FASCICOLI
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
 

FIUGGI, 29-30/01/2003

INTRODUZIONE_ 3

PRIMA PARTE_ 6

QUESTIONI ECONOMICO-FINANZIARIE_ 7

Gli impegni del Governo per il rispetto dell’accordo dell’8 agosto 2001_ 7

L’esigenza di tempi certi per l’erogazione delle risorse_ 7

Il confronto sulla manovra finanziaria_ 8

Decreto Taglia spese : il ricorso delle Regioni al Tar 8

DOCUMENTAZIONE_ 10

Documento su problematiche economico-finanziarie in materia di sanità_ 11

Verifica dei punti dell’Accordo 8 agosto 2001_ 13

Osservazioni e proposte di emendamento al DDL di conversione del DL 15 aprile 2002,  n. 63, concernente: “Disposizioni finanziarie e  fiscali urgenti in materia di riscossione,  razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici,  adempimenti ed adeguamenti comunitari,  cartolarizzazione, valorizzazione del patrimonio  e finanziamento delle infrastrutture” per  gli aspetti relativi agli articoli 3 e 4 ,  recanti "razionalizzazione del sistema dei  costi dei prodotti farmaceutici" e "concorso  delle Regioni al rispetto degli obiettivi di  finanza pubblica" 17

Parere della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle province autonome in merito al disegno di legge di conversione in legge del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, recante “Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate” per gli aspetti relativi agli artt. 9, 10, 11, 13 (a.c. 2972) 20

Parere delle Regioni e delle Province autonome sul documento di programmazione economico finanziaria (Dpef) relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003 - 2006_ 23

Regioni su proposte Finanziaria 2003 (a seguito dell’incontro con il Presidente del Consiglio del 25 settembre) 49

Allegato: Sintesi principali indicazioni delle Regioni riguardo al prossimo d.d.l. finanziaria 2003_ 50

Prime considerazioni sul d.d.l. Finanziaria 2003_ 53

Parere sul Disegno di legge “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)” e proposte di emendamenti 60

Ulteriori proposte in materia sanitaria_ 71

Resoconto sintetico incontro Governo  delegazione Conferenza dei Presidenti   (Palazzo Chigi, 8 nov. 2002) 76

Documento della Conferenza dei Presidenti sulla proposta del Ministro della Salute di riparto delle disponibilità del Servizio Sanitario Nazionale, anno 2002_ 90

Osservazioni al Decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze del 29 novembre 2002_ 91

Ordine del giorno della conferenza contenente l’annuncio del ricorso comune al Tar sul DM Economia 29 novembre 2002 e la richiesta di incontro con il Presidente della Repubblica_ 93

Ordine del giorno per riparto FSN 2002_ 94

Compartecipazione Ospedale Bambino Gesù con intervento Stato_ 95

TABELLE_ 96

Tavola 1_ 97

Riparti con destinazione specifica -  Conferenza Stato Regioni - anno 2002 - 98

Tavola 2_ 99

Risorse dovute non ancora incassate dalle Regioni, per Regione e per anno_ 100

Tavola 3_ 101

Fabbisogni e disavanzi per Regione e anno_ 102

IL FSN 2002 -il riparto come definito a Perugia e il DPCM 10 gennaio 2003_ 103

DPCM 10 gennaio 2003 – Riparto Fondo Sanitario Nazionale 2002_ 107

Le due proposte del Ministro della Salute  di riparto del FSN 2003_ 115

Calcolo del fabbisogno per la ripartizione del FSN – “Proposta d’approccio” 116

Ripartizione delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale nell’anno 2003. Richiesta di intesa alla Conferenza Stato Regioni 124

