Legenda Il documento riporta in corsivo le parti modificate o aggiunte rispetto allo schema di PSN, mentre non riporta le parti di cui si propone lo stralcio.
1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale
1.1. Il primo Piano Sanitario Nazionale dopo il cambiamento Il Piano 2002-2004 è il primo ad essere varato in uno scenario sociale e politico radicalmente cambiato. La missione del Ministero della Salute si è significativamente modificata da “organizzazione e governo della sanità” a “garanzia della salute” per ogni cittadino. Il Servizio Sanitario Nazionale è un importante strumento di salute, ma non è l’unico: infatti il benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi. Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta assumendo l’aspetto di una reale devoluzione. Il decentramento fa parte da tempo degli obiettivi della sanità italiana ed era già presente fra le linee ispiratrici della Legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, come del riordino degli anni '90, nell’ambito del quale veniva riconosciuto alla Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e gestione dei servizi sanitari. La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione, improntato alla sussidiarietà orizzontale, intesa come partecipazione di diversi soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli più vicini ai cittadini. Significativi passi in avanti in tal senso sono stati realizzati con la modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda metà del 2001, con l’Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo, convertito poi in Legge (Decreto Legge 18 settembre 2001 n. 347 e Legge 16 novembre 2001 n. 405). La Legge costituzionale recante “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, varata dal Parlamento l’8 marzo 2001 e approvata in sede di Referendum confermativo il 7 ottobre 2001, ha introdotto i principi della potestà di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni e della potestà regolamentare delle Regioni in materia di sanità. Rientrano nella competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre 2001 a stralcio del Piano Sanitario Nazionale con le procedure previste dal Decreto Legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito poi nella Legge 16 novembre 2001 n. 405 nonché la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32). In altri termini lo Stato formulerà i principi fondamentali, ma non interverrà sul come questi principi ed obiettivi saranno attuati, perché ciò diviene competenza esclusiva delle Regioni. Il ruolo dello Stato in materia di sanità si trasforma, quindi, da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a quella di garante dell’equità sul territorio nazionale. In tale contesto i compiti del Ministero della Salute saranno quelli di: garantire a tutti l’equità del sistema, la qualità, l’efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed adeguata; evidenziare le disuguaglianze e le iniquità e promuovere le azioni correttive e migliorative; collaborare con le Regioni a valutare le realtà sanitarie e a migliorarle; tracciare le linee dell’innovazione e del cambiamento e fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica. Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano apprezzabili, in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore prevalenza delle patologie più gravi, ulteriori e più avanzati traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione dell’assistenza, nell’utilizzo più razionale ed equo delle risorse, nell’omogeneità dei livelli di prestazione e nella capacità di interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari. Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro Paese è cresciuta e cresce di numero più che in altri Paesi europei ed è aumentato il peso delle risorse private investite nella salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri soggetti privati. Al Piano Sanitario Nazionale è affidato il compito di delineare gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in ambito sanitario. Ciò avviene, peraltro, in coerenza con l’Unione Europea e le altre Organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Consiglio d’Europa, che elaborano in modo sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie. La competenza dell’Unione Europea in materia sanitaria è stata ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell’Unione Europea, deliberando con la procedura di co-decisione, può adottare provvedimenti per fissare i livelli di qualità e sicurezza per organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonché misure nei settori veterinario e fitosanitario, il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica. Con l’inizio dell’anno 2002, poi, è entrato in vigore il nuovo Programma di Azione Comunitario nel settore della sanità pubblica 2001-2006, che individua, tra le aree orizzontali d’azione comunitaria: la lotta contro i grandi flagelli dell’umanità, le malattie trasmissibili, quelle rare e quelle legate all’inquinamento; la riduzione della mortalità e della morbilità correlate alle condizioni di vita e agli stili di vita; l’incoraggiamento ad una maggiore equità nella sanità dell’Unione Europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta, analisi e distribuzione delle informazioni; la reazione rapida a pericoli che minaccino la salute pubblica; la prevenzione sanitaria e la promozione della salute. Il Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 tiene conto degli obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento con i programmi dell’Unione Europea. Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario contiene: - la specificazione degli obiettivi prioritari di salute; - la determinazione degli strumenti strategici per conseguire tali obiettivi nel prossimo triennio; - le linee di sviluppo per gli altri obiettivi di salute. L’efficacia del Piano dipende dall’attuazione di una produttiva cooperazione fra i diversi livelli di responsabilità chiamati a: - trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli; - investire nella qualificazione delle risorse umane; - adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed efficaci; - adeguare gli standard quantitativi e qualitativi; - garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il territorio nazionale. In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 si configura come un documento di indirizzo e di linea culturale, più che come un progetto che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni cui il presente Piano è diretto e con le quali è stato costruito
1.1.1. L’etica del sistema La necessità di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo diviene sempre più urgente per il nostro Paese. L’equità dovrebbe guidare le politiche sanitarie, ma è stata finora sottovalutata dal dibattito, uscendo spesso perdente nel conflitto con l’efficienza. Si sono create così diverse iniquità di sistema che vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d’attesa anche per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il malato, agli sprechi e inappropriatezza delle richieste e delle prestazioni, al condizionamento delle libertà di scelta dei malati, alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all’erogazione dei servizi per cronici ed anziani. Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanità e la salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti). Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione internazionale. Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni conseguenti per la sua tutela. Equilibrio. La cura del singolo paziente è centrale, ma anche la salute e gli interessi della collettività vanno tutelati. In altri termini non si può evitare il conflitto tra interesse dei singoli e interesse della collettività. Ad esempio, la somministrazione di antibiotici per infezioni minori può giovare al singolo paziente, ma nuoce alla collettività perché aumenta la resistenza dei batteri agli antibiotici. Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura di tutti i suoi problemi e assicurargli continuità di assistenza (dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e generalisti). Collaborazione. Degli operatori della sanità tra loro e con il paziente, con il quale è indispensabile stabilire un rapporto di partenariato: “Nulla che mi riguardi senza di me” è il motto del paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of Health Care Improvement, Boston). Miglioramento. Non è sufficiente fare bene, dobbiamo fare meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti migliorativi. Vi è ampio spazio per migliorare, giacché tutti i sistemi sanitari soffrono di “overuse, underuse, misuse” delle prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio). Sicurezza. Il principio moderno di ”Primum non nocere” significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina. Onestà, trasparenza, affidabilità, rispetto della dignità personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque rapporto tra medico e paziente. Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7 sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanità e la libera scelta del paziente. A questi principi il Piano Sanitario Nazionale intende ispirarsi, proponendo azioni concrete e progressive per attuarli, nella logica che è compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione.
1.2. Dalla sanità alla salute: la nuova visione ed i principi fondamentali - il diritto alla salute; - l’equità all'interno del sistema; - la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti; - la dignità ed il coinvolgimento “di tutti i cittadini”; - la qualità delle prestazioni; - l’integrazione socio-sanitaria; - lo sviluppo della conoscenza e della ricerca; - la sicurezza sanitaria dei cittadini. Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che costituiscono l’ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un obiettivo prioritario. Pertanto è indispensabile, garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni, assicurare un’efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura della promozione della salute. L’equità negli accessi ai servizi, nell’appropriatezza e nella qualità delle cure, è un fondamentale diritto da garantire. Troppo spesso accade che, a parità di gravità ed urgenza, l’assistenza erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle circostanze, delle carenze strutturali e di altri fattori. In particolare, è necessario ridurre al minimo la mobilità dei pazienti in cerca di cure derivante dalla carenza nel territorio di residenza di strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualità richieste. La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni incaricati di organizzare e erogare le prestazioni di cura è fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di tutti in relazione alla complessità dei bisogni, agli obblighi che discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici, e alla necessità di modulare gli interventi sulla base delle linee di indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema nel rispetto rigoroso delle compatibilità economiche. La dignità e la partecipazione di tutti coloro che entrano in contatto con i servizi, e di tutti i cittadini, costituisce nella nuova visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli affetti, la considerazione e l’attenzione per la sofferenza, la vigilanza per una partecipazione quanto più piena possibile alla vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e bioetici per la tutela della vita che sono alla base della convivenza sociale. La qualità delle prestazioni deve essere perseguita per il raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia nell’erogazione dell’assistenza e nella promozione della salute. E’, inoltre, necessario garantire l’equilibrio fra la complessità ed urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse, riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la valorizzazione professionale degli operatori sanitari è un requisito essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione permanente ed altri meccanismi di promozione. L’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello locale è indispensabile così come la collaborazione tra Istituzioni e pazienti e la disponibilità delle cure specialistiche e riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali, i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti; inoltre, concorrere allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti è molto rilevante sotto il profilo sociale. Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso la ricerca biomedica e sanitaria, è fondamentale per vincere le nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non guaribili attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie efficaci. La sicurezza sanitaria dei cittadini è stata messa in evidenza in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti connessi al terrorismo. La sanità di questi anni non può quindi prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e prevenzione, nonché ovviamente di cura degli eventuali danni. Il raggiungimento di questi obiettivi necessita della misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti, sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non è infatti possibile assicurare pari dignità e pari trattamento senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e della qualità raggiunta nelle varie realtà. La soddisfazione degli utenti e la loro corretta informazione, la qualità delle prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali, nonché il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realtà territoriali.
1.3. Gli obiettivi strategici del Piano Sanitario Nazionale Gli obiettivi strategici attraverso i quali realizzare i principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale sono inclusi nei seguenti progetti-obiettivo: Garantire e monitorare l’accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza, manutenerli e proporzionare i tempi di attesa e la facilità d’accesso alle necessità degli utenti; creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili; garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche; potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità; realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità; ridisegnare la rete ospedaliera e i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali; potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza; promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari; promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute; promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza. A seguire, in questa Parte Prima, si descrivono le linee di pensiero e di azione per l’attuazione dei progetti-obiettivo, mentre gli obiettivi generali del Servizio Sanitario Nazionale sono trattati nella Parte Seconda.
2. Gli obiettivi strategici per il cambiamento: i dieci progetti-obiettivo
2.1. Attuare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa Il primo frutto concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in materia sanitaria l’8 agosto 2001 è costituito dalla definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e garantire su tutto il territorio nazionale. Tale definizione è costruita sui seguenti fondamentali principi: - il livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve poter essere misurabile tramite opportuni indicatori; - le prestazioni, che fanno parte dell’assistenza erogata, non possono essere considerate essenziali se non sono appropriate; - l’appropriatezza delle prestazioni è collegata al loro corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione, fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie; - gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di lavoro) e verificano la correttezza dell’utilizzo delle risorse impiegate in termini di bilanciamento qualità-costi. L’introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce l’avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la prima volta si dà seguito all’esigenza, emersa da anni, di garantire ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate e di individuare il corretto livello di erogazione dei servizi resi. Nell’ambito dell’accordo particolare importanza riveste la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie, sottolineata più volte anche dal Presidente della Repubblica, e anch’essa obiettivo di primaria importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta da un lato la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall’altro, il fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio Sanitario. Il diritto all’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza. Infine, una corretta impostazione del problema dei tempi di accesso e la realizzazione di interventi migliorativi dipendono in larga misura dalla capacità di realizzare sia un unico centro di prenotazione per l’accesso alla struttura da parte degli utenti sia un monitoraggio affidabile dei dati
a) Gli obiettivi strategici Gli obiettivi strategici in questo campo sono i seguenti: disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero, territoriale e ambiente di lavoro) rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa, garantendo il raggiungimento del livello previsto; costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene oggi; diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con un corretto bilanciamento tra i costi e la qualità (bench-marking a livello regionale ed aziendale); promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza; attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di salute b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni Nel corso dei prossimi tre anni occorrerà: - sviluppare un sistema di indicatori pertinenti e continuamente aggiornati per il monitoraggio della applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, incrementando gli indicatori del livello territoriale e dell’ambiente di lavoro; - concordare con le Regioni le modalità per la verifica e il controllo della loro applicazione; - aggiornare con cadenza periodica i Livelli Essenziali di Assistenza in termini di indicatori di appropriatezza e di tipologia delle prestazioni tramite una apposita Commissione nazionale nominata dalle Regioni e dal Ministero della Salute (Commissione Nazionale per la manutenzione dei LEA) operante presso l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali; - rendere pubblici i tempi di attesa per le prestazioni appropriate, filtrando quelle non appropriate e ponendo in priorità quelle relative alle patologie più invalidanti e urgenti; - monitorare i tempi di attesa per prestazioni ambulatoriali e di ricovero; - sperimentare gli strumenti più efficaci compresi quelli previsti dall’accordo Stato Regioni che includono nuove modalità per la realizzazione di condizioni di uniformità e trasparenza delle liste di prenotazione alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche.
2.2. Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili
2.2.1. La cronicità, la vecchiaia, la disabilità: una realtà della società italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie Il mondo della cronicità e quello dell'anziano hanno delle peculiarità che in parte li rendono assimilabili: - sono aree in progressiva crescita; - richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali; - necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese; - hanno una copertura finanziaria insufficiente. Più che mai si rende necessario innanzitutto che si intervenga in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e ritardare l'instaurarsi di condizioni invalidanti che hanno in comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi verso la necessità di interventi sociali e sanitari complessi e costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di tumore), nonché profilassi di particolari malattie. Le Regioni, pienamente responsabili dell'assistenza sanitaria e della relativa spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare già nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo maggiore che in passato. Per gli anziani importante è la possibilità di mantenere una vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale in quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di vita più appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione possono essere di grande aiuto anche in tal senso. L'anziano vive meglio al proprio domicilio e nel contesto di una famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficoltà economiche e logistiche ad assistere in casa l’anziano che necessita di cure. E', quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito. A fronte di un fabbisogno stimato in circa 30.000 miliardi/anno, oggi l'Italia spende per l'assistenza sociale circa 13.000 miliardi. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il problema di finanziare adeguatamente un settore dell'assistenza che solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora, con l'allungamento dell’aspettativa media di vita, è in aumento progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha più di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la disabilità in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.. Rispetto al problema dell'autosufficienza delle persone anziane esiste un problema di costi che nei paesi europei è stato affrontato in modo diverso. Il problema di garantire l'autosufficienza per le patologie croniche e per le disabilità dovrà essere affrontato in modo congiunto tra le diverse parti sociali e prevedendo, anche, la possibilità di trovare altre forme di finanziamento integrativo. Rispetto ai principali Paesi europei, l'Italia ancora spicca soprattutto per l'assenza di un pensiero e di una proposta forti che affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone anziane e disabili e alle loro famiglie. Occorre puntare pertanto a: - aumentare le risorse finanziarie per la fornitura di servizi sanitari e sociali per la non-autosufficienza attuando un modello adatto al Paese; - rendere più efficace ed efficiente la gestione dei servizi esistenti tramite l'introduzione di meccanismi competitivi; - attribuire maggiore capacità di scelta ai beneficiari finali dei servizi; - sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano dell'assistenza; - regolarizzare e stimolare la pluralità dell'offerta di servizi; - sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato; - sperimentare nuove modalità di organizzazione dei servizi anche ricorrendo a collaborazioni con il privato; - attivare sistemi di garanzia di qualità e adeguati controlli per gli erogatori di servizi sociali e sanitari, anche attivando graduatorie degli erogatori e commisurando i compensi alla qualità oggettiva.
2.2.2. Le sfide per il Servizio Sanitario Nazionale Non vi è dubbio che il Servizio Sanitario Nazionale debba prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalità di erogazione, basate sui principi della continuità delle cure per periodi di lunga durata e dell’integrazione tra prestazioni sanitarie e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro (assistenza continuativa integrata). Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di assistenza sono sempre più numerose: pazienti cronici, anziani non autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati terminali. Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della situazione patologica in atto e la qualità della vita dei pazienti, raramente quelle della loro guarigione. Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e sanitarie rese sia dalle professionalità oggi presenti, sia da quelle nuove da creare nei prossimi anni. Innanzitutto è indispensabile che la continuità delle cure sia garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che limitano la qualità della vita. A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente l’integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonché la continuità assistenziale nel passaggio da un nodo all’altro, avendo cura che venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione dell’effettivo stato di salute. Dovrà essere di conseguenza ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e potenziata l’assistenza riabilitativa e territoriale. In accordo con questo orientamento il medico di medicina generale diviene l’operatore di riferimento per il processo di deospedalizzazione e per il corretto utilizzo dei nodi di assistenza collocati nel territorio. La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie Locali ed i Comuni individuino le forme di governo più adatte affinché le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero raggiungibile dell’autosufficienza e la diminuzione della domanda assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui è opportuno, con l’erogazione dell’assistenza protesica. Per le disabilità più marcate la disponibilità di Centri territoriali ambulatoriali o residenziali di riabilitazione è essenziale. Il ridisegno della rete ospedaliera e la conversione di alcuni ospedali può aumentare la disponibilità oggi limitata.
a) Gli obiettivi strategici Sono obiettivi a lungo termine in questa area: - la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al rischio di non auto-sufficienza della popolazione; - la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata, economicamente compatibili, rispettose della dignità della persona, - il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione a domicilio, assistenza domiciliare integrata, Centri diurni integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo - la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente; -. il miglioramento della autonomia funzionale delle persone disabili, anche in relazione alla vita familiare e al contesto sociale e lavorativo; - l’introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la disabilità e la non autosufficienza, che includono le informazioni sugli stili di vita più appropriati e sui rischi da evitare.
b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni Per i tre anni di applicazione del Piano vengono fissati i seguenti obiettivi: - avviare lo studio per l’identificazione di una adeguata sorgente di risorse per la copertura dei rischi di non-autosufficienza; - la sperimentazione di forme di “governo della rete” - la sperimentazione di una metodologia di ospedalizzazione domiciliare; - l’attuazione di Linee Guida per le cure palliative (G.U. del 14 maggio 2001, n. 110), relative ai percorsi assistenziali e la formazione specifica degli operatori - la riformulazione ed informatizzazione del nomenclatore tariffario in generale e dei presidi ed ausili tecnici in particolare.
2.2.3. Un modello di cura ed assistenza a domicilio (integrazione tra ospedale, medicina territoriale e servizi sociali)
2.3. Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche Un obiettivo importante da perseguire nell’ambito del diritto alla salute è quello della qualità dell’assistenza sanitaria. E' la cultura della qualità che rende efficace il sistema, consentendo di attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell’utente. Sempre più frequentemente emerge in sanità l'intolleranza dell'opinione pubblica verso disservizi e incidenti, che originano dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualità e che vanno dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure codificate, agli evidenti sprechi. La qualità in sanità riguarda un insieme di aspetti del servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella umana, economica e clinica delle cure, e va perseguita attraverso la realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia clinica, alla competenza professionale e tecnica, alla efficienza gestionale, alla equità degli accessi, alla appropriatezza dei percorsi terapeutici. Per l’aspetto umano, è opportuno che venga misurata anche la qualità percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un importante indicatore della soddisfazione dell’utente.
a) Gli obiettivi strategici L'obiettivo a lungo termine è quello di implementare un servizio di garanzia di qualità in tutte le strutture che erogano servizi ed è raggiungibile, in almeno la metà dei casi, nel prossimo quinquennio. Altri obiettivi a lungo termine sono i seguenti: - promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento della qualità all’interno dei servizi per la salute; - coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di informazione e formazione sulla qualità e incentivare con opportuni strumenti contrattuali il rispetto della qualità nelle prestazioni sanitarie; - valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di definizione, applicazione e misurazione della qualità; - promuovere la conoscenza, tramite un servizio preposto, dell’impatto clinico, tecnico ed economico dell’uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le diverse Regioni italiane; - mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle procedure diagnostico - terapeutiche ad essi associati, con i relativi costi; attivare procedure di bench marking sulla base di dati attinenti agli esiti delle prestazioni.
2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di “capitale”: umano, sociale e fisico. Questo concetto, ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, è in linea con il pensiero espresso fin dalla metà del secolo scorso da Carlo Cattaneo, grande filosofo ed “economista pubblico”. Nonostante gli sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate è stata ancora valorizzata nella nostra sanità in misura sufficiente. Il “capitale umano”, ossia il personale del Servizio Sanitario Nazionale, è quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La Pubblica Amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del personale e alla promozione della professionalità e molti strumenti utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti. Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 diventa, infatti, realtà l’acquisizione dei crediti per tutti gli operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla Commissione Nazionale per l’Educazione Medica Continua. Ben più importante, inizia, secondo l’accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e grazie all’adesione di varie organizzazioni e associazioni inclusi gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie e le Società scientifiche italiane, l’aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi aziendali per il personale, utilizzando anche e soprattutto la rete informatica. Un personale aggiornato è garanzia, per il malato, di buona qualità delle cure, ma l’aggiornamento sistematico costituisce anche un potente strumento di promozione dell’autostima del personale stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine professionale e la propria credibilità verso la collettività. Ovviamente l’aggiornamento sistematico è solo uno degli strumenti di valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia certificazione della qualità è un altro elemento di gratificazione per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento è costituito da un rapporto di lavoro che premi la professionalità e liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere più efficace la sua opera. Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione infermieristica e delle altre professioni sanitarie per le quali si impone la nascita di una nuova “cultura della professione”, così che il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della classe medica sia dell’utenza, all’autentico fondamento epistemologico del nursing.
Il
capitale sociale va inteso come quella rete di relazioni
che devono legare in un rapporto di partnership tutti i
protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori
dell’assistenza, del volontariato e del non-profit, della
comunicazione, dell’etica, dell’innovazione, della
produzione, della ricerca, nonché del capitale privato,
che possono contribuire ad aumentare le risorse
finanziarie per l’area del bisogno socio-sanitario, oggi
largamente sottofinanziato. Tutta questa rete sociale,
grande patrimonio del vivere civile, è ancora largamente
da valorizzare ed è la cultura di questo capitale sociale
che va prima di tutto sviluppata. Vanno potenziati gli investimenti per l'edilizia ospedaliera e per le attrezzature. Secondo quanto stabilito dall'accordo dell'8 agosto. Il risultato finale deve, in sintesi, prevedere la sinergia di interventi mirati a: dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina; valorizzare le figure del medico e degli altri operatori sanitari; detassare le donazioni per sanità e ricerca e strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri; alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacità gestionali e rallentano l’innovazione, consentendo loro una gestione imprenditoriale finalizzata anche all’autofinanziamento; investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento della società civile e strumento per rapportare i cittadini alle Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati; Per realizzare questi punti è necessario muoversi per gradi e con la tecnica dei piccoli passi, ben direzionati.
2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità L’Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve rispondere alla esigenza di garantire alla collettività il mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come tale, essa si configura come un elemento di tutela dell’equità sociale e riassume in sé i concetti di responsabilità individuale e collettiva, insiti nell’esercizio di ogni attività volta alla tutela e alla promozione della salute della popolazione. Già nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229) e nel 2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate l’infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed è stato valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla professione medica, interessando le altre professioni dell’area sanitaria solo in maniera frammentaria. La volontarietà era, del resto, la caratteristica portante di queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di alcune di esse, non è sempre stata data sufficiente importanza alla dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalità e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilità forte nei riguardi della collettività. Il recente accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha sancito in maniera positiva la convergenza di interesse tra Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente così da creare una forte coscienza della autoformazione e dell’aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie professionali impegnate nella sanità. La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita nel 2000 e rinnovata il 1 febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto il problema dell’impostazione ex novo del sistema della formazione permanente e dell’aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento, attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del sistema sanitario: ciò ha portato alla attivazione di un programma nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002. Un elemento caratterizzante del programma è la sua estensione a tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio è evidente: nel momento in cui si afferma la centralità del paziente e muta il contesto dell’assistenza, con la nascita di nuovi protagonisti e con l’emergere di una cultura del diritto alla qualità delle cure, risulta impraticabile la strada di una formazione élitaria, limitata ad una o a poche categorie professionali, e diviene obbligo morale la garanzia della qualità professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della équipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse professioni sanitarie e tecniche. In una prospettiva ancora più ampia, la formazione continua potrà diventare uno degli strumenti di garanzia della qualità dell’esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una nuova cultura della responsabilità e del giusto riconoscimento della eccellenza professionale.
a) Gli obiettivi strategici Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, si pone l’obiettivo di disegnare le linee strategiche della formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E ciò è particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza regionale e di libera scelta. Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa tra Ministero della Salute e Regioni, dal presente Piano Sanitario e stimolare negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute - in aggiunta a quelle della malattia - alla concretezza dei problemi sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria. Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali, chiamate ad una azione più capillare legata a situazioni epidemiologiche, sociosanitarie e culturali differenti. Il ruolo delle Regioni nel campo della formazione sanitaria continua diviene così un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle realtà, in una parola di coerenza e di compliance della qualità professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del territorio. Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell’operatore sanitario rappresentano l’elemento eticamente forse più rilevante della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano direttamente alla capacità dell’operatore di riconoscere le proprie esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli. Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dal coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, inclusa quella assai importante dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, non solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei ed internazionali. Sotto quest’ultimo profilo, attenzione dovrà essere posta proprio all’armonizzazione tra il sistema formativo italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera circolazione dei professionisti. Ancora, le Società Scientifiche dovranno trovare ampia valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non solo della solidità delle basi scientifiche degli eventi formativi, ma anche della qualità pedagogica e della loro efficacia. Da ormai molti anni la maggior parte delle Società Medico Scientifiche Italiane si è riunita nella Federazione Italiana delle Società Medico Scientifiche (FISM) che ha operato per dare agli specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni, inteso primariamente come contributo culturale ed operativo all’identificazione ed allo sviluppo delle attività sanitarie e mediche nel Paese. Oggi le Società Scientifiche hanno trovato pieno riconoscimento del loro ruolo per l’ECM, la cui organizzazione si è così arricchita di risorse culturali ed umane. Nel sistema che si sta creando, attenzione dovrà anche essere dedicata al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano coerenti con le finalità del sistema formativo. Da ultimo, ma non meno importante, è il coinvolgimento degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende Ospedaliere e delle Università nonché delle altre strutture sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella “formazione in contesto professionale”, eminentemente pratica ed operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilità di ricaduta concreta sulla qualità delle cure. Non potrà, infine, mancare un ruolo sempre più attivo degli Ordini professionali, specie quelli dei medici e degli odontoiatri, cui spetta la difesa dei valori di categoria e il ruolo di “notai” dei crediti acquisiti dai singoli iscritti.
2.6. Ridisegnare la rete ospedaliera: nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali Per molti anni l’ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza dalla propria residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben 1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili. Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici dei medici e degli Ospedali era sia relativamente limitati: non esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era necessario disporre di superspecialisti. Basti citare in proposito l’esempio della bioimmagine che ha visto il progressivo affermarsi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco della radiologia tradizionale, in un vorticoso progresso tecnologico che comporta l’invecchiamento di costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Oltre alla diagnostica per immagini, si pensi alla necessità di Unità Specializzate, come l’Unità Coronarica, per il successo di alcuni trattamenti, senza i quali le possibilità di sopravvivenza dei pazienti scemano vistosamente. Negli ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in Ospedale. Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento. Un Ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre delle attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e tempestive. Solo se si saprà cogliere con questa ed altre modalità il cambiamento ed il nuovo che avanza in sanità, se si saprà attuare una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed adeguarvisi, se si saprà attirare capitali privati nel servizio pubblico e gestire questo con mentalità imprenditoriale sarà offerta al Paese una sanità più efficace, più moderna ed anche economicamente più vantaggiosa, modificando una realtà che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi di limitata utilità.
