FASCICOLI
Conferenza dei Presidenti delle Regioni
e delle Province autonome
 

ROMA, 11 novembre 2004

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

 

 

Schema di Documento programmatico per il triennio 2004 – 2006 relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello stato, a norma dell’art.3 del D.lgs 286/98 e successive modificazioni legge189/2002

 

Punto 2) O.d.g. Conferenza Unificata

 

(Pag. 2-12 del Documento Programmatico)

 

Il documento programmatico per il triennio 2004 – 2006 ha un’importanza notevole per l’orientamento e il sostegno delle politiche migratorie, presupposto ineludibile di una ordinata convivenza civile. L’immigrazione che in Italia come nel resto d’Europa sta cambiando il volto della nostra società, necessita di attenzione e di impegno, in particolare da parte delle istituzioni preposte, su come governare il fenomeno rispetto ai flussi migratori regolari, alla lotta allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, alle risorse sociali e finanziarie, all’associazionismo e al volontariato dei cittadini italiani e immigrati per le iniziative dirette all’accoglienza, alla tutela e all’integrazione e partecipazione sociale.

La realizzazione degli obiettivi presentati all’interno del terzo documento di programmazione sulla politica dell’immigrazione appare, tuttavia, per diversi motivi - che qui di seguito presenteremo -, compromessa da dati inesatti, imprecisioni e lacune anche rispetto al Testo Unico.

Per questo motivo vi presentiamo alcuni punti su cui è necessario lavorare in sinergia al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi indicati. Su tale base le Regioni chiedono di integrare opportunamente gli aspetti sotto evidenziati che forniscono indicazioni  per la definizione concertata delle politiche dell’immigrazione .

Il documento risulta articolato principalmente in due parti: una parte descrittiva e una parte prescrittiva.

La parte descrittiva, insufficiente per quanto concerne l'analisi dell’attività svolta nel corso del triennio precedente, non fa menzione alcuna dei successi delle così dette “buone pratiche” e delle criticità di quanto attuato; i dati, non sufficientemente aggiornati, non consentono una lettura organica e esaustiva delle varie componenti dell’immigrazione. La parte prescrittiva del documento manifesta lacune ordinamentali rispetto agli organismi consultivi previsti nel Testo Unico non sostanziandosi in precise indicazioni operative, ovvero azioni come previsto dall’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 286/98.

Nel documento si avvertono nell’insieme degli scompensi tra le diverse sezioni: si rilevano, in alcuni casi, elementi di estremo dettaglio e, in altri, lacune e dati sommari.

Il Documento enfatizza le tematiche inerenti la lotta alla immigrazione clandestina e illegale, mentre le analisi e le indicazioni programmatiche delle politiche di integrazione risultano ridimensionate, anche rispetto al Documento del triennio precedente 2001-2003.

Si tratta di una impostazione che rende il Documento ridondante soprattutto nei primi tre capitoli, nel quale il ruolo e le esperienze avviate dalle Regioni e dalle Autonomie locali risultano sottovalutate, e nel quale non si evidenziano con precisione le azioni e gli interventi che lo Stato si propone di svolgere in materia di immigrazione per il triennio in corso. Inoltre manca una valutazione a posteriori rispetto alle politiche indicate dal Documento di programmazione precedente ed attuate nel periodo 2001-2003.

In relazione al documento programmatico in esame, si evidenziano le seguenti osservazioni:

1)      a pag. 2 si parla di “equivalenza tra ingresso nel territorio dello Stato e lavoro legale”. In proposito si deve tra l’altro osservare che mancano nel rapporto dati precisi sull’andamento annuale e indicazioni prospettiche su una forma di ingresso nel territorio in vista di stabile residenza prevalente, come forma di ingresso legale, rispetto all’ingresso con contratto di lavoro, ossia l’ingresso per ricongiungimento, un tipo di ingresso che, tra l’altro, pone peculiari problemi sul piano dell’integrazione;

2)      a pag.2 si parla di attività di formazione nei paesi di origine, e poi a pag.4 e a pag.14 se ne sottolinea l’importanza. Mancano però nel documento dati precisi sull’attività finora svolta in proposito e sui progetti in itinere, così come mancano indicazioni sulle “migliori pratiche”. A tal fine preme sottolineare le esperienze/sperimentazioni realizzate dalle regioni nel corso del 2001 – 2003, che potrebbero essere oggetto di orientamento per il prossimo triennio.

3)      pare inesatta l’indicazione di cui a pag. 2, secondo cui “l’adesione di dieci nuovi paesi all’Unione Europea ha modificato le regole di accesso al mercato del lavoro italiano per un numero rilevante di lavoratori stranieri che fino ad ora erano rientrati nella regolazione degli extracomunitari”. Come del resto si ricorda in altra parte del documento (pag.28 e ss.), il governo italiano si è avvalso della facoltà di non applicare le regole sulla libera circolazione dei lavoratori ai cittadini dei paesi di nuova adesione, cosicché ad essi continuano ad applicarsi le regole in materia di extracomunitari. L’inesattezza è rilevante, tra l’altro, perché sempre a pag.2 e poi a pag.4, si parla  di un “impatto migratorio” da valutare nel definire gli ulteriori sviluppi della programmazione dei flussi, come se i cittadini dei paesi di nuova adesione sfuggissero a tale programmazione, il che non è; a pag. 4 e poi anche a pag.28 si parla di un monitoraggio dei “flussi di ingresso nel territorio dello Stato dei cittadini dei nuovi dieci paesi membri dell’Unione Europea per motivi di lavoro subordinato”; ma se tali flussi sono soggetti a programmazione, che cosa deve essere propriamente monitorato?