SECONDA PARTE_ 131

Sintesi delle altre questioni in materia di sanità_ 132

Premessa_ 132

Il nuovo scenario costituzionale_ 132

L’Intesa interistituzionale_ 132

Le difficoltà della “strada pattizia” 132

Un tavolo specifico in materia sanitaria_ 133

Schema di Piano Sanitario Nazionale_ 133

Il Rapporto di lavoro dei medici del SSN_ 133

La c.d.  “miniARAN” 134

DOCUMENTAZIONE_ 135

Prime osservazioni e valutazioni sullo schema di  Piano Sanitario Nazionale 2002-2004_ 136

allegato 1_ 146

Parere sul disegno di legge recante “riordino del rapporto di lavoro dei medici del Ssn” 220

Richiesta parere Aran su schema di Ddl recante: “riordino del rapporto di lavoro dei medici del servizio sanitario nazionale” approvato, in via preliminare, dal consiglio dei ministri nella seduta del 5 luglio 2002_ 222

Documento su rapporto esclusivo Dirigenti Sanitari 223

Costituzione Struttura interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con  il personale, medici e altre professionalità sanitarie, convenzionato con il S.S.N. 224

Linee guida per l'organizzazione dei servizi di soccorso sanitario con elicottero_ 231

Proposte in materia di tutela della salute mentale_ 257

Documento inerente la delibera della conferenza unificata concernente le modalità di rendicontazione delle risorse finanziarie anticipate dalle regioni per l’esercizio delle funzioni conferite dal d.lgs 112/98 in materia di salute umana, ai sensi dell’art. 2 del Dpcm dell’8 gennaio 2002_ 258

L’individuazione delle priorità di intervento nel campo della  prevenzione delle malattie infettive_ 259

TERZA PARTE_ 265

I principali Accordi in Conferenza Stato-Regioni 266

Il Tavolo sui Livelli Essenziali di Assistenza_ 268

Il Tavolo di lavoro per l’elaborazione di un piano generale di investimenti per l’adeguamento dei requisiti strutturali e tecnologici minimi per l’esercizio delle strutture sanitarie_ 269

Il Tavolo sui criteri di copertura dei disavanzi 269

 


 

INTRODUZIONE

 

Con la riunione straordinaria e monografica della Conferenza dei Presidenti del 29 e 30 gennaio 2003 a Fiuggi, i Presidenti consolidano la prassi di svolgere un approfondito confronto – a seguito di un lavoro preparatorio dei tecnici e degli Assessori alla Sanità ed al Bilancio – sulle questioni attinenti i criteri di riparto, anche al fine di definire una proposta di ripartizione delle disponibilità finanziarie, così come previsto dall’Accordo dell’8 agosto 2001.

Così come avvenuto in precedenza -  a Venezia il 16 e 17 novembre 2000 e a Perugia il 14 e 15 dicembre 2001 – la Segreteria della Conferenza ha elaborato un “Dossier di documentazione”, soffermandosi sui principali atti prodotti dalla Conferenza nel settore, contribuendo così alla discussione tecnica e politica.

 

Perché un Dossier

 

Il Dossier - in relazione alla rilevanza del dibattito svoltosi sulle questioni finanziarie che hanno occupato un posto prioritario nelle riunioni della Conferenza - focalizza l’attenzione proprio sulle problematiche di ordine economico-finanziario: dalla discussione avvenuta durante l’iter della Finanziaria 2003 al gravoso problema per le Regioni dei ritardi nell’erogazione di risorse già stanziate. Tale lavoro è stato poi corredato con  schede di sintesi e tabelle riepilogative.

 

Il “credito” delle Regioni

 

La proposta di riparto delle risorse per il Servizio Sanitario Nazionale per l’anno 2003 - presentata dal Ministro della Salute (nella Conferenza Stato-Regioni del 16 gennaio scorso) , dopo una informativa e una prima proposta d’approccio (illustrata nella precedente riunione del 9 gennaio 2003) - è arrivata a ridosso del DPCM di riparto del FSN 2002 (approvato in Consiglio dei Ministri il 27 dicembre 2002, a seguito della mancata intesa che per la prima volta è stata registrata fra lo Stato e le Regioni su una ripartizione di così rilevanza).