Gli obiettivi strategici Sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete ospedaliera con la finalità di convertire le funzioni di alcuni ospedali; Attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso dell’operazione, che è quello di fornire ai cittadini servizi ospedalieri più efficaci e più moderni, riducendo i cosiddetti viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che questi comportano per le rispettive famiglie.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni attivare e/o partecipare società che gestiscono attività produttive
2.7. Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza Le Linee Guida 11 aprile 1996 n. 1 forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza e sulle Unità operative che compongono i Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla base di tali indicazioni il sistema dell’emergenza sanitaria risulta costituito da: - un sistema di allarme sanitario assicurato dalla centrale operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale (118); - un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi di soccorso distribuiti sul territorio; - una rete di servizi e presidi funzionalmente differenziati e gerarchicamente organizzati. Le Linee Guida citate prevedono, inoltre, l’elaborazione di successivi documenti di approfondimento sulla gestione di tematiche specifiche. Tra queste, le Linee Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle sul triage intraospedaliero sono state approvate dalla Conferenza Stato Regioni il 25 ottobre 2001. Un aspetto che necessita un approfondito esame è relativo al problema di disincentivare gli accessi "impropri" al Pronto Soccorso, da parte di cittadini che vi accedono di propria iniziativa, saltando le tappe del medico di medicina generale o dei presidi territoriali. Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste un particolare rilievo per le Isole minori e le località montane disagiate, per le quali sono stati previsti specifici interventi sia dall’Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia dalla Legge Finanziaria del 28 dicembre 2001 n. 448. Infatti, mentre l'Accordo garantisce l'erogazione delle prestazioni previste dai livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle popolazioni delle Isole minori e delle comunità montane disagiate, la Legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da impiegare a tale scopo.
a) Gli obiettivi strategici - Riorganizzazione dei Pronto Soccorso e dei Dipartimenti d’emergenza e accettazione. - Integrazione della rete delle alte specialità nell’ambito dell’emergenza per la gestione del malato critico e politraumatizzato. Integrazione del territorio con l’Ospedale.
b) gli obiettivi per i prossimi tre anni - Completare l’attivazione del sistema di emergenza su tutto il territorio nazionale, e rafforzare il collegamento tra il 118 ed i DEA. - Completare il programma di assegnazione delle radiofrequenze dedicate alle Regioni, e aggiornare le caratteristiche tecniche dei mezzi di soccorso e le loro dotazioni. - Programmare interventi che garantiscano le specifiche esigenze di assistenza sanitaria d’urgenza nelle isole minori e nelle comunità montane disagiate, inclusi i servizi di consulenza a distanza con telemedicina, e collegamenti funzionali in rete con i Centri di Eccellenza, nonché la disponibilità di trasporto sanitario mediante elicottero. Elaborare indicatori degli accessi al pronto soccorso, e monitorarne l’andamento temporale. Promuovere l’organizzazione delle maxiemergenze nelle strutture ospedaliere. Elaborare protocolli operativi per la gestione di emergenze impreviste che possano coinvolgere un elevato numero di persone, come in caso di eventuali attacchi bioterroristici e di calamità naturali. Definire protocolli per la gestione delle grandi manifestazioni, degli eventi sportivi di rilevanza, nelle quali è prevista la presenza di mezzi di soccorso.
2.8. Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte dai risultati della ricerca, in quanto il progresso scientifico contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e di nuove modalità organizzative nell’assistenza e nell’erogazione dei servizi sanitari. Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a lungo termine il vantaggio, anche economico, di ridurre l’incidenza delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione. Il convincimento che le sfide più importanti si possano vincere soltanto con l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale. Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica italiana per la ricerca tra le più basse in Europa, rispetto al prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per il nostro Paese. Da più parti si è elevato a questo proposito il monito che, uscendo dalle difficoltà economiche momentanee, l'Italia debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche. Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende solo dalla disponibilità di fondi pubblici. Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito dell’Unione Europea è fondamentale che l’Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta nell’ambito del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione Comunitaria di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la Realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca, dotato di importanti risorse finanziarie. Ciò non solo perché il Programma Quadro contribuirà a modificare nell’arco di cinque anni in modo radicale l’assetto della ricerca in Europa, ma anche perché l’Italia ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze emergenti
2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di molte patologie è legata agli stili di vita. a) Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso, numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l’artrosi, l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica della prevenzione delle malattie connesse all’alimentazione è la necessità di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve essere rivolta pertanto all’intera popolazione, presso la quale occorre diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di nutrienti, di scelta di profili alimentari salutari, ma anche coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali e socio economici. L’accento va posto sulla lettura ed utilizzazione della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di alimenti preconfezionati, che può facilitare scelte idonee ed indurre il settore industriale a migliorare la qualità nutrizionale degli alimenti prodotti. I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa, bulimia, altri disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a partire dagli anni ’70, un significativo incremento di incidenza e prevalenza. I valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di età compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti a rischio) sono i seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi subclinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%; altri disturbi del comportamento alimentare 6%. Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione, campagne di sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori adolescenziali e presso i medici di medicina generale. b) Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attività fisica riveste un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo dell’esercizio fisico regolare è stato dimostrato soprattutto nei confronti delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, di quelle osteoarticolari (in particolare l’osteoporosi), metaboliche (diabete), della performance fisica e psichica degli anziani. L’esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo, riduce l’ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il benessere psicofisico. Il fenomeno del tabagismo è molto complesso sia per i risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la pesante compromissione della salute e della qualità di vita dei cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi (non fumatori). Oggi la comunità scientifica è unanime nel considerare il fumo di tabacco la principale causa di morbosità e mortalità prevenibile. Infatti è scientificamente dimostrato l’aumento della mortalità nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie quali ad esempio il tumore del polmone, delle vie aeree superiori (labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas. Il fumo è causa anche di un aumento della mortalità per malattie aterosclerotiche, aneurisma dell’aorta e broncopneumopatie croniche ostruttive. Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1 miliardo e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e 1/3 di questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni di fumatori, cioè circa il 30% dell’intera popolazione europea. In Italia, dalle indagini multiscopo dell’Istat risulta che nel 2000 la percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della popolazione maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il 21,3% dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori più accaniti, in termini di numero medio di sigarette fumate al giorno, sono gli uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne. Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il 15% di questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000 nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile. Attualmente il tumore al polmone è la decima causa di morte nel mondo. Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino più concrete politiche antifumo, il tumore al polmone sarà nel 2020 tra le prime 5 cause di morte al mondo. L’analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative, ci induce a pensare che le politiche intraprese finora dai vari Governi e supportate anche da Organizzazioni sopranazionali, quali l’OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi. L’odierna normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici risulta essere limitata ed inefficace nella sua applicazione. Il divieto di fumo, così come regolamentato sostanzialmente dalla Legge n. 584 dell’11 novembre 1975 e dalla direttiva 14 dicembre 1995, non è sufficiente. Questa normativa, nel tentativo di puntualizzare i luoghi ove è vietato fumare e di affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti dall’autorità necessaria, ha di fatto creato incertezze e difficoltà che hanno vanificato lo sforzo del legislatore. Al fine di attivare una più incisiva azione di dissuasione, con l’articolo 52, comma 20, della Legge Finanziaria 2002 sono state inasprite le sanzioni per i trasgressori del divieto di fumo prevedendo una sanzione amministrativa da 25 a 250 Euro, raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini fino a 12 anni. Contemporaneamente, sono state intensificate e stimolate procedure di controllo e rilevamento delle infrazioni da parte delle forze dell’ordine. Un ulteriore sviluppo normativo dovrà prevedere l’applicazione del divieto di fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti. Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e più incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potrà essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in età scolare e alle donne in età fertile. In particolare per i giovani va tenuto conto che si è registrato un abbassamento dell’età in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e che il 90% dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20 anni. Inoltre, se si considera che l’iniziazione alle sigarette è fortemente influenzata, sia nelle ragazze sia nei ragazzi, da pressioni sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati a compagni ed amici e da fattori familiari quali la presenza di genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato intervento deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro che rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i genitori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media. Sarà da modificare in particolare il modello proposto nei decenni precedenti che presentava il fumatore come un personaggio emancipato e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che attribuisce al fumatore un basso livello socio-culturale, è quella che più si avvicina alle realtà e che meglio può contrastare la cultura del secolo scorso. Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e patologie del feto, risulta di particolare rilievo l’intervento di sensibilizzazione destinato alle donne in età fertile. Infatti, ad esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto l’arto del feto può non svilupparsi, è doppio nelle donne fumatrici rispetto alle non fumatrici. L’aborto spontaneo, si produce in quasi 4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica è doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne fumatrici sono più soggette a fenomeni quali la placenta previa, il distacco di placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre alcuni studi dimostrano che l’esposizione dei neonati al fumo passivo aumenta il rischio di SIDS (Sudden Infant Death Sindrome) ed in particolare è direttamente proporzionale al consumo di sigarette fumate dalla madre e al numero di sigarette fumate in sua presenza. d) La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall’alcool è, attualmente, uno dei più importanti obiettivi di salute pubblica, che la gran parte degli Stati persegue per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. Numerose evidenze dimostrano che gli individui, (ed i giovani in particolare) che abusano dell’alcool risultano più frequentemente inclini a comportamenti ad alto rischio per sè e per gli altri (quali guida di autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonché al fumo e/o all’abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L’alcool agisce come “ponte” per gli individui più giovani, rappresentando una delle possibili modalità di approccio a sostanze illegali, le cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona che ne fa direttamente uso. Benché il consumo di bevande alcooliche in Italia sia andato diminuendo dal 1981, notevoli sforzi devono essere posti in essere per raggiungere gli obiettivi adottati dall’OMS e, in particolare, dall’Unione Europea con la recente approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli connessi all’alcool. Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle malattie, e sui comportamenti e le soluzioni più adatte a promuovere lo stato di salute sta alla base di una moderna società del benessere. Molti sono infatti gli strumenti che la scienza e la tecnologia moderna mettono a disposizione della collettività per tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono anche, peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi, dall’inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze innocue come il sale da cucina, se assunto in quantità eccessive possono essere causa di malattie a carico dell’apparato cardio-vascolare. Va inoltre sottolineata l’importanza di sottoporsi a periodici controlli e a test di screening consigliati per la diagnosi precoce dei tumori nelle età e con i tempi appropriati. Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o sono scarsamente accessibili ai pazienti. Questo è, ad esempio, il caso delle informazioni: - sulle possibili terapie alternative per particolari malattie; - sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici; - sull’esito di alcune sperimentazioni cliniche; - sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le diverse possibilità di cura; - sulle modalità di accesso alle cure. Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle decisioni in materia di salute dovrebbero essere fornite in modo comprensibile e aggiornato. Benché il ruolo del medico e del farmacista rimanga fondamentale nell’informare i pazienti, è necessario tenere conto del fatto che lo sviluppo della società dell’informazione offre numerosi altri strumenti, ivi incluso Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente benefico se opportunamente utilizzati. In effetti, esistono già numerosi siti web che forniscono una varietà di informazioni di carattere sanitario, ma la qualità dell’informazione fornita non è sempre soddisfacente ed, in alcuni casi, è addirittura fuorviante. Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario Nazionale quello di fornire ai cittadini corretti strumenti di informazione, che consentano di evitare i rischi, di attuare comportamenti salutari, e di conoscere e saper individuare adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio psicofisico e di malattia. Oltreché all’importanza della informazione sulla salute rivolta ai cittadini, il Servizio Sanitario Nazionale deve prestare attenzione anche alle opportunità dello sviluppo di una corretta comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino ad un recente passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente “a senso unico”, nel quale le informazioni passavano dal medico, o dall’operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno stato moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura più elevati, e soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai processi sociali ed economici che li riguardano, la relazione a due vie tra operatori e utenti è d’obbligo. Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul complesso e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo la quantità dei temi e dei messaggi, che rischiano così di disperdersi in più percorsi di comunicazione, non potendo avere una sufficiente massa critica di risorse. Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto in passato di attività comunicazionale, un mancato coordinamento a livello di obiettivi strategici desiderati, o addirittura una sovrapposizione degli sforzi da parte di diversi enti, che anziché creare valore incrementale alla comunicazione rischiano di indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari. L’insieme di queste considerazioni evidenzia la necessità di modificare l’approccio alla comunicazione istituzionale in campo sanitario se si vuole raggiungere risultati significativi su questioni di altissimo impatto.
a) Gli obiettivi strategici Occorre orientare l’attività e gli impegni del Servizio Sanitario Nazionale al più presto affinché esso si muova nella direzione dello sviluppo di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli utenti, effettivi e potenziali, sugli stili di vita sani e la prevenzione sanitaria. Ciò implica la necessità di: - acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di informazione dei cittadini in tema di salute e di sanità; - avviare un processo di valutazione ed interpretazione della domanda di salute; - individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e utenti; - mettere a fuoco le lacune in tema di capacità diffuse di prevenzione; - progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete dei servizi sanitari e sociosanitari e sulle prestazioni offerte, ed un relativo sistema di trasmissione e distribuzione delle informazioni; - contribuire al consolidamento di una corretta cultura della salute nel Paese; - coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e la sanità; portare a regime un piano pluriennale di comunicazione istituzionale sulla salute.
Gli obiettivi per i prossimi tre anni un progetto di supporto alle Regioni per: il monitoraggio della localizzazione e delle caratteristiche più importanti per i cittadini dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie; la creazione di banche-dati comunicanti; la messa a punto di un sistema di trasmissione e condivisione delle informazioni nelle forme adeguate ai diversi referenti; un piano di verifica della qualità dell’informazione pubblica sulla salute e la sanità in Italia (siti Internet, carta stampata, TV, radio) con introduzione di concetti adeguati nel Piano di Comunicazione Istituzionale e con la progressiva implementazione degli strumenti per la certificazione delle fonti di informazione.
2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la farmacovigilanza L’uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo che il farmaco riveste nella tutela della salute. A seguito dell’emanazione della Legge 16 novembre 2001 n. 405, i farmaci rappresentano uno dei settori più avanzati di applicazione del processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro peraltro di garanzia per tutti i cittadini di accesso ai farmaci essenziali. L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza, costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza dei pazienti nell’assunzione dei medicinali. Più in generale, bisogna puntare sul buon uso del farmaco. In tale contesto, si inserisce l’invio a tutte le famiglie italiane dell’opuscolo “Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso corretto dei farmaci”, a cura del Ministero della Salute. Tale iniziativa intende costituire un supporto di conoscenza e di informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel contesto della salute, mettendo in relazione l’uso dei medicinali con l’attenzione a stili di vita adeguati.
a) Gli obiettivi strategici Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco possono essere così definiti: - offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la valutazione dell’appropriatezza della farmacoterapia e l’impatto delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in base alla citata Legge 405 del 2001; - attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei farmaci; - porre il farmaco fra i temi nazionali dell’ECM; rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai cittadini; promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi; - rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo dei comitati etici locali; assicurare l’accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi per tutti i cittadini.
b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni
Nel settore della informazione sui farmaci, della appropriatezza delle prescrizioni e della razionalizzazione dei consumi. consolidare e rafforzare presso il Ministero della Salute il Centro di documentazione e informazione sui farmaci con numero verde (denominato Infoline), in collegamento e collaborazione con i Centri esistenti a livello regionale e locale; garantire la distribuzione e l’aggiornamento su base annuale del Formulario dei farmaci erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, organizzato per classe terapeutica, principio attivo, note CUF, prezzi e confezioni disponibili; potenziare il Bollettino di Informazione sui Farmaci del Ministero della Salute inviato bimestralmente a tutti i medici e farmacisti; migliorare la disponibilità di confezioni ottimali per ciclo di terapia e per le patologie croniche, al fine di evitare gli sprechi di farmaci e favorirne un impiego più mirato e razionale; migliorare le informazioni sui farmaci favorendo la semplificazione e la leggibilità dei foglietti illustrativi per l’utilizzo da parte dei pazienti; mentre la scheda tecnica, inviata ai medici, dovrà contenere tutte le informazioni tecnico-scientifiche necessarie per una corretta prescrizione dei medicinali.
3. La promozione della salute L’aumento della longevità in Italia potrà essere conseguito soprattutto attraverso la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, la riduzione della mortalità prematura per cancro e una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di prevenzione primaria. Un secondo gruppo include le malattie neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, più eterogeneo, è formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente influenzate dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80 mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria, per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con una migliore assistenza sanitaria. L’incremento del numero delle persone anziane pone la necessità di promuovere la loro partecipazione alla vita sociale, contrastando l’emarginazione e rafforzando l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine di assicurare l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia possibile l’istituzionalizzazione.
3.1.Vivere a lungo, vivere bene L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di vita a 65 anni è aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di 2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di vita alla nascita è stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della longevità è un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena autonomia. A tale scopo è stato sviluppato il concetto di “aspettativa di vita sana (o esente da disabilità)”. I dati disponibili, pur limitati, suggeriscono che l’aspettativa di vita esente da disabilità, sia per i maschi che per le femmine, si avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di quanto non avvenga in altri Paesi. Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia, entro l’anno 2020: -vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa di vita e di una vita esente da disabilità all’età di 65 anni; vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di sé.
3.2.1.Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi registrati in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie ischemiche del cuore e per il 28% ad accidenti cerebrovascolari. Notevoli differenze si registrano in diverse parti d’Italia sia nell’incidenza sia nella mortalità associata a queste malattie. I principali fattori di rischio a livello individuale e collettivo sono il fumo di tabacco, la ridotta attività fisica, gli elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa ed il diabete mellito; la presenza contemporanea di due o più fattori moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del cuore e agli accidenti cardiovascolari. Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione della letalità per malattie cardiovascolari è ormai dimostrato come la mortalità ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a quanto avveniva negli anni ’60 prima dell’apertura delle Unità di Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia notevolmente diminuita e, dopo l’introduzione della terapia trombolitica, si sia ridotta ulteriormente. Ciò che resta invariata nel tempo è, invece, la quota di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a breve distanza dall’esordio dei sintomi prima di giungere all’osservazione di un medico. Per quanto riguarda l’ictus (circa 110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni anno mentre più di 200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende indispensabile promuovere culturalmente l’attenzione all’ictus cerebrale come emergenza medica curabile. E’ necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di assistenza al malato che renda possibile sia un intervento terapeutico in tempi ristretti per evitare l’instaurarsi di danni permanenti, e dall’altro canto un tempestivo inserimento del paziente già colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca l’entità del danno e favorisca il recupero funzionale. Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle cerebrovascolari, è molto importante intensificare gli sforzi nella direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso: - la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattività fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito; E’ necessario anche migliorare le attività di sorveglianza degli eventi acuti. L’obiettivo adottato nel 1999 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per gli Stati dell’Europa per l’anno 2020 è quello di una riduzione della mortalità cardiovascolare in soggetti al di sotto dei 65 anni di età pari ad almeno il 40%. 3.2.2. I tumori Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese. Nel 1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa della mortalità complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi è attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto, dello stomaco e della mammella. Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi casi di tumore all’anno. L’incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana è ancora in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per età, sono stimati stabili. Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il tumore del polmone è quello con il massimo livello di incidenza, seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco. La distribuzione geografica del cancro in Italia è caratterizzata dall’elevata differenza di incidenza e di mortalità fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di ammalare è molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i tassi standardizzati per età della mortalità per cancro sono stati per 1.000 abitanti pari a: uomini: Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e Isole: 3,03; donne: Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e Isole: 1,57. La sopravvivenza in presenza della malattia è costantemente aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di dati. L’incremento in Italia è stato il più forte tra tutti quelli osservati nei Paesi europei. Le probabilità di sopravvivenza a 5 anni, nell’ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al 1994), sono complessivamente del 47% (39% negli uomini e 56% nelle donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti, la sopravvivenza è migliorata del 7% negli uomini e del 6% nelle donne. La differenza tra sessi è dovuta soprattutto alla minore letalità dei tumori specifici della popolazione femminile. Il fumo, il consumo di alcool, le abitudini alimentari scorrette ed, in alcuni casi, l’esposizione a particolari sostanze sono fattori di rischio riconosciuti, per molte categorie di tumori, con peso etiologico variabile, e possono spiegare almeno un terzo dei casi di tumore. Gli interventi per contrastare questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale importanza. La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima della diffusione nell’organismo di cellule metastatiche, sarebbe in via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalità. In pratica la diagnosi precoce clinica può non essere sufficiente a salvare la vita del paziente, anche se può in molti casi allungarne il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualità della vita. Deve essere incentivato e reso disponibile l’approfondimento diagnostico anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo, con particolare attenzione alla popolazione anziana. Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di comprovata efficacia nella riduzione del tasso di mortalità e di morbilità dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze sono il Pap test, la mammografia, e la ricerca del sangue occulto nelle feci. L’aumentata incidenza delle malattie tumorali ha, come inevitabile conseguenza, il progressivo e importante aumento di pazienti che entrano in fase terminale e che necessitano, quindi, di adeguata assistenza palliativa. Si calcola che vi siano ogni anno in Italia circa 144.000 nuovi pazienti affetti da tumore in fase terminale. In considerazione della elevatissima incidenza di terminalità nella patologia tumorale (almeno 2/3 dei pazienti neoplastici affronta una fase terminale della durata media di circa 90 giorni), si rendono necessari ed urgenti i programmi per lo sviluppo della cultura e della formazione in medicina palliativa e terapia del dolore tra gli operatori sanitari. Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla mancanza di “ospedalizzazione a domicilio” vi è la scarsità di adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente due: 1) la gran variabilità della casistica clinica non consente ai tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi e terapia di questa patologia; 2) la necessità di fronteggiare tutte le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare prestazioni adeguate. L'oncologia è una disciplina che coinvolge molti enti con diverso interesse principale, perché non essendo ancora nota la causa etiologica è necessaria un'intensa attività di ricerca che comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e la ricerca clinica propriamente detta. Si è però venuta a creare una situazione non bene definita, perché questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati essenzialmente perché manca un accordo formale sulla suddivisione di compiti tra enti diversi. Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare una discussione su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato un'iniziativa definita "European Cancer Research Iniziative” il cui scopo essenziale è di aiutare la Commissione Europea a definire i contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso della discussione è però emersa come prioritaria la necessità di risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute pubblica migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia; favorire la parità tra pazienti e medici; 3) migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in Europa.
3.2.3. Le cure palliative Le cure palliative si rivolgono a pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte. Il controllo del dolore, l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali e spirituali è, quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi palliativi sono applicabili anche precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento specifico. La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, è tesa a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualità di vita del paziente: ciò le distingue, anche dal punto di vista morale, dalla più comune posizione in favore della sospensione del trattamento in assenza di ragionevoli speranze di miglioramento (decisione che comporta non l’azione ma l’astensione dall’azione). Esse infatti: affermano la vita e considerano il morire come un evento naturale; non accelerano né ritardano la morte; provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi; integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza; aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte; sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto. Sotto il profilo organizzativo l’ambito delle cure palliative è uno dei tipici esempi di integrazione tra il domicilio e la struttura residenziale, compresa la ospedalizzazione a domicilio con tutti i vantaggi che questo assicura alla continuità delle cure. Lo sviluppo delle cure palliative è legato, ad alcuni fattori di fondamentale importanza. Tra questi: la possibilità di un maggior controllo del dolore cronico maligno attraverso il ponderato uso di analgesici comuni, inclusi gli oppiacei, ed il riconoscimento che i disturbi neuro-psichici richiedono un trattamento aggiuntivo con anticonvulsivanti o antidepressivi; un miglior controllo degli altri sintomi presenti; un maggior rispetto della volontà del paziente circa la propria morte; una miglior comprensione del ruolo dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale nei pazienti terminali; un rifiuto dell’accanimento terapeutico. In particolare, attraverso una corretta valutazione e scelta degli analgesici, circa l’80% del dolore da cancro può essere contenuto con farmaci poco costosi che il paziente può autonomamente somministrarsi per bocca ad intervalli regolari, permettendo una assunzione più agevole e praticabile anche a domicilio, seppure con dosaggi aumentati rispetto alla somministrazione per iniezione. Il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nell’utilizzazione dei farmaci oppiacei e presenta ancora una insufficiente diffusione sull’intero territorio dei Centri per le cure palliative con una distribuzione geografica disomogenea. Questa situazione fa sì che solo un numero limitato di pazienti terminali possano giovarsi di cure efficaci ed integrate del dolore e della sofferenza psicologica, mentre la maggior parte di essi sono condannati a mesi di sofferenze evitabili. L’OMS ha da tempo individuato in alcuni nodi culturali ed organizzativi i maggiori ostacoli ad un corretta percezione degli oppiacei presso l’opinione pubblica e ad una disponibilità adeguata alle esigenze dei pazienti: assenza di politiche nazionali sul trattamento del dolore e sulle cure palliative; scarsa consapevolezza da parte degli operatori sanitari, degli amministratori, e dei cittadini; scarsità di risorse e restrizioni nell’accesso; preoccupazione che l’uso di oppiacei possa produrre dipendenza psicologica ed abusi; restrizioni legali riguardo all’uso e alla disponibilità di oppiacei. Per questo il documento OMS “Cancer pain relief” considera la morfina e la codeina come farmaci di elezione nel trattamento del dolore, mentre in molti Paesi tali farmaci non sono disponibili, o lo sono a condizioni molto restrittive. Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative è necessario quindi: rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci antidolorifici, migliorando la disponibilità degli oppiacei, semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente; individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione; promuovere una maggiore diffusione dei Centri ed una maggiore integrazione tra l’Ospedale ed il domicilio del malato; avviare la formazione dei medici e del personale sanitario con l’istituzione di insegnamenti di medicina palliativa, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi europei.
3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche Vi è oggi ampia evidenza che il counselling individuale finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare la dieta (riducendone il contenuto di grassi totali e di grassi saturi e aumentandone il contenuto in fibre) e ad aumentare l’attività fisica, riduce il rischio di progressione verso il diabete del 58% in 4 anni. Le complicanze del diabete sono assai penalizzanti per la qualità e la durata della vita, e molte di queste possono essere prevenute dalla diagnosi precoce, dal miglioramento del trattamento specifico, e da programmi di educazione sanitaria orientati all'auto-gestione della malattia. L'OMS ha posto come obiettivo per l'anno 2020 la riduzione di un terzo dell'incidenza delle complicanze legate al diabete. Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete secondo l’indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze geografiche di prevalenza autopercepita, e questo dato è coerente con la rilevazione della rete di osservatori cardiovascolari relativa alla distribuzione della glicemia ed alla proporzione di diabetici. E’ però assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza sapere di esserlo, sia altrettanto alto. programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare per il diabete mellito in età evolutiva, con l’obiettivo di ridurre i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente (cecità, amputazioni degli arti); strategie per migliorare la qualità di vita dei pazienti, attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.
3.2.5. Le malattie respiratorie e allergiche Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto sulla qualità della vita, sulla disabilità, sui costi per l’assistenza sanitaria, nonché sull’assenteismo dal lavoro in molti Paesi europei ed anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia mostra un tasso di mortalità (circa il 6% della mortalità totale) al di sotto della media dell’Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalità, per malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a bronchite cronica ed enfisema polmonare, mostra una tendenza alla diminuzione, che dovrebbe essere ulteriormente confermata attraverso l’intensificazione della prevenzione alle esposizioni ambientali e occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici. La presenza di rinite allergica stagionale e perenne è invece in costante aumento da tempo, e così pure l’asma allergica. I fattori principali alla base dell’aumento della prevalenza delle malattie allergiche sono l’inquinamento intramurale causato da acari della polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l’inquinamento atmosferico causato da ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre più tempo trascorso in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonché l’introduzione di nuove sostanze nei prodotti e nell’ambiente. Fra le altre malattie allergiche, l’incidenza cumulativa di dermatite atopica prima dei 7 anni di età è aumentata in modo esponenziale e si stima che essa sia pari all’1% circa nella popolazione generale. Molto diffusa è anche la dermatite allergica da contatto che, si stima, interessi circa l’1% della popolazione; il nickel è considerato il principale responsabile della sensibilizzazione da contatto. La diffusione dell’asma bronchiale è un problema di sanità pubblica rilevante (l'asma è malattia sociale riconosciuta dal 1999), perché è la malattia cronica più frequente tra i bambini, per i quali rappresenta anche una causa importante di mortalità, nonostante i miglioramenti terapeutici: anche i tassi di ospedalizzazione per asma sono in aumento, in particolare per gli accessi ai Servizi di Emergenza-Urgenza. L’asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la diagnosi accurata, l’educazione dei pazienti, modifiche del comportamento, l’individuazione e la rimozione delle condizioni scatenanti l’attacco di asma, una appropriata terapia, e frequenti controlli medici. Anche gli studi epidemiologici sono complessi e, nonostante siano stati avviati da anni studi collaborativi, molteplici aspetti etiologici rimangono ancora oscuri. Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza mirati, la conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed ambientali, nonché dell’efficacia dei metodi per la riduzione dell’esposizione agli allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la valutazione dell’impatto di tali metodi sulla salute. È necessario inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il personale sanitario, e per i pazienti e le loro famiglie.
