Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Pubblica istruzione: parere su Ddl apprendimento permanente
Conferenza Regioni
e Province Autonome
giovedì 15 novembre 2007
in allegato il file in formato pdf
PARERE SULLO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE RECANTE “NORME IN MATERIA DI APPRENDIMENTO PERMANENTE
Punto 4) elenco A - odg Conferenza Unificata
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome esprime parere favorevole sullo schema di disegno di legge recante “Norme in materia di apprendimento permanente”, condizionato all’accoglimento in sede politica di tutti gli emendamenti già presentati in sede tecnica (allegati), alcuni dei quali recepiti con nota del Ministero della Pubblica istruzione.
La Conferenza delle Regioni propone, inoltre, il seguente ulteriore emendamento:
inserire nella parte dispositiva del provvedimento un articolo recante:
“Le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità della presente legge nell’ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione e secondo quanto disposto dai rispettivi ordinamenti”.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome raccomanda, altresì, di vigilare sulla coerenza tra il disegno di legge in oggetto e le azioni di sistema che si stanno ponendo in essere nella redazione del Masterplan in merito ai servizi per l’impiego.
Roma, 15 novembre 2007
Allegato
Documento di emendamenti presentato in sede tecnica
Schema di disegno di legge concernente
“NORME IN MATERIA DI APPRENDIMENTO PERMANENTE”
Dalla lettura complessiva dello schema di ddl emerge la difficoltà di reperire un riferimento chiaro e condiviso di cosa si intenda per Apprendimento permanente, che sembra citato non tenendo in considerazione quanto già formalmente definito nei documenti comunitari.
La questione è centrale perché alla lettura di “Norme in materia di apprendimento permanente” è legittimo porsi in un’ottica di lifelong e lifewide learning, e quindi aspettarsi un testo che normi tutti i processi di apprendimento riguardanti un individuo lungo l’intero arco della sua vita.
Apprendimento permanente, infatti, è il concetto attraverso il quale si vuole intendere “Qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale, che si può realizzare nella intera gamma dell’apprendimento formale, non formale e informale.” (Comunicazione della Commissione: “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente”, novembre 2001). Tale interpretazione è stata ulteriormente ribadita all’interno della “Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 27 giugno 2002 sull’apprendimento permanente”.
Appare evidente come la Commissione enfatizzi la centralità del cittadino all’interno dei processi di apprendimento. Ciò significa che l’apprendimento non deve essere più inteso unicamente come educazione e formazione erogata nei luoghi istituzionalmente preposti, ma vada inteso come processo individuale di acquisizione di conoscenze e sedimentazione di esperienze con differenti livelli di intensità riguardo la volontà e la consapevolezza dei processi vissuti e la strutturazione degli ambienti all’interno dei quali tali processi si verificano. Con riferimento a quanto appena affermato, si delinea chiaramente quale sia ad oggi l’ambito di intervento necessario a dar seguito a questo tipo di paradigma. Occorre dare valore sociale, per il tramite di un riconoscimento in termini di crediti spendibili, agli apprendimenti acquisiti in contesti informali (processo non intenzionale, in contesto non strutturato, che ad oggi non produce esiti certificabili) e non formali (processo intenzionale, in contesto organizzato ma non istituzionale, che ad oggi non produce esiti certificabili).
In quest’ottica, sia la certificazione delle competenze, sia l’orientamento lungo tutto l’arco della vita si configurano non come sistemi ma come strumenti a supporto dell’apprendimento permanente, a garanzia della piena mobilità dei cittadini nel sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro.
In realtà con il ddl ci si riferisce alla popolazione adulta e ai suoi possibili percorsi di apprendimento. Nella relazione illustrativa, infatti, si specifica che “le norme contenute nel DDL consentono, in sintesi, di ricomporre, in un sistema unitario di riferimento, dei vari subsistemi di istruzione, formazione, lavoro e volontariato e privato sociale per corrispondere all’esigenza sempre più avvertita di innalzare i livelli culturali della maggior parte della popolazione adulta”. Inoltre si fa esplicito riferimento all’Accordo in C.U. del 2 marzo 2000 sul potenziamento e riorganizzazione del sistema dell’Educazione degli Adulti. Va da sé quindi che la prospettiva di riferimento è ben diversa da quella dell’apprendimento permanente correttamente inteso, a cui nel provvedimento fa difetto un disegno organico.
Analogamente, pur richiamando più volte nel testo del ddl la strategia europea, negli articoli 2 e 3, laddove si definiscono l’apprendimento formale, non formale e informale, non si fa alcuna esplicita menzione dei documenti comunitari in cui tali concetti vengono esplicitati.