La mancata integrazione dei Fondi sanitari 2000 e 2001 -nonostante la compiuta verifica degli adempimenti delle Regioni a copertura dei disavanzi 2001 (“tavolo misto Governo-Regioni sulla spesa sanitaria”) e il differenziale tra il riparto in dodicesimi del FSN 2002 e l’effettivo finanziamento previsto al punto 6 dell’Accordo dell’8 agosto 2001 (conseguentemente tutto ciò porterà ad uno slittamento temporale della fruibilità di cassa per le regioni)- portano l’entità del credito vantato dalle Regioni a circa 12 miliardi e 756 milioni di euro.

 

Il “peso” degli interessi

 

Il ritardo nell’erogazione delle risorse, oltre a determinare una situazione di incertezza nella programmazione regionale, ha portato ad un gravoso appesantimento dei costi a carico delle Regioni, che sono dovute ricorrere ad onerose anticipazioni di cassa: queste ultime con oneri diretti ed indiretti comportano un aggravio finanziario pesantissimo e non più sostenibile per le Regioni.

 

Mancato confronto per la finanziaria 2003

 

Infine, le disposizioni della legge Finanziaria 2003 - che non ha tenuto conto delle proposte sin dall’inizio avanzate dalla Conferenza dei Presidenti sia d’ordine più strettamente economico che di tipo istituzionale sul tema della Sanità - rendono particolarmente complessa e critica la situazione finanziaria, certamente non più sostenibile per il sistema Regioni.

 

La necessità della concertazione istituzionale

 

Il confronto con il Governo sia nelle sedi istituzionali della Conferenza Stato-Regioni che in incontri specifici con i Ministri di settore interessati, si è fatto sempre più serrato nel corso dell’anno, sia sui temi appena ricordati, sia sul mancato adempimento da parte del Governo di alcuni importanti impegni previsti nell’Accordo dell’8 agosto 2001, sia, infine, su alcuni provvedimenti che in assenza di una concertazione prevista anche nell’Intesa interistituzionale sottoscritta nel giugno 2002 – risultano lesivi delle competenze delle Regioni in materia di tutela della Salute ad esse attribuite dalla Riforma del Titolo V della Costituzione.

 

Le altre questioni sul tappeto

 

Accanto alle problematiche finanziarie, altre importanti questioni della Sanità sono state approfondite nel dibattito della Conferenza dei Presidenti, pervenendo alla definizione di documenti unitari su tematiche comuni, attraverso un lavoro di confronto di esperienze e di dibattito fra le Regioni, condotto preliminarmente dal coordinamento degli Assessori alla Sanità che ha svolto un lavoro istruttorio su tutte le questioni esaminate dalla Conferenza. Si citano -e si riportano nel dossier -i contributi, ad esempio, forniti sullo Schema di Piano Sanitario Nazionale, presentato nel mese di giugno dal Ministro della Salute; sul tema dell’esclusività del rapporto dei medici (prioritariamente discusso in relazione alla presentazione del DDl recante il riordino del rapporto di lavoro dei medici del SSN e successivamente ripreso ed approfondito in relazione ad emendamenti presentati durante l’iter parlamentare del DDL Finanziaria 2003); infine i numerosi Accordi sanciti in Conferenza Stato-Regioni come quelli relativi al problema della riduzione delle liste d’attesa.

 

I prossimi impegni

 

Le conclusioni a cui approderà lo specifico” Tavolo di monitoraggio e verifica sui Lea” (livelli essenziali di assistenza) che sta operando presso la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni e successivamente le risultanze del lavoro dell’Alta Commissione sul Federalismo fiscale (prevista dall’art. 3 della legge finanziaria 2003) dovranno definire un scenario e gli strumenti che in futuro  – anche alla luce di eventuali e ulteriori percorsi riformatori: DDL costituzionale sulla Devolution -  dovranno assicurare la congruità tra le prestazioni da garantire e le risorse messe a disposizione del SSN per la realizzazione di una Sanità al servizio dei cittadini.