3.2.6. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di patologie, caratterizzate da una progressiva compromissione della qualità della vita delle persone affette per la perdita di autonomia, per i disturbi ed i disagi lamentati ed a causa della mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione. Tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidità attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette è stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale. La caratteristica cronicità di queste malattie, la mancanza di terapie che portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per alcune forme gravi, la disabilità provocata, con progressiva diminuzione della funzionalità, specie a carico degli arti e dell’apparato locomotorio e la conseguente diminuzione della capacità lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette, nonché l’elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad oggi i maggiori punti di criticità. Le azioni prioritarie riguardano l’estensione della diagnosi precoce della malattia ed il miglioramento della prestazione di fisioterapia e riabilitazione. E’, inoltre, necessario ridurre l’impatto dei fattori di rischio associati a queste patologie e sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche l’efficace prevenzione dell’osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario. L’osteoporosi è una patologia del metabolismo osseo di prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni, e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia nella vita della donna del 40% contro un 15% nell’uomo. Particolarmente temibile è la frattura femorale per l’elevata mortalità (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche ad essa associate. I più noti e importanti fattori di rischio per l’osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve entità, la menopausa precoce per la donne, l’amenorrea prolungata, il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di corticosteroidi, il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture. Fondamentale quindi è la prevenzione, con misure volte a migliorare lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani. Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000 patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il 10% delle patologie che affliggono l’umanità. Malattie considerate rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in via di sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui incidenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti. L’80% delle malattie rare, circa 4000, è di origine genetica, mentre il restante 20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti. Per la loro rarità, queste malattie sono difficili da diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in diversi Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti farmaci orfani, potenzialmente utili per tali patologie. Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano un importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta, per coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli difficoltà nell’individuare i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura, e, quindi, accedere a eventuali trattamenti, peraltro scarsamente disponibili. Ciò rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al fine di ottimizzare le risorse disponibili. A livello della Unione Europea le malattie rare sono state oggetto di attenzione con l’approvazione della Decisione N. 1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d’azione prevede: il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare, incentivando la creazione di una rete europea d’informazione per i pazienti e le loro famiglie; la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari, al fine di migliorare la diagnosi precoce; il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le organizzazioni di volontariato e professionali impegnati nell’assistenza; il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati membri. Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio 2001 n. 279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo 29 aprile 1998 n. 124, prevede: l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l’informazione e la formazione, ridurre l’onere che grava sui malati e sulle famiglie. La rete è costituita da presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche. Tra questi vengono individuati i Centri interregionali di riferimento per le malattie rare, ai quali è affidato, oltre alle funzioni assistenziali, il coordinamento dei presidi secondo metodologie condivise (Registro interregionale, consulenza e supporto ai medici del Servizio Sanitario Nazionale, scambio di informazioni, attività formativa degli operatori sanitari e di informazione per i cittadini); l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, per poter avere a livello nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle diverse malattie rare; la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284 patologie (congenite e acquisite) ai fini dell’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate; la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni, lo sviluppo delle attività di ricerca tese al miglioramento delle conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.
3.2.8. La malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in termini di controllo di alcune malattie prevenibili con le vaccinazioni. La difterite è stata eliminata e il nostro Paese si appresta a ricevere la certificazione ufficiale di eradicazione della poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane non vaccinate. L’epatite B è in continuo declino, in modo particolare nelle classi di età più giovani, interessate fin dal 1991 dalla vaccinazione universale. Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali è necessario un controllo più efficace attraverso le vaccinazioni. La vaccinazione contro il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05 casi su 100.000) è raccomandata, ma il livello stimato di copertura di immunizzazione è ancora il più basso tra i Paesi dell’Europa occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse del Paese. La rosolia è ancora frequente (incidenza di 5,76 per 100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia più di 40.400 casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000), nonostante l’esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e rosolia (vaccino MMR), il cui uso è però volontario, sebbene raccomandato. L'incidenza della pertosse è ancora elevata (circa 7 per 100.000 abitanti nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la vaccinazione è volontaria ma il livello stimato di copertura vaccinale è stato piuttosto alto nel 1998 (87,9 %, con un intervallo tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di età. Per quanto l’incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in Italia (nel 1999 essa è stata del 2,74 per 100.000), il livello permane ancora fra i più elevati dell’Europa occidentale; la vaccinazione contro l’epatite B è obbligatoria in Italia per i bambini fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998, è stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni con copertura inferiore al 90%. La vaccinazione contro l'Haemophilus influenzae di tipo B può anche prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e polmoniti. La vaccinazione in Italia è volontaria ed il livello di copertura vaccinale è molto basso e non uniformemente distribuito nelle diverse Regioni. L’influenza rappresenta ancora, in Italia, un’importante causa di morte per patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il tasso d’attacco dell’infezione può variare dal 5% al 30%, con conseguenti importanti ripercussioni negative sull’attività lavorativa e sulla funzionalità dei servizi di pubblica utilità, in primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani di età pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo 1999-2000 il 41% circa a livello nazionale. La recente disponibilità di efficaci vaccini contro la varicella e contro le infezioni invasive da pneumococco, consente l’avvio di iniziative mirate di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione dell’incidenza di queste importanti patologie. Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione degli obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie: - entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il 2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese; - entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B. Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture vaccinali. In tale quadro è anche importante: - individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli eventi epidemici; - sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a vaccinazione; sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena; controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di viaggi; diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle malattie infettive; partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell'Unione Europea; combattere il crescente problema della resistenza acquisita alla maggior parte degli antibiotici disponibili da parte di microrganismi patogeni, soprattutto batteri, con gravi implicazioni sul trattamento delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono state adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2000 e 2001 sull’uso prudente degli antibiotici nella medicina umana e in altri settori per minimizzare gli inconvenienti derivanti da questa situazione. Appare nel prossimo futuro la possibilità di realizzare diversi nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza: 1) vaccini anti-HIV. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha recentemente sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo preventivo che terapeutico. Tale vaccino basato sull’uso della proteina regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l’ISS insieme ad altri Centri clinici nazionali inizierà in primavera i trials clinici di fase I. Un secondo vaccino basato sull’uso di componenti strutturali (Env, Gag) del virus è stato sviluppato e brevettato dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui sperimentazione clinica di fase I inizierà entro l’anno. Recentemente l’ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo sviluppo di un vaccino combinato, che contenendo le tre componenti (TAT, Env, Gag) è destinato potenzialmente ad avere una maggiore efficacia rispetto ai singoli componenti; 2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro il carcinoma della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che inizia prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche per questo vaccino l'Istituto Superiore di Sanità sta realizzando rapporti di partenariato con i produttori. L'Italia nel giro di pochi anni potrebbe proporre nell'ambito del G8 l'uso di entrambi i suddetti vaccini per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.
3.2.9. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a trasmissione sessuale In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da metà del 1996 si è osservato un decremento nel numero di nuovi casi, dovuto in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove infezioni si è stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di quanto accadeva tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni ’90 non tende più alla diminuzione. Le altre malattie a trasmissione sessuale più frequentemente diagnosticate in Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni genitali non specifiche (infezioni non gonococciche e non causate da Clamidia), la sifilide latente e l’Herpes genitale. Altre classiche malattie veneree, come gonorrea e sifilide, sono rispettivamente al settimo e nono posto per frequenza. Secondo l'obiettivo definito dall'OMS nel 1999, ciascuno Stato dovrebbe attuare, entro l'anno 2015, una riduzione dell'incidenza della mortalità e delle conseguenze negative dell'infezione da HIV e delle altre malattie a trasmissione sessuale. A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono: - il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio dell'infezione da HIV; - il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti infettivi; - il miglioramento della qualità della vita delle persone infette da HIV; la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella popolazione giovanile; lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato; il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV. L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate precocemente e la cui attesa di vita è molto prolungata, è un problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo futuro. Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in quanto la loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti anni. Il progetto di vita comprende il completo reinserimento nel mondo del lavoro e della società in genere. Per queste persone è quindi necessario sviluppare programmi di accompagnamento su questo percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.
3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidità Le cause esterne di morte e disabilità, che includono gli incidenti nell'ambiente sociale e sul lavoro, i disastri naturali e quelli provocati dall'uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante le cure mediche e la violenza, costituiscono, particolarmente nell’età adulta, un'importante causa di morte. I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a partire dalla fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell’Italia, con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro circa 20.000 invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la prima causa di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause maggiori di invalidità (più della metà dei traumi cranici e spinali sono attribuibili a questi eventi). Gli incidenti stradali sono pertanto un’emergenza sanitaria che va affrontata in modo radicale al fine di rovesciare l’attuale tendenza e pervenire, secondo l’obiettivo fissato dall’OMS per l’anno 2020, ad una riduzione almeno del 50% della mortalità e disabilità. Gli interventi principali di prevenzione riguardano: - la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a motore a due ruote; gli standard di sicurezza dei veicoli; l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e seggiolini); le migliori condizioni di viabilità (segnaletica stradale, illuminazione, condizioni di percorribilità) nelle zone ad alto rischio di incidenti stradali; la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al rispetto dei limiti di velocità e della segnaletica stradale nonché alla riduzione della guida sotto l’influsso dell’alcool; il potenziamento del trasporto pubblico. Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero mostra un andamento in continua crescita, con un numero di casi di circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono soprattutto ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la metà di questi incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici). Gli incidenti domestici rappresentano dunque un fenomeno di grande rilevanza nell’ambito dei temi legati alla prevenzione degli eventi evitabili e particolare attenzione deve essere dedicata agli incidenti che coinvolgono gli anziani, soprattutto istituzionalizzati. Per quanto riguarda l’obiettivo di ridurre in modo significativo la mortalità e la disabilità da incidenti domestici, gli aspetti prioritari sono quelli connessi all’informazione e comunicazione nonché alla: incentivazione delle misure di sicurezza domestica strutturale ed impiantistica e dei requisiti di sicurezza dei complementi di arredo; predisposizione di programmi intersettoriali volti a favorire l’adattamento degli spazi domestici alle condizioni di disabilità e di ridotta funzionalità dei soggetti a rischio; costruzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica del fenomeno infortunistico e individuazione di criteri di misura degli infortuni domestici. Per gli incidenti negli ambienti esterni, durante il tempo libero, gli uomini sono più a rischio delle donne, anche per il maggiore consumo di alcool. Le piscine, i laghi ed altri bacini d'acqua dolce contribuiscono in modo significativo alle statistiche sugli annegamenti, specialmente nei bambini, con 500-600 morti all'anno. Per la problematica relativa agli incidenti sul lavoro, la mutata organizzazione del lavoro (telelavoro, esternalizzazione della produzione), la comparsa di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici, lavoro interinale), le diverse caratteristiche della forza lavoro (invecchiamento della popolazione lavorativa, lavoratori extracomunitari), nonché le nuove tecnologie hanno introdotto modifiche positive nei modelli produttivi e nella distribuzione e diffusione dei rischi, ma permangono in numerosi settori lavorativi i rischi tradizionali, non sempre né diffusamente risolti. Nonostante mostri una complessiva attenuazione se osservato sul lungo periodo, il fenomeno infortunistico è ancora molto rilevante sia in termini di numero di eventi che di gravità degli effetti conseguenti. I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo contro sia della frequenza sia della gravità delle conseguenze), pur con andamenti non costanti in tutte le Regioni, rimangono l’industria del legno, quella dei metalli, l’industria della trasformazione ed il settore delle costruzioni. Per quello che riguarda le malattie professionali, le principali patologie da rischi noti sono nell'industria le ipoacusie da rumore, le malattie cutanee e la pneumoconiosi, e nell'agricoltura le broncopneumopatie, l'asma bronchiale e le alveoliti allergiche. Accanto alle patologie da rischi tradizionali, prevalentemente in attenuazione, si presta attualmente maggiore attenzione alle patologie da rischi emergenti, quali quelle da sovraccarico meccanico a quelle da fattori psico-sociali (burn-out, mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari), alle patologie da agenti biologici e da composti chimici (effetti cancerogeni), ai tumori di origine professionale. Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS, entro l'anno 2020 la mortalità e la disabilità dovute ad incidenti sul lavoro, domestici e del tempo libero dovrebbero essere ridotte almeno del 50%. A tal fine vale rilevare che negli ultimi anni si è profondamente modificata la normativa di riferimento con l’avvento delle direttive comunitarie ed in particolare con il Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626 e successive modifiche che, introducendo varie innovazioni nell’organizzazione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, rafforzano la centralità e la responsabilità dell’impresa nei processi di valutazione dei rischi e di organizzazione e gestione della sicurezza. Inoltre, alcuni obiettivi specifici in materia di sicurezza del lavoro che si intende realizzare riguardano: la identificazione delle priorità nei settori più a rischio, in funzione degli studi epidemiologici, e di un adeguato sistema informativo; l’integrazione dei sistemi informativi; l’informazione e formazione del personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro; il miglioramento progressivo dei processi di garanzia della qualità e dell’efficacia delle azioni di prevenzione; lo sviluppo, l’armonizzazione e la completa applicazione della normativa di prevenzione e sicurezza; il miglioramento dell’accertamento delle malattie professionali.
3.4. Sviluppare la riabilitazione La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento in parte imputabile all’aumento dei gravi traumatismi accidentali e ai progressi della medicina che consentono la sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all’exitus. In questo contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le conseguenze altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti indicano l’incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l’anno, di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L’incidenza dei gravi traumatismi cranioencefalici, è di circa 4.500 nuovi casi anno su tutto il territorio nazionale. Di questi la mortalità in fase acuta incide per il 34%, il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti modesti, il 25% è affetto da danni o complicanze di gravità tale da richiedere il ricovero in strutture di terapia intensiva e neuroriabilitazione e lo 1% (45 casi per anno) permane in stato vegetativo dopo 12 mesi dall’evento. La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve essere garantita con tempestività già durante le fasi di ricovero nelle strutture di emergenza. Non appena cessino le condizioni che richiedono un ricovero nell’area della terapia intensiva, deve essere garantita la continuità del processo terapeutico assistenziale. Quale che sia la natura dell’evento lesivo che causa la necessità di interventi di riabilitazione, gli obiettivi da perseguire sono la garanzia dell’unitarietà dell’intervento mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e sensoriale. Ciò implica l’attivazione di un percorso in cui si articolano competenze professionali diverse, funzionamento in rete dei servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalità di offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e sociali.
3.5. Migliorare la medicina trasfusionale Le attività di medicina trasfusionale sono parte integrante dei livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale e si fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata, del sangue e dei suoi componenti. Considerando che gli attuali sistemi di coordinamento a livello regionale e nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli obiettivi previsti dai precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue, si pone l’urgenza di riformare la Legge 4 maggio 1990 n. 107, anche alla luce dei cambiamenti conseguenti all’organizzazione federalista dello Stato. La nuova Legge dovrà razionalizzare il sistema a livello regionale, indicando i rispettivi ruoli del Ministero della Salute, delle Regioni, dei Centri Regionali di Coordinamento e Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione Sangue da istituirsi presso l’Istituto Superiore di Sanità. L'introduzione di nuovi test sierologici ed in particolare delle tecniche di biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione dei virus dell'epatite o dell'AIDS mediante la trasfusione del sangue e dei suoi prodotti a livelli molto bassi, inferiori al rischio di infezione associato ad altre manovre invasive ospedaliere. Malgrado questo notevole incremento della sicurezza della trasfusione, per realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse economiche, molto resta ancora da fare per assicurare l’appropriatezza della richiesta e della trasfusione. Per diffondere la cultura del buon uso del sangue sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese Comitati ospedalieri per il buon uso del sangue, ma il risultato è stato molto modesto: tra le cause di questo insuccesso vi è da un lato la scarsa attenzione dei clinici per le problematiche della donazione e trasfusione di sangue, dall'altro l'inquadramento del servizio trasfusionale in un'area quasi esclusivamente di laboratorio. Gli obiettivi primari dell’autosufficienza regionale e nazionale, i più elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo modello di sistema trasfusionale, il cui quadro organizzativo sia di tipo dipartimentale, con criteri di funzionamento e di finanziamento definiti sulla base: - delle attività di produzione, comprendenti la selezione ed i controlli periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e degli emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e placentare (sangue da cordone ombelicale), nonché la raccolta di plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati; - attività di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione del sangue e dei suoi prodotti, anche per l’urgenza. Con l’intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in tutto il territorio nazionale il numero dei donatori volontari periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora esistenti in alcune Regioni. Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi: - raggiungere l’autosufficienza regionale e nazionale del sangue e dei suoi prodotti; - conseguire più elevati livelli di sicurezza nell’ambito di tutto il processo finalizzato alla trasfusione; - assicurare al sistema trasfusionale un sistema di garanzia di qualità e sviluppare l’emovigilanza, articolata a livello locale, regionale e nazionale; - individuare i responsabili del rispetto delle Linee Guida e del buon uso del sangue, che svolgano funzioni di consulenza di medicina trasfusionale in collaborazione con il Comitato Trasfusionale, cui sono attribuite funzioni di coordinamento; - adottare un sistema informativo unico che metta in rete le strutture trasfusionali presenti sul territorio, assicurando il collegamento in linea tra gli operatori del settore; stipulare fra le Regioni e le Aziende ubicate sul territorio dell’Unione Europea convenzioni per la produzione di emoderivati (specialità medicinali) nel rispetto delle norme per le gare ad evidenza pubblica.
3.6. Promuovere i trapianti di organo Per quanto riguarda i trapianti di organo, è noto che i vantaggi prevalgono sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze) con una sopravvivenza a cinque anni compresa tra il 70% e l’80%, secondo l’organo trapiantato. E’, comunque, necessario continuare a perseguire il reperimento degli organi in tutte le Regioni. Nel nostro Paese, tuttavia, i livelli di attività sono disomogenei tra le diverse Regioni, sia in termini di donazioni, sia in termini di trapianti, e ciò non contribuisce certamente a garantire quella parità di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto. Nel corso dell’ultimo triennio l’incremento complessivo del numero di donazioni e della qualità dei trapianti in Italia ha portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee, e il numero dei donatori di organo è aumentato del 42,3%, con un incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti. Sono obiettivi strategici in questo campo: - promuovere la valutazione di qualità dell’attività di trapianto di organi, tessuti, e cellule staminali; - favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili, attraverso la diffusione di tecniche avanzate, addestrando gli operatori e favorendo lo svolgimento di queste attività in Centri di Eccellenza; - predisporre un Piano nazionale per prelievo, conservazione, distribuzione e certificazione dei tessuti; - verificare la possibilità che nei casi opportuni vengano utilizzati organi anche da donatore vivente, dopo una attenta valutazione dell’applicazione della normativa in vigore e delle Linee Guida, formulate dal Centro Nazionale Trapianti. Va comunque ricordato che la donazione da vivente non è scevre da pericoli sanitari e sociali ed è quindi da considerarsi residuale rispetto alla donazione da cadavere che deve restare l’obiettivo principale del Servizio Sanitario Nazionale; - attivare algoritmi oggettivi e trasparenti per l’assegnazione degli organi da trapiantare e per il monitoraggio dei pazienti trapiantati, uniforme su tutto il territorio nazionale; - prevedere che il flusso informativo dei dati relativi ai trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell’ambito del Sistema Informativo Trapianti, anche attraverso la collaborazione con il Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e l’organizzazione GRACE (Gruppo di Raccolta e Amplificazione delle Cellule Staminali Emopoietiche) che riunisce le banche di cellule staminali placentari; - definire la Carta dei Servizi dei Centri di trapianto, prevedendo aggiornamenti continui; estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti; incrementare l’informazione ai cittadini circa le attività quali-quantitative dei Centri di trapianto. Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a: - ridurre il divario fra le Regioni in termini di attività di reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per milione di abitanti; - prevedere sistemi di verifica sull'efficacia dell'attività dei coordinatori locali, contestualmente al riconoscimento di incentivi; - prevedere che in tutte le rianimazioni si attuino procedure per reperire tutti i potenziali donatori e sia disponibile la commissione per l’accertamento della morte; - predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto; - attuare il finanziamento per funzione, come individuato nell’articolo 8 sexies del Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229, superando il finanziamento per DRG; - sorvegliare il rispetto delle Linee Guida per i trapianti da donatore vivente attivando in particolare l’organismo di parte terza ivi previsto per informare correttamente le parti in causa sui vantaggi e svantaggi delle procedure; - monitorare l’attività delle singole Regioni circa i prelievi di tessuti umani e la loro utilizzazione, l’attivazione di banche dei tessuti regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro funzionalità; - inserire anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche tra i trapianti d’organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il Centro Nazionale Trapianti, e collegando quest’ultimo con il registro dei donatori viventi di midollo osseo istituito presso l’Ospedale Galliera di Genova; - favorire lo sviluppo di attività di ricerca connesse alle attività di trapianto; - supportare l’attivazione di procedure informatiche standardizzate, soprattutto per la gestione delle liste di attesa; promuovere adeguate campagne di informazione rivolte ai cittadini; realizzare la selezione dei riceventi il trapianto con algoritmi condivisi e procedure informatizzate, documentando ogni passaggio del processo decisionale ai fini di un controllo superiore; valutare e rendere pubblici i risultati delle attività di prelievo e trapianto di organi; rendere sempre più oggettivi e trasparenti i criteri di ammissione del paziente al trapianto.
Sono in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di rischio ambientali e la salute, anche se la ricerca delle possibili soluzioni resta talvolta problematica particolarmente per le complesse implicazioni socio-economiche sottostanti. In questo settore, importanti benefici sono prevedibili attraverso l’efficace collaborazione fra i settori che, a livello nazionale e territoriale, sono responsabili per la salute o per l’ambiente. 4.1. I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette La difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle condizioni climatiche che possano colpire particolari gruppi vulnerabili, rende prioritaria l’attuazione di programmi di informazione ed educazione sanitaria. Inoltre, vi è la forte necessità di ulteriori ricerche per valutare meglio: - l’effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle maggiori cause di malattia e mortalità; - l’effetto del riscaldamento globale sulla variabilità climatica e valutazione delle capacità di adattamento specialmente tra le fasce di popolazione particolarmente vulnerabile come gli anziani; - l’effetto del riscaldamento globale sulle patologie trasmesse da virus e batteri e stima degli andamenti dell’incidenza di queste malattie; - l’impatto potenziale della radiazione UV-B in relazione alla deplezione dell’ozono in termini di aumento dell’incidenza dei casi di cataratta, delle affezioni cutanee e del cancro della pelle; - il rischio di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed alle malattie infettive a causa dell’aumento della radiazione UV-B. Per quanto riguarda gli aspetti connessi all’”effetto-serra” e alla deplezione dell’ozono stratosferico, è indispensabile, da una parte, continuare la politica di collaborazione internazionale dell’Italia a sostegno degli sforzi congiunti per rimuovere le cause di queste modificazioni climatiche, e dall’altra, operare a livello territoriale per il conseguimento degli obiettivi di abbattimento delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.
4.2. L’inquinamento atmosferico Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie ambientali europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al 34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del monossido di carbonio. I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono, che sono prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili, anch’essi in misura preponderante, al traffico su strada.
Ogni anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o peritoneale causati prevalentemente dall’esposizione ad amianto e altri 1000 per cancro polmonare attribuibile all'amianto. Nello stesso periodo di tempo si verificano circa 250 casi di asbestosi. E' documentata anche la comparsa di mesoteliomi a seguito di esposizione ambientale non lavorativa in residenti in aree prossime a pregressi impianti di lavorazione dell'amianto o a cave in soggetti che non sono mai stati addetti alla lavorazione dell'amianto. Dati i lunghi periodi di latenza, gli effetti dell'amianto, in misura simile a quella riscontrata negli anni '90, sono destinati a prolungarsi nel tempo anche se, per effetto della Legge 27 marzo 1992 n. 257, in Italia non sono più consentite attività di estrazione, importazione, commercio e esportazione di amianto e materiali contenenti amianto. Vi è, poi, un numero difficilmente stimabile di lavoratori esposti per la presenza di amianto come isolante in una molteplicità di luoghi di lavoro (quali ad esempio industria chimica, bellica, raffineria, metallurgia, edilizia, trasporti, produzione di energia), ed un numero anch'esso difficilmente stimabile di soggetti residenti in prossimità di stabilimenti nei quali è stato lavorato l'amianto. Il censimento di queste situazioni, previsto dalla citata Legge del 1992, procede con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla mappa delle esposizioni, anche le attività di risanamento ambientale procedono in modo relativamente frammentario ed episodico. E' quindi prioritaria una più idonea strategia per la bonifica dei siti dove si lavorava amianto e una verifica della presenza di residui di amianto nelle vicinanze degli stessi. E’ necessario, poi, elaborare ed adottare d’intesa con le Regioni, Linee Guida che indirizzino l'attività delle strutture sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale delle persone esposte in passato ad amianto. Presentano anche carattere prioritario l'aggiornamento e l'estensione degli studi epidemiologici che, insieme alla mappatura delle esposizioni attuali e pregresse, possano fornire basi più solide agli interventi di risanamento ambientale e criteri per il sostegno sanitario e psicologico alle popolazioni esposte.
4.2.2. Il benzene Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per l'uomo, l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il benzene può essere emesso sia come prodotto di combustione (che si forma a partire dai componenti della benzina, in particolare idrocarburi aromatici), sia in forma di sostanza incombusta, per evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei veicoli. Un'altra sorgente di rilievo in ambito urbano è rappresentata dalla distribuzione, dall'immagazzinamento e dalla manipolazione di carburanti contenenti benzene. Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli edifici, le sorgenti di maggior rilievo risultano essere alcuni prodotti di consumo, come adesivi, materiali di costruzione e vernici. L'emissione di tali prodotti è funzione della temperatura e, in particolare nel caso delle vernici, decresce con il tempo. Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene significativi e considerevolmente variabili. L'evaporazione del benzene ha anche influenza sulle concentrazioni indoor attribuibili a parcheggi interni agli edifici e sull'esposizione all'interno delle auto. Uno dei problemi tipici degli ambienti urbani italiani è quello della elevatissima densità di auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui corrisponde una considerevole emissione evaporativa dai serbatoi e altre parti delle auto. Ulteriori condizioni nelle quali si può realizzare l'esposizione al benzene sono quelle particolari di alcuni ambienti di lavoro quali, ad esempio, l'industria della gomma. L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene è stato perseguito con successo attraverso la riduzione del benzene nella benzina, ma è indispensabile continuare con determinazione gli sforzi intrapresi. I dati disponibili non indicano in modo chiaro quanto la catalizzazione delle auto abbia contribuito a ridurre l'emissione di benzene, anche se certamente vi sono stati dei significativi benefici. Una valutazione appropriata della possibile riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del parco auto è essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi siano effettivamente conseguibili in tal modo. Appare, comunque, importante prevedere un qualche sistema di controllo della funzionalità dei dispositivi di abbattimento. In base ai dati oggi forniti dai sistemi di monitoraggio, non sembra al momento possibile prescindere da una riduzione e razionalizzazione del traffico, quantomeno nelle aree critiche. Le concentrazioni indoor, oltre che dall'ovvia eliminazione del fumo di tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere prevedibilmente ridotte da un'ottimizzazione dei sistemi di parcheggio delle auto all'interno degli edifici, con sistemi di ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a ridurre la penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in cui sono posteggiate le auto. E', infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione per il benzene con particolare riferimento alle aree urbane.
4.3. La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantità sufficienti di acqua per tutto l’anno, circa il 13% degli Italiani non riceve sufficienti quantità di acqua per un quarto dell’anno e circa il 20% per due/tre quarti dell'anno. Queste proporzioni non sono ugualmente distribuite in tutto il Paese. La maggior parte delle popolazioni del Sud e delle isole non riceve quantità sufficienti di acqua per almeno un quarto dell’anno. Inoltre, in molte parti d’Italia, per le quali vi sono dati disponibili, i caratteri organolettici dell’acqua come torbidità, colore, odore o sapore sono di bassa qualità. La proporzione della popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto è elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest. Per quanto riguarda l’inquinamento, sono quasi scomparse le epidemie idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella, Shigella e Vibrio, ma permane problematica la valutazione del rischio microbiologico di altri agenti biologici patogeni diffusibili attraverso l’acqua potabile. Inoltre, la popolazione italiana resta esposta, attraverso l’acqua potabile, a bassi livelli di numerosi composti chimici, fra i quali vi sono i residui dei prodotti fitosanitari, i nitrati, i sottoprodotti della disinfezione delle acque a fini di potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali con i quali sono state realizzate le reti di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua all’utenza. Problemi di miglioramento delle caratteristiche delle acque si pongono, inoltre, per il parametro boro e per il parametro arsenico poiché in alcune situazioni, peraltro limitate e localizzate, è accertata la presenza di dette sostanze nelle acque in concentrazioni superiori alle concentrazioni massime ammissibili, per cause connesse alla natura geologica dei suoli. Per il prossimo futuro occorrerà promuovere le seguenti azioni: - riduzione della quantità di prodotti impiegati in agricoltura e autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto sull’ambiente e sulla salute umana; - adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto sull’ambiente; - promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali effetti dei contaminanti chimici dell’acqua potabile sulle funzioni riproduttive umane; - miglioramento delle tecnologie acquedottistiche; - ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti; - incremento della tutela delle acque dai processi di contaminazione urbana, agricola o industriale; intensificazione dell’attività di controllo dei contaminanti chimici, fisici e biologici delle acque potabili con l’esclusione dell’erogazione delle acque non conformi.
