindustriali;
Ruolo multifunzionale dell’azienda agricola dell'azienda agro-forestale e dei territori rurali: sviluppo di
una economia integrata basata su modelli sostenibili e polifunzionali;
Valutazione dei servizi eco-sistemici e dei benefici della biodiversità in termini socio-economici e
sanitari.
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SCHEDA N° 14 – AGRICOLTURA E AMBIENTE
OBIETTIVO AZIONI
1) Gestione sostenibile delle risorse: acqua, suolo,
biorisorse, territorio, energia.
1.1 Studi comparati su sistemi agricoli
convenzionali, integrati e biologici per individuare
modelli aggiornati di gestione degli ecosistemi.
1.2 Studi sulla vulnerabilità del territorio e
definizione di tecniche per la prevenzione del
dissesto idro-geologico mediante modelli d
sistemazioni idraulico-agrarie e forestali, di
ingegneria naturalistica e di gestione agricola e
forestale.
1.3 Studi sul rapporto tra agricoltura e tutela delle
acque al fine di individuare efficaci strategie, sistemi,
metodi per: a) migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua
per scopi agricoli, prevedendo anche il riutilizzo di
reflui zootecnici e dell’industria agroalimentare, e di
acque non convenzionali (tutela quantitativa della
risorsa acqua); b) verificare le dinamiche di
inquinanti di origine agricola sulle acque superficiali
e profonde (tutela qualitativa.
1.4 Messa a punto di linee guida per la gestione
dell’attività agricola in aree vulnerabili, (applicazione
direttiva nitrati, ecocondizionalità, ecc ).
1.5 Definizione di linee guida per il mantenimento
e/o ripristino della fertilità dei suoli, in particolare
quelli più degradati o dismessi dall’attività agricola,
per la conservazione della diversità biologica e per
la corretta gestione di coperture vegetali a scopo
protettivo, ornamentale, ricreativo e sportivo
nell’ottica del ruolo multifunzionale del territorio
agro-forestale.
1.6 Definizione e applicazione di strumenti e modelli
basati su tecnologie innovative (Wireless sensor
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network, Telerilevamento, Interpretazione foto
aeree, GIS, Cartografia tematica, agricoltura di
precisione) per la gestione dell’ecosistema agroforestale,
l’ individuazione e la zonizzazione di aree
con diverse caratteristiche pedo-climatiche, diversa
destinazione d’uso e grado di vulnerabilità
ambientale e lo sviluppo di cartografie tematiche e di
modelli interpretativi delle interazioni
agricoltura/ambiente.
1.7 Studio a livello regionale delle più gravi tipologie
di manomissione del paesaggio e definizione di
strumenti e modelli di ripristino del paesaggio rurale
e della vegetazione.
1.8 Valutazione delle interazioni ecologiche tra
ecosistemi agrari, peri-agrari e naturali mediante
studio di bioindicatori di salute ambientale
(interazione ospite-parassita) e dell’effetto nodo di
attrazione/elusione-barriera/corridoio rispetto alle
comunità animali (funzionalità delle interazioni
ecosistemiche).
1.9 Messa a punto di tecniche innovative per la
gestione di aree agricole e forestali degradate a
seguito di scelte tecniche inadeguate, forte carico di
bestiame, abbandono e danni da incendi.
1.10 Studi volti al ripristino e al mantenimento di
biotopi e di zone umide.
1.11 Sperimentazione di sistemi di fitodepurazione
in ambienti planiziali attraverso la realizzazione di
fasce e zone tampone forestali multifunzionali
(fitodepurazione diffusa) o di zone umide artificiali
(fitodepurazione localizzata), con duplice funzione
(depurazione acqua ed incremento della
biodiversità), e di sistemi che integrano i due
modelli di fitodepurazione.
1.12 Progettazione e valutazione tecnico96/
98
economica di iniziative volte a mantenere o
ripristinare un uso conservativo (sfalcio, pascolo,
ec.) di prati aridi seminaturali in ambienti
agroforestali collinari, allo scopo di tutelare la
biodiversità.