Si osserva che nulla si prevede circa il criterio con il quale adottare le scelte per il periodo successivo alla scadenza del primo periodo di moratoria dei nuovi ingressi per lavoro;

4)      La precedente osservazione dà modo di evidenziare un altro aspetto: per la programmazione dei flussi si dice, come leggiamo a pag. 4, al secondo capoverso, che occorre tenere conto in primo luogo dell’offerta proveniente dal mercato del lavoro nazionale ed europeo, in secondo luogo, dell’offerta proveniente dai paesi comunitari di nuova adesione, in terzo luogo dell’offerta dei lavoratori provenienti dai paesi non comunitari che hanno stipulato accordi con l’Italia che prevedono quote privilegiate di ammissione e, infine, dell’offerta dei lavoratori non comunitari per i cui paesi di origine non sono previste quote preferenziali.

A fronte di ciò, ci chiediamo quale è il flusso e la relativa definizione delle quote per gli ingressi dai paesi extra-europei? Si trascurano i dati sugli ingressi dei cittadini provenienti dai paesi extraeuropei (come ad esempio dal Senegal, Ghana, Nigeria ecc.) che registrano un forte tasso di disoccupazione e di natalità oltre che ingressi derivanti dalla pratica della tratta e dello sfruttamento. Riteniamo che bisognerebbe valorizzare quanto indicato nell’art. 21 del Testo Unico sull’immigrazione di cui al D.Lgs.286/98, definendo quindi accordi bilaterali per favorire quote preferenziali direttamente con i paesi di origine, ove più forte è la pressione migratoria e la crescita demografica e ove si rileva un tasso significativo di disoccupazione interna a fronte di una contrazione delle nascite anche nei paesi di nuova adesione o di tassi di disoccupazione più bassi. La concessione di quote privilegiate di ingresso in favore di quei Paesi da cui è forte la spinta migratoria illegale potrebbe essere uno strumento utile per ridimensionare e contrastare l’immigrazione clandestina e per favorire collaborazioni con i governi di tali paesi. A pag. 31 (capitolo 1)si ha una poco dettagliata formulazione di tale concetto. (Cfr. a pag. 4 ultimo capoverso e pag.5, pag.7). Una simile rigida scansione sembra trascurare quali siano tutt’ora i flussi effettivi e quale debba essere la relativa definizione delle quote dai paesi extra europei;

5)  a pag. 3 e poi a pag. 36 e ss. laddove si parla di “sbarchi di immigrati clandestini” andrebbero inseriti anche i dati del 2004 (primi otto mesi, come si fa per altri dati) e andrebbe precisato che si tratta degli sbarchi ‘registrati’ (ossia a conoscenza delle autorità competenti);

6)      a pag. 4 si parla di “promuovere un’attività di rilevazione e di indagine sulle prospettive di fabbisogno lavorativo, sulla capacità di assorbimento del mercato del lavoro nazionale e sulle capacità di integrazione della società italiana”. Ma, pur trattandosi di questione che dovrebbe essere centrale in un documento di programmazione, nel documento stesso non si trovano poi indicazioni precise circa i tempi e i modi dell’attività in questione; il documento prevede uno stretto raccordo con le Regioni, ma non indica modalità e sedi;

7)      a pag.8 si parla di “reingegnerizzare [i] processi di concessione della cittadinanza con l’applicazione di nuove procedure informatiche e la progressiva riduzione dei tempi di attesa dei richiedenti”; il tema viene poi ripreso a pag.109. Mancano però nel documento dati precisi sulla situazione attuale, in particolare quanto ai tempi. Inoltre il documento non affronta il tema della discrezionalità della concessione, dei relativi criteri e della necessità di individuare a riguardo le migliori pratiche e generalizzarle in modo opportuno;

8)      Nel fare “Il punto sulla presenza straniera in Italia” (pag.9), il documento trascura totalmente il dato costituito dalle presenze irregolari derivanti da ingresso ‘clandestino’ o, più spesso, da mancato rinnovo del permesso di soggiorno (c’è qualche cenno a proposito del lavoro nero, ad esempio a pag. 34; è tuttavia un dato del 2002). Eppure si tratta di una realtà importante tra l’altro con un specifico impatto sul sistema sanitario cui l’immigrato irregolare comunque in parte accede. Si tratta di un fenomeno per sua natura difficile da monitorare ma anche con l’ausilio delle regioni qualche valutazione a riguardo dovrebbe essere possibile; a tale proposito si richiamano gli Osservatori regionali istituiti presso le regioni, che possono concorrere alla definizione di stime, puntuali ed attendibili, sulle quote di irregolari.

