PROBLEMATICHE
INERENTI LA RIDETERMINAZIONE DEI CANONI DELLE CONCESSIONI
DEMANIALI MARITTIME PER FINALITÀ TURISTICO RICREATIVE
AUDIZIONE PRESSO LA
VI COMMISSIONE CAMERA DEI DEPUTATI ROMA, 29 APRILE 2004
L’intervento
legislativo statale che, in un primo tempo, con il D.L. 269/2003,
ha disposto la rivalutazione nella misura del 300% dei canoni di
concessione e, in un secondo tempo, con la L. 350/2003, ne ha
rinviato gli effetti al 30 giugno 2004, si inquadra ed interviene
in due diverse tematiche, l’una di carattere istituzionale e
gestionale (rapporti e funzioni tra enti territoriali e Stato
nella gestione del demanio), l’altra di carattere economico in
relazione agli effetti degli aumenti su un settore strategico per
l’attrattività turistica italiana, fatto salvo l’esito del ricorso
alla Corte Costituzionale promosso dalla Regione Puglia, che
sostiene non essere più nelle competenze dello Stato la materia di
che trattasi.
Seguendo anche lo
schema della risoluzione oggetto di audizione partiamo dal secondo
argomento.
Il previsto aumento dei canoni è
basato sul presupposto, da un lato, che i proventi dei beni
demaniali non siano commisurati al valore effettivo dei beni
oggetto di concessione e, dall’altro, che le Regioni abbiano
applicato indistintamente su tutto il territorio di loro
pertinenza la misura unitaria più bassa, corrispondente per le
concessioni con finalità turistico ricreativa alla categoria C.
Rispetto a tali motivazioni occorre
formulare una preliminare obiezione:
§
l’inadeguatezza del gettito complessivo derivante dai canoni delle
concessioni demaniali marittime è evidente, ma trova origine in
fattori di diversa natura; la rivalutazione delle tariffe va
calibrata in relazione alle diverse tipologie di utilizzo e ai
differenti regimi giuridici dei beni, oltreché da una azione di
aggiornamento della consistenza dei beni del demanio marittimo cui
può conseguire già da ora una maggiore entrata sia per lo Stato
che per i Comuni (molti beni che ne hanno le caratteristiche non
risultano essere stati incamerati dallo Stato non consentendo così
di applicare il canone relativo né l’ICI);
§
per quel che riguarda la classificazione della valenza turistica,
pur essendo la maggioranza delle aree demaniali marittime
classificate nella categoria C, non è esatto che tutte le Regioni
abbiamo operato questa scelta, in quanto in alcune Regioni vige
una classificazione differente (vedi ad esempio Liguria e
Sardegna) e l’aumento indiscriminato avrebbe effetti punitivi per
quelle regioni che hanno provveduto alla riclassificazione, con
conseguente aumento di gettito già conseguito per le casse dello
Stato.
Nel merito dell’efficacia
complessiva della disposizione, si rileva come l’aumento previsto
dal D.L. 269/2003 colpisca indifferentemente tutti gli
utilizzi del demanio marittimo ad usi turistico-ricreativi, non
andando peraltro nemmeno ad incidere su quelle situazioni di
palese iniquità che attualmente si registrano.
Tale aumento crea non poche
difficoltà agli operatori di un settore che occupa una parte non
secondaria nella produzione del reddito di molte Regioni; la
dimensione dell’aumento che quadruplica gli attuali canoni creerà
difficoltà economiche per molti operatori e, senza dubbio, avrà
ricadute sulle tariffe dei servizi agli utenti e, in ultimo, sui
bilanci delle famiglie.
Si tratta inoltre di una misura
che, essendo applicata in maniera indiscriminata, non aiuta
certamente le nostre imprese turistiche (considerate come sistema
composto dagli stabilimenti balneari, dalle strutture ricettive e
da quelle commerciali della ristorazione delle località
turistiche) in un periodo di crisi come l’attuale e, in
definitiva, contribuirà a rendere meno attraente la “destinazione
Italia”.
Le imprese balneari si sono
avviate, spesso spinte anche da azioni incentivanti delle Regioni,
ad investimenti per la riqualificazione e potenziamento delle
proprie strutture, anche in relazione alla opportunità, che ha
ricadute sull’intero comparto turistico, di estendere l’attività
al di là della stagione balneare.
L’aumento improvviso e non
progressivo dei canoni andrà a incidere pesantemente sui piani
d’impresa, compromettendone gli esiti (si ricorda, tra l’altro,
che le imprese balneari sono soggette a una disparità di
trattamento dal punto di vista fiscale dell’I.V.A. rispetto agli
altri servizi turistici, essendo soggette all’aliquota del 20%
anziché a quella del 10%).