1.13 Analisi tecnico-economica ed ambientale
relativa a diversi tipi di impianti di arboricoltura
produttiva, finalizzati all’incremento della
sostenibilità dell’impresa agricola e alla tutela della
biodiversità.
1.14 Valutazione dell’influenza dell’introduzione di
sistemi forestali nell’ambito del sistema agricolo
(boschi e boschetti di nuovo impianto, arboreti da
legno, siepi a varia funzionalità) sull’incremento della
biodiversità e sull’economia aziendale.
1.15 Messa a punto di tecniche colturali e
selvicolturali per il contenimento delle emissioni di
gas serra e l’accumulo di carbonio nei suoli agrari e
forestali
1.16 Studio degli effetti dell’aumento della
temperatura sull’agricoltura ed in particolare sulla
quantità e qualità della produzione agricola, in
relazione a diversi scenari di emissione di CO2.
1.17 Biodiversità genetica e strumenti bio-molecolari
avanzati di valutazione della funzionalità e integrità
dei sistemi agrari.
2) Gestione sostenibile delle aziende agricole e agroforestali
2.1 Sviluppo di tecnologie innovative di produzione
basate sull’utilizzazione di reflui agricoli,
agroindustriali, industriali, urbani, per il
miglioramento della fertilità del suolo, l’oculata
gestione della risorsa idrica e permettano di ottenere
prodotti ad alto valore aggiunto, grazie ad una
efficace valorizzazione industriale
2.2 Studi per la caratterizzazione dei materiali di
uscita da biodigestori anaerobici.
97/98
2.3 Studi per la realizzazione di aziende pilota (
villaggio-oasi) basati su modelli produttivi sostenibili
e polifunzionali ( diversificazione dei prodotti e dei
servizi offerti ).
2.4 Messa a punto di tecniche per il riciclaggio di
materiali plastici impiegati nelle aree con
coltivazione di serra.
2.5 Analisi integrata dei sistemi energetici delle
aziende agricole e agro-forestali: consumi e
potenzialità produttive da fonti energetiche
ecocompatibili (biogas, biomasse, ecc.).
2.6 Analisi tecnico economica di nuovi modelli
agroforestali (Silvoarable) e loro messa a punto in
aree planiziali.
3) Sostenibilità socio-economica dell’attività agricola 3.1 Studio di aree sensibili ( individuate dalle
Regioni) per la definizione di parametri per la
programmazione degli interventi operativi in materia
agro-ambientale che consentano la certificazione di
sistema, processo, e prodotto e valorizzino la
valenza economica del settore produttivo agricolo e
agro-forestale.
3.2 Messa a punto di sistemi idonei di verifica
tecnico-economica dei “protocolli” produttivi adottati,
definiti in conformità alla legislazione europea e
nazionale in materia agro ambientale.
3.3 Definizione degli strumenti di analisi e di
previsione per la valutazione dei cambiamenti nel
sistema agricolo, agroindustriale e agroalimentare
dovuti all'applicazione delle normative di settore, agli
interventi di politica agroambientale, agli accordi
commerciali e alle convenzioni internazionali.
3.4 Definizione di modelli di gestione per il
mantenimento e lo sviluppo del ruolo
98/98
multifunzionale di un territorio, nel quadro dello
sviluppo integrato dell’economia delle aree rurali.
3.5 Valutazione dei servizi eco-sistemici e dei
benefici della biodiversità.
4) Sostenibilità sociale dell’attività agricola 4.1 Studio degli aspetti igienico-sanitari legati al
consumo di prodotti agricoli tal quali e/o dopo i
processi di trasformazione, conservazione e
commercializzazione in diversi modelli produttivi.
4.2 Studio dell’impatto sul sistema agricolo (anche
economico), sull’ambiente e sulla salute degli
operatori agricoli dei fitofarmaci, fertilizzanti, farmaci
veterinari.
4.3 Individuazione e verifica dei livelli di
compatibilità dell’ uso di reflui zootecnici e
sottoprodotti dell’industria agro-alimentare.
4.4 Uso di sistemi informatici per il monitoraggio
della salute degli operatori agricoli e
dell'agroindustria ("Carta della salute").