Inoltre si dice che “la presenza straniera non è radicalmente diversa da quella del resto dell’Europa”. In verità se si confrontano i dati italiani con quelli francesi o tedeschi o britannici più recenti la differenza appare ancora marcata.

 

 

CAPITOLO I

LE POLITICHE PER IL LAVORO DEGLI STRANIERI E LE LINEE GENERALI PER LA DEFINIZIONE DEI FLUSSI DI INGRESSO NEL TERRITORIO ITALIANO (pag.13-35)

 

Manca nel documento ogni indicazione seppur sommaria sulle previsioni ufficiali quali-quantitative che dovrebbero fungere da quadro di riferimento per i prossimi decreti annuali di programmazione flussi. Sembra che, dopo approssimativa critica delle stime disponili sul fabbisogno di nuovi lavoratori stranieri, si voglia sfuggire alla responsabilità di proporre una stima ufficiale ragionevole. Non c’è chiarezza sulla vera o presunta concorrenzialità dei lavoratori stranieri rispetto al mercato del lavoro italiano. Si propongono infatti a riguardo dati parziali interessanti, non criticamente elaborati in un contesto significativo e propositivo.

A pag 13 si parla dell’integrazione dello Sportello Unico in un sistema “informativo più ampio” citando anche INPS, INAIL e SIL. Non viene citato il SILES Sistema Informativo Lavoratori Stagionali Exstracomunitari. Servizio telematico per la gestione e il monitoraggio della programmazione flussi d’ingresso regolare per il lavoro stagionale in Italia . E’ da intendersi assorbito nel Sistema informativo più ampio? Non si hanno dati sul suo funzionamento.

A pag.16 si parla delle indicazioni regionali sul ‘monitoraggio’ del fabbisogno lavorativo da presentare entro il 30 novembre di ciascun anno. Considerato che i decreti annuali secondo la legge debbono essere adottati entro il 30 novembre dell’anno precedente quello di riferimento (art. 3, comma 4-ter del D. lgs 286/98), forse sarebbe opportuno indicare nel documento, ferma restando la scadenza formale del 30 novembre, l’esigenza, data l’importanza del dato, che, se possibile, le indicazioni regionali pervengano prima del 30 novembre. Inoltre, pare riduttivo parlare di indicazioni regionali sul monitoraggio del fabbisogno lavorativo quando la legge parla di “indicazioni previsionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo” (art.21, comma 4-ter del t.u.). Nel documento, poi, non si dice nulla sulle indicazioni regionali finora eventualmente pervenute.

Si vedrebbe utile, una maggiore apertura del documento programmatico al ruolo delle Regioni, tenuto conto dell’attività già in corso e degli strumenti attivati a livello locale di conoscenza, analisi e monitoraggio (Reti territoriali e Osservatori) degli ingressi per lavoro e di rilevazione dei fabbisogni, in relazione alla capacità di assorbimento sociale dei territori interessati.

Sempre a pag 16 , con riferimento alla rilevazione molteplice del fabbisogno – punto a) , vengono citati i diversi canali di rilevazione regionale. Sarebbe auspicabile che il documento definisse delle linee per coordinare tale rilevazione regionale tra le amministrazioni regionali e gli uffici ministeriali

Analogamente, anche sull’attuazione dell’art. 23 sui titoli di prelazione – più volte citato nel documento programmatico – è auspicata maggiore concretezza su strumenti, modalità e tempi per la valorizzazione delle esperienze pilota condotte in ambito regionale in materia di incontro domanda/offerta di lavoro, formazione e selezione all’estero, accompagnamento lavorativo e sociale dai Paesi di origine ai contesti di inserimento.

Il Documento non salvaguarda le competenze speciali delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome in materia di lavoro.

In particolare si evidenzia quanto segue:

A pag.13 e ss. il documento indica il ruolo dello sportello per le domande di ingresso in Italia per lavoro iniziale, ma non affronta la rilevante questione degli stranieri già presenti a titolo di ricongiungimento o in possesso di contratto di lavoro, che intendono attivare un nuovo contratto di lavoro. In generale nel documento il tema del ‘percorso lavorativo dello straniero’ viene trascurato, concentrando l’attenzione solo sul ‘primo’ rapporto di lavoro.

Si evidenzia inoltre il tema del rinnovo dei permessi di soggiorno , anche per coloro che proseguono l’attività lavorativa con lo stesso datore di lavoro , con riferimento ai soggetti istituzionali coinvolti nel rilascio dei permesso stesso.