La normativa italiana relativa al controllo delle acque di balneazione ha fissato, per gli indicatori microbiologici di contaminazione fecale, valori limite più restrittivi rispetto alla direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa italiana considera “acque di balneazione” le acque nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata dalle Autorità e non vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che “acque di balneazione” sono da considerarsi quelle dove la balneazione è praticata da “un congruo numero di bagnanti”. Questo comporta che in Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi dall’inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento, tutte le acque siano considerate “acque di balneazione”. A causa di ciò il nostro Paese ha un numero di punti di campionamento controllati di gran lunga superiore a qualsiasi altro Paese dell’Unione Europea. L’osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le campagne di controllo svolte in base al Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470, porta a riconoscere un generale miglioramento della qualità delle acque delle zone costiere italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata. L’ulteriore miglioramento della qualità delle acque di balneazione passa attraverso la riduzione della contaminazione ambientale, un opportuno ed idoneo trattamento di tutti gli scarichi, urbani e non, un’adeguata progettazione degli impianti di depurazione, ed il censimento regolare e continuativo degli scarichi.
L’inquinamento acustico causato dal traffico, dalle industrie, dalle attività ricreative interessa circa il 25% della popolazione europea, provocando sia disagi che danni alla salute. Infatti, anche se le conseguenze dell’esposizione al rumore a bassi livelli variano da individuo ad individuo, un’esposizione prolungata nel tempo, che raggiunge determinati valori di pressione sonora, è causa, in tutta la popolazione, di effetti nocivi sull’organo dell’udito e sull’intero organismo. Per un’esposizione ad elevati livelli, protratta per anni, quale può riscontrarsi in alcuni ambienti di lavoro, si registra un abbassamento irreversibile della soglia uditiva. Anche in relazione a esposizione a più bassi livelli di rumore si registrano nell’intero organismo, secondo il perdurare dello stimolo, una serie di modificazioni a carico di vari organi ed apparati. Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle città italiane esaminate i livelli di rumore sono superiori ai livelli massimi previsti dalle norme vigenti sia di giorno che di notte. Per quanto riguarda l’esposizione al rumore negli ambienti di lavoro, si può stimare, in maniera conservativa, che la popolazione dei lavoratori esposti a più di 90 dB(A) di Leq (Livello Equivalente di pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unità, e le ipoacusie professionali rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in Italia, contribuendo con più del 50% al totale delle malattie professionali indennizzate. Da quanto esposto scaturisce con urgenza la necessità di interventi, sia negli ambienti di lavoro che negli ambienti di vita, finalizzati alla riduzione dell’esposizione al rumore. Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del traffico veicolare è soltanto uno degli strumenti per migliorare la qualità ambientale, e deve essere integrata con altre azioni individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla pianificazione urbanistica, alla viabilità e conseguente regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento dell’attività di controllo e repressione dei comportamenti eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti, alla zonizzazione acustica (classificazione del territorio comunale in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento acustico comunale. Per quanto riguarda l’esposizione negli ambienti di lavoro, quattro sono i livelli di azione da intraprendere per ridurre l’incidenza sulla salute di questo fattore di rischio: - migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite una più corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione; - incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla corretta applicazione della vigente legislazione in materia, in particolare destinando almeno l’1% del personale sanitario della ASL alla vigilanza e alla prevenzione, come previsto da “Carta 2000”; - completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dal Decreto Legislativo 15 agosto 1991 n. 277; - attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle aziende che vogliono attuare interventi di riduzione della rumorosità negli ambienti di lavoro. I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati i maggiori sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello estrattivo. 4.6. I campi elettromagnetici Negli ultimi anni si è verificato un aumento senza precedenti del numero e della varietà di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e distribuzione dell’energia elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare (sorgenti a radio frequenza e microonde), nonché altre apparecchiature usate in medicina, nell’industria e nel commercio. Tali tecnologie, pur di grande utilità, generano continue preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione. Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF), l'esposizione dell'uomo è principalmente collegata alla produzione, alla distribuzione ed all'utilizzazione dell’energia elettrica. Nel 1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come "possibili cancerogeni". Possibile cancerogeno per l’uomo significa che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilità che l'esposizione a campi ELF possa essere associata all’insorgenza dei tumori. Stime sull'esposizione della popolazione italiana ai suddetti campi per valori di induzione magnetica uguale o superiore a 0,2 micro Tesla sono state fatte sia in relazione alla residenza in prossimità di linee elettriche che all'uso di apparecchiature elettriche e alla configurazione e posizione dei fili elettrici nelle abitazioni. Circa 306.000 persone, corrispondenti allo 0,54% della popolazione italiana totale, risiedono in prossimità di elettrodotti a 132-380 kV. Risultati preliminari di un vasto studio sulle leucemie nell'infanzia indicano una esposizione all'interno delle case uguale o superiore a 0,2 micro Tesla dovute all'uso di apparecchiature elettriche e alla configurazione e posizione dei fili elettrici dell'abitazione comprese tra 1 e 10 % delle abitazioni. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, è stato calcolato che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di certezza: 0- 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e 26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1 % del totale dei 432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia. Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa – effetto. Secondo il recente “Libro Bianco” sull’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (documento redatto nel novembre 2001 da un gruppo di studio coordinato dal Prof. Angelo Bernardini dell’Università La Sapienza di Roma), l’analisi delle principali ricerche e studi scientifici effettuati in campo internazionale consente di pervenire alle seguenti considerazioni: le uniche basi scientifiche a supporto della scelta di un criterio per la limitazione delle emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza sono quelle indicate dall’ICNIRP (International Committee for Non-Ionizing Radiation Protection); anche in considerazione dell’aumento dei livelli di esposizione della popolazione legato allo sviluppo di sistemi di telecomunicazione, occorre che vengano proseguiti studi e ricerche atti a fornire elementi per la valutazione di eventuali rischi non ancora accertati che consentano di ridurre l’attuale grado di incertezza scientifica; allo stato attuale, in assenza di risultati scientifici certi, è possibile fare ricorso a politiche cautelative a condizione che valutazioni di rischio e limiti di esposizione siano fondati su basi scientifiche e non su considerazioni improprie e arbitrarie; in base a quanto emerge dalla letteratura scientifica, non appare giustificato il ricorso alla definizione di nuovi valori rispetto ai limiti indicati dall’ICNIRP; l’unico approccio cautelativo attualmente applicabile consiste nell’imporre criteri di progettazione degli impianti volti a minimizzare i livelli di emissione. La normativa a tutt’oggi vigente in Italia – in attesa di una nuova generale regolamentazione di tutto il settore – (la Legge Quadro 22 febbraio 2001 n. 36 prevede infatti espressamente l’emanazione di specifici decreti attuativi) è rappresentata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992, recante i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno e il Decreto Interministeriale 10 settembre 1998 n. 381, recante “norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”. Con la suddetta Legge Quadro n. 36, in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono stati previsti fra l’altro l’adozione di limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, la misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico nonché la fissazione di parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti, in applicazione dell’art. 4, comma 1, lettere a), e) e h). Questi adempimenti si scontrano con notevoli difficoltà di ordine pratico, essendosi nel frattempo autorevoli consessi scientifici espressi a favore di una maggiore coerenza della normativa italiana con gli orientamenti formulati nella Raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione della esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Le preoccupazioni espresse da più parti si riferiscono al timore che alcuni degli approcci previsti nella citata Legge Quadro n. 36 del 2001 possano portare a decisioni non rispettose del principio costo-beneficio. L’obiettivo prioritario è quello di orientare in modo più scientificamente valido le politiche di protezione sanitaria e ambientale in questo settore, anche alla luce degli sviluppi nella valutazione del rischio e nella conoscenza scientifica.
4.7. Lo smaltimento dei rifiuti Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonché quando lo smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie. L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti, qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti. La discarica rimane il sistema più diffuso di smaltimento dei rifiuti, sia perché i costi sono ancora oggi competitivi con quelli degli altri sistemi, sia perché l’esercizio è molto più semplice. La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari inconvenienti, purché sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta. I principali obiettivi in questo settore sono: - l’adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell’uomo ed elimini i danni ambientali; - l’attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei rifiuti; - l’incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con particolare riferimento al riciclaggio; l’incremento delle attività di tutela ambientale per l’individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di smaltimento non idonee; il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento.
4.8. Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici ed emergenze di altra natura Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si è presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un rischio più plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa l’Italia. Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come d’altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere assicurate se non esiste un’attività di preparazione continua a monte dell’evento. Questo è particolarmente vero per il Servizio Sanitario, specie nelle grandi città ove è più elevato il rischio, e dove i servizi sono, di norma, già saturi di richieste e spesso troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze. Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad altre emergenze non è solo di competenza del settore sanitario, è ovvia la necessità di preparare e, quando necessario, mobilitare il servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di difesa e di ordine interno, a seconda del caso. Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri anti-veleni e le Agenzie regionali per l’ambiente, unitamente all’ISS ed all’ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per sviluppare un’adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri gravi eventi non può pertanto che risultare dalla progettualità di ciascuna Regione e dall’efficacia e dall’efficienza delle attività svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria. Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai danni del nostro Paese sono state già assunte iniziative a livello centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento dell'emergenza. Fra le iniziative più importanti assunte immediatamente a ridosso dei tragici eventi dell’11 settembre 2001: è stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001 un’apposita Unità di crisi che, fra l’altro, ha elaborato il protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica derivante da un eventuale uso del bacillo dell’antrace; sono stati individuati, d’intesa con le Regioni, l’ISS e l’ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di lavoro; l’Ospedale L. Sacco di Milano, l’IRCSS L. Spallanzani di Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto clinico nonché l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876 campioni di materiale sospetto); é stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute; si è provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali ritenuti essenziali; si è fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario coordinamento per la costruzione di una elevata capacità di risposta sanitaria. Contestualmente, si è reso necessario predisporre altre misure sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili, stabilendo l’idonea pianificazione degli interventi. In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato, perciò, redatto un documento di Piano che si articola in due parti: nella prima è presa in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, è trattata la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti può, a sua volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite informazioni sui criteri essenziali per l’identificazione di eventi dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle modalità patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo, una scala di gravità riferita alle caratteristiche specifiche di ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in sede locale le procedure di intervento più idonee. Nell’allegato sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici, chimici e fisici nonché approfondimenti su alcuni temi particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano argomenti ed informazioni già esposti nella prima e nella seconda parte del Piano. Il documento di Piano, redatto con l’apporto dell’ISS, dell’ISPESL e della Direzione Generale della Sanità Militare, tiene conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo di coordinamento tecnico delle attività di difesa civile al momento dell'emergenza e nel Prefetto l’autorità di coordinamento della difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell’autonomia organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della salute. Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente riconducibili a: - programmare le misure preventive; - definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla minaccia; - pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati nonché contenere e/o inattivare il rischio residuo; - diffondere la cultura dell’emergenza e migliorare la capacità degli operatori a risposte pronte ed adeguate; - incrementare la capacità informativa a favore della popolazione (anche attraverso l’accesso al numero telefonico verde), al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei comportamenti più opportuni da adottare; Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono: predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire, specifichino le modalità di svolgimento ed identifichino i diversi livelli di responsabilità; approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per affrontare i diversi scenari di emergenza; adottare procedure operative standard per la risposta a falsi allarmi; intensificare l’aggiornamento e la formazione di operatori sanitari; sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il collegamento e l’integrazione tra diversi sistemi informativi.
4.9 Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro è in atto in tutti i settori lavorativi a causa dell’impiego di nuove tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione. Inoltre la competitività del mercato ha determinato la graduale introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi. Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale ciò sta determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio. La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro, esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici, lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro (femminilizzazione dell’occupazione, invecchiamento della popolazione lavorativa, lavoratori extracomunitari, ecc.) introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi. Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti. Ciò comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per quanto concerne il primo, è necessario che sia completato il processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti della partecipazione previsti dal D.Lgs. 626. Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l’esigenza di una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie Imprese. Altrettanto significativa è la necessità di una migliore integrazione con l’attività delle Agenzie Regionali per l’ambiente. Un’indagine svolta nel 2000 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario ha messo in evidenza come, dall’esame di alcuni indicatori, il completamento del processo istitutivo dei Dipartimenti di prevenzione appaia limitato proprio dalla mancata attivazione degli strumenti operativi e gestionali (5% del finanziamento previsto dalla quota del fondo sanitario assegnata integralmente solo nel 26,2% dei casi; assegnazione di budget previsto nel 50,7%; implementazione del sistema informativo dipartimentale nel 54,3%; formazione del personale prevista nel 64,1%; mancata attivazione dello Sportello unico dipartimentale nel 78%).
Gli infortuni Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante in termini sia di numero di eventi sia di gravità degli effetti conseguenti. L’andamento infortunistico dell’anno 2000 mostra una modesta crescita del numero degli infortuni nell’Industria e Servizi (+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento è in linea con la crescita occupazionale registrata nell’ultimo periodo. I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia della frequenza sia della gravità delle conseguenze), pur con andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l’industria del legno, quella dei metalli, l’industria della trasformazione ed il settore delle costruzioni. A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai rilevante (più del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli infortuni particolarmente gravi è stata legata a mezzi di trasporto e ad incidenti stradali.
I dati
su base regionale mostrano il seguente andamento (Tab. 2):
Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni nell’industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura. Altro aspetto rilevante è quello relativo alla sicurezza dei lavoratori in “nero”. Applicando gli indici infortunistici della popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull’occupazione non regolare (anno ’97) è stato stimato che il numero degli infortuni nel “sommerso” sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare conservativa in quanto è presumibile che le attività non regolari vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.
Le malattie professionali Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al lavoro. Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in attenuazione) acquistano sempre maggior rilievo le patologie da rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi anni; tra questi si segnalano le patologie dell’arto superiore da sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per quanto riguarda quest’ultima, il recente studio multicentrico europeo CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed è stimato in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili a esposizioni lavorative.
Obiettivi Riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici e da una maggiore gravità degli effetti. Riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro. Riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni alla salute dei lavoratori. Riordino, coordinamento e semplificazione in un Testo unico delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro, nel rispetto delle normative comunitarie, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione. Promozione di linee guida per l’applicazione della normativa in settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici). Identificazione dei requisiti minimi per l’accreditamento e l’esercizio della professione delle figure della prevenzione. Rafforzamento degli strumenti operativi e gestionali dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali. Potenziamento e coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche attraverso il monitoraggio dell’applicazione del D.Lgs. 626. Programmazione delle priorità d’intervento nei settori più a rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti da un adeguato sistema informativo. Attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in lavori atipici. Azioni per la specificità di genere sul lavoro a tutela delle lavoratrici. Azioni per l’inserimento o reinserimento lavorativo di particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i tossicodipendenti, gli immigrati. Integrazione dei sistemi informativi. Azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro. Promozione di programmi di formazione nella scuola. Miglioramento progressivo dei processi di verifica della qualità e dell’efficacia delle azioni di prevenzione basata sull’evidenza. Miglioramento dell’accertamento e dell’evidenziazione delle malattie professionali. Individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo, tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme. Incentivazione anche attraverso strumenti di defiscalizzazione e/o di tipo premiale alle P.M.I. che realizzino una efficacia prevenzione dei rischi.
5. La sicurezza alimentare pubblica Questa parte va integrata e resa coerente con i contenuti del Progetto Obiettivo Alimentazione L’impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali è stato considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficoltà di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in seguito alla stipula dell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS) nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della sicurezza igienico–sanitaria. Tali difficoltà sono, per certi aspetti, comuni a tutta l’Unione europea, ma in Italia l’adattamento è risultato, sotto diversi aspetti, più difficile. Molte energie sono state assorbite dalla necessità di gestire una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni causate da tossinfezioni e da nuovi patogeni. ed, in particolare, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei. Altre recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e altre sostanze chimiche. Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del rischio adeguata alla sfida posta dall’internazionalizzazione dei mercati), malgrado l’impegno profuso da parte di diverse componenti del sistema di Sanità pubblica, non è ancora sufficientemente sviluppata. Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un Paese come l’Italia, che è membro della Unione Europea e forte importatore di alimenti sia di origine animale sia di origine vegetale da tutto il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realtà del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati. Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e locale che i metodi e l’organizzazione dei controlli si rinnovino e si adeguino continuamente. Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla realtà esistente fino alla metà degli anni ’90. In particolare, i controlli non sono più concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti lungo tutto il processo di produzione «dall’aratro al piatto» e le garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente determinante del sistema della sicurezza. La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una dimensione internazionale e può essere assicurata solo attraverso un’azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di una sempre più marcata domanda di autonomia istituzionale dei livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti diventa sempre più dipendente dalla capacità di azione a livello internazionale. Per l’Italia che fonda parte importante del successo economico delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacità di trasformare materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi più avanzati, la capacità di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti può indurre, infatti, sconvolgimenti profondi del mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel contesto di una forte competizione, può portare a perdite significative di quote di mercato. Il nuovo orientamento sulla sicurezza alimentare affida alla sanità pubblica la responsabilità della tutela della salute del consumatore, garantendo la sicurezza, la salubrità e tracciabilità della filiera alimentare. Al fine di tutelare la salute del consumatore finale è necessario agire tra le altre sulle seguenti aree: tossinfezioni alimentari ed intossicazioni da agenti chimici OGM biologico attuazione del sistema di allerta potabilità delle acque destinate al consumo umano tracciabilità – etichettatura autocontrollo nelle imprese agroalimentari La strategia e gli obiettivi da perseguire, in materia di sicurezza degli alimenti animali, dunque, devono necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali, materie prime e prodotti operino secondo criteri di sicurezza equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani. Dall’altro, l’Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del più alto tenore, su tutto il territorio nazionale. La sicurezza degli alimenti oggi può essere assicurata solo attraverso azioni di eliminazione e mitigazione del rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione, conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate concertate e verificate a livello internazionale, comunitario, nazionale e locale. Gli obiettivi prioritari sono i seguenti: definire una politica della sicurezza degli alimenti e della salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica dell’emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di sicurezza e di salute misurabili e verificati; ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ai consumatori italiani; ridurre l’incidenza delle zoonosi e delle tossinfezioni, delle infezioni e delle intossicazioni alimentari (prodotti chimici, fitofarmaci ecc.), con particolare riferimento alle infezioni della lista A dell’OIE, alla brucellosi bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonché alle encefaliti spongiformi trasmissibili. è necessario: Garantire un sistema che: fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per le attività di pianificazione e legislazione nei settori che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all’uomo ed agli animali, nonché sulla salute ed il benessere degli animali; rappresenti l’interfaccia operativa nazionale dell’Autorità europea degli alimenti, che ha visto l’avvio con l’inizio del 2002; essa costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento dell’obiettivo di sicurezza alimentare nell’Unione Europea. Ad essa, soggetto indipendente che agisce secondo il principio dell’elevata qualità scientifica e della trasparenza, è attribuito il compito fondamentale dell’analisi scientifica del rischio su cui fondare le decisioni politiche e amministrative. L’Autorità cura in particolare l’analisi scientifica e la valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti e il sistema di allerta; raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all’uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di questi ultimi; assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come base scientifica per l’azione legislativa e regolamentare del Governo nei campi della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali; realizzi di un sistema di auditing per la verifica dell’efficacia del sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che permettono di misurare la qualità del servizio/prodotto; organizzare un sistema per la gestione delle emergenze in materia di sicurezza alimentare, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati alle esigenze. Particolare attenzione dovrà essere rivolta agli strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la mobilitazione della protezione civile ed individuare idonei sistemi di abbattimento e distruzione delle carcasse animali; migliorare in modo significativo il sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi. attuare concretamente un programma di formazione straordinario per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione della qualità nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e assumere comportamenti che assicurino omogeneità di prestazioni su tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato l’accreditamento dei servizi di Sanità pubblica, secondo norme di garanzia delle qualità riconosciute a livello internazionale. L’accreditamento è indispensabile per poter continuare nel medio–lungo termine le attività di certificazione, indispensabili per la libera circolazione degli animali e dei prodotto derivati in ambito internazionale. Le attività di formazione devono, inoltre, essere indirizzate all’introduzione e utilizzazione della sorveglianza epidemiologica e dell’analisi del rischio come strumento di tutela delle popolazioni animali e della salute dei consumatori. Nel settore della sicurezza alimentare, più che in molti altri settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti è fortemente condizionato dal contesto internazionale e comunitario. È indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In particolare: gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l’efficace integrazione del controllo pubblico con l’effettiva attribuzione di responsabilità agli operatori economici della produzione primaria, della trasformazione, e del commercio degli alimenti; l’attuale revisione delle politiche di sicurezza degli alimenti, in ambito dell’Unione Europea deve tenere conto delle peculiarità del sistema di produzione agro-alimentare dell’Italia; la partecipazione dell’Italia alle attività delle Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve essere rafforzata; la collaborazione dell’Italia con i Paesi dai quali il sistema agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata, dando alla cooperazione internazionale un ruolo più importante ed organico. In linea con il ProgettoOMS “The first action plan for food and nutritional policy “2000-2005” è necessario assicurare i sistemi di sorveglianza nutrizionale per la promozione di stili di vita salutari soprattutto nelle fasce sociali più deboli e nei soggetti che attraversano periodi critici della vita come infanzia, adolescenza, gravidanza, allattamento e vecchiaia.
Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione socio-sanitaria.
6.1. Le fasce di povertà e di emarginazione Numerosi studi hanno documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalità non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti. Effetti diretti della povertà e dell'emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali, dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della popolazione. Le cause di morte e di malattia più frequentemente associate alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la scarsa qualità dell’assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in minore misura, quelle ischemiche del cuore. Un’associazione con la condizione socio-economica misurata in base al livello d’istruzione della madre, è stato osservata anche per il peso alla nascita; la probabilità di mettere al mondo un bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri con un livello di studi universitari. Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono documentati svantaggi sociali sia nell'accesso alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi. Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno istruite. Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti più efficaci. Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a vantaggio delle persone di più alto stato sociale. In generale i gruppi di popolazione che meritano più attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni); gli anziani poveri (più di 65 anni); le madri sole con figli a carico; i disoccupati di lunga durata (più di un anno); i disoccupati giovani (15-24 anni); gli stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria; i tossicodipendenti; gli alcoolisti; i senza fissa dimora. Cioè da un lato i gruppi che sono più esposti alla marginalità sociale (si tratta di bambini, adulti e anziani in difficoltà e in povertà), dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati che cercano di inserirsi nella società italiana con un nuovo progetto di vita. Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori dei principali indicatori di morbilità, disabilità e mortalità nei diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti più uniformemente. Inoltre dovrebbero essere migliorate le condizioni socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute, quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato accesso al mondo del lavoro, così da ridurre la percentuale di persone che vivono in povertà. Infine, i soggetti che hanno bisogni speciali in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure appropriate. Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini in povertà e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli stranieri immigrati ed altri gruppi. E’ ben noto che la lotta alla povertà è uno degli strumenti più efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi, di misure di carattere sociale tipiche dello stato assistenziale per contrastare la povertà le quali non rientrano direttamente nella competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E’, quindi, molto importante l’efficace collegamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla povertà con le politiche di sviluppo economico e sociale. Nell’ambito più specificamente sanitario si tratta, in particolare, di assicurare l’accesso ai servizi sanitari superando, attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di attività, le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche che si frappongono alla fruibilità dei servizi sanitari. Specifici programmi di formazione e obiettivi di qualità per il personale addetto sono auspicabili. Un’altra serie di interventi di carattere più strettamente sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti da sostanze o alcool) nonché ad interrompere i processi di esclusione che nascono da problemi di salute, quali l’istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei malati poveri. Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 4.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 4.4); e (v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 4.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per l’assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilità e capacità di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile. Infine, è molto importante continuare l’approfondimento dei determinanti sociali, economici ed ambientali più direttamente collegati con i problemi della salute, associati alla povertà, e la sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunità per alleviare o rimuovere le difficoltà esistenti.
6.2. La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalità infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia è sceso di più del 75%, dal 20,5 del 1975 al 5,47/1.000 del 1997. Si tratta di uno dei più significativi miglioramenti registrati nell'Europa occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali (Sicilia, Basilicata, Campania) il tasso di mortalità infantile nel 1997 era di 7,57/1000 nati vivi, rispetto al 3,86 delle Regioni con il tasso di mortalità più basso (Veneto, Lombardia). La mortalità neonatale (entro le prime quattro settimane di vita, ed in particolare entro la prima) più elevata nelle Regioni del Centro-Sud, è responsabile della maggior parte di tale mortalità. Obiettivo fondamentale è quindi innanzitutto ridurre le disparità regionali nei tassi di mortalità neonatale, avvicinando la media nazionale a quella della regione con indice di mortalità più basso. Per quanto riguarda la mortalità nel primo anno di vita, le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurità, 1'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT ("European Registration Of Congenital Anomalies"), indicano che il tasso di malformazioni congenite in Italia è simile a quello di altre aree d'Europa. Nella valutazione dello stato di salute della popolazione infantile un importante indicatore è il peso alla nascita dei neonati a termine. Esso è influenzato dallo stato sociale e da altri fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT). L'incidenza di basso peso alla nascita non è cambiata in maniera significativa nel corso degli ultimi 15 anni. Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine). L’educazione a comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda il fumo, è a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono, inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente sulla mortalità perinatale e sugli esiti a distanza (handicap). Per quanto riguarda il gruppo di età tra 1 e 14 anni, il tasso dì mortalità ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni, da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in questo gruppo di età sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro (5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997 indicano una mortalità più elevata (+14% circa) al Sud che al Nord. L'obiettivo della riduzione della mortalità per incidenti, sia domestici che stradali deve prevedere una forte campagna di prevenzione con misure di educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole. Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento in continua crescita, sono l'asma e l'obesità. E' significativo che le due condizioni morbose più frequenti siano legate a problematiche ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la prevenzione, in termini dì salvaguardia ambientale (con lotta all’inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica sanitaria per l'immediato futuro. In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in età adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia. I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra una percentuale più elevata di gravidanze in età adolescenziale in confronto alle Regioni del Nord, anche se questo avviene nel contesto di unioni legali. Obiettivo di questo settore dovrà essere la prevenzione primaria delle gravidanze non desiderate in età adolescenziale con una appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie, nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via sessuale. La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentavi di razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei. Inoltre, malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei punti nascita è ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate: tra queste poco meno della metà ha meno di 500 parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese. L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuità assistenziale sul territorio, ha determinato, nel 1999 un tasso di ospedalizzazione del 119‰, un valore significativamente più elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad esempio il Regno Unito (51‰) e la Spagna (60‰). E’ necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una distribuzione geografica diversa, e sono tra i più importanti determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalità infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unità operative pediatriche. Gli stessi fattori condizionano anche l’elevato numero di parti per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, più frequenti nelle strutture del centro-Sud con un basso numero di nati, fino a raggiungere in Campania il 51% mentre le Regioni Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per taglio cesareo pari la 20%, valori di poco superiori a quelli riportati dalla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea. Fattori economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito di quello per via naturale. Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non è garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e ciò induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi all’estero per partorire. Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del Parlamento Europeo del 1986), ancora più del 30% dei pazienti in età evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area pediatrica. L’area pediatrica è "l'ambiente in cui il Servizio Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e l'adolescente". a) Gli obiettivi strategici Attivare programmi specifici per la protezione della maternità e migliorare l’assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale. Migliorare la qualità della vita del bambino in ospedale Educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali competenti con particolare riguardo alla prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile, dell'obesità, delle malattie sessualmente trasmesse, ed con particolare riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni ed incidenti.
b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni Pianificare l'assistenza perinatale Garantire la copertura dell'emergenza neonatale in ogni regione. Ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo del 10‰ per anno. Incrementare l’adozione di strutture socio-sanitarie alternative, quali l'ospedalità a domicilio ed in strutture residenziali funzionalmente collegate con gli Ospedali. Elaborare Linee Guida clinico-organizzative per le patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in età pediatrica, e per gli interventi chirurgici inappropriati. Diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con valori medi degli altri Paesi europei. Rendere disponibile in almeno parte delle strutture il cosiddetto parto indolore. Ottimizzare il numero di punti nascita, riducendone il numero ed incrementandone la qualità.