Inoltre gli articoli del ddl nel complesso mescolano riferimenti molteplici: alcuni riguardano il sistema dell’educazione degli adulti, proponendosi come una innovazione rispetto al quadro disegnato dall’Accordo del 2 marzo 2000; altri definiscono passaggi attinenti al sistema del lifelong learning nel complesso (artt. 4 – individuazione e convalida degli apprendimenti nei contesti non formali e informali, e 5 – certificazione delle competenze); altri ancora appartengono alla regolazione della formazione continua (artt. 7 – congedi e permessi per la formazione, e 8 Misure a sostegno dell’apprendimento dei lavoratori).
In ultima analisi, l’impianto normativo presentato in questa proposta di legge appare viziato da una mancanza di fondo che si riflette su tutto l’insieme della proposta stessa, ossia la mancanza di affermazione di un “diritto individuale all’apprendimento permanente”. Ciò significa che il presente provvedimento è incentrato sul tentativo di costruzione, che risulta comunque parziale o sovrapposto a quanto già realizzato, di un ipotetico sistema integrato all’interno del quale si dovrebbe esercitare un diritto che, come abbiamo appena detto, non viene affermato in nessun luogo del provvedimento stesso.
Alla luce di queste considerazioni le proposte di modifica del testo agli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6 hanno una funzione correttiva della disciplina, con l’intento di recuperare l’approccio all’apprendimento permanente alla base delle strategie e degli indirizzi comunitari e di superare le contraddizioni presenti nel provvedimento.
Invece per quanto riguarda gli articoli 7 e 8 si ritiene necessaria una riconsiderazione complessiva degli stessi, alla luce dei mutamenti intervenuti nel mercato del lavoro e della necessità della promozione per tutti del diritto all’apprendimento permanente
Per quanto riguarda l’art. 9 , infine, appare irricevibile la scelta di non prevedere né un Piano per la promozione dell’apprendimento permanente, né la indispensabile copertura finanziaria degli interventi da realizzare.
Articolo 1
Promozione dell’apprendimento permanente e sue finalità
1. La presente legge, in coerenza con le strategie dell’Unione europea, promuove l’apprendimento permanente per favorire lo sviluppo culturale e professionale delle persone, la cittadinanza attiva, la coesione sociale, l’occupabilità e la mobilità professionale, rimuovendo gli ostacoli che impediscono l’accesso e la fruizione delle attività finalizzate all’innalzamento dei livelli di istruzione e formazione e all’acquisizione di competenze professionali.
2. Le finalità di cui al comma 1 si realizzano attraverso:
a) azioni di sostegno alla costruzione, da parte delle persone, del proprio percorso di apprendimento formale, non formale e informale di cui agli artt. 2 e 3, ivi compresi quelli di lavoro, facendo emergere e individuando i fabbisogni di competenze delle persone in correlazione con le necessità dei sistemi produttivi e dei territori di riferimento;
b) il riconoscimento di crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti;
c) la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto l’arco della vita.
Articolo 2
Apprendimento formale
1. Ai fini della presente legge per apprendimento formale si intende quello che si realizza nelle istituzioni d’istruzione e formazione riconosciute e che si conclude con il conseguimento di una certificazione.
2. Alla realizzazione e allo sviluppo, nell’ambito dell’apprendimento permanente, della formazione continua, che può svolgersi anche all’interno delle imprese in possesso di riconosciuta capacità formativa, concorrono le parti sociali, anche mediante i Fondi Interprofessionali.
Articolo 3
Apprendimento non formale e informale
1. Per apprendimento non formale si intende quello, caratterizzato da una scelta intenzionale, che si realizza al di fuori delle istituzioni di cui all’articolo 2, comma 1.
2. Per apprendimento informale si intende quello che prescinde da una scelta intenzionale e che si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero.
Articolo 4
Individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali
1. Ai fini di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), il Governo è delegato ad adottare entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della pubblica istruzione e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca e con il Ministro per le riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nel rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni, dei Comuni e delle Province, un decreto legislativo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) relativi all’individuazione e alla validazione degli apprendimenti realizzati nei contesti di cui all’articolo 3, a garanzia della mobilità del cittadino all’interno del sistema integrato di istruzione/formazione/lavoro, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) la validazione dell’apprendimento non formale e informale consente la certificazione delle competenze possedute dalla persona; la validazione è effettuata nel rispetto delle scelte e dei diritti individuali e in modo da assicurare a tutti pari opportunità di accesso e di trattamento;
b) le procedure e i criteri di validazione dell’apprendimento non formale ed informale sono ispirati a principi di equità, adeguatezza e trasparenza e sono sostenuti da sistemi di garanzia della qualità.