 

Di seguito si riportano alcune osservazioni analitiche:

1) A pag.16, indicando i settori di riferimento per i lavoratori stranieri, si individuano due ambiti, ossia quello dei lavoratori ‘altamente qualificati’ e quello dei lavoratori operanti nelle professioni a qualificazione e remunerazione ridotta’, trascurando il fatto che, per qualificazione e personale, anche in relazione alle esigenze del mercato, i lavoratori stranieri si posizionano sempre più anche nella fascia media del mercato del lavoro (commesse nella grande distribuzione, operai in settori ‘ordinari’ ecc.);

2) A pag.16 si parla della possibilità che per gli stranieri beneficiari della recente regolarizzazione cessi l’originario rapporto di lavoro. Manca però nel documento ogni indicazione circa quanti di loro si sono già visti negare il rinnovo del permesso per mancanza di un rapporto di lavoro dipendente: si parla di circa 700.000 lavoratori stranieri presenti sul mercato del lavoro per effetto della recente regolarizzazione ma, considerati i rimpatri volontari e i mancati rinnovi, il dato dovrebbe essere decisamente ridimensionato. Inoltre , in termini di prospettive , non viene fatto riferimento ai servizi da attivare per supportare l’inserimento lavorativo di queste persone (e quindi il tema dei servizi al lavoro ex lege 30/2003 che va verso la flessibilizzazione del Mercato del lavoro  e della forme contrattuali) durante i sei mesi in cui possono cercare una nuova occupazione (da collegarsi anche al cap. 4 “Le politiche di integrazione”)

3) A pag.17 si dice che le stime disponibili tendono “a sottostimare la domanda di lavoro stagionale e a sopravvalutare quella di lavoro non stagionale”. Non si dice però nel documento su che cosa si fondi una tale perentoria affermazione. In generale nel documento vi è la preoccupazione di non sovrastimare la domanda strutturale di lavoratori immigrati nei prossimi anni. Si dice, ad esempio, a pag.23, che vi è “un obbligo di prudenza nel valutare” per “l’aleatorietà delle previsioni demografiche ed economiche [che] potrebbe spingere a sopravvalutare i fabbisogni”. Sul piano tecnico si deve osservare a riguardo che l’aleatorietà in questione comporta per sua natura un rischio di sottovalutazione pari a quello di sopravvalutazione (salvo assumere a priori uno scenario di ‘decadenza’ socioeconomica del paese);

4) A pag.22-23 vi è un riferimento al fabbisogno di medici che appare oscuro perché si parla di carenze ad esempio nel settore degli anestesisti, dell’opportunità a riguardo di una politica di ingressi selettivi che però la legge esclude perché “l’ingresso di professionalità mediche avviene attraverso la quota indistinta riservata al lavoro autonomo”. Si è indotti a pensare che sia rilevante la figura del medico anestesista lavoratore autonomo il che non può essere;

5) A pag.22 si propone una previsione Istat sull’andamento della popolazione italiana in età lavorativa fino al 2010: andrebbe precisato se ed eventualmente come, tale stima tenga conto dell’immigrazione nel periodo di riferimento;

6) A pag. 26-27-28 si propongono dati parziali rispetto a precedenti decreti senza una loro operativa utilizzazione per la programmazione futura come previsto dall’art.3 e dall.art.21 del Testo Unico.

7) Come ricorda il documento (pag.31) una delle innovazioni introdotte dalla legge n.189 a proposito della programmazione flussi è stata la previsione di quote di ingresso riservate ai lavoratori stranieri di origine italiana. Nel documento si dice che le quote riservate previste “sono state utilizzare finora soltanto in minima parte”. Manca nel documento la pur minima riflessione sul perché dello scarso successo dell’innovazione; a pag.78 appare strana la terminologia “rientro degli stranieri di origine italiana” trattandosi per lo più di persone che non hanno mai avuto la cittadinanza italiana e non hanno mai soggiornato nel nostro paese. Manca inoltre il necessario collegamento con la questione delle ‘quote privilegiate’, né si indicano i rimedi per prospettive future;

8) a pag 33 all’interno del paragrafo sugli accordi bilaterali in materia di lavoro non si prevede la possibilità di implementare la selezione attraverso gli strumenti informativi che peraltro risultano coerenti sia con lo sviluppo di “apposite liste” all’interno del diritto di prelazione  che con lo sviluppo dei servizi della Borsa Continua del Lavoro e ai nodi regionali che comporanno la Borsa nazionale

9) Nel paragrafo dedicato all’imprenditoria immigrata (pag.34), non si tiene conto adeguatamente del fatto che ai sensi dell’art.6 del t.u. non vi è una forte correlazione tra permesso di lavoro per lavoro autonomo e imprenditoria immigrata dal momento che chi ha un permesso per lavoro subordinato o per motivi familiari può dedicarsi e sovente sceglie di dedicarsi al lavoro autonomo. Manca, tra l’altro, nel documento ogni indicazione su quanti dei beneficiari della recente regolarizzazione hanno scelto il lavoro autonomo.