Occorre gradualità negli aumenti ai
fini della loro programmazione all’interno della vita dell’azienda
e, per quanto sopra, tali aumenti non potranno in alcun caso
raggiungere quanto prospettato dal D.L.269/2003 a pena di effetti
negativi sull’economia turistica.
Altrettanta difficoltà, in termini
di carico di lavoro, comporterà l’applicazione della norma per gli
Enti che gestiscono le funzioni amministrative in materia, che
richiederà a metà dell’anno la riliquidazione degli importi di
concessione, con una duplicazione degli atti relativi e
appesantimento ulteriore dei carichi di lavoro.
Proprio a questo riguardo risulta
necessario ribadire i problemi irrisolti a livello di rapporti
istituzionali, in relazione all’esiguità dei fondi devoluti
alle Regioni per lo svolgimento delle funzioni conferite in
materia di demanio marittimo. In tal senso anche in questa
occasione le Regioni ripropongono con forza la questione della
ripartizione dei proventi del canone di concessione, oggi di
esclusiva spettanza dello Stato.
Alle Regioni – o
agli Enti da queste delegati – è infatti richiesto lo svolgimento
di una gravosa attività per la gestione del demanio, per il
recupero delle somme dovute ed impagate, per la vigilanza e
l’attività sanzionatoria, compiti ai quali lo Stato non
contribuisce, sebbene siano svolti nel suo interesse.
Quanto sopra si
riferisce, ovviamente alle sole spese correnti. Invero vi è tutta
una serie di attività di mantenimento del bene demaniale (ripascimenti,
opere di difesa, manutenzioni) per le quali le somme trasferite
alle Regioni sono assolutamente insufficienti e in gran parte
disattesa è stata la risoluzione dei Presidenti di Regione del
7 febbraio 2002 (che si allega in copia) in merito alla
ricognizione delle risorse trasferite dallo Stato per le nuove
funzioni conferite in materia.
Appare quanto mai
urgente pervenire ad una concordata suddivisione tra lo Stato e le
Regioni e gli Enti Locali dei proventi dei canoni di concessione,
che devono peraltro essere finalizzati alle attività connesse al
demanio stesso.
In tal senso, e
tenuto conto della ripartizione dei compiti sopra sommariamente
descritta, appare congrua un’ipotesi che preveda la destinazione
allo Stato – finalizzata al funzionamento del Sistema Informativo
del Demanio – di una quota pari al 15% dei proventi delle
concessioni demaniali, trasferendo la somma restante alle Regioni.
In conclusione, la rivalutazione
dei canoni dovrebbe essere frutto di un tavolo di lavoro cui
necessariamente partecipino le Regioni, cui è stata trasferita la
gestione, e che meglio conoscono le realtà territoriali e le
caratteristiche socio-economiche delle aree interessate.
Il tavolo di lavoro dovrebbe
affrontare il tema dei canoni non solo con riferimento alle
attività turistico ricreative, ma anche agli altri utilizzi delle
aree demaniali, con un’operazione di perequazione che si deve
fondare su dati di consistenza e di gettito certi, che attualmente
non risultano essere stati presi in esame o essere addirittura
disponibili. In tal senso appare prezioso il contributo che può
derivare dalla messa a regime del Sistema Informativo del Demanio,
che allo stato necessita ancora di una impegnativa attività di
aggiornamento.
Appare pertanto evidente come sia
ragionevole uno slittamento all’anno 2005 della
rivalutazione dei canoni (o almeno una consistente riduzione del
loro incremento nell’attuale annualità). Tale slittamento
consentirebbe:
§
la
possibilità di costituire e far operare il tavolo di cui sopra -
dando così modo alle Regioni di esprimere le proprie valutazioni e
di partecipare a una decisione che ha molteplici effetti non solo
sulle funzioni da esse esercitate, ma anche sul complesso sistema
socio-economico – nonché di valutare con esattezza il gettito
complessivo dei canoni demaniali delle concessioni assentite;
§
affrontare in modo serio la questione del trasferimento delle
risorse (vedi ad esempio il comma 2 dell’art. 6 del D.L. 400/1993,
che non è mai stato applicato);
§
effettuare una ripartizione degli oneri per i concessionari che
abbia caratteristiche di maggiore equità e corrisponda meglio alla
reale natura e valore delle aree e dei beni del demanio marittimo.
In ogni caso l’aumento, come
prefigurato dal D.L. 269/2003, in quanto penalizza gli operatori
del settore interessato ed introduce elementi di distorsione del
mercato, non trova un avviso favorevole delle Regioni, apparendo
invece come mera manovra correttiva del bilancio dello Stato.
Roma, 29 aprile 2004 |