Articolo 5
Certificazione delle competenze
1. La certificazione delle competenze comunque acquisite è finalizzata a garantire la trasparenza e il riconoscimento degli apprendimenti in coerenza con gli indirizzi fissati dalla Unione europea.
2. Per competenza certificabile ai sensi del comma 1 si intende il patrimonio complesso di conoscenze e abilità delle persone -comunque e dovunque acquisito- validato attraverso un procedimento formale da parte di una istituzione abilitata. Le competenze, una volta certificate, sono valutabili anche come crediti. Al riconoscimento del credito stesso provvede la struttura educativa, formativa, lavorativa che accoglie la persona, anche in collaborazione con la struttura di provenienza.
3. Fermo restando quanto stabilito per i percorsi di istruzione e formazione professionale nell’assolvimento del diritto-dovere fino a 18 anni del decreto legislativo 17 ottobre 2005 n. 226 e dell’articolo 13 della legge 2 aprile 2007, n. 40, nonché per l’istruzione e la formazione tecnica superiore dall’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, ai fini di cui al comma 1 in relazione alle competenze professionali riguardanti le professioni non regolamentate, certificabili nel sistema di istruzione e formazione professionale di cui all’articolo 117 della Costituzione, nel Repertorio delle professioni di cui all’articolo 52 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono ricondotte, definite e aggiornate tutte le figure professionali non regolamentate ed i relativi standard professionali, formativi e di certificazione. Pertanto l’organismo tecnico di cui all’art. 52 assume la denominazione di “Tavolo di Lavoro – Sistema nazionale di standard minimi professionali, di riconoscimento e certificazione delle competenze e di standard formativi” e le conseguenti funzioni, avvalendosi inoltre del supporto tecnico-scientifico dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL). Con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, sono definite le modalità di raccordo tra le disposizioni del presente comma e quanto previsto dall’articolo 13, comma 1 quinquies della legge n. 40 del 2007.
4. Le competenze acquisite nell’ambito dei percorsi di apprendimento formali, non formali ed informali certificate sono registrate nel Libretto formativo del cittadino di cui al Decreto MLPS del 10 ottobre 2005, pubblicato in G.U. n. 256 del 3 novembre 2005.
Articolo 6
Orientamento lungo tutto l’arco della vita
1. La presente legge promuove e sostiene la rete dei servizi di orientamento e di consulenza lungo tutto l’arco della vita, in quanto complesso di azioni essenziali per il pieno sviluppo della persona e quale fattore strategico volto a garantire pari opportunità e piena mobilità ai cittadini nel sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro. A tale fine lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e le Comunità montane si impegnano, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, a sviluppare azioni integrate in materia.
Articolo 7
Congedi e permessi per la formazione
L’art. 5 della legge 8 marzo 2000, n. 53 è così sostituito:
1. Ferme restando le vigenti disposizioni relative al diritto allo studio di cui all’articolo 10 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i dipendenti di datori di lavoro, pubblici o privati, che abbiano almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedi per la formazione per un periodo non superiore ad undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arto dell’intera vita lavorativa.
Si propone la riscrittura dell’articolo a partire dalle seguenti considerazioni. Le disposizioni di cui all’art. 7, comma 1 pongono, come precondizione per l’accesso e la fruizione dei congedi per la formazione, un’anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione di almeno cinque anni. Tale previsione era già presente nell’art. 5, comma 1 della L. 53/00. Appare altresì utile osservare che, quanto previsto nella L. 53/00, teneva conto di un quadro normativo relativo alla contrattualistica del lavoro, oggi profondamente cambiato dalla legge 30/03 e dal suo decreto attuativo 276/03. La progressiva informalizzazione dei contratti di lavoro ha determinato la creazione di nuove ed ulteriori forme contrattuali andando ad arricchire la gamma degli strumenti contrattualistici in genere definiti come “atipici”. La diffusione e il crescente utilizzo di questi strumenti è ormai ampiamente documentato. I contratti di lavoro atipici, pur se in alcuni casi prevedono una continuità con lo stesso datore di lavoro, in realtà sono caratterizzati da continue interruzioni e rinnovi con una cadenza che, nella generalità dei casi, è di tipo semestrale o annuale. Il rischio, nel prevedere cinque anni di servizio presso la stessa azienda come precondizione per l’accesso alla fruizione dei congedi formativi, è che una fascia non indifferente della popolazione lavorativa, quale è quella sottoposta a rapporti lavorativi “atipici”, venga esclusa o quantomeno fortemente ostacolata nella possibilità di usufruire dei congedi stessi. Di conseguenza anche in questo caso, come in genere avviene per quanto riguarda l’accesso alla formazione, si ripropone il paradosso secondo il quale solo chi già ha una solida base lavorativa di partenza ha l’opportunità di consolidarla ulteriormente attraverso l’accesso alla formazione, mentre chi non la possiede, e quindi più ha necessità di andare a consolidare la propria condizione lavorativa attraverso opportune azioni formative, invece ne risulto escluso.