 

 

 

CAPITOLO II

LE POLITICHE DI PREVENZIONE E DI CONTRASTO ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE E GLI STRANIERI NEL SISTEMA GIUDIZIARIO (pag.13-35)

In merito alle iniziative per il controllo del territorio, delle coste e delle frontiere  (cfr. pag.42), si tace sulla istituzione della specialità della polizia di frontiera e dell’immigrazione, funzionale all’assolvimento dei compiti amministrativi di pubblica sicurezza che richiedono competenze peculiari oltre che una formazione e conoscenza specifica; ad esempio, oggi, senza il vincolo della specialità si rischia di perdere, vanificando il know-how acquisito e le risorse impiegate, gli operatori delle questure formati sul tema della mediazione, che collaborano inoltre alla realizzazione dei progetti per l’inserimento dei mediatori culturali negli uffici stranieri delle questure.

A pag. 48-49 si menziona l’allestimento d nuovi CTP; a quest’ultimo riguardo, si rileva la mancanza di informazione sulle strutture ed un necessario parere delle Regioni e delle Autonomie locali.

A pag. 59 si sottolinea che il numero dei detenuti stranieri è andato “progressivamente aumentando”. A parte la ridondanza del ‘progressivamente’ andrebbe rilevato che, come del resto emerge dalla tabella proposta, il numero dei detenuti stranieri è cresciuto parallelamente al numero dei detenuti in genere mentre la percentuale dei detenuti stranieri sul totale è stabile dal 2000;

A pag. 60 non emerge se vi siano e quali eventualmente siano le peculiarità del lavoro in carcere degli stranieri rispetto a quello degli italiani; a pag.62 mancano dati sul lavoro fuori dal carcere dei detenuti stranieri;

Sempre a pag. 60 in merito agli aspetti del trattamento dei detenuti stranieri, si rileva che manca la definizione di azioni operative programmatiche articolate: si riscontra infatti, a tale riguardo, una programmazione generica. Inoltre non si fa riferimento al tema della salute e del disagio psichico vissuto dal carcerato, né sono citate esperienze regionali qualificanti, sotto il profilo di una  progettualità volta ad intervenire proprio su tali questioni.

A pag. 61 si parla di una necessità di attenta riflessione circa l’ingresso del mediatore culturale nelle carceri “per non turbare gli equilibri esistenti”, ciò in violazione di quanto regolamentato dall’art. 35 DPR n. 230/2000. A tal fine, il documento deve opportunamente precisare le linee generali riguardo alle funzioni e ai ruoli svolti dal mediatore linguistico culturale nei vari ambiti. Si veda, a questo proposito, quanto specificato sul tema della mediazione nel capitolo 4 del presente documento.

 

 

CAPITOLO III

LE AZIONI E GLI INTERVENTI A LIVELLO INTERNAZIONALE (pag. 70-89)

 

Nell’ambito degli obiettivi riguardanti l’azione a livello internazionale, fatte salve le competenze statali in materia di politica estera, si vedrebbe utile ed efficace il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti Locali, titolari delle politiche di accoglienza, nello sviluppo delle politiche europee di integrazione, mediante trasferimento e scambio di informazioni, strumenti, soluzioni operative, buone prassi di integrazione degli immigrati nell’Europa allargata. I diversi temi trattati presentano un quadro generale su quanto realizzato nei vari settori; tuttavia non sono fornite indicazioni puntuali sulle modalità di intervento e rimedio futuro.

Per quanto riguarda le azioni dell’Italia a livello bilaterale con i Paesi di origine e transito, in particolare, si rileva un’attenzione rispetto alle azioni volte a contrastare l’immigrazione illegale sulla base degli accordi stipulati, alcuni dei quali ancora non operativi (es. Tunisia); a tal fine si fa riferimento a quanto specificato nella prima sezione delle osservazioni riportate (al punto 4) nel presente documento e si chiede che siano individuati “interventi concreti e proporzionali all’emergenza in atto”, promuovendo e sostenendo adeguatamente lo strumento degli accordi bilaterali a favore dell’Africa che è l’area che necessita di maggiore attenzione, anche rispetto alle situazioni drammatiche legate alle forme di sfruttamento e di nuove schiavitù. (si veda anche punto 7 pag. 5)

 

 

 

CAPITOLO IV

LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE (pag. 90-114)

 

Il capitolo sulle politiche di integrazione appare debole nel suo impianto strategico, deficitario rispetto ad una serie di questioni fondamentali che non vengono minimamente affrontate, e piuttosto carente per quanto attiene le tematiche sviluppate, nonché evidentemente disgiunto da un ragionamento complessivo che comprenda politiche dei flussi e politiche di integrazione.

Dal punto di vista strategico, si rileva un approccio alle politiche di integrazione di basso profilo, che motiva interventi di integrazione esclusivamente connessi all'ultimo processo di regolarizzazione svolto.

In questo senso l'integrazione sembra essere un atto conseguente ad un processo sociale già dato, piuttosto che l'obiettivo strategico prioritario dei prossimi tre anni.