6.3. La salute mentale I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perché la loro prevalenza mostra un trend in aumento e perché ad essi si associa un elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali, che pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettività. Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale segnalano che nell’arco di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o più dei disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tra i disturbi mentali più frequenti vi sono i disturbi d'ansia, il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive. La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le fasce d'età e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la prevalenza dei disturbi della personalità e dei disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei più gravi disturbi mentali, è pari a circa lo 0,5%. Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa alle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche (con particolare riferimento alle patologie cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie degenerative del Sistema Nervoso Centrale). Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali dell’età adulta sono preceduti da disturbi dell’età evolutiva-adolescenziale. In particolare, l’8% circa dei bambini e degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che può determinare difficoltà interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli adolescenti. Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di disabilità: i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono, quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di disabilità non marcati, anche se alcuni casi di sindrome ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti. D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e sociali in maniera massiccia, per via della gravità, del rischio di suicidio, della lunga durata e delle disabilità marcate che le caratterizzano. Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell’assistenza psichiatrica alle necessità reali dei malati ed agli orientamenti più attuali della sanità pubblica, avviato con la Legge 23 dicembre 1978 n. 833, ha determinato l’integrazione dell’assistenza psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l’orientamento comunitario dell’assistenza alle persone con disturbi mentali, il superamento del modello custodialistico rappresentato dall’Ospedale Psichiatrico.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale, al momento attuale, sono: la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture Residenziali per attività riabilitative, insieme ad una mancanza di coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l’età evolutiva, i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani; tale evidenza induce a valutare, nel rispetto del modello dipartimentale di cui al Progetto Obiettivo Salute Mentale 1998-2000. la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida da parte dei servizi, nonché di parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private; la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione sociale nella popolazione; la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai problemi della salute mentale in età evolutiva e nell'età "di confine", che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente ed alla quale è utile rispondere anche con il contributo, almeno in fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed imprenditoriale; la carente gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche; la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto daI Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 e dal relativo progetto obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza deI modello organizzativo ivi delineato. Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da: la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare attenzione all’età adolescenziale e a quella anziana; la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento, mediante attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi multidisciplinari integrati in risposta ai bisogni di salute mentale dei pazienti e delle famiglie; la riduzione dei tempi d’attesa per l’accesso ai trattamenti, ivi compresi quelli psicoterapici; il miglioramento delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni di salute mentale nella popolazione e sull'efficacia degli interventi, la diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia; la definizione dei parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali per la salute mentale pubbliche e private, la promozione della salute mentale nell'intero ciclo della vita, garantendo l'integrazione tra servizi sanitari e sociali - pubblici e del privato sociale ed imprenditoriale - con particolare riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a rischio; la cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non istituzionali (Associazioni dei famigliari, dei pazienti, volontariato, Associazioni di Advocacy), il privato sociale ed imprenditoriale; la promozione dell'informazione e della conoscenza sulle malattie mentali nella popolazione, al fine: a) di realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria (informazione sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di volontariato); b) incrementare la lotta allo stigma verso la malattia mentale e la promozione di una maggiore solidarietà nei confronti delle persone affette da disturbi mentali gravi; c) diffondere e sviluppare la cultura del volontariato, dell’associazionismo, dell’auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella cura delle malattie mentali. A breve termine è necessario pianificare azioni volte a: concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e privati superando, finalmente qualunque approccio custodialistico; pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dei disturbi mentali in età infantile ed adolescenziale attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario; assicurare la presa in carico e la continuità terapeutica dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso nel sistema sanitario. migliorare la gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e patologie organiche, promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel campo della salute mentale; attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di familiari e di pazienti; attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230. 6.4. Le tossicodipendenze
Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono
che le Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura
Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di droghe dovrà essere, pertanto, la considerazione che la tossicodipendenza e l’uso delle sostanze illecite non possono essere fronteggiati con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si è corso, il rischio di contribuire al rafforzamento di una condizione invalidante e di dipendenza cronica, rinunciando a perseguire l’obiettivo del pieno recupero personale e sociale della persona. Il fine cui dovranno tendere le Amministrazioni statali, nel pieno rispetto delle proprie competenze e dei propri limiti, è quello di realizzare interventi e progetti che coinvolgano – con pari dignità – soggetti pubblici e privati, con la finalità ultima di ridurre la domanda di droghe fornendo concreto ausilio a coloro che sono già dipendenti, o a rischio di divenirlo, e di individuare progetti di esistenza lontani dall’uso di droghe, nonché di ridurre concretamente l’offerta rendendo le Istituzioni sempre più in grado di esercitare una forte azione di controllo della produzione e del traffico di stupefacenti. Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato Interministeriale di Coordinamento per l’azione anti-droga, costituito ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, si è insediato il Commissario straordinario di Governo, in qualità di responsabile del Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga, che avrà il compito di coordinare le politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri, così da progettare un Piano Nazionale più incisivo ed efficace. Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il 14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di tutte le componenti istituzionali direttamente interessate e nel rispetto delle norme regionali derivanti dall’attuazione della modifica del titolo V della costituzione. Alla luce dei dati più recenti è possibile affermare che il fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente prevalente, l'uso contemporaneo di più sostanze, dalle cosiddette droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina. E' anche accertato come l'età del primo approccio con le sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la media della "prima esperienza" stabilizzata ormai al di sotto dei 13 anni. Allo stesso tempo il passaggio dal consumo della cannabis a quello delle altre droghe risulta avvenire in tempi sempre più ridotti rispetto agli anni passati. Dai dati ufficiali risulta inoltre che: il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, è in aumento, specialmente attraverso nuove modalità di assunzione (fumo, inalazione); continua il progressivo aumento, peraltro già rilevato, del consumo di cocaina, che da droga di "élite" si è trasformata rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza riguarda, infatti, fasce sempre più diversificate e giovani di utilizzatori; si evidenzia un costante aumento dei consumi di "ecstasy" e di amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale dei sequestri di questo tipo di droghe; il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le statistiche più attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed è un comportamento considerato "normale" da una parte consistente dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni soggetti istituzionali.
Panorama internazionale L'andamento del fenomeno negli altri Paesi dell'Unione Europea non si discosta significativamente dalla situazione italiana con punte di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, di cannabis in Francia e Spagna e di eroina in Germania. Al fine di contrastare tale situazione, e facendo seguito agli impegni sottoscritti in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU (giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno 2000) un Piano d'Azione sulle droghe per gli anni 2000-2004, indicando con precisione i seguenti sei obiettivi strategici ed impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento: ridurre in misura rilevante, nell'arco di cinque anni, il consumo di droghe illecite e il numero di nuovi consumatori, soprattutto tra i giovani di età inferiore ai diciotto anni; abbassare in misura sostanziale l'incidenza dei danni causati alla salute dall'uso di sostanze stupefacenti nonché, conseguentemente, anche il numero di decessi correlati all'uso di droghe; aumentare in misura rilevante il numero dei tossicodipendenti sottoposti con successo a trattamento; diminuire considerevolmente la reperibilità di droghe illecite; ridurre in misura significativa il numero di reati correlati alla droga; contrastare in maniera sempre più efficace il riciclaggio di denaro sporco ed il traffico illecito delle sostanze chimiche impiegate nella produzione di droghe.
Il contesto nazionale Nel nostro Paese risultano attivi 556 SerT (Servizi per le Tossicodipendenze), che hanno in carico 145.897 soggetti tossicodipendenti; tale dato presenta un aumento di circa il 4,5% rispetto all'anno precedente. La maggioranza degli utenti dei SerT (82,8%) è dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti che fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono una percentuale del tutto irrilevante. Nelle strutture socio-riabilitative residenziali e semi-residenziali (in diminuzione del 2% rispetto al 1999), gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del privato sociale, risultano invece assistiti 14.856 soggetti; tale valore manifesta una diminuzione di circa il 5,9% rispetto all'anno precedente. Per quanto riguarda gli utenti dei SerT i dati mostrano una costante crescita dei trattamenti farmacologici con metadone, trattamenti che superano ormai la metà dei casi seguiti (51,8% rispetto al 49,5% del 1999 e a143% del 1995). All'interno dei trattamenti metadonici aumentano inoltre i casi di "terapia di lunga durata" (29,4% nel 2000 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli a breve termine (9,9% nel 2000 rispetto al1 0,2% del 1999). I dati innanzi riferiti evidenziano, in sostanza, come l'approccio farmacologico alla tossicodipendenza rappresenti la principale attività svolta dai SerT. Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla prevenzione dalla tossicodipendenza, al recupero del valore della persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo nella società e nel mondo del lavoro. Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze Gli interventi di prevenzione debbono rappresentare il punto centrale delle politiche sociali. Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di intervento e rivolgerle in modo efficace ad una più vasta platea di soggetti destinatari, considerato che il disagio giovanile non riguarda ormai più "categorie a rischio", ma può prodursi in maniera del tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza imprevedibile, tra le quali, appunto, l'uso di sostanze stupefacenti e/o psicotrope. In tale ottica risulta, quindi, indispensabile definire un sistema coordinato ed integrato di interventi, che coinvolgano la società civile nel suo insieme e, in particolare, le principali agenzie educative: famiglia e scuola. Gli interventi debbono pertanto essere orientati, pur nelle differenti specificità e contesti di riferimento, sia al sostegno della progettualità e dell'autonomia dei giovani (in alternativa al modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di intenti tra famiglia e scuola, nell'interesse del futuro dei giovani, libero dall'uso di qualunque sostanza. I progetti dovranno essere orientati a: promuovere lo sviluppo integrale della persona; offrire occasioni di miglioramento dei processi di partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identità; contribuire a creare consapevolezza e capacità decisionali ed imprenditoriali nei giovani; offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della formazione e del lavoro; qualificare la vita in termini complessivi, come valore insostituibile. Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente credibili e facilmente "acquisibili" dai giovani, evitando messaggi approssimativi e contraddittori. Una campagna di prevenzione non può ovviamente basarsi sulla sola informazione. Non ci si può, infatti, limitare a spiegare la formula chimica di una droga ed i suoi effetti, ma occorre promuovere e illustrare stili di vita responsabili e rispettosi di se e degli altri. Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione devono pertanto essere quelli di ridurre il consumo di droghe, promuovere stili di vita responsabili, valorizzare tra i giovani, coloro che non praticano comportamenti a rischio e fornire intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative. Servizi pubblici per le dipendenze Strutture socio-riabilitative, pubbliche e private Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la libertà di scelta del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato sociale.
I tossicodipendenti in carcere Un problema prioritario è rappresentato dalle migliaia di detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione. A tale scopo vanno previste risorse specifiche. Reinserimento lavorativo Un Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve necessariamente prevedere la fase fondamentale del reinserimento lavorativo di coloro che hanno concluso con successo un programma di riabilitazione dalla tossicodipendenza. A tal fine il Governo intende incentivare con fondi specifici aggiuntivi i programmi riabilitativi che prevedano e/o includano, fra le finalità, azioni di formazione professionale orientate a facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro degli ex-tossicodipendenti. incentivazione all'avviamento di attività imprenditoriali da parte di ex-tossicodipendenti; ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui periodi di aspettativa per i lavoratori che si sottopongono ad un programma riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la disparità di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati. In sintesi quindi l’azione in questo campo deve tenere conto di due direttrici strategiche: - la prima direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone esperienze già in atto nel sistema pubblico e nel privato sociale accreditato in materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero del tossicodipendente; - la seconda direttrice prevede, da parte del Ministero della Salute : l’assunzione - nell’ ambito delle linee strategiche definite dal “Programma triennale del Governo per la lotta alla produzione, al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope 2002-2004”, e degli indirizzi definiti dal Dipartimento nazionale per le politiche anti-droga istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - di un ruolo di coordinamento del settore rispetto agli altri Ministeri coinvolti (Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione, Beni Culturali, Comunicazioni, Giustizia, Interno); In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi prioritari: - promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella logica dell’ integrazione interistituzionale; - inserire nel programma di abbattimento dell’uso e dell’abuso, oltrechè le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione dell’alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere l’ azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze comportamentali (es.: gioco d’azzardo); - attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola; - promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti, danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti; - attivare sinergie con le Forze dell’Ordine sia sulla repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo fondamentale di prevenzione delle attività criminali attraverso le informazioni, le analisi e i collegamenti internazionali; - attivare il monitoraggio delle informazioni e della comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa quotidiana; - garantire costante attenzione alle condizioni di salute, sia fisica che psichica;
6.5. La sanità penitenziaria Nel 1999 la sanità penitenziaria ha subito profonde modificazioni a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 che stabilisce il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati. Le funzioni sanitarie svolte dall’amministrazione penitenziaria con riferimento ai soli settori della prevenzione e dall’assistenza ai detenuti e agli internati tossicodipendenti sono già state trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Per il trasferimento graduale delle altre funzioni è in corso una fase sperimentale inizialmente attuata in Toscana, Lazio e Puglia e, recentemente, estesa ad Emilia Romagna, Campania e Molise. Al termine della sperimentazione il Ministro della salute, sulla base delle risultanze del monitoraggio previsto dal Decreto Interministeriale 20 aprile 2000 predisporrà, in collaborazione con il Ministro della Giustizia, una relazione finale al fine di proporre al Governo e al Parlamento il modello definitivo di assetto del settore. Il Progetto Obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario, emanato nel corso del 2000, previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230, propone modelli organizzativi nel rispetto delle funzioni dello Stato, delle Regioni e delle Aziende Sanitarie. Tra le problematiche sanitarie di più vasto impatto in ambito penitenziario, individuate anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le malattie infettive (specialmente epatiti virali, HIV, tubercolosi, scabbia e dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale. E’ indispensabile prevedere misure di prevenzione, sistemi di sorveglianza e modalità di trattamento. Per contrastare tali patologie è di primaria importanza migliorare la formazione degli operatori sanitari e degli agenti di polizia penitenziaria e l’informazione dei detenuti. La crescente presenza nelle carceri di cittadini provenienti da altri Paesi rende opportuno prevedere la presenza di mediatori culturali con oneri a carico del ministero di grazia e giustizia, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma anche culturale, che consentano di superare le difficoltà nei rapporti con i questi detenuti. Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti: attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione globale della persona, sia nel carcere che in comunità di recupero vigilate, nella logica di modelli organizzativi che equiparano strutture pubbliche e private accreditate secondo un modello dipartimentale nel quale siano previsti anche momenti di integrazione interistituzionale; attivare programmi per la riduzione dell’incidenza delle malattie infettive fra i detenuti; migliorare la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione a favore dei detenuti.
6.6. La salute degli immigrati Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal Ministero dell’Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606 persone, pari a circa il 2,9% dell’intera popolazione italiana (la media europea è del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi dell’Europa centro-orientale, il 29,1% dall’Africa settentrionale, il 7,3 % dall’Asia centro meridionale, il 10,5% dall’Asia orientale. Il 67% circa ha una età compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori è stimato intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%. Meno del 45% degli stranieri è di sesso femminile. La presenza irregolare è stata stimata ufficialmente dal Governo pari a circa 400.000 unità sulla base del numero di domande di regolarizzazione presentate entro il termine del 15 dicembre 1998 sulla base della Legge n. 40 del 1998. Negli ultimi anni i flussi dall’Europa dell’Est, in particolare ex-Yugoslavia, Polonia e Albania, sono fortemente cresciuti, superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il fenomeno dei “ricongiungimenti familiari” sta rapidamente riequilibrando la composizione per età e genere degli stranieri immigrati, che ancora agli inizi degli anni ’90 era prevalentemente rappresentata da giovani adulti maschi. Il tempo intercorso dal momento della migrazione configura esperienze di svantaggio molto diverse. In prossimità dell’immigrazione prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal Paese di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di un tetto e di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un riconoscimento giuridico. In questa fase, gli immigrati condividono con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo. In un secondo momento, diventano più importanti le difficoltà di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e con il sistema dei servizi e le difficoltà di apprendere la lingua accrescono le barriere alla fruizione dei servizi ed alla soddisfazione delle necessità quotidiane. Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di elasticità dell’offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di salute di questi nuovi gruppi di clienti. Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono più frequenti la prematurità, il basso peso alla nascita, la mortalità neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi. Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono l’alto tasso di abortività, la scarsa informazione (con conseguente ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di mutilazioni genitali femminili. Un’indagine coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un trend fortemente decrescente dalle età più giovani a quelle in età più avanzate. Rilevante è anche il fenomeno della prostituzione. Stime del 1998 indicano il numero delle prostitute straniere compreso tra 15.000 e 19.000. Per quanto attiene le patologie neoplastiche, secondo un’analisi retrospettiva riguardante 2.800 pazienti stranieri con più di 60 anni visitati presso l’IRCCS S. Gallicano di Roma, si è evidenziato un aumento dal 1994 al 2001 del 7,8% dei casi. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i casi di AIDS notificati in cittadini stranieri sono passati da meno del 3%, sul totale dei casi di AIDS segnalati prima del 1992 ad oltre il 14% nel 2001. Il Sistema di Sorveglianza delle Malattie Sessualmente Trasmesse dell’Istituto Superiore di Sanità, registra una prevalenza di tali patologie nell’ambito della popolazione straniera dell’11,0%. Questa prevalenza, come del resto quella relativa alle malattie tropicali propriamente dette, viene considerata dagli esperti del settore come sottostimata. Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in cittadini stranieri è in costante aumento; secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità essa è passata dall’8,1% nel 1992 al 16,6% nel 1998. Questa tendenza è confermata anche da altri studi epidemiologici europei effettuati dall’International Centre for Migration and Health dell’OMS. Questa patologia colpisce pazienti irregolari che vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia rispetto alla popolazione generale, sia rispetto agli stranieri con regolare permesso di soggiorno. Una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana, dei ricoveri causati da traumatismi (5,7 % negli stranieri, 4,8 negli italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe essere la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali vanno incontro i lavoratori immigrati. L’analisi delle schede di dimissione ospedaliera mostra, inoltre, tra le cause più frequenti di ricovero quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei ricoveri nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle vie aeree (3,1% negli stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8% negli italiani, di cui 0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti (1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane). Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare l’emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto è quello di assicurare l’accesso delle popolazioni immigrate al Servizio Sanitario Nazionale adeguando l’offerta di assistenza pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile, attivamente disponibile e in sintonia con i bisogni di questi nuovi gruppi di popolazione, in conformità a quanto previsto dal testo unico sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti ed essenziali e alla continuità della cura anche per gli immigrati irregolari. In tale contesto, sono necessari, fra l’altro, sia interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull’offerta dei servizi da parte delle ASL che l’individuazione all’interno di ciascuna ASL di unità di personale esperte e particolarmente idonee per questo tipo di rapporti. Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti: - migliorare l’assistenza alle donne straniere in stato di gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.; - ridurre l’incidenza dell’HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione mirata a questa fascia di popolazione; - raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana; ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Parere sul disegno di legge recante “riordino del rapporto di lavoro dei medici del Ssn”
Punto 1.1) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni
A seguito del confronto svoltosi nella Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome del 25 luglio 2002, sono emerse le seguenti posizioni: Un gruppo di Regioni ( Veneto, Liguria, Piemonte, Lombardia, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise) ha espresso parere favorevole a condizione dell'accoglimento di un emendamento volto alla soppressione dell'articolo 4 (collegio di direzione) e di un emendamento al comma 2 dell'articolo 5 che prevede l'inserimento della parola "prioritariamente" dopo le parole “sono destinate” (in riferimento alle economie di spese conseguenti al passaggio dal rapporto esclusivo a quello non esclusivo da destinarsi ai programmi aziendali per l'abbattimento delle liste d'attesa). Le stesse Regioni condizionano altresì l’espressione del parere favorevole all’accoglimento della richiesta di cui al punto 4. Un altro gruppo di Regioni ( Emilia Romagna, Marche, Toscana, Basilicata, Campania ed Umbria) ha espresso parere negativo sul DDL in quanto lesivo della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di tutela della salute e per le soluzioni di merito proposte. Le stesse Regioni avanzano altresì la richiesta di cui al punto 4. Le Regioni a statuto speciale e le Province Autonome hanno chiesto l'inserimento all'articolo 7 del seguente comma aggiuntivo: "Nella materia di cui alla presente legge si provvede, per la Regione Valle d'Aosta, mediante apposite norme di attuazione ai sensi dell'articolo 48 bis dello Statuto speciale. Con riferimento alle altre Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano, è fatto salvo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". Tutte le Regioni chiedono che la Conferenza Stato-Regioni affidi uno specifico incarico al Tavolo di monitoraggio di cui al punto 15 dell’Accordo dell’8 agosto 2001per l’accertamento di eventuali oneri diretti ed indiretti derivanti dall'attuazione della presente legge che, se verificati, siano da porre a carico del bilancio dello Stato, ivi compresi quelli derivanti dalla eventuale inapplicabilità della norma cautelativa ( disdetta del contratto ) prevista dall'articolo 42, comma 2 del CCNL per l'area della dirigenza medica e veterinaria sottoscritto il 8.06.2000 e dall’analoga norma prevista dall'articolo 43 del CCNL della area della Dirigenza sanitaria, professionale tecnica e amministrativa sottoscritto in pari data. Le Regioni e le Province Autonome, cogliendo l’occasione posta dal dibattito che si è sviluppato intorno al presente DDL, propongono al Ministro degli Affari Regionali di attivare un percorso che porti, ad integrazione della intesa interistituzionale del 30 maggio 2002, alla definizione di un documento condiviso nel quale convenire sulle parti del D.lgs 502/92 e successive modifiche ed integrazioni, da considerarsi norme di principio fondamentale e sulle parti ormai da considerarsi nella potestà legislativa e regolamentare delle Regioni ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione.
Roma, 25 luglio 2002
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Richiesta parere Aran su schema di Ddl recante: “riordino del rapporto di lavoro dei medici del servizio sanitario nazionale” approvato, in via preliminare, dal consiglio dei ministri nella seduta del 5 luglio 2002
Punto 2.3) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni
La Conferenza dei Presidenti, nel confermare il parere articolato reso nella seduta del 25 luglio, al fine di approfondire le problematiche relative alla verifica ed alla quantificazione di eventuali maggiori oneri conseguenti il ddl, ha richiesto nel merito un parere all’ARAN, in particolare sui seguenti profili:
l’impatto del provvedimento sul CCNL ed in particolare sulle disposizioni degli articoli 42 - per l’area della dirigenza medica e veterinaria - e 43 dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica e amministrativa, nel senso di esprimersi sul fatto che il provvedimento in questione costituisca un venir meno della “permanenza stabile nell’attuale quadro normativo del presente sistema di incompatibilità”; l’impatto specifico dell’articolo 5, comma 1 sul medesimo articolo 42, comma 2, laddove viene prevista l’immediata disdetta del contratto e la riapertura del tavolo di negoziato.
In attesa di tale verifica chiede il rinvio dell’espressione del parere sul disegno di legge in oggetto.
Roma, 1° agosto 2002
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
|
REGIONE
|
NOMINATIVO |
Basilicata |
Giacoia Rocchina |
Campania |
Cau Norberto |
Lazio |
Coletti Chiara |
Liguria |
Basso Giuseppe |
Lombardia |
Sandrini Fabio |
Toscana |
Faillace Raffaele |
Umbria |
Comparozzi Giuliano |
Valle d'Aosta |
Scalise Silvana |
Veneto |
Covolo Luigi |
Roma, 26 settembre 2002
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Roma, 28 febbraio 2002
“A”
PREMESSA
Il D.P.R. 27 marzo 1992, presupposto normativo imprescindibile, sancisce i livelli di assistenza sanitaria di emergenza.
A tale proposito, nell'ambito di questa norma, vengono disciplinati, tra l'altro, il sistema di emergenza sanitaria (art.2), il sistema di allarme sanitario (art.3), le competenze e responsabilità delle Centrali Operative (art.4) e la disciplina delle attività (art.5).
L'art.5 comma 2, del predetto D.P.R. stabilisce che: "L'attività di soccorso sanitario costituisce competenza esclusiva del Servizio Sanitario Nazionale. Il Governo determina gli standard tipologici e di dotazione dei mezzi di soccorso ed i requisiti professionali del personale di bordo di intesa con la Conferenza Stato - Regioni".
L'atto di intesa tra Stato e Regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del predetto Decreto per quanto relativo al Sistema territoriale - mezzi di soccorso - prevede, al punto 5, "l'eliambulanza: mezzo di norma integrativo delle altre forme di soccorso".
Il coordinamento del servizio di Soccorso Sanitario con elicottero nell’ambito del sistema dell'emergenza urgenza è assicurato dalla Centrale Operativa. La dotazione di personale sanitario è composta prioritariamente da un medico specialista in anestesia rianimazione o altro specialista che possieda comunque comprovata esperienza e formazione nel campo dell’emergenza con competenze tali da attuare le procedure indicate nell'allegato 1, da un infermiere con documentata esperienza e formazione e/o da altro personale qualificato da stabilire in sede regionale.
L'ubicazione delle basi eliportuali deve tenere conto della dislocazione degli ospedali afferenti al sistema dell'emergenza, dell'orografia, della meteorologia, dei nodi stradali, degli agglomerati urbani ed industriali".
Da quanto sopra esposto si evince inequivocabilmente che la rete dell'emergenza - urgenza, di esclusiva competenza del Servizio Sanitario Nazionale, è sostanzialmente costituita da:
Centrali Operative dotate di un numero telefonico unico nazionale di accesso breve (118) alle quali convergono tutti i collegamenti di allarme sanitario che consentano un unico coordinamento del sistema territoriale di soccorso;
una rete di servizi e presidi, funzionalmente differenziati, in grado di rispondere alle necessità della popolazione in relazione alle potenzialità strutturali ed organizzative richieste.
In funzione di quanto sopra enunciato il servizio di Soccorso Sanitario con elicottero appartiene a pieno titolo a tale sistema.
Alla realizzazione di tale Servizio possono concorrere Enti ed Organizzazioni pubblici e privati oltre alle Società di Lavoro Aereo in possesso dei requisiti richiesti dalle vigenti norme in materia aeronautica purché, in ossequio alla competenza esclusiva del Servizio Sanitario Nazionale relativamente agli interventi di urgenza - emergenza, garantiscano una completa e totale disponibilità ed osservanza dei protocolli di impiego dei mezzi ed equipaggi unilateralmente predisposti dal titolare del servizio.
I criteri minimi per la determinazione del fabbisogno, per la definizione degli standard prestazionali comprensivi dei requisiti dei mezzi e del personale addetto, la tipologia delle prestazioni richieste, gli obiettivi del servizio intesi anche come potenzialità operativa, i requisiti necessari alla realizzazione degli indispensabili presupposti di sicurezza e tutto quant'altro attinente alle modalità di svolgimento del servizio nel suo complesso, vengono indicati nel presente documento.
Gli aeromobili, che devono risultare ad uso esclusivo delle Centrali Operative "118", devono rispondere perfettamente ai requisiti previsti dalle norme vigenti ed ai presupposti operativi unilateralmente stabiliti dai rispettivi Responsabili dei Servizi anch'essi naturalmente vincolati dalle normative nazionali e regionali vigenti in materia.
"B"
DEFINIZIONE E COMPITI ISTITUZIONALI DEL SERVIZIO
E' compito istituzionale del S.S.N. ed in particolare del Sistema di Urgenza Emergenza Sanitaria "118" la tutela della salute dei cittadini garantendo a chiunque si trovi in una situazione di emergenza sanitaria, reale o potenziale, ogni intervento volto a portare sul luogo dell’evento, il soccorso più qualificato con i propri mezzi disponibili sul territorio, favorendone una corretta ospedalizzazione.
Alla luce delle nuove concezioni del soccorso sanitario, un moderno sistema d'emergenza deve trovare soluzioni sempre più avanzate per la medicalizzazione rapida del paziente critico e per il suo trasporto in condizioni di piena sicurezza nei centri attrezzati per il trattamento della patologia specifica.
I Servizi di Soccorso Sanitario con elicottero, risorse di elevatissimo livello professionale, affidati alla responsabilità di un medico, appartenendo operativamente a tutti gli effetti al Sistema "118", contribuiscono al raggiungimento dei suoi obiettivi.
A livello internazionale il Servizio di Soccorso sanitario con elicottero è classificato:
HEMS (Helicopter Emergency Medical Service) Servizio di emergenza medica con elicottero-Eliambulanza, che ha lo scopo di facilitare l'assistenza sanitaria d'emergenza, anche con tecniche speciali, dov'è essenziale il trasporto rapido ed immediato di:
personale sanitario;
equipaggiamento sanitario;
persone malate o infortunate;
attrezzature, sangue, organi, farmaci,
L'equipaggio HEMS è regolamentato dalla Direttiva Dirigenziale (D.D.) 41/6821/M.3 E., in linea con le norme europee JAR-OPS 3.
HSR o SAR (Helicopter Search and Rescue - Servizio di ricerca e salvataggio) – Elisoccorso - che ha lo scopo di dare immediata assistenza alle persone minacciate da grave pericolo o da un ambiente ostile.Il servizio HSR-SAR è regolato dalla D.D.41/6821/M3E.L'appendice che regola il servizio HEMS non si applica al volo HSR-SAR. Le Autorità dei singoli paesi della Comunità hanno il potere di decidere quali missioni siano da classificare HEMS/HSR/HAA.