La previsione di cui all’art. 7, comma 1, si configura quindi come un ostacolo nel garantire a tutti pari opportunità di accesso e fruizione al diritto alla formazione. Appare quindi utile andare a rimuovere tale ostacolo con delle modifiche che tengano conto del mutato quadro normativo di riferimento. Una proposta in questo senso potrebbe essere ispirata al modello francese dei C.I.F. (Congedi Individuali di Formazione). In questo caso vengono richiesti al lavoratore 24 mesi di anzianità di servizio, non importa se consecutivi o no, di cui 12 mesi presso la stessa azienda. Tale previsione, oltre ad essere più coerente con l’attuale quadro dei rapporti di lavoro, garantirebbe sia il lavoratore che il datore di lavoro. Al primo viene riconosciuto il percorso maturato all’interno del mercato del lavoro, non privandolo delle esperienze lavorative maturate anche prima e al di fuori dell’azienda nella quale attualmente è occupato, mentre al datore di lavoro si garantisce una continuità e una crescita del lavoratore all’interno della propria azienda prevedendo una permanenza di almeno 12 mesi nella stessa azienda.
2. Per “congedo per la formazione” si intende quello finalizzato al conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione, della qualifica e del diploma professionale, del titolo di studio di istruzione secondaria superiore, del titolo conclusivo dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore, della laurea, della laurea magistrale, del diploma di specializzazione, del dottorato di ricerca limitatamente ai dipendenti di datori di lavoro privati, dei diplomi di alta formazione artistica, musicale e coreutica nonché alla partecipazione ad attività formative diverse da quello poste in essere o finanziate dal datore di lavoro.
3. Durante il periodo di congedo non retribuito per la formazione il dipendente conserva il posto di lavoro. Tale periodo non è computabile nell’anzianità di servizio e no né cumulabile con le ferie, con la malattia e con altri congedi. Un grave e documentato impedimento, individuato sulla base dei criteri stabiliti dal medesimo decreto di cui all’articolo 4, comma 4, intervenuto durante il periodo di congedo, di cui sia data comunicazione scritta al datore di lavoro, dà luogo ad interruzione del congedo medesimo.
4. In caso di congedo non retribuito il lavoratore può procedere al riscatto del periodo di cui al presente articolo, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.
5. Fatte salve le disposizioni contrattuali che stabiliscono la concessione di permessi retribuiti finalizzati all’esercizio del diritto allo studio. I contratti e gli accordi collettivi, con le modalità di cui al comma 6, possono prevedere, per la partecipazione ai corsi o per sostenere gli esami relativi al conseguimento dei titoli di cui al comma 2, e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili per la contrattazione collettiva, l’attribuzione ai dipendenti di cui al comma 1 di ulteriori permessi retribuiti in misura non superiore a venti ore annue, usufruibili anche cumulativamente entro il limite massimo di cento ore nell’arco dell’intera vita lavorativa.
6. I contratti collettivi prevedono le modalità di fruizione del congedo non retribuito, individuano le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinano le ipotesi di differimento dell’esercizio di tale facoltà e fissano i termini del preavviso, che comunque non può essere inferiore a trenta giorni.
7. In ogni caso il datore di lavoro non può differire la fruizione di congedi retribuiti e dei permessi di cui al comma 5 da parte del lavoratore per un periodo superiore a sei mesi dalla proposizione della relativa richiesta.
Alla luce delle considerazioni di cui all’art. 7 relativamente ai congedi e ai permessi per la formazione si propone lo stralcio dell’art. 8 “Misure a sostegno dell’apprendimento dei lavoratori”. La proposta di riscrittura dell’articolo 7, nell’ottica dell’affermazione del diritto individuale della persona (quindi non solo del lavoratore) alla formazione, dovrà prevedere, chiarendoli, dispositivi e strumenti per assicurare a tutti i cittadini la reale fruizione del diritto stesso.
Articolo 8
Disposizioni finali
1. All’attuazione della presente legge le amministrazioni pubbliche interessate provvedono nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’intenzione di “promuovere” attraverso questa norma l’apprendimento permanente, esplicitata all’art. 1 c.1, non risulta di fatto supportata da stanziamenti finanziari ad hoc
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.