Il paragrafo dedicato ai Consigli Territoriali per l’immigrazione (pag.91)  non presenta un bilancio articolato dell’attività svolta e non indica le strutture opportune e la necessaria implementazione del personale a supporto delle attribuzioni di competenza. Le Regioni, unanimemente, già in sede di discussione tecnica e politica sui Regolamenti applicativi della L. 189/2002 (settembre-dicembre 2003), sulla base della prassi di questi anni, hanno espresso la valutazione che questi organismi hanno la capacità di esercitare un efficace ruolo solo se strettamente connessi alla realtà istituzionale locale. Pertanto si ribadisce l’opportunità, stante il mantenimento del ruolo già assegnato al prefetto di istituire il Consiglio e assicurarne il funzionamento, di prendere a considerazione lo svolgimento da parte delle Province di un ruolo di coordinamento dei Consigli medesimi.

Il testo non affronta minimamente il tema della governance, del rapporto tra Stato, Regione ed Enti Locali in materia di politiche di integrazione ed il ruolo che si intende assegnare alle forze sociali, dell'associazionismo e del volontariato. Nondimeno, il documento non fa riferimento alle attività svolte da altri organismi di raccordo tra Stato e Regioni, definiti dal Testo Unico, quali la Consulta Nazionale Istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per i problemi degli stranieri  e delle loro famiglie (art.42), la Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati (art.46) e l'Organismo nazionale di coordinamento istituito presso il CNEL ( art.42).

Si condivide la necessità e l’urgenza del collegamento strutturato tra Amministrazioni e Organismi che si occupano di immigrazione nell’ambito delle diverse funzioni e competenze, anche al fine di evitare problemi interpretativi dovuti allo scarso coordinamento (per esempio tra Questure e Aziende Sanitarie nel campo delle causali per il riconoscimento o meno dell’assistenza sanitaria e delle modalità di copertura). Il tema del coordinamento andrebbe maggiormente sottolineato anche in tema di iniziative a favore dei minori stranieri non accompagnati, tenendo conto delle osservazioni e proposte emerse in sede di Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, che rilevano, non solo l’insufficiente riconoscimento da parte dell’Amministrazione centrale delle responsabilità degli Enti Locali nella gestione del fenomeno, ma anche la mancanza di adeguati raccordi interistituzionali laddove sarebbe invece fondamentale, alla luce dell’interesse del minore, il puntuale coordinamento tra i compiti delle Amministrazioni preposte. Tanto per esemplificare, negli ultimi anni si è rafforzato il distacco tra l’intervento del Comitato per i minori stranieri, privo di un rappresentante delle regioni, e l’attività affidata ai Comuni, aggravata da una carenza di governo a livello centrale (assenza di procedure omogenee per la presa in carico dei casi, mancanza di raccordi interistituzionali, totale assenza di risorse specifiche a fronte di costi di rilevante entità sostenuti totalmente dai Comuni interessati, difficoltà operative per il rimpatrio assistito). Perciò è necessario ed urgente, come previsto dal Documento congiunto ANCI-Regioni sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, che il Governo adotti un documento di modifica del DPCM n.535 del 9/12/99 (regolamento Comitato minori) al fine di :

  • individuare la questione dei minori stranieri non accompagnati quale priorità nell’ambito delle politiche dello Stato per la tutela dei diritti e della salute dei minori e delle politiche migratorie
  • prevedere l’inserimento di almeno tre rappresentanti delle Regioni nel Comitato minori stranieri
  • definire le competenze delle amministrazioni centrali e quelle locali ed il loro raccordo
  • monitorare annualmente la spesa per gli interventi
  • individuare le risorse specifiche nel Fondo nazionale per le politiche sociali
  • effettuare il rimpatrio assistito  in presenza di un progetto nel paese di provenienza del minore che tenga conto delle risorse e delle opportunità che quel paese ha o può sviluppare, con un preciso raccordo con le istituzioni straniere, con le nostre sedi diplomatiche, con le associazioni internazionali.

 

L'impianto tecnico del Documento non affronta adeguatamente le seguenti tematiche:

1- le politiche di integrazione e comunicazione interculturale perché le politiche di integrazione non possono essere riconducibili ai soli interventi e servizi materiali, bensì devono prefiggersi di operare anche sul piano simbolico, secondo una logica preventiva e promozionale, allo scopo di rimuovere i pregiudizi e gli stereotipi che sono alla base delle discriminazioni e che ostacolano il dialogo e la conoscenza reciproca fra le persone. Su queste tematiche non viene spesa una parola.

2-La totale carenza di un discorso sulla dimensione di genere, ovvero di una analisi trasversale sull'insieme del Documento, che metta al centro delle politiche di integrazione i bisogni e le aspettative delle donne straniere, e dunque la necessità di realizzare azioni integrate che tengano conto delle condizioni di maggiore difficoltà a cui tendenzialmente sono sottoposte le donne immigrate, nella logica di supportare e facilitare percorsi migratori connotati da elementi di emancipazione sociale, lavorativa e culturale.

3- Il tema della partecipazione e del protagonismo dei cittadini stranieri nella definizione delle politiche pubbliche, con particolare attenzione all'obiettivo della attribuzione del voto locale ai residenti stranieri così come indicato dalla Convenzione di Strasburgo del 1992. In questo senso, rileviamo che, rispetto al Documento triennale precedente 2001-2004, questa tematica è stata letteralmente rimossa.