HAA (Helicopter Air Ambulance flight) Volo di Eliambulanza, che ha lo scopo di facilitare l'assistenza sanitaria, in un volo normalmente pianificato in anticipo, dove non è essenziale un immediato e rapido trasporto (come al punto 1) e rientra nella normativa per il Trasporto Pubblico Passeggeri.
Queste definizioni sono state adottate con decorrenza marzo 1999 dalla Comunità Economica Europea, nell'ambito della quale la J.A.A.R. (Joint Aviation Authorities Requirements) lascia alle autorità dei singoli Paesi sia il potere di definire con chiarezza quali operazioni debbano considerarsi appartenenti alle singole definizioni che di regolamentare i turni di volo, di servizio e di riposo degli equipaggi di volo.
In relazione alla elevata potenzialità operativa, ma anche in osservanza ai noti limiti meteorologici che ne condizionano la possibilità d'impiego, tali servizi risultano necessariamente integrativi e non sostitutivi dei più tradizionali sistemi del soccorso.
Obiettivo primario del servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è intervenire per "soccorrere" (ed in alcune situazioni prioritariamente per "salvare") chiunque abbia necessità di un intervento che solo mezzi ad ala rotante possono garantire o che risenta sensibilmente del vantaggio dell'intervento di tali mezzi rispetto ad altre alternative.
Questi Servizi, esclusivamente impiegati per interventi sanitari di Urgenza - Emergenza, in particolari contesti, quali quelli connessi all'attività di competenza della Protezione Civile, possono essere straordinariamente utilizzati su formale richiesta dell'Autorità competente.
In ogni caso, anche in questi peculiari contesti, detti Servizi rimangono sotto il controllo diretto della Centrale Operativa "118" che ne gestisce unilateralmente l'impiego in funzione dei propri compiti istituzionali stabilendo le varie priorità di intervento anche in relazione alle estemporanee esigenze ed in funzione del complesso dei supporti logistici e dei mezzi alternativi a disposizione.
Il Servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è gratuito per il Cittadino, se dovuto, ai sensi dell'art. 11 del D.P.R.27.3.92. E' facoltà delle Amministrazioni Regionali o Provinciali rivalersi su altre Amministrazioni Pubbliche dei costi inerenti gli interventi quando previsto dalle normative vigenti; inoltre è opportuno il recupero degli oneri, nel caso l'assistenza dell'infortunato sia garantita da specifici ed all'uopo predisposti risvolti assicurativi.
Ulteriori necessità straordinarie di velivoli di soccorso sanitario, da prevedersi nell'ambito di manifestazioni di massa a carattere privato, devono essere concordate con la Centrale Operativa di riferimento e le spese inerenti sopportate dall'organizzazione che gestisce l'evento. Quanto sopra allo scopo di non sottrarre la risorsa ai compiti istituzionali a cui deve risultare dedicata.
"C"
PARAMETRI PER L'IDENTIFICAZIONE DEL NUMERO DELLE BASI
NECESSARIE A LIVELLO REGIONALE
I servizi di Soccorso Sanitario con elicottero, devono essere istituiti su tutto il territorio nazionale ed in particolare devono essere messi a disposizione di quelle popolazioni incidenti su aree in cui non risulta possibile fornire diversamente una risposta completa ed adeguata in termini temporali, qualitativi e quantitativi all’emergenza.
La predisposizione del numero delle basi necessarie a livello delle singole Regioni o Province autonome, non può prescindere dall'analisi accurata di una serie di condizioni oggettivabili e contestualmente da un oculato rapporto costo/beneficio.
Le variabili ordinariamente da considerare dovranno essere:
morfologia del territorio e superficie da "servire";
densità demografica e flussi turistici;
numero, tipologia, dislocazione e potenzialità diagnostico - terapeutica della rete ospedaliera di riferimento, ivi compresi i DEA, Centri Trauma, ecc.;
vie di comunicazione;
numero e tipologia dei mezzi di soccorso ordinariamente predisposti;
altri fattori storicamente ostili.
Per quanto attiene il soccorso sanitario primario dovrà essere garantito, di norma, un intervento nell'ambito di un tempo non superiore ai 20 minuti di volo.
E’ altresì importante che ogni Regione predisponga un modello che consenta una razionale collocazione di elisuperfici predisposte al volo notturno per consentire una migliore integrazione della rete di emergenza con la rete ospedaliera presente sul territorio.
Al fine di contenere gli elevati costi di gestione di tali servizi la strategia di definizione del numero delle basi e delle relative potenzialità operative è auspicabile venga condivisa, ove possibile, anche con le analoghe predisposizioni delle altre Regioni o Province Autonome confinanti, definendo protocolli operativi ed amministrativi comuni.
"D"
INDICAZIONI ALL'UTILIZZO DEL VELIVOLO E PROTOCOLLI
D'INTERVENTO
AMBITO DI SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO
L'impiego degli aeromobili è previsto nei seguenti casi:
intervento di tipo "primario" ovvero soccorso sanitario extra ospedaliero che prevede il trattamento e l'eventuale trasferimento del paziente dal luogo in cui si è verificato l'evento acuto al presidio ospedaliero più idoneo;quanto sopra in tutte le situazioni e per tutte quelle patologie che mettano a rischio la sopravvivenza di una singola persona o di una collettività, eventualmente in collaborazione con altri enti preposti alla fase di salvataggio;
intervento di tipo "secondario" - anche programmabile - ovvero trasferimento di pazienti critici da ospedale a ospedale;
salvataggio, soccorso e trasporto in occasione di emergenze di massa;
trasporto urgente di sangue, plasma e loro derivati, antidoti e farmaci rari (qualora non disponibili altri mezzi alternativi);
trasporto urgente di équipe e materiale a fini di prelievo o trapianto d'organi o tessuti (qualora non disponibili altri mezzi alternativi);
esercitazioni ed attività formative del personale nel pieno rispetto dell'operatività.
L'impiego di tali aeromobili è esclusivamente disposto dalla Centrale Operativa "118" competente per territorio, indipendentemente se direttamente dotata del servizio, sulla base di protocolli condivisi a livello regionale o di provincia autonoma.
DEFINIZIONE DEI CRITERI DI MISSIONE PER INTERVENTO PRIMARIO E TRASFERIMENTO SECONDARIO
I criteri d'utilizzo dell'elicottero sanitario sono definiti, a livello regionale o di provincia autonoma, in un regolamento o, in alternativa, un documento di indirizzo, redatto dai Responsabili delle CC.OO.118.
Come regola generale, la filosofia di gestione di una base di Soccorso Sanitario con elicottero deve concepire l'intervento dell'aeromobile come veloce mezzo di trasferimento dell'équipe di rianimazione sul luogo di insorgenza della patologia acuta, in supporto ai mezzi terrestri e l'eventuale trasferimento del paziente critico all'ospedale in grado di garantire la diagnosi e la terapia definitiva.
Il trasporto assistito con elicottero consente inoltre di ridurre al minimo il tempo in cui il paziente si trova esposto all'insorgenza di complicanze che, manifestandosi al di fuori dell'ambiente protetto ospedaliero, possono comprometterne la sopravvivenza.
I criteri generali relativi alle indicazioni all'intervento dell'elicottero sanitario devono essere pianificati a livello delle singole Regioni o Province Autonome secondo i principi enunciati dalla letteratura nazionale ed internazionale in materia.
La metodologia di codifica degli interventi è quella prescritta in materia della normativa ministeriale e può essere localmente integrata da ulteriori classificazioni, all'uopo predisposte a livello regionale.
"E"
TIPOLOGIA DEI VELIVOLI IMPIEGATI
In ossequio alle indicazioni internazionali vigenti, i velivoli impiegati devono risultare plurimotori in grado di operare, quantomeno, in categoria “A”.
Tale esigenza è correlata al perseguimento di maggiori garanzie di sicurezza, al fine di poter operare in zone densamente abitate e/o in zone di intervento e da eliporti che, per presenza di ostacoli e/o per collocazione orografica, impongono particolari profili di decollo e atterraggio.
"F"
TIPOLOGIA DI VOLO EFFETTUABILE
IL VOLO DIURNO
Qualsiasi missione HEMS - HSR deve essere condotta nel rispetto dei minimi meteorologici disciplinati dalla D.D.41/68221/M3E dell'8/11/94; premesso quanto definito relativamente al volo HEMS e HSR o SAR, nella direttiva sopra citata le operazioni HSR-SAR sono definite anche come "Elisoccorso in Montagna", pertanto in Italia l'Elisoccorso HSR-SAR corrisponde al soccorso in montagna e, per similitudine, l'Elisoccorso che necessita di tecniche alpinistiche di recupero.
L'uso del verricello e del gancio baricentrico, sono da considerarsi tecniche di recupero eseguite sotto la responsabilità dell’Ente o della Società esercente secondo i principi enunciati dalla D.D.41/68221/M3E dell’8/11/94 in particolare per quanto riguarda il volo HSR.
I voli di Eliambulanza non sono regolamentati in modo specifico e rientrano nel più vasto campo dei voli Commerciali di Trasporto Pubblico Passeggeri.
IL VOLO NOTTURNO
Caratteristiche del volo a vista notturno con gli elicotteri (VMC).
Un volo viene considerato notturno se effettuato nel periodo compreso fra mezz'ora dopo il tramonto e mezz'ora prima del sorgere del sole, secondo i dati riportati nelle Effemeridi Aeronautiche delle località.
Per quanto concerne le operazioni notturne la direttiva prevede la composizione e le caratteristiche dell'equipaggio di condotta ed i minimi di visibilità. E’ normativamente previsto l’impiego di elisuperfici abilitate.
La realizzazione delle modalità di volo notturno, che presenta non indifferenti problemi sul piano della sicurezza e dell'impegno organizzativo, sia dal punto di vista del reperimento del personale di condotta che da quello dei costi, appare auspicabile unicamente per pochi servizi di Elisoccorso in ambito regionale o interregionale che possano essere anche coinvolti in trasporti secondari urgenti diretti verso centri ad alta specializzazione (Neuro-Cardio-Chirurgia, Patologia Neonatale ecc.) ovvero richiesti da comunità residenti in aree montane o isole.
"G"
CARATTERISTICHE DELL'EQUIPAGGIO DI CONDOTTA
La Direttiva 41/6821/M.3E.lascia agli Enti appaltatori del Servizio la possibilità di definire la composizione dell'équipe in attività HEMS, richiedendo come equipaggio minimo: pilota e membro di equipaggio HEMS (soggetto assegnato ad un volo HEMS a disposizione di chiunque necessiti di assistenza a bordo dell'elicottero e per coadiuvare il Pilota durante la missione).A tale soggetto deve essere data formazione specifica.
Per gli interventi di tipologia HSR/SAR, la Direttiva specifica che l'equipaggio minimo deve essere composto dal Pilota, dal Tecnico Elicotterista, da un Medico con conoscenza delle specifiche tecniche di soccorso in montagna e da un Tecnico soccorritore qualificato dagli Enti od Organizzazioni legalmente riconosciute.
Le JAR OPS 3 precisano che la missione di soccorso è prettamente HSR/SAR solo se non vi è una esclusiva esigenza di intervento sanitario, bensì la necessità di soccorrere un soggetto in condizioni di pericolo da ambiente ostile, altrimenti rientrerebbe tra le missioni HEMS.
Per quanto riguarda il numero di addetti, i titoli professionali e le esperienze che i Piloti debbono possedere per operare in attività di volo HEMS e/o HSR/SAR, la Direttiva e le JAR OPS 3 prevedono requisiti minimi per garantire il Servizio ordinariamente.
Gli Esercenti e gli Enti Appaltatori, qualora abbiano necessità di operare in condizioni particolari, possono prevedere personale con un bagaglio di esperienza maggiore, conoscenza approfondita del territorio di competenza, e, ove richiesta o prevista, la conoscenza di una seconda lingua di interesse locale, oltre alla lingua italiana.
L'equipaggio di condotta dovrà svolgere la propria attività conformemente alle norme che ne disciplinano la composizione e la turnazione.
Appare ugualmente importante, durante le missioni, la presenza del Tecnico di Bordo che, oltre a curare la manutenzione, è il responsabile della sicurezza a terra durante le manovre di atterraggio e decollo.
Il Tecnico deve essere in possesso del Certificato di Idoneità Tecnica rilasciato dall’ENAC con abilitazione al tipo di elicottero impiegato ed idoneo per le operazioni di linea ed all'impiego del verricello e/o gancio baricentrico ove previsto.
La dotazione organica degli equipaggi di volo dovrà comunque essere rispondente alle limitazioni stabilite dalla Direzione Generale dell'Aviazione Civile del Ministero dei Trasporti con Circolari n.440551/PL7 in data 2 aprile 1993 e n.443414/PL7 in data 7 luglio 1995 e successive integrazioni.
"H"
CARATTERISTICHE DELLA COMPONENTE SANITARIA
L'équipe deve essere composta, oltre all'equipaggio di volo, da:
un medico preferibilmente Anestesista Rianimatore;
un infermiere;
altre unità in funzione delle necessità operative, nei limiti delle capacità di trasporto dell'aeromobile.
La competenza richiesta al personale impiegato in un servizio di Elisoccorso non può prescindere da una esperienza maturata in reparti di area critica e/o di emergenza, dove vi sia stata la possibilità di acquisire la conoscenza delle manovre indispensabili per garantire la sopravvivenza di pazienti in condizioni critiche.
In ogni caso, il personale Medico ed Infermieristico impiegato in questi Servizi dovrà essere preparato e formato al compito da svolgere.
La formazione del personale deve svolgersi secondo quanto previsto dalla D.D.41/68217/M3 che realizza i contenuti in materia previsti dalla JAR – OPS 3.
Le caratteristiche del personale sanitario impiegato, le competenze professionali e la formazione sono descritte nell'allegato 1.
"I"
FORMAZIONE TECNICA DEL PERSONALE SANITARIO
In relazione alla necessità di effettuare missioni di soccorso in ambiente montano, marino, lacustre o fluviale dovranno essere redatti, in collaborazione con i responsabili degli Enti deputati al soccorso (VV.d.F., C.N.S.A.S., personale di salvataggio, ecc.) idonei protocolli operativi.
Le Regioni e le Province Autonome provvederanno all’eventuale stipula di apposite convenzioni allo scopo di garantire sia la presenza di personale tecnico per le operazioni di soccorso, che l'addestramento e l'equipaggiamento del personale sanitario che partecipa a queste missioni.
Restano comunque da definire, in ambito regionale o di provincia autonoma, le competenze e le responsabilità dei vari Enti che concorrono a tale tipo di soccorso nei casi in cui le competenze tecniche di "salvataggio" si integrino con le competenze "sanitarie" proprie del SSN.
Per quanto riguarda la "formazione tecnica", si possono considerare almeno due settori da prendere in esame a seconda delle caratteristiche del territorio su cui si opera:
settore alpinistico;
settore acquatico.
La "FORMAZIONE TECNICA NEL SETTORE ALPINISTICO" è da riferire alla specifica attività alpinistica intesa in senso lato, come attività che si configura quando, nell'effettuare il soccorso, l'elicottero opera su terreno ostile di tipo alpino o utilizza tecniche proprie di volo HSR – SAR.
In tali casi il personale sanitario, per poter operare al di fuori del velivolo, deve possedere una formazione finalizzata.
L'addestramento deve prevedere un minimo di numero 3 giornate intere annuali obbligatorie (con intervento dell'elicottero) con la partecipazione di tutto il personale del servizio.
Il percorso formativo del personale tecnico di supporto alle operazioni con Elisoccorso deve essere accuratamente pianificato a livello Regionale o di Provincia Autonoma secondo le peculiari esigenze orografiche ed operative avvalendosi delle Organizzazioni individuate dalle norme in materia.
La "FORMAZIONE TECNICA NEL SETTORE ACQUATICO" deve essere preordinata nelle regioni in cui la conformazione orografica e la pratica operativa lo richiedano. L'addestramento deve prevedere un numero minimo di 1 giornata intera annuale obbligatoria.
I contenuti e i metodi formativi dovranno essere stabiliti, d’intesa con gli Enti Istituzionali preposti, a livello delle singole regioni o province autonome.
"J"
DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO DI PERSONALE SANITARIO ED
INCENTIVAZIONE IN RELAZIONE ALLO SPECIFICO RISCHIO
La tipicità del lavoro svolto nell'ambito di tutte le funzioni connesse all'Elisoccorso, con ciò comprendendo sia l'attività di volo sia quella svolta a terra eventualmente a bordo di ambulanze o altri mezzi di soccorso non aeronautici, richiede che al personale sanitario impiegato nell'effettuazione dei servizi svolti in Elisoccorso sia riconosciuta, anche in termini economici, una propria specificità.
Il riconoscimento di questo "status" ed il correlato trattamento economico, andrà legato sia alla professionalità specifica richiesta - in termini assistenziali e di procedure diagnostico terapeutiche che è necessario mettere in atto per affrontare la molteplicità di situazioni, strettamente connesse anche agli ambienti di lavoro particolarmente ostili, tipiche dell'Elisoccorso - sia ai rischi comunque connessi all'ambito extra ospedaliero ed, in specifico, a quello dell'attività aeronautica dell'Elisoccorso.
A questo scopo, anche in osservanza a quanto previsto dal Codice della Navigazione Marittima ed Aerea all’art. 907, si ritiene che il Ministero della Sanità, d'intesa con la Conferenza Stato Regioni, debba attivarsi presso Ministero dei Trasporti, affinché il peculiare "status" del personale sanitario che opera nei servizi di Soccorso Sanitario con elicottero sia riconosciuto ed esplicitamente trattato nelle norme contrattuali.
In sede di ogni A.S.L./A.O. titolare del servizio, in attesa di precisi riferimenti contrattuali, è opportuno che vengano individuati sistemi di incentivazione economica, anche attraverso obiettivi legati ad indicatori concordati (di processo, di esito, ecc.), proporzionali alla definizione di precisi standard qualitativi.
"K"
DOTAZIONI MATERIALI SANITARI E TECNICI
Per quanto riguarda le attrezzature sanitarie, la dotazione deve essere genericamente sovrapponibile a quella dei mezzi di soccorso avanzato e, ove richiesto, l’installazione deve essere approvata dall’ENAC.
I materiali devono rispondere a precisi requisiti di funzionalità aeronautica (fissaggio, posizionamento di sicurezza, limitazioni d’ingombro e peso ecc.) e devono inoltre essere trasportabili sul terreno ai fini operativi.
Gli elettromedicali devono esser connessi alla rete di bordo per la piena autonomia durante il volo, (compresa l'incubatrice da trasporto neonatale).
Le indicazioni di massima sulle dotazioni sanitarie da prevedersi a bordo dell'aeromobile di soccorso sono enumerate nell'allegato 2.
Per quanto riguarda le dotazioni utili alle prestazioni di soccorso tecnico, si rimanda alle predisposizioni delle stesse in ogni singolo ambito Regionale o di Provincia Autonoma.
"L"
PROTOCOLLI OPERATIVI E RAPPORTI CON ALTRI NUCLEI VOLO
ISTITUZIONALI
Nell'ambito degli interventi sanitari di soccorso, unitamente all'invio di Eliambulanze/Elisoccorsi gestiti dal SSN è prevedibile che vengano coinvolti anche mezzi aerei appartenenti ad altri Enti ed Istituzioni dello Stato (Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, Aeronautica, Guardia Costiera, Forze Armate, Corpo Forestale dello Stato, ecc.) per svolgere i propri compiti istituzionali.
A questo proposito, ferma restando l'esclusiva competenza della Centrale Operativa del "118" titolare dell'area interessata all'evento nel gestire i risvolti prettamente riferibili al soccorso sanitario, è opportuno che a livello Regionale o di Provincia Autonoma, vengano predisposti appositi protocolli per un proficuo e razionale utilizzo dei mezzi di soccorso, anche aerei, nel rispetto delle specifiche competenze.
"M"
REGOLAMENTAZIONE INTERVENTI INTERREGIONALI ED
INTERNAZIONALI
INTERVENTI INTERREGIONALI:
Allo scopo di ridurre i tempi di intervento di soccorso primario e di trasporto secondario a mezzo elicottero, di poter disporre di maggiori risorse immediatamente attivabili in caso di calamità o di maxi-emergenze e per ottimizzare l'utilizzo dei mezzi razionalizzandone l'impiego ed i costi relativi è opportuno che siano stipulate tra regioni limitrofe confinanti e comunque nelle zone interessate dalle possibilità operative dei mezzi aerei, convenzioni che assicurino il reciproco intervento degli elicotteri disponibili per operazioni si soccorso HEMS o HSR.
Gli atti amministrativi sopra enunciati devono esplicitare l'oggetto della convenzione, le condizioni tecnico operative che ne sostengono la validità, le modalità di attivazione dei mezzi, i contenuti del protocollo operativo e l'accettazione dello stesso, i responsabili della applicazione, della verifica funzionale e delle eventuali proposte di variazione, le modalità di compensazione delle spese relative agli interventi, la durata dell'atto convenzionale stesso.
INTERVENTI INTERNAZIONALI
Ritenendo che il salvataggio di persone infortunate o comunque in situazioni di emergenza sia da considerarsi obbiettivo prioritario, che il soccorso debba essere prestato dal Servizio più vicino ed idoneo indipendentemente dalle delimitazione dei confini nazionali e che ciò non debba essere ostacolato da procedimenti burocratici complessi, si evidenzia la necessità che le Regioni o Province Autonome, direttamente o attraverso le Autorità competenti, provvedano alla stesura di protocolli di intervento transfrontaliero per i mezzi di soccorso ivi compreso l'elicottero di soccorso.
"N"
INDICATORI DI QUALITA'
PREMESSA
Il servizio di Soccorso Sanitario con elicottero ha come cliente finale il cittadino.
In questo caso, il fornitore è una struttura pubblica, dedicata, che attua le proprie finalità con il concorso di alcune componenti essenziali (allegato 3).
Perché l'intervento sia efficace, primo presupposto è che il mezzo sia idoneo ed efficiente, quindi sia adeguata tutta la struttura che lo gestisce. La qualità si manifesta con il rispetto di tutte le norme, discipline, raccomandazioni, standard applicabili allo specifico settore di attività.
Alcuni indicatori possono essere i seguenti:
tempo medio di decollo dopo l'allertamento;
distanza di atterraggio dal target (es. >0< di 100 m.);
numero di fermi tecnici dell'aeromobile per anno e loro tipologia (prevedibile o non prevedibile);
tempi medi di eliminazione delle cause dei fermi tecnici fino al ripristino della efficienza totale dell'aeromobile;
incidenza delle avarie o malfunzionamenti delle tecnologie di supporto (radio, meteosat, computer, elettromedicali, cercapersone, ecc.);
rapporto percentuale fra interventi primari e secondari;
valutazione degli interventi rifiutati dal pilota: motivazioni e causali;
valutazione degli interventi non portati a termine (abortiti): incidenza percentuale e causali;
valutazione dell'incidenza di ipotetiche missioni non passate dalla C.O. all'Elisoccorso. Audit periodico sui criteri di dispatch.
Codice di gravità del paziente.
Esistono infine metodi di verifica della qualità prettamente sanitari che si applicano, non tanto all'Elisoccorso in se, quanto allo stesso interpretato come uno degli strumenti operativi all'interno di un Sistema delle Emergenze nella sua globalità.
A tal fine può essere molto utile l'allestimento di data base, all'interno dei quali introdurre dati riferiti a ben definiti eventi patogeni sentinella.
I dati introdotti nel data base devono permettere di valutate le performance dei vari anelli che costituiscono la catena del soccorso (centrale operativa, mezzi di soccorso di vario livello, pronto soccorso, terapia intensiva, outcome, ecc.).
Gli eventi introdotti nel data base vanno misurati utilizzando indici di gravità noti e condivisi tramite i quali sia possibile poi eseguire, a posteriori, un procedimento di audit sull'intero sistema delle emergenze.
Si produce di seguito un elenco di parametri da sorvegliare affrontando il controllo di qualità di sistemi per l'emergenza sanitaria in generale:
formazione permanente del personale strutturato;
formazione del personale volontario e delle Associazioni in convenzione;
verifica degli standard operativi;
valutazione della frequenza di situazioni di urgenza - emergenza contemporanee;
valutazione oggettiva delle reali situazioni di urgenza emergenza mediante applicazione di indici di gravità standardizzati;
valutazione dei ricoveri impropri;
valutazione dei tempi di degenza;
valutazione della qualità delle cure;
valutazione della mortalità precoce;
valutazione dei tempi di ripresa;
valutazione dei deficit funzionali;
valutazione della complessità delle cure;
verifica dei sistemi di invio dei mezzi di soccorso (dispatch);
verifica del burn-out e del turn over del personale;
valutazione costo - beneficio.
“O”
CARATTERISTICHE DELLA BASE OPERATIVA
La base operativa dell'elisoccorso deve rispondere a precisi requisiti tecnico costruttivi da prevedersi in fase di progettazione. Si tratta infatti del sito dove: staziona l’équipe del servizio, si effettua la preparazione e la programmazione dell'attività di volo, viene approntato ed immagazzinato il materiale sanitario e tecnico per l'effettuazione dei soccorsi, è dislocato il mezzo aereo, vengono effettuate quantomeno le manutenzioni giornaliere.
La base di elisoccorso può avere dislocazione diversa a seconda del sito individuato dal committente in ragione di necessità organizzative ed operative, nella maggior parte dei casi è lontana dalla sede principale dell'esercente il servizio; devono quindi essere presi in considerazione tutti gli accorgimenti necessari ad una gestione funzionale.
ASPETTI LEGATI ALLA GESTIONE TECNICA
dislocazione presso la base di magazzino tecnico con le parti di ricambio di consumo maggiore o per le necessità più immediate;
presenza continua di personale in grado di intervenire con tempestività, professionalità certificata e capacità autonoma di decisione per gli interventi atti a mantenere efficiente il mezzo;
pronta disponibilità di personale tecnico per soddisfare in tempi minimi gli interventi di manutenzione maggiore;
dotazione di equipaggiamenti, mezzi e strumenti atti a garantire un buon grado di autonomia della base e del personale in essa dislocato;
archivio per la conservazione della documentazione tecnica relativa alla base, all'elisuperficie, agli impianti, ed al mezzo in servizio.
ASPETTI LEGATI ALLA GESTIONE SANITARIA
presenza di magazzino farmaceutico per l'approvvigionamento ed il deposito dei materiali di consumo e dei farmaci, compresa la possibilità di conservazione delle sostanze stupefacenti a norma di legge;
possibilità di stoccaggio o di rifornimento immediato per i contenitori di ossigeno;
locale deposito per le attrezzature sanitarie, con impianti adeguati per la ricarica e la manutenzione ordinaria;
locale disinfezione e pulizia dei materiali, possibilità di smaltimento differenziato dei rifiuti;
archivio per la conservazione della documentazione sanitaria relativa alla base ed agli interventi;
ASPETTI LOGISTICI
locali per il soggiorno e lo stazionamento del personale in servizio, idonei e fisicamente adeguati per quanto concerne gli spazi, i servizi e gli arredi secondo le norme vigenti con eventuali possibilità di fruire di servizio mensa;
disponibilità di mezzi di servizio ove necessari per gli spostamenti;
impianti di telefonia e radiocomunicazione adeguati alle necessita del servizio, compresa la registrazione delle comunicazioni;
INFRASTRUTTURE
elisuperficie recintata, costruita secondo le norme in vigore, segnalata e possibilmente sorvegliata;
sistema di illuminazione notturna ed ausili visivi secondo la normativa per il volo a vista notturno(ove previsto);
manica a vento illuminata (ove previsto il volo notturno);
segnaletica verticale diurna e notturna per eventuali ostacoli;
impianto antincendio omologato ed eventuale dotazione di personale secondo le norme;
eventuale struttura di hangaraggio idonea al tipo di mezzo ed alle condizioni climatiche ambientali;
impianto di stivaggio ed erogazione del carburante a norma;
locali di soggiorno, stazionamento, magazzini come previsto ai punti precedenti;
impianti di erogazione delle utenze necessarie al corretto funzionamento della base operativa;
impianti per l'illuminazione complessiva dell'area e sua sorveglianza.
-
PARTE I -
CARATTERISTICHE E COMPETENZE DEL PERSONALE SANITARIO
IMPIEGATO IN SERVIZI HEMS/HSR/HAA INDIVIDUATO NELL’AMBITO
DELL’AUTONOMIA REGIONALE E DELLE CARATTERISTICHE DEL
SERVIZIO NELLE SINGOLE REGIONI
PER IL PERSONALE MEDICO IN SERVIZIO SONO PREVISTE LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1 FORMAZIONE PROFESSIONALE:
deve possedere esperienza clinica di trattamento ospedaliero di pazienti critici;
deve possedere prioritariamente la specialità in Anestesia e Rianimazione o altra idonea Specialità o possedere comunque comprovata esperienza e formazione nel campo dell'emergenza tale da permettere la competente applicazione delle procedure di sostegno vitale avanzato universalmente riconosciute;
deve avere frequentato un apposito corso di formazione all'elisoccorso, gestito dalle Centrali Operative Regionali sedi di Elisoccorso che consenta, tra l’altro, l’utilizzo della strumentazione di cui al successivo allegato 2).