A fronte di un vivace dibattito politico, e di una fortissima spinta degli Enti Locali (di ogni orientamento politico) nel costituire forme strutturate di coinvolgimento e di rappresentanza politica dei cittadini stranieri (Consulte elettive, Consiglieri aggiunti, Forum delle associazioni, modifiche statutarie ai Comuni, ecc..), il Documento politico non esprime alcuna linea ed azione di intervento.

4- Il fenomeno crescente del lavoro di accudimento delle assistenti familiari, che rappresenta una variabile significativa del più recente processo migratorio, ed impone di prevenire con sollecitudine alla soluzione delle molteplici e nuove problematiche aperte, affinché la scelta di tante famiglie e lavoratrici straniere si esprima in un contesto di legalità, quale condizione per attivare strategie di sostegno, di collegamento e di opportunità di relazione con la rete dei servizi pubblici.

Il Documento programmatico non esprime alcuna indicazione sull’informazione, orientamento, formazione, incontro tra domanda ed offerta, agevolazioni fiscali per le famiglie datrici di lavoro e canali di accesso più veloci e svincolati dalla programmazione dei flussi.

5- Manca poi la definizione di categorie professionali specifiche, ovvero la certificazione sostanziale delle competenze, necessarie perché si possa configurare un rapporto di lavoro secondo i criteri contemplati dalla normativa: a tale proposito si rileva che i datori di lavoro sono spesso costretti ad assegnare al nuovo lavoratore una categoria professionale che non rispecchia la professione realmente svolta. A pag. 96 nella sezione life learning, in riferimento all’offerta formativa ed orientativa rivolta agli adulti, non viene, infatti, menzionato il tema dell’accertamento di professionalità che consente ai lavoratori che hanno acquisito abilità in ambito lavorativo il riconoscimento della certificazione formale. Dunque, nulla si dice sulle modalità per promuovere il sistema nazionale di certificazione delle competenze, a scapito di risorse umane che potrebbero essere meglio utilizzate.

 

In  particolare, si osserva quanto segue:

A pag.90 e poi a pag. 97 si sottolinea la rilevanza della “certificazione delle competenze linguistiche” (conoscenza della lingua italiana da parte degli stranieri) e la si propone come un fenomeno in atto: non sono però offerti dati in proposito;

A pag.92 si parla dei consigli territoriali ma non si propongo dati indicativi del loro effettivo funzionamento, ad esempio dell’effettivo coinvolgimento in essi delle regioni;

A pag.95 andrebbero formalmente separati il tema dell’obbligo scolastico per i figli di genitori non in possesso di permesso di soggiorno e il tema dell’inserimento in classi scolastiche corrispondenti all’età anagrafica;

A pag.93 si parla di “alunni e studenti stranieri in scuole e università italiane”, ma poi manca ogni specifico riferimento alle università e sono omesse indicazioni in merito all’inserimento degli studenti e alle prospettive per il loro futuro;

A pag.100, a proposito della salute degli stranieri si accenna appena al fatto che “tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono più frequenti la prematurità, il basso peso alla nascita, la mortalità neonatale”. Nell’insieme questa parrebbe essere la principale ‘peculiarità’ sanitaria degli stranieri ma il documento non dedica ad essa attenzione, trascurando inoltre i dati relativi all’interruzione della gravidanza che riguardano in misura superiore le donne straniere senza indicare risoluzioni in termini di interventi. Perciò è necessario e urgente:

·         definire percorsi programmatici coniugati con azioni specifiche

  • considerare che un servizio pubblico non deve generare discriminazioni
  • conoscere la realtà, il contesto, i bisogni degli utenti
  • individuare i punti critici dell’organizzazione
  • avere coscienza delle difficoltà degli operatori e, quindi, rispondere ai loro bisogni
  • migliorare la comunicazione per rendere efficace il servizio
  • promuovere la formazione interculturale degli operatori
  • valorizzare ed utilizzare la professionalità degli stranieri
  • promuovere il lavoro multidisciplinare ed il lavoro di rete tra aziende, con attori istituzionali, volontariato, associazionismo, privato sociale, ecc.
  • istituire uno specifico tavolo di collegamento con le Regioni e le Province autonome per una condivisione di percorsi normativi e per uno scambio di esperienze positive

A pag. 104 a proposito delle politiche abitative si nota l’assoluta mancanza di dati sull’accesso all’edilizia pubblica e privata;

Il documento tratta in generale della funzione del mediatore linguistico culturale (pag.114) e a questo proposito è necessario ed urgente:

  • disciplinare con legge i profili professionali dei mediatori culturali, il loro percorso formativo ed il titolo specialistico.
  • omogeneizzare tra le Regioni i percorsi formativi dei mediatori culturali che,  preferibilmente, dovrebbero essere stranieri con esperienza personale di immigrazione ed una congrua permanenza in Italia.
  • prevedere modelli formativi di almeno 600 ore (a questo proposito esiste un indirizzo chiaro da parte del CNEL che prevede un modulo di base di 500 ore ed una formazione settoriale di 100 ore) basati su una formazione di base, associata ad una formazione specialistica e permanente, prevedendo una formazione anche degli operatori italiani delle Istituzioni in cui i mediatori andranno ad operare
  • non privilegiare l’iniziativa di alcune Università italiane che hanno aperto un corso di laurea in Mediazione culturale, in quanto molti immigrati non riescono a farsi convalidare e riconoscere i titoli di studio conseguiti nei paesi di origine
  • incentivare l’utilizzo dei mediatori da parte degli Enti che gestiscono concretamente i processi di integrazione e che si fanno carico dell’utilizzo di tali figure (si vedano le osservazioni di pag. 5)
  • reperire le necessarie risorse perché il processo sopra illustrato si realizzi inoltre manca nel documento ogni indicazione circa la carta di soggiorno: sul numero delle carte rilasciate negli ultimi anni, sulle prospettive future a riguardo. Diventa imprescindibile ottemperare alla direttiva europea in materia (che riporta a 5 gli anni di soggiorno richiesti per l’ottenimento) ecc. Eppure la carta di soggiorno è un aspetto centrale delle politiche di integrazione e conseguentemente della programmazione regionale ;

Manca nel documento ogni considerazione circa il problema dei tempi lunghi di rinnovo dei permessi di soggiorno e le azioni per superarlo allo stato della normativa (è strano ad esempio che si parli di una reingegnerizzazione delle procedure per la concessione della cittadinanza [pag.107] e non a proposito del rinnovo del permesso di soggiorno);

Manca nel documento ogni indicazione a proposito del settore degli interventi e servizi sociali pur estremamente importate per l’integrazione della popolazione immigrata.

 

 

CAPITOLO V

RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI  (pag. 115-117)

 

Nel capitolo mancano vere linee programmatiche future: è più un riepilogo di provvedimenti presi e un richiamo a disposizioni di legge, senza impegni volti a garantire continuità ed estensione della rete di servizi nata con il Programma Nazionale Asilo e altre iniziative locali.

Il problema centrale non è solo quello di “sveltire le pratiche” ma anche quello di garantire l’effettività del diritto di protezione.

La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce giuridicamente chi è il Rifugiato, che diritti ha e quali sono gli obblighi dello Stato nei suoi confronti. In Italia è divenuta esecutiva con la Legge n.722/1954. Anche se al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno, tale permesso concede il diritto a permanere sul territorio nazionale, il diritto all’assistenza sanitaria ed il diritto all’istruzione scolastica per eventuali minori, ma non il Diritto al Lavoro. In considerazione che l’accoglienza di queste persone viene garantita dallo Stato con un contributo una tantum di Euro 800,00 erogato dalla Prefettura competente normalmente dopo 2 o 3 mesi dall’ingresso in Italia, che le strutture di accoglienza istituite con il Piano Nazionale Asilo sono insufficienti al fabbisogno, che il parametro del costo pro-capite giornaliero risulta largamente inattuale e inadeguato;  che la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato impiega mediamente un anno e mezzo per la convocazione del richiedente asilo e che sono pochissime le domande accolte, è fin troppo chiaro come il cittadino straniero interessato possa uscire facilmente da un percorso di legalità..

Considerato inoltre che le regioni hanno competenze in materia sotto il profilo degli interventi sociali e dell’assistenza è necessario ed urgente:

  • Approvare una legge organica sul diritto d’asilo
  • Monitorare costantemente il fenomeno, dandone opportuna comunicazione agli Enti pubblici a vario titolo competenti nel processo di protezione ed accompagnamento del richiedente asilo
  • Ripensare al DINIEGO all’asilo attualizzandone i criteri
  • Prevedere adeguate risorse per il sostegno alle politiche di integrazione delle Regioni e degli Enti Locali
  • Superare la logica dell’assistenzialismo a favore di una politica di integrazione sociale consapevole della presenza di nuovi cittadini bisognosi di protezione, dignità, sicurezza
  • Considerare che, visti i tempi del riconoscimento dello status di rifugiato, la seconda accoglienza è il problema più rilevante da affrontare oggi.

 

Infine il Documento tace sul tema delle risorse da impegnare, in particolare sull’equilibrio tra risorse per il contrasto alla clandestinità e risorse per l’integrazione  sociale.

Contemporaneamente il disegno di legge sulla Finanziaria 2005 prevede una riduzione al Fondo nazionale per le politiche sociali di oltre il 25%, e su questo si è già espressa all’unanimità dando un giudizio preoccupato e non favorevole la Conferenza Unificata nello scorso ottobre.

 

Le osservazioni sopra riportate evidenziano la disomogeneità del documento con conseguente difficoltà da parte delle Regioni di procedere ad una programmazione organica e unitaria, con il rischio di vanificare gli obiettivi generali indicati nel documento di programmazione.

In considerazione di quanto sopra espresso si ritiene che il documento debba essere necessariamente modificato e integrato, superando le lacune evidenziate, sia rispetto agli elementi descrittivi che prescrittivi, coerentemente con quanto previsto dall’art. 3 D.lgs. 286/98.

 

Roma, 11 novembre 2004