2 PROCEDURE TERAPEUTICHE:
Deve essere in grado di eseguire, quantomeno, le seguenti procedure:
intubazione oro-tracheale;
intubazione rino-tracheale con pinza di Magyll e "alla cieca";
accesso tracheale rapido;
impiego di dispositivi sovraglottici;
drenaggio estemporaneo di pneumotorace e posizionamento di drenaggio toracico;
impiego dei ventilatori automatici e delle diverse tecniche di ventilazione;
rianimazione Cardio Polmonare;
impiego di stimolatore cardiaco esterno;
incannulazione di vene periferiche;
incannulazione di vene centrali compreso l'impiego di cateteri di grande diametro (n.7/9F);
incannulazione di arterie periferiche;
infusione intraossea;
tecniche di emostasi;
reintegro volemico rapido, incluso l'impiego di infusioni a pressione;
impiego dei pantaloni Anti Shock MAST;
infusione continua di farmaci con pompa siringa e per caduta;
monitoraggio cardiaco, inclusa interpretazione dei principali aspetti patologici di un ECG;
pulsiossimetria;
capnometria;
sutura di ferite;
tecniche di immobilizzazione e procedure di recupero dei feriti.
Somministrazione di farmaci (inclusi anestetici e curari) secondo le indicazioni della letteratura internazionale in materia, compatibile con le precedenti procedure.
ASPETTI OPERATIVI:
deve conoscere/attuare tra l’altro:
Gestione della maxiemergenza ed organizzazione del triage e del PMA;
localizzazione ed organizzazione delle strutture specialistiche ospedaliere;
criteri di indirizzo dei pazienti ai centri specialistici;
protocolli di indagine clinica e di controllo di qualità del Servizio;
stesura ed aggiornamento dei protocolli operativi del team;
stesura ed aggiornamento dei protocolli di collaborazione con le altre strutture intra-extra ospedaliere;
utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione;
aspetti normativi e legislativi dell'Elisoccorso;
aspetti aeronautici della missione;
criteri di utilizzo dell'elicottero;
materiali, attrezzature, equipaggiamento individuale;
intervento in ambiente impervio/ostile e tecniche di sbarco/imbarco.
CARATTERISTICHE INDIVIDUALI:
dev'essere idoneo ad operare in situazioni ambientali complesse e/o a rischio.
PER GLI INFERMIERI IN SERVIZIO SONO PREVISTE LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:
1. FORMAZIONE PROFESSIONALE:
deve aver prestato servizio presso Unità di Terapia Intensiva e/o Servizi di Pronto Soccorso e/o Sale Operatorie d'Urgenza e presso Servizi di emergenza 118, dove ha maturato esperienza di trattamento di pazienti critici;
deve aver frequentato un apposito corso di formazione all'Elisoccorso, gestito da una delle Centrali Operative Regionali.
2. PROCEDURE ASSISTENZIALI
deve conoscere/attuare:
controllo delle vie aeree, anche mediante appositi presidi;
ossigenoterapia;
ventilazione con pallone di Ambu;
gestione dei ventilatori automatici e delle diverse tecniche di ventilazione;
rianimazione cardiopolmonare, incluso l'impiego dei defibrillatori automatici;
incannulazione di vene periferiche;
tecniche di emostasi;
impiego dei pantaloni Anti Shock (MAST);
gestione dell'Infusione continua di farmaci, con pompa siringa e per caduta;
monitoraggio cardiaco;
pulsiossimetria;
capnometria;
tecniche di immobilizzazione e procedure di recupero dei feriti/traumatizzati.
3. ASPETTI OPERATIVI:
deve conoscere /attuare:
protocolli di trattamento dei pazienti;
gestione della maxi emergenza ed organizzazione del triage e del PMA, ;
impiego del Glasgow Coma Scale e del Trauma Score;
protocolli di indagine clinica e di controllo di qualità del Servizio;
protocolli di collaborazione con le altre strutture intra-extra ospedaliere;
protocolli operativi del TEAM;
utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione;
aspetti normativi e legislativi dell'Elisoccorso;
aspetti aeronautici della missione;
criteri di utilizzo dell'elicottero;
materiali, attrezzature, equipaggiamento individuale;
intervento in ambiente impervio/ostile e tecniche di sbarco/imbarco.
4. CARATTERISTICHE INDIVIDUALI:
dev'essere idoneo ed addestrato ad operare in situazioni ambientali ostili complesse e/o a rischio.
- PARTE II -
ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE SANITARIO IMPIEGATO IN SERVIZI HEMS/HSAR/HAA
Fermi restando requisiti ed idoneità tecniche ed aeronautiche, verificati e rilasciati preliminarmente dagli enti e dagli esercenti preposti opportunamente coinvolti in fase di realizzazione del percorso formativo, al fine di garantire una adeguata formazione del personale sanitario, anche rispetto alle vigenti normative in materia, si indica uno schema tipo di percorso didattico.
Analogamente a quanto previsto riguardo alle conoscenze tecniche per il personale sanitario, deve essere previsto per il “passeggero tecnico” (se impiegato) un percorso formativo specifico al fine di garantire le conoscenze sanitarie necessarie a coadiuvare medici ed infermieri.
A. CORSO FORMATIVO DI BASE
Il corso è destinato a formare il personale sanitario operante nel servizio di Elisoccorso.
Il programma deve avere come riferimento linee guida nazionali ed internazionali riconosciute e la struttura stessa del corso deve rifarsi, per linee guida e metodologia didattica, agli standard formativi internazionali, nell'intento di uniformare l'operatività di tutto il personale di volo.
Il corso dovrà essere diviso in diversi moduli sequenziali in modo da alternare la parte teorica alla parte di esercitazione pratica, permettendo la valutazione del personale in ogni singola fase del corso. L'obiettivo principale sarà quello di far emergere le eventuali difficoltà sulle singole parti, consentendo l’approfondimento ed il recupero immediato.
Il corso sarà, di norma, concentrato in almeno tre giornate a tempo pieno, comprensivo di teoria ed esercitazione pratica.
OBIETTIVO DEL CORSO
formare il personale, sanitario, operante nel Servizio di Elisoccorso in tutte le sue diverse componenti.
standardizzare il livello formativo ed operativo del servizio di Elisoccorso.
DESTINATARI
Il corso è indirizzato al personale sanitario operante nel Sistema Regionale di Soccorso H.E.M.S. e S.A.R. e successivamente a quello che dovrà essere inserito alla luce delle reali necessità.
Il numero indicativo dei partecipanti è di 12 unità.
SEDE
Area formativa, per la parte teorica e pratica/statica e ambienti operativi, per la parte pratica e di volo.
DOCUMENTAZIONE
All'inizio del corso dovrà essere consegnato al personale, materiale didattico comprensivo del contenuto teorico del corso e la descrizione delle tecniche adottate.
VALUTAZIONE INIZIALE
La valutazione iniziale avverrà attraverso la compilazione di un questionario, a risposte multiple, sugli argomenti che il corso tratterà e presenti nel materiale consegnato in anticipo al personale.
Obiettivo della valutazione iniziale:
valutare la preparazione teorica del singolo e dell'intero gruppo;
adattare eventualmente il corso alle esigenze del singolo in relazione alle sue conoscenze;
valutare l'efficacia del corso misurando lo scostamento con il questionario finale e con le prove pratiche finali.
PARTE TEORICA
La fase teorica dovrà prevedere lezioni frontali, per ogni argomento o parte di esso e vedrà alternarsi, come relatori, personale sanitario e tecnico operante presso il servizio di Elisoccorso (formatori ed istruttori di tutte le figure professionali presenti), supportati dalla proiezione di diapositive, filmati o lucidi.
Verranno dettagliatamente trattati gli argomenti descritti dal prospetto seguente.
Gli allievi verranno addestrati anche all'utilizzo delle apparecchiature, delle attrezzature, delle metodiche ed alle azioni comportamentali da attuare durante una missione di soccorso H.E.M.S. e S.A.R.
ESERCITAZIONI PRATICHE
Le varie esercitazioni pratiche serviranno ad applicare quanto trattato nella fase teorica, nell'ambiente tipico della missione di soccorso, permettendo l'acquisizione della necessaria dimestichezza per operare in missioni H.E.M.S. e S.A.R., nonché comprendere le necessarie procedure di comportamento in relazione ai rischi evolutivi.
VALUTAZIONE FINALE
La valutazione finale si baserà sull'analisi di:
teoria: valutazione attraverso un questionario, a risposte multiple;
performance: la valutazione delle esercitazioni pratiche.
STANDARD DI RIFERIMENTO
acquisizione dei concetti e abilità che si vogliono comunicare all'allievo;
entusiasmo e interesse nei confronti del sistema.
Il personale che al termine del corso non dovesse raggiungere una valutazione sufficiente al superamento dello stesso, sarà rimandato alla ripetizione in un corso successivo, anche di singole sessioni per ottenere l'abilitazione al servizio.
CONTENUTI FORMATIVI GENERALI DA ADOTTARSI ALLE SPECIFICHE ATTIVITA’ OPERATIVE
parte teorica:
caratteristiche e prestazioni degli elicotteri nei diversi ambiti operativi;
compiti ed attribuzioni dei membri dell'equipaggio di condotta, sanitario e tecnico;
pericoli e norme comportamentali;
preparazione dell'elicottero e delle attrezzature speciali per missioni HEMS;
preparazione dell'elicottero e delle attrezzature speciali per missioni HSR;
sistemi intercom e di radiocomunicazione;
procedure con elicottero in atterraggio;
procedure con elicottero in hovering;
procedure con il verricello;
procedure con il gancio baricentrico;
meteorologia in montagna;
principi di autoassicurazione;
progressione su terreno con neve e ghiaccio;
tecniche speciali;
tecniche di salvataggio in acqua;
ottimizzazioni delle risorse disponibili sul mezzo;
influenza del fattore umano sull'operatività;
tecniche di gestione del lavoro in équipe;
ipotermia ed assideramento;
tecniche sanitarie e materiali in dotazione;
utilizzo dei presidi sanitari in terreno ostile.
parte pratica:
prova pratica di progressione su terreno ostile;
simulazione di manovre relative a:
immobilizzazione;
estricazione;
posizionamento;
barellamento del paziente su terreno ostile;
imbarco e sbarco con mezzo a terra;
imbarco e sbarco con mezzo in hovering;
imbarco e sbarco con verricello;
preparazione ed utilizzo delle barelle verricellabili;
prova pratica di progressione su neve;
simulazione di casi tecnico/clinici di particolare complessità.
B. AGGIORNAMENTO FORMATIVO PERMANENTE
DESTINATARI:
L'attività formativa di aggiornamento è rivolta al personale sanitario, medici ed infermieri che effettua turni operativi nel servizio, nonché al personale tecnico di condotta del mezzo aereo ed al personale tecnico di soccorso.
MODULO FORMATIVO:
modulo formativo addestramento teorico e pratico in Base;
modulo formativo in attività operativa simulata.
modulo formativo addestramento teorico/pratico in Base:
un modulo formativo della durata, di norma, di 2 giornate complessive, a persona, con cadenza annuale, comprensive sia dell'attività didattica a terra sia di quella addestrativa in volo. Tali moduli sono effettuati presso la Base di appartenenza o comunque presso idoneo sito nelle vicinanze della Base;
conoscenza dello specifico elicottero utilizzato e caratteristiche di impiego;
procedure particolari, prevenzione dei rischi, procedure di emergenza;
dotazione sanitaria e tecniche di assistenza al paziente;
sistemi di comunicazione radio in uso;
tecniche sanitarie.
Modulo formativo in attività operativa simulata
tecniche sanitarie: manovre relative all'immobilizzazione, estricazione, posizionamento, barellamento del paziente ed assistenza in volo;
imbarco e sbarco con mezzo a terra;
imbarco e sbarco con mezzo in hovering;
imbarco e sbarco con verricello;
preparazione ed utilizzo delle barelle verricellabili;
movimentazione sul terreno;
auto assicurazione.
STANDARD FORMATIVO UTILIZZATO:
i contenuti e le procedure inserite nel modulo formativo devono rispondere allo standard formativo Corso Base HEMS/HSR.
Agli Istruttori HEMS/HSR compete la verifica dell'attinenza dei programmi e delle procedure agli standard sopraccitati.
C. MODALITA’ DI REALIZZAZIONE DEL CORSO E INDIVIDUAZIONE DEL PERSONALE DOCENTE
Alla luce delle indicazioni del presente allegato, ciascuna Regione o Provincia Autonoma, dovrà stabilire un dettagliato programma formativo coinvolgendo i Soggetti istituzionalmente competenti anche adottando criteri per la individuazione dei docenti, scelti tra personale qualificato della componente sanitaria, aeronautica e tecnica del soccorso, e degli istruttori, per i quali dovrà preliminarmente essere individuato un percorso formativo di certificazione.
D. CERTIFICAZIONE REGIONALE
Al termine dell’attività formativa, previa acquisizione dell’idoneità tecnica ed aeronautica e per quanto di competenza del servizio sanitario regionale o provinciale il personale che avrà superato il corso, riceverà un attestato di: "CERTIFICAZIONE REGIONALE PER OPERATORI SANITARI DEL SERVIZIO DI ELISOCCORSO 118" di cui, a livello regionale o provinciale, andranno regolamentati durata e presupposti.
DOTAZIONI MINIME DI MATERIALI SANITARI E TECNICI
1) Materiale adulto:
box farmaci;
sfigmomanometro;
glucometro con relativi accessori;
fonendoscopio;
laccio emostatico;
set per intubazione comprendente:
manico per laringoscopio con luce a freddo;
tubi endotracheali dal 6 all'8;
mandrino grande e piccolo;
cannule orofaringee e rinofaringee delle misure 1, 2, 3, e 5;
lame Mc Intosh delle misure n.3 (medium) e n.4 (large) per adulti;
pinza Magill;
valvola PEEP;
batterie e lampadine di riserva per laringoscopio;
pallone per ventilazione con reservoir;
maschere da ventilazione delle misure 3, 4, e 5;
filtri antibatterici per ventilazione;
catheter mount;
dispositivo per il fissaggio del tubo endotracheale;
dispositivo sovraglottico;
agocannule G 22, G 20, G 18, G 16 e G 14;
siringhe monouso da 2, 5, 10 e 20 ml;
guanti monouso;
rubinetto a tre vie;
soluzioni per infusione in contenitore in materiale plastico: cristalloidi e collodi;
deflussori;
cateteri da aspirazione;
forbice;
bisturi.
Materiale pediatrico:
Box farmaci;
pallone per ventilazione pediatrico e neonatale;
pallone con valvola va-e-vieni (2 misure);
maschere per ventilazione delle misure 0, 1, e 2;
aspiratore orale pediatrico;
aspiratore a mano;
cateteri per aspirazione CH 12 e CH 8;
set per intubazione comprendente:
mandrino;
tubi endotracheali delle misure in mm 2.5, 3, 3.5, 4, 4.5 e 5;
laringoscopio a luce fredda;
lame curve delle misure 0, 1, e 2;
lama retta della misura 0;
cannule orofaringee delle misure 000, 00, 0, 1 e 2;
pinza Magill piccola;
guanti sterili;
laccio emostatico;
rubinetto a 3 vie;
siringhe monouso da 2, 5 e 10 ml;
sensore saturimetria;
sfigmomanometro pediatrico;
stetoscopio pediatrico;
catetere venoso ombelicale da 3 e 5 french;
coperta metallica;
agocannule da 24, 22 e 20;
ago per punzione intraossea 16 e 18
piastre defibrillazione pediatrica;
kit per drenaggio toracico;
kit per assistenza al parto.
Defibrillatore con pacing esterno con possibilità di impiego anche a favore di paziente pediatrico
4) Sistema di monitoraggio per la rilevazione di:
ECG;
PA non invasiva;
Pulsiossimetria ;
Capnometria (opzionale);
Temperatura.
5) Pompa infusione a siringa;
6) Spremisacca;
7) Set per sutura
8) Termometro epitimpanico;
9) Lacci anti-emorragici;
10) Unità di aspirazione mobile;
11) Respiratore preferibilmente asportabile;
12) Dotazione di O2 ad impianto fisso;
13) Bombola di O2 portatile;
Sistema di respirazione "va e vieni ";
Barella omologata per uso aeronautico;
16) Materassino a depressione e/o asse spinale e/o barella spinale;
Kit di collari cervicali e di stecche per immobilizzazione arti;
Sistema di immobilizzazione pediatrico;
19) Trauma Estricatore;
20) Set per drenaggio toracico completo;
Forbici tecniche per abiti;
Contenitore per rifiuti sanitari e taglienti;
Sacco recupero salme;
MAST;
Imbracatura personale per medico e infermiere;
Casco personale per ogni membro dell'equipaggio;
Triangolo d'evacuazione;
Radio portatile per ciascun membro dell'equipe di bordo;
Telefono cellulare.
ALLEGATO 3
LINEE GUIDA PER LA VRQ
Il Servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è integrato nel Sistema di Emergenza Sanitaria 118 e garantisce una risposta tempestiva ed altamente specializzata con personale e mezzi.
1 DIREZIONE E ORGANIZZAZIONE GENERALE
Il Servizio deve essere organizzato e diretto con efficacia, efficienza e con un adeguato numero di Operatori. Devono essere definiti e documentati le responsabilità, l'autorità e i rapporti reciproci del personale.
Devono essere predisposti documenti programmatici che specifichino la missione, gli obiettivi generali, quelli specifici e l'operatività del Servizio.
Gli obiettivi devono essere basati sui bisogni della popolazione, in base al mandato legislativo - normativo, congruenti al Piano Sanitario Regionale, con l’individuazione dei soggetti coinvolti, delle risorse assegnate e i tempi necessari al loro raggiungimento; devono essere inoltre individuati indicatori misurabili con scadenze previste.
Gli obiettivi ed i relativi indicatori devono essere formulati dal Responsabile Medico Organizzativo della C.O. 118 unitamente al Responsabile dell'Elisoccorso (ove previsto), portati a conoscenza degli Operatori del Servizio, dei D.E.A., delle Direzioni Sanitarie ed accessibili agli utenti - clienti.
La struttura organizzativa di responsabilità, i compiti, le funzioni e le procedure di competenza di ciascuna funzione devono essere esplicitate con documento scritto. Il documento è revisionato annualmente salvo cambiamenti o ristrutturazioni estemporanee.
Deve esistere documentazione attestante il possesso, da parte di tutto il personale, dei requisiti previsti dalla normativa vigente per il ruolo e le funzioni svolte.
Deve essere individuato e nominato il Responsabile Medico della Base Operativa con adeguata esperienza e formazione e formalizzate le sue funzioni. Deve essere individuato e nominato un medico che assuma il ruolo di Responsabile in assenza del Dirigente della Base.
Deve essere individuato il Responsabile Infermieristico della Base tra quelli in possesso di abilitazione a funzioni direttive e devono essere individuate e formalizzate le sue funzioni.
Per ogni turno deve essere individuato un Responsabile Medico (medico in servizio) e un Responsabile Infermieristico (infermiere in servizio) con compiti operativo - gestionali.
La sicurezza e la salute degli operatori nel corso dell'attività devono essere tutelate anche individuando e nominando il referente per la sicurezza.
Devono essere previste analisi delle procedure di valutazione, di controllo, di informazione e di formazione per il personale del Servizio.
Deve esistere documentazione di sorveglianza continua o di censimento periodico degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali degli operatori del Servizio.
2-STRUTTURE
Le strutture devono essere sicure, efficienti, idonee per le necessità dei pazienti e per l'uso degli operatori.
Deve esistere un sistema di contatto diretto tra le Basi e le Centrali Operative 118 Regionali, il mezzo e gli operatori. Il sistema radiotelefonico deve risultare adeguatamente dimensionato e organizzato.
La Base Operativa deve essere dotata di opportuni spazi comprendenti: locale di stazionamento adeguato per gli operatori, locale magazzino, sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali, eventuale hangar, etc.
Tutti gli impianti devono essere a norma di legge.
CARATTERISTICHE DEGLI ELICOTTERI
Specifiche obbligatorie
Gli elicotteri impiegati, tenuto conto dell’anno di costruzione, devono rispondere alle normative aeronautiche vigenti, avere prestazioni certificate in grado di permettere l'operatività richiesta ed essere dotati di sistemi di sicurezza per l’equipaggio e per i Pazienti.
Parametri da considerare nell'ambito della pianificazione decentrata Regionale e Provinciale devono essere:
prestazioni tali da consentire, su tutto il territorio di competenza, il volo stazionario fuori effetto suolo (per volo HSR-SAR), idoneità e strumentazione al volo notturno e/o strumentale, localizzatore di emergenza, eventuale faro di ricerca e atterraggio, altoparlante esterno;
b) dimensioni e capacità minime dell'elicottero: oltre all'equipaggio di condotta ed al paziente barellato (uno o due barelle certificate) deve poter ospitare Operatori sanitari e/o Personale specializzato addetto al recupero dell'infortunato, garantendo la possibilità di erogare l'assistenza necessaria. Inoltre l’aeromobile deve consentire un agevole accesso durante le operazioni di imbarco e sbarco delle barelle, essere predisposto per l'installazione di pattini antiaffondamento e dotato di verricello e gancio baricentrico (per volo HSR-SAR), avere un sistema radio di bordo che garantisca la conferenza fra tutti i componenti dell'equipaggio, la comunicazione con i mezzi di soccorso terrestre e con le Centrali Operative, garantire il collegamento fra operatore al verricello o al gancio baricentrico, pilota, personale di soccorso. Deve peraltro possedere un sistema di ossigeno terapia medicale secondo la normativa aeronautica, attrezzature e presidi sanitari per la stabilizzazione di pazienti critici. Tali attrezzature ancorate a bordo, secondo la norma, devono essere asportabili per l'impiego sul terreno, idonee per missioni in ambiente ostile e per gli equipaggiamenti sanitari, deve essere dimostrata la compatibilità elettromagnetica.
SPECIFICHE SUPPLEMENTARI
Deve essere previsto: sistema passivo di sicurezza (trancia cavi), GPS, radar meteo, velocità, autonomia, insonorizzazione, colorazione della cellula a norma CE.
ALTRE INSTALLAZIONI SUPPLEMENTARI PER IL SOCCORSO NOTTURNO
Deve essere eventualmente prevista la compatibilità dei sistemi di illuminazione interna, degli strumenti e di quant’altro interferisce con i visori ad intensificazione di luce, l’illuminazione dei rotori, l’hovering automatico (operazioni in mare), un’autonomia adeguata e, quando indicato, l’impiego del sensore FLIR (Floward Looking Infra Red).
3-ATTREZZATURE E DOTAZIONI
Le attrezzature devono essere a norme CE, adeguate, efficienti, sicure per la risposta alla richiesta di soccorso, per le cure dei pazienti, per l'uso degli operatori, controllate periodicamente.
La Base Operativa deve essere dotata di: sistema telefonico autonomo, adeguato e protetto da interferenze e black-out, sistema radio dedicato 118 in grado di coprire il territorio, registrazione delle comunicazioni, sistema cartografico del territorio di competenza, archivio documentale.
Deve esistere l'inventario completo ed aggiornato delle attrezzature e delle dotazioni comprendente anche la data di acquisto.
Per ogni apparecchiatura biomedica deve esistere un piano per formazione, la manutenzione ordinaria e straordinaria, le procedure e la registrazione degli interventi di riparazione.
Devono essere disponibili i farmaci ed i presidi per il trattamento delle possibili situazioni di emergenza - urgenza; le modalità di conservazione e di uso devono garantire la sicurezza dei pazienti e degli operatori. (controlli approvvigionamento, scadenze, scarico).
Deve essere disponibile all'interno della Base un mobile chiuso a norma per i farmaci stupefacenti.
4-PROCEDURE
Il Servizio deve disporre di regolamenti interni, di linee guida e protocolli (approvati e verificati periodicamente) al fine di adottare il processo più appropriato nella gestione delle situazioni specifiche della emergenza - urgenza o in caso di eventi imprevisti (clinici, organizzativi, tecnologici).
Devono essere presenti i seguenti protocolli e linee-guida: risposta telefonica; accettazione della missione; procedure in caso di black out comunicazioni; comunicazione con i mezzi di soccorso e con le Centrali Operative; collaborazione con altri Enti; collaborazione con altre Regioni; collaborazione con le Nazioni confinanti; riconoscimento dei pazienti; intervento primario; intervento secondario; intervento alpino; intervento in acqua; passaggio di consegne; trasmissione di informazione a terzi; gestione di oggetti e beni; gestione del paziente violento; gestione di situazioni sospette; gestione della morte; delle violenze sessuali; degli abusi e violenze su minori; del suicidio; del TSO; del consenso informato; del rifiuto di trattamento; dell’esposizione a sostanze infette; della prevenzione e controllo delle infezioni; dell'arresto cardiaco e delle emergenze cardiologiche; del politraumatizzato; del coma; delle ustioni; delle intossicazioni e degli avvelenamenti; delle dispnee; del prelievo – conservazione e trasporto di materiali organici; della pulizia e sanificazione dei mezzi; della pulizia, disinfezione e sterilizzazione di tutti gli strumenti ed accessori; della compilazione, conservazione, archiviazione dei documenti sanitari; delle modalità di evacuazione dei locali; della gestione dei soccorsi nelle maxi-emergenze.
5-DOCUMENTAZIONE E SISTEMA INFORMATIVO
Deve esistere un sistema informativo in grado di raccogliere, organizzare, elaborare e diffondere i dati riguardanti l'attività svolta, l'uso delle risorse, l'adeguatezza degli indicatori previsti e garantire la privacy delle informazioni.
Per tutti gli utenti deve essere prevista la compilazione della scheda paziente che deve contenere: data e ora della chiamata, data e ora dell'attivazione del mezzo, della partenza, dell'arrivo, della partenza dal luogo, dell'arrivo al Pronto Soccorso; codice di gravità; dati anagrafici; identificativo del mezzo; dati e firma del medico; problema e trattamento; ipotesi diagnostica; rifiuto del trattamento del trasporto e delle cure; dati utili per adempiere agli obblighi di legge (referto, infortunio); provvedimento finale.
Devono esistere moduli per le denunce obbligatorie di legge.
Deve esistere un report periodico divulgato dell'attività svolta che deve includere: numero e tipologia delle prestazioni; esiti delle prestazioni; attinenza ai protocolli; consumo delle risorse; raggiungimento obiettivi, scostamenti e cause, incidenza di eventi indesiderati.
Devono essere formalizzate procedure di comunicazione con altri Servizi e con altre strutture.
Deve essere prevista una verifica periodica della validità del sistema informativo.
Deve esistere un documento personale sul quale è riportata e vidimata l'attività svolta anche ai fini formativi ed addestrativi.
6-FORMAZIONE DEL PERSONALE
Deve essere presente un programma di formazione e di aggiornamento continuo per lo sviluppo professionale di ciascun operatore, specificatamente correlato agli obiettivi del Servizio.
Tutti gli operatori devono essere formati all’Emergenza - Urgenza ed alla particolare complessità del Servizio attraverso corsi addestrativi documentati a cadenza semestrale e annuale, la frequenza ai quali è riportata sul libretto personale.
Deve essere applicato un piano di affiancamento per l'inserimento dei nuovi operatori, ed esistere strumenti per l'aggiornamento nell'ambito dell'emergenza - urgenza.
7-VALUTAZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA'
Devono essere intraprese iniziative di valutazione e miglioramento delle attività, sia all’interno del Servizio, sia in sintonia con politiche di qualità aziendale, con definizione degli obiettivi della qualità, dei metodi, delle risorse e della pianificazione temporale.
Deve essere nominato un responsabile che coordini le attività di valutazione e miglioramento delle qualità documentando l’attività di valutazione delle procedure e dei risultati.
Devono essere riscontrabili cambiamenti organizzativi e procedurali derivati dalla attività di miglioramento delle qualità.
8-SODDISFAZIONE DEGLI OPERATORI
Deve esistere una periodica valutazione del clima interno relativamente ai rapporti fra gli Operatori e devono essere intraprese iniziative di miglioramento, anche analizzando la partecipazione degli stessi, di attività collettive.
9- SODDISFAZIONE DEGLI UTENTI
Le cure prestate devono rispondere ai bisogni del paziente e garantirne i suoi diritti. Deve essere adeguatamente divulgata l’attività del Servizio, le modalità d'accesso, le prestazioni erogabili e l'organizzazione.
Deve essere previsto un ambito specifico dell’Elisoccorso nelle Carte dei Servizi, un servizio reclami e proteste. Deve essere rilasciato all'utente un modulo sulle prestazioni sanitarie che ne indaghi il grado di soddisfazione.
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
In relazione al documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome del 18 gennaio 2001 sulla tutela della salute mentale, le Regioni confermano sia la validità del Progetto obiettivo salute mentale, come già richiamato nel documento, sia i contenuti del documento stesso. In particolare richiamano le proposte relative al "Patto per la salute mentale" in merito all’attivazione di una rilevazione a livello territoriale per quanto attiene la integrazione socio - sanitaria e l'accordo sui LEA.
Le Regioni propongono di organizzare un monitoraggio omogeneo e condiviso sullo stato di attuazione della promozione e tutela della salute mentale all'interno dei dipartimenti di salute mentale, avendo riguardo in particolare all'istituzione dei dipartimenti stessi, alla dotazione di strutture e personale, alle tipologie di patologie trattate. Per fare ciò si propone di utilizzare il sistema informativo già approvato dalla Conferenza Stato- Regioni sollecitando le Regioni tutte ad adottare tale sistema che permetterà di configurare le dimensioni di attività dei D.S.M.
Verrà inoltre attivato un coordinamento tecnico interregionale permanente sulla salute mentale con il compito di:
monitorare periodicamente mediante rilevazione le risposte e le problematiche emerse in ambito regionale in relazione ai problemi della salute mentale;
evidenziare le criticità e formulare proposte per la risoluzione delle stesse alla luce delle nuove modifiche legislative (Legge 18 ottobre 2001 n. 3);
relazionare con periodicità costante alla Conferenza degli Assessori alla Sanità e dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome sulle evidenze emergenti da utilizzarsi nelle opportune sedi istituzionali.
La Conferenza dei Presidenti infine conferma la totale disponibilità delle Regioni alla informazione relativa a richieste provenienti dai vari livelli istituzionali, ribadendo, altresì, la esclusiva competenza regionale in tema di salute e di salute mentale in particolare.
Roma, 28 febbraio 2002
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Punto 15) o.d.g. Conferenza Unificata
In relazione alla bozza di delibera pervenuta dall’ufficio del Commissario Straordinario si evidenzia quanto segue:
PREMESSO CHE
Il conguaglio delle somme anticipate dalle Regioni nel corso dell’anno 2001, per il pagamento degli arretrati relativi alle funzioni trasferite ex D.Lgs 112/98 in materia di salute umana (indennizzi per i danni causati dagli emoderivati), sarà corrisposto dal Ministero dell’Economia alla singola Regione anche prima della data 30 giugno 2002 nella misura dell’80% al momento della effettiva rendicontazione da parte delle Regioni;
Il restante 20% sarà invece liquidato solo al termine delle procedure di rendicontazione da parte di tutte le Regioni e comunque successivamente al 30 giugno 2002 (termine ultimo per la rendicontazione)
SI PROPONE
Al fine di evitare incertezza sui tempi di trasferimento del restante 20% delle risorse che sia indicata nella delibera una data certa entro la quale il Ministero dell’Economia provvederà al ristoro; pertanto si chiede di inserire al punto 3) della delibera, al termine del periodo: dopo le parole “30 giugno 2002, termine ultimo per la presentazione di tutte le rendicontazioni ” le parole “e comunque entro il 31 dicembre 2002”.
Al punto 2) di sostituire le parole "nell'anno 2001" con le parole "per l'anno 2001"
E' altresì necessario che venga assicurata alle Regioni anche l'erogazione delle somme per le quote di indennizzo annue già accertate per il 2002 relative ai danneggiati in vita come indicate nel medesima tabella di rendicontazione.
Roma, 21 marzo 2002
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Dopo la modifica del titolo V della Costituzione l’attività di pianificazione e programmazione degli interventi in materia di tutela della salute è attribuita alla competenza delle Regioni e Province Autonome.
Nel campo della prevenzione delle malattie infettive gli esiti degli interventi preventivi attuati in una regione sono strettamente collegati ed interdipendenti dalle azioni messe in atto in altre regioni in considerazione della contagiosità delle patologie da contrastare.
L'enorme numero di patologie, il differente impatto che le stesse hanno sulla popolazione, la necessità di tenere conto della possibile ed eventuale diffusione di malattie infettive collegata a fenomeni esterni di importazione o anche di terrorismo, richiede che, da parte delle Regioni, vengano stabilite delle priorità di intervento e vengano concordati dei programmi per fare fronte all'insorgere di eventi imprevedibili ed al tempo stesso contrastare la diffusione di malattie presenti sul territorio.
Pertanto, fermo restando l’autonomia organizzativa di ogni singola realtà, è opportuno individuare obiettivi comuni, a valenza nazionale, in modo da non vanificare gli sforzi già fatti ed i risultati acquisiti in alcune Regioni o Province Autonome.
Attualmente le strategie di prevenzione sono decise a livello locale, a livello nazionale è garantito il monitoraggio e la sorveglianza delle malattie infettive attraverso il sistema di notifica obbligatorio delle stesse. Tale sistema non è da solo in grado di fornire le informazioni necessarie per la programmazione delle attività per cui , sono nati sistemi di notifica basati sulla volontarietà della rilevazione che permettono di avere una situazione di maggiore dettaglio sull'andamento delle patologie
La conoscenza dei bisogni territoriali consente ad ogni Regione e Provincia Autonoma di programmare le attività necessarie alla prevenzione e al controllo delle malattie infettive adattandole alla specifica realtà di intervento.
Con il presente documento le Regioni intendono individuare le priorità di intervento nel campo della prevenzione delle malattie infettive, le strategie di intervento condivisibili e definire i momenti di raccordo tra le Regioni e le istituzioni centrali cointeressate, il Ministero della Salute e l'Istituto Superiore di Sanità.
Le priorità individuate, per un intervento coordinato tra le Regioni e le Province Autonome, attengono ai seguenti campi:
1. Controllo delle malattie prevenibili con vaccinazione, ed in particolare la eliminazione del morbillo;
2. pandemia influenzale: individuazione degli interventi adeguati;
3. miglioramento della sorveglianza delle malattie infettive;
4. tubercolosi :prevenzione e controllo dell'andamento della malattia;
5. malattie a Trasmissione Sessuale e delle infezioni da HIV: prevenzione e controllo;
6. malattie ad alta infettività (Ebola, Marburg, Lassa, vaiolo, ecc.);
7. infezioni acquisite nell’attività di assistenza.
1. Il controllo delle malattie prevenibili con vaccinazione.
1.1. Piano italiano di promozione delle vaccinazioni.
Il Piano Nazionale Vaccini 1999-2000 approvato dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 18 giugno 1999 è ormai scaduto. Pur restando validi e condivisibili i principi enunciati nel piano 1998-2000 le Regioni e Provincie Autonome ritengono necessaria la predisposizione di un nuovo piano nazionale di promozione delle vaccinazioni anche in considerazione del DPCM sui LEA del 29 novembre 2001 che pone le vaccinazioni tra i livelli essenziali di assistenza che devono essere assicurati nell'ambito della prevenzione collettiva.
Il nuovo piano vaccini dovrà definire gli obiettivi da raggiungere e le priorità da garantire nel campo delle malattie prevenibili con vaccinazione.
Nella elaborazione del piano di promozione delle vaccinazioni sarà necessario tenere conto delle differenze esistenti a livello territoriale e si dovrà integrare le istanze specifiche dei territori , rappresentate nei piani regionali, con gli obiettivi di carattere nazionale definendo i tempi accettabili per il raggiungimento degli obiettivi per non vanificare l'azione di tutti.
Compito delle Regioni e le Provincie Autonome sarà quello di garantire un impegno per raggiungere gli obiettivi nei tempi stabiliti.
Il Piano nazionale di promozione delle vaccinazioni dovrà essere predisposto, entro il 2002.
La stesura del piano dovrà avere la collaborazione dei diversi attori coinvolti: le Regioni e le Province Autonome, attraverso i propri esperti, il Ministero della salute, l’Istituto Superiore di Sanità e gli altri organismi scientifici del settore.
1.2.Programma di eliminazione del morbillo.
La definizione e la conduzione di un programma che per il 2006 porti alla eliminazione del morbillo in Italia rappresenta di gran lunga la principale priorità nel campo delle malattie prevenibili con vaccinazione.
La realizzazione di questo programma di eliminazione rappresenta inoltre l’occasione per attuare un programma di miglioramento complessivo del sistema vaccinale di tutte le Regioni e Provincie Autonome.
Il Programma di eliminazione del morbillo costituisce quindi un “programma guida” per attuare una politica di miglioramento della qualità del sistema vaccinale.
Raggiungere l’eliminazione del morbillo garantisce, infatti, che il sistema vaccinale di ciascuna Regione e Provincia Autonoma sia in grado di attuare le azioni che sono necessarie per ottenere una elevata e consapevole adesione alla vaccinazione.
Nel corso del 2002 dovrà essere effettuata una consensus conference che definisca il contenuto del Piano Nazionale di eliminazione del morbillo.
La proposta di Programma elaborata dalla consensus conference verrà presentata dalle Regioni alla Segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni per la stipula di un Accordo.
Il programma di eliminazione del morbillo dovrà essere condotto in modo coordinato in tutte le Regioni e Provincie Autonome a partire dal 2003 e verrà preceduto dalla “Prima conferenza nazionale per la eliminazione del morbillo” che costituirà il momento di ufficiale partenza del programma di eliminazione del morbillo.
Gli Assessorati alla Sanità delle Regioni e Provincie Autonome, congiuntamente al Ministero della Salute istituiscono un “Gruppo tecnico del programma di eliminazione del morbillo” quale supporto e coordinamento alla conduzione unitaria dei diversi programmi regionali.
Il gruppo tecnico, a cui è affidata la gestione ed il monitoraggio del piano, si avvale per il suo funzionamento della collaborazione operativa dell’Ufficio III della Direzione per la Prevenzione del Ministero della Salute e del Reparto di Malattie Infettive del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità, strutture operative.
Il gruppo tecnico opera facilitando e coordinando l’attività dei responsabili regionali del programma di eliminazione del morbillo.
2. Pandemia influenzale.
E’ prioritario che ogni Regione e Provincia Autonoma predisponga un proprio piano per far fronte alla prossima pandemia influenzale, dando pratica attuazione alle indicazioni contenute nel Piano italiano multifase di emergenza per la Pandemia influenzale approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano e pubblicate sulla G.U. n° 72 del 26.3.2002.
Questa attività costituirà, inoltre, un prototipo per altre evenienze che richiedano un improvviso elevato aumento delle necessità di assistenza in risposta ad un rischio biologico ( es. bioterrorismo).
Si ritiene di organizzare, entro il primo semestre 2003, in collaborazione con Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, un corso di formazione rivolto al personale che le Regioni e Province Autonome individueranno, per predisporre il piano locale, così da permettere la costituzione di una rete che correli i nuclei tecnici di ogni Regione e Provincia Autonoma,.
L'obiettivo da raggiungere è l'elaborazione e l'approvazione entro il 2003 dei Piani locali di emergenza per la Pandemia influenzale da parte di ogni Regione e Provincia Autonoma.
3. Il miglioramento della sorveglianza delle malattie infettive.
Il sistema di sorveglianza delle malattie infettive allo stato attuale si avvale di molte e diverse attività sostanzialmente autonome l’una dall’altra, alcune delle quali non sono in grado di garantire un’adeguata e corretta informazione.
Si ritiene necessario dare avvio ad un sollecito processo di revisione dei vari sistemi informativi che affronti adeguatamente ed esaustivamente, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, la tipologia minima dei dati essenziali per attuare la prevenzione e il controllo delle malattie infettive.
Per ciascuna malattia infettiva rilevante è necessario individuare quali conoscenze devono essere rese disponibili per l’azione e, partendo dalle attività esistenti, si deve creare un sistema integrato in grado di garantire tali informazioni nel modo più rapido (quando necessario) e completo.
Considerato che a partire dal 1° gennaio 2003 il sistema di notifica delle malattie infettive dovrà adeguarsi a quanto previsto dalla Commissione Europea si ritiene opportuno predisporre, per quella data, un progetto di evoluzione dell’attuale sistema di notifica, prevedendo in particolare la segnalazione rapida delle malattie per le quali sia possibile una profilassi post-esposizione.
Il processo di implementazione del sistema informativo dovrà completarsi per le malattie di maggiore importanza entro il 31 dicembre 2003.
Per migliorare la notifica dei casi di malattia verrà condotta da tutte le Regioni e Provincie Autonome, secondo modalità che potranno essere definite unitariamente, una attività di formazione dei medici obbligati alla notifica e una costante azione di valutazione e controllo della sottonotifica.
4. Tubercolosi.
La tubercolosi costituisce tuttora un rilevante problema di Sanità Pubblica, per il cui controllo è necessario un intervento organico di riduzione della diffusione della malattia nella popolazione.
Alla luce delle esperienze già condotte dalle Regioni e Provincie Autonome anche in attuazione delle Linee guida per il controllo della malattia tubercolare approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano ed emanate dal Ministero della Salute con provvedimento del 18.12.1998, si individuano tre azioni prioritarie:
il miglioramento organizzativo dei laboratori per la diagnostica della tubercolosi e per la sorveglianza della farmaco-resistenza
la sorveglianza degli esiti del trattamento;
l’attività di controllo dell’infezione nei gruppi ad alto rischio, iniziando dai contatti dei casi di tubercolosi attiva.
5. Malattie a trasmissione sessuale e infezioni da HIV.
Le malattie a trasmissione sessuale sono una delle più comuni cause di malattia infettiva nel mondo.
L’infezione da HIV, anche se l’incidenza e la mortalità si sono ridotte in questi ultimi anni, costituisce uno dei maggiori problemi di sanità pubblica sia per la gravità che per la percezione di rischio che ne ha la popolazione.
Per lottare contro le malattie a trasmissione sessuale e le infezioni da HIV sono necessari sistemi solidi sia di sorveglianza che di intervento.
Nel prossimo triennio dovrà essere definito un programma per migliorare le azioni di prevenzione nel campo delle malattie a trasmissione sessuale.
6. Malattie ad elevata infettività.
Le malattie ad elevata infettività ( es. le febbri emorragiche virali (Ebola, Marburg, Lassa, ecc,), il vaiolo, la peste, ed altre ancora ) sono malattie gravi ad elevata letalità che necessitano di un rapido intervento di Sanità Pubblica.
L’importazione in Italia di una di queste malattie esotiche provocherebbe una situazione di emergenza a causa dell’elevato rischio di contagio e delle misure eccezionali di controllo che dovrebbero essere messe in pratica, ma anche per la “percezione del rischio” da parte della popolazione e dei mass media, che potrebbe facilmente creare un enorme allarme con conseguenze economiche importanti.
Per questo motivo le Regioni e Provincie Autonome ritengono necessario predisporre, in collaborazione con il Ministero della Salute ed altre istituzioni, un protocollo di intervento per il controllo delle malattie ad alta infettività.
Questa protocollo costituirà, inoltre, il riferimento operativo locale per altre evenienze che richiedano la gestione di malattie ad alta infettività ( es. bioterrorismo).
7. Infezioni legate all’assistenza.
Le infezioni legate alle attività di assistenza, ed in particolare le infezioni ospedaliere, costituiscono una priorità per cui è necessario definire programmi di intervento finalizzati al loro controllo.
Nella maggior parte delle Regioni e Provincie Autonome questa attività non fa riferimento ai Dipartimenti di Prevenzione, a cui afferisce l’attività di prevenzione collettiva delle malattie infettive, ma viene seguita dalle Direzioni sanitarie che si occupano della gestione dell’assistenza ospedaliera.
I Dipartimenti di Prevenzione possono offrire un utile contributo alla soluzione di questo problema di Sanità Pubblica sia attraverso una competenza generale nella epidemiologia e nella prevenzione delle malattie infettive sia quale struttura specifica di riferimento per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza non ospedaliera (case di riposo, comunità, ecc.).
E' opportuno stabilire un collegamento operativo a livello regionale tra i soggetti che si occupano della predisposizione delle azioni necessarie per il controllo delle infezioni nell’attività di assistenza.
Collaborazione interistituzionale.
Appare infine importante definire, nel campo della prevenzione delle malattie infettive, una collaborazione operativa tra le Regioni e Provincie Autonome e le Istituzioni centrali Ministero della Salute, attraverso le sue direzioni ed uffici, Istituto Superiore di Sanità, finalizzata a garantire una migliore integrazione ed efficacia operativa nel campo del monitoraggio delle malattie, nell'avvio di campagne si sensibilizzazione a carattere nazionale e nella stesura di documenti di indirizzo a valenza generale.
Ferme restando le competenze di programmazione, pianificazione e conduzione delle attività attribuite alle Regioni e Provincie Autonome si ritiene necessario che le strutture operative del Ministero garantiscano, in collaborazione con le Regioni e Provincie Autonome, la conduzione unitaria dei sistemi di sorveglianza delle malattie infettive, degli eventi avversi da vaccinazione, e delle coperture vaccinali. A tale scopo dovranno essere migliorati i sistemi già esistenti di notifica delle malattie infettive, partendo da un analisi dei punti di debolezza, e dovranno prevedersi anche altre possibilità di monitoraggio, basate sulla volontarietà dell'adesione, che riescano a dare un quadro più omogeneo della rilevazione dei dati e più aderente alla reale entità della diffusione delle malattie sul territorio.
La gestione centralizzata dei sistemi di sorveglianza permette di ottenere risultati più efficaci.
Inoltre, è da prevedere la realizzazione di alcune campagne nazionali di informazione del grande pubblico, attraverso i mass media, a supporto delle azioni individuate come prioritarie (promozione delle vaccinazioni, prevenzione delle infezioni da HIV, ecc.) da parte del Ministero della Salute.
L’Istituto Superiore di Sanità è l’organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario e opera con questo mandato a supporto e in diretta collaborazione con le Regioni e Provincie Autonome.
Le Regioni e le Province Autonome attuano il monitoraggio dei bisogni territoriali per ciò che attiene il sistema della prevenzione delle malattie infettive e, attraverso il coordinamento interregionale, propongono la predisposizione di documenti tecnico scientifici collegati a specifiche esigenze emergenti. La stesura operativa dovrà vedere impegnati il Ministero della salute, l'Istituto Superiore di sanità, le Università, le società scientifiche, e le ASL attraverso i loro rispettivi esperti.
Tali documenti dovranno essere elaborati tenendo conto delle più recenti conoscenze scientifiche e dell'evidence based medicine e dovranno contenere, anche, suggerimenti per l'attuazione di interventi di prevenzione.
Le Regioni e Province Autonome utilizzano i documenti di indirizzo come riferimento per la autonoma programmazione delle loro attività adattandoli al contesto locale.
Questo documento che individua le priorità e identifica i rapporti collaborativi tra Regioni e Provincie Autonome e Istituzioni centrali nel campo del controllo delle malattie infettive, viene proposto per l’accordo alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano.
Roma, 19 dicembre 2002
Come è stato già ricordato, numerosi sono stati , dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, gli Accordi sanciti in Conferenza Stato-Regioni. Se ne citano i più rilevanti:
l’Accordo
tra Federterme e le Regioni e le Province autonome sui
livelli tariffari per l’erogazione delle prestazioni
termali – 17 gennaio;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle modalità di erogazione dei fondi relativi al programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative – 31 gennaio;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per l’organizzazione di un sistema integrato di assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o celebrolesi – 4 aprile;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome linee guida per la codifica delle informazioni cliniche presenti nella scheda di dimissione ospedaliera – 6 giugno;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome in materia di campagne informative di sensibilizzazione per la iodoprofilassi – 20 giugno;
l’Accordo tra il Governo e le Regioni e le Province autonome sul documento di indicazioni per l’attuazione del punto a) dell’Accordo Stato-Regioni del 14 febbraio 2002, sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa – 11 luglio;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sui criteri di individuazione e di aggiornamento dei centri interregionali di riferimento delle malattie rare – 11 luglio;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulla definizione delle discipline nelle quali possono essere conferiti gli incarichi di struttura complessa nelle Aziende Sanitarie ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.P.R. n. 484/97 –11 luglio;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome linee guida per la prevenzione sanitaria e per lo svolgimento delle attività del Dipartimento di prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali – 25 luglio;
l’Accordo tra il Governo e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della Legge n. 210/92, in materia di indennizzi per danni da trasfusione e vaccinazioni di cui al punto 3) del relativo Accordo 8 agosto 2001 – 1° agosto;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per l’organizzazione della attività di Day surgery – 1° agosto;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulla semplificazione delle procedure per l’attivazione dei programmi di investimento in sanità – 19 dicembre;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome per la disciplina della formazione complementare in assistenza sanitaria delle figura professionale dell’Operatore socio-sanitario di cui all’art. 1, comma 8 del D.L. n. 402/92, convertito nella Legge n. 1/2001 – 16 gennaio 2003;
l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome relativo agli aspetti igienico-sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio – 16 gennaio 2003;
Una serie di Accordi tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome in materia di Trapianti:
- linee guida per il trapianto renale da donatore vivente e da cadavere – 31 gennaio;
- requisiti delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e di tessuti e sugli standard minimi di attività di cui all’art. 16, comma 1, della Legge n. 91/99 recante “Disposizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e di tessuti” – 14 febbraio;
- modalità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche urgenti e indirizzi applicativi sulle liste di attesa – 14 febbraio;
- individuazione del bacino di utenza minimo, riferito alla popolazione, che comporta l’istituzione dei centri interregionali per i trapianti - 7 marzo;
- linee guida per le attività di coordinamento per il reperimento di organi e di tessuti in ambito nazionale ai fini di trapianto –21 marzo;
- linee guida per il prelievo, la conservazione e l’utilizzo di tessuto muscolo-scheletrico-21 marzo.
Nell’ambito della Segreteria della Conferenza Stato-Regioni sta operando, in attuazione dell’Accordo dell’8 agosto 2001, il Tavolo di monitoraggio e verifica sui Livelli Essenziali di Assistenza. Al Tavolo - composto da rappresentanti delle Regioni, dei Ministeri della Salute e dell’Economia, con il supporto dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali – sono affidati i compiti indicati:
al punto 15 dell’Accordo dell’8 agosto 2001 di monitoraggio e verifica dei livelli effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, articolati per fattori produttivi e responsabilità decisionali, al fine di identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia dell’efficienza e dell’efficacia del SSN;
al punto5.2 dell’Accordo del 22 novembre 2001 sui LEA ai fini di effettuare - sulla base di quanto disposto al punto 5.1 relativo alla definizione di criteri di monitoraggio -la verifica dei LEA effettivamente erogati e della corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, evidenziando eventuali prestazioni effettivamente erogate e non riconducibili ai predetti livelli;
alla lettera a) dell’Accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa.
Il Tavolo ha individuato le seguenti direttrici di lavoro:
Sistema di monitoraggio con lo scopo di individuare i livelli erogati ed i relativi costi tramite. A) la rilevazione dei provvedimenti regionali attuativi del DPCM sui Lea .Sul punto è stata già fornito un quadro di sintesi nella riunione della Conferenza Stato-Regioni del 1 agosto e, recentemente, tale prospetto è stato completato. B) la definizione di un modello di monitoraggio degli indicatori all’interno del sistema di garanzia di cui all’art: 9 del Dlgs 56/2000 per assicurare trasparenza, confrontabilità e verifica dell’assistenza erogata attraverso i LEA.
Questioni interpretative sorte nella prima fase di applicazione del DPCM sui LEA;
Liste di attesa. Sulla base di un lavoro istruttorio svolto dal tavolo, è stato elaborato un documento di indicazione per l’attuazione della lettera a) dell’Accordo del 14 febbraio 2002, precedentemente richiamato, sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche ed indirizzi applicativi sulle liste di attesa, documento che è stato oggetto di Accordo nella Conferenza Stato-Regioni dell’11 luglio 2002. L’Accordo individua una serie di tematiche per affrontare il problema dell’individuazione delle priorità di accesso alle prestazioni, quali: priorità ed appropriatezza delle prestazioni; indicazioni generali sui criteri di priorità cliniche; classificazione delle classi nazionali di priorità; individuazione dei tempi massimi validi sul territorio nazionale; sistema di monitoraggio; comunicazione ed informazione agli utenti.
Esame delle questioni rimaste sospese di cui al punto 11) dell’Accordo 22 novembre sui LEA che riguardano in particolare: Visite fiscali; compiti affidati agli ufficiali polizia giudiziaria; finanziamento alle Agenzie regionali per l’ambiente; assistenza sanitaria agli stranieri non regolari.
Mobilità sanitaria il tavolo sta lavorando ad una proposta di accordo-quadro interregionale.
Questioni legate all’integrazione socio-sanitaria per l’approfondimento delle quali sono state coinvolte anche le Associazioni delle Autonomie Locali.
Nel mese di novembre il Tavolo ha avviato una rilevazione – tramite l’invio a tutti i Presidenti delle Regioni di una specifiche schede analitiche - per l’acquisizione dei dati relativi all’assistenza erogata per l’anno 2001, ai fini di predisporre una utile base di riferimento iniziale, omogenea per tutte le Regioni, sulla quale definire un sistema di “regole comuni” per la valutazione degli indicatori. Tale rilevazione potrebbe consentire di acquisire una stima dei costi complessivi per una prima valutazione della corrispondenza tra i finanziamenti stabiliti nell’Accordo dell’8 agosto 2001 ed i livelli essenziali di assistenza definiti nel DPCM del 29 novembre 2001.
Il Tavolo è previsto al punto d) delle dichiarazioni a verbale espresse dai Presidenti delle Regioni in relazione all’Accordo dell’8 agosto 2001 nella seduta della Conferenza Stato-Regioni della stessa data. Ne fanno parte rappresentanti delle Regioni, del Ministero dell’Economia e della Ministero della Salute ed ha cominciato ad operare dal mese di aprile 2002.
Nel corso dei lavori i rappresentanti delle Regioni hanno definito una proposta sulla quale si è avviato un confronto con le Amministrazioni centrali, che si sono riservate di formalizzare le proprie valutazioni. Considerata la scadenza ravvicinata per l’adeguamento delle strutture, è necessario pervenire, in tempi brevi, alla definizione di una proposta concertata a livello tecnico per il successivo vaglio politico.
Infine, è stato avviato sempre presso la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, un Tavolo di lavoro misto Regioni Ministeri Salute ed Economia per l’individuazione di criteri per la copertura da parte delle Regioni degli eventuali disavanzi di loro spettanza imputabili alla spesa sanitaria. Partendo dalla verifica condotta sulle manovre che le Regioni hanno attuato per la copertura dei disavanzi dell’anno 2001, il tavolo si propone di definire un serie di modalità e di possibili manovre idonee a contenere la spesa, anche allo scopo di ridurre i tempi di verifica.
[1] Si tratta di somme che debbono essere ripartite con criteri diversi da quelli che si utilizzano per il finanziamento dei livelli di assistenza previsti dal Piano sanitario o che finanziano funzioni diverse; sono riferite alle seguenti situazioni espresse in migliaia di euro:
108.251 per il finanziamento della Croce Rossa Italiana a carico del FSN;
173.013 per la quota a carico del FSN per il finanziamento degli specializzandi a norma del decreto legislativo 257/91;
139.910 sono attribuiti alle Regioni per il finanziamento degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali a norma dell’articolo 6, comma 1 del decreto legislativo 270/93;
49.063 sono assegnati alle regioni sulla base di quanto disposto dalla legge 135/90 all’articolo 1 commi 1 lettera d e 2, per lo svolgimento di corsi di formazione e di aggiornamento del personale dei reparti di ricovero per malattie infettive e per promuovere la graduale attivazione di servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS;
3.254 sono previsti dalla legge 31/1986 che detta norme in materia di provvidenze economiche a favore degli Hanseniani e loro familiari a carico; l’erogazione avviene come rimborso alle regioni che documentano la spesa sostenuta;
38.734 sono erogati alle regioni per il finanziamento dei corsi biennali di formazione specifica in medicina generale, a norma dell’articolo 5 della legge 109/88 che pone a carico del Fondo sanitario il relativo onere, in proporzione alle borse di studio individuate per ciascuna regione;
5.784 sono erogati direttamente alla Cassa depositi e Prestiti quale controvalore delle rate dei mutui contratti dagli enti ospedalieri prima della riforma e che l’articolo 14, comma 1 del d.l. 382/87, convertito nella legge 456/87 pone a carico del Fondo sanitario;
38.734 vengono messi a disposizione per la erogazione diretta da parte del Ministero del tesoro, bilancio e p.e. alle regioni per corrispondere le indennità di abbattimento degli animali infetti a norma della legge 218/88;
30.987 sono riservati al finanziamento delle prestazioni sanitarie erogate a favore degli extra comunitari in applicazione della legge 40/98;
4.390 per prevenzione e cura della fibrosi cistica di cui alla legge 23 dicembre 1993, n. 548, rifinanziata con la legge 362/99.
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