 

L’organizzazione

 

Per quanto attiene gli aspetti organizzativi dei lavori nell’ambito della Conferenza dei Presidenti, va ricordato che il lavoro istruttorio su tutte le questioni esaminate dalla Conferenza è stato svolto prima dal gruppo di lavoro tecnico interregionale e, successivamente, dal Coordinamento degli Assessori alla Sanità, (coordinamenti svolti dalla Regione Veneto, Regione capofila per l’area Sanità). Sulle questioni d’ordine più strettamente finanziario, i lavori istruttori si sono svolti congiuntamente al coordinamento tecnico ed a quello politico degli Assessori al Bilancio(coordinati dalla Regione Lombardia, regione capofila per l’area Finanza).
Le riunioni degli Assessori alla Sanità si sono svolte, di regola, il giorno precedente la Conferenza dei Presidenti: numerose sono state nel corso dell’anno le riunioni monografiche sui temi della Sanità.


 

PRIMA PARTE


 

QUESTIONI ECONOMICO-FINANZIARIE

 

Le questioni di carattere finanziario – come accennato - sono state certamente le più rilevanti nel dibattito della Conferenza nell’anno 2002, sia in conseguenza dei reciproci impegni che scaturivano per le Regioni ed il Governo dalla stipula dell’Accordo dell’8 agosto 2001, sia in relazione alla manovra finanziaria attuata dal Governo.

 

Gli impegni del Governo per il rispetto dell’accordo dell’8 agosto 2001

 

Ad un anno dall’Accordo, la Conferenza ha proceduto ad effettuare una verifica dei punti concordati: a fronte di un percorso attuato dalle Regioni (seppur in maniera differenziata) per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa (ed in particolare di copertura dei disavanzi dell’anno 2001), non ha corrisposto l’impegno da parte del Governo nell’assegnazione di fondi già stanziati, che ha comportato una grave situazione di liquidità delle Regioni.


L’esigenza di tempi certi per l’erogazione delle risorse

 

In due documenti, rispettivamente del 19 settembre e del 3 ottobre 2002 i Presidenti delle Regioni hanno sottolineato la situazione di gravità finanziaria, non più sostenibile a livello di cassa, richiedendo assicurazione su tempi certi per l’erogazione delle risorse di competenza di anni precedenti.

Il mancato trasferimento ha costretto le Regioni da un lato a ricorrere ad onerose anticipazioni di cassa e dall’altro a fronteggiare condizioni di mercato non favorevoli per gli acquisti di beni e servizi. Nelle tabelle che seguono (cfr. Tavola 3) è stata calcolata una quantificazione di tali oneri legati ai ritardi, rispetto ai quali le Regioni si riservano di chiedere al Governo il relativo il rimborso.

Recentemente la Conferenza ha riproposto con forza la richiesta di avere assicurazioni su date certe per l’erogazione delle risorse. Da ultimo in Conferenza Stato-Regioni il 16 gennaio scorso, è stato chiesto un impegno formale dei Ministri competenti su una tempistica certa per l’erogazione delle risorse afferenti in particolare:

- la liquidazione del 50% rimanente dell’integrazione al FSN 2000;
- l’integrazione di 6.608 mld di vecchie lire al FSN 2001, a seguito della compiuta verifica dell’attuazione da parte delle Regioni delle misure di copertura dei disavanzi;

- il differenziale tra il riparto in dodicesimi del FSN 2002 e l’effettivo finanziamento previsto al punto 6 dell’Accordo dell’8 agosto 2001 di circa 13.000 mld di vecchie lire.

A seguito di una parziale risposta fornita dal Governo e della necessità da parte delle Regioni di avere sicurezza sulle date, l’argomento sarà ripreso per essere meglio definito dai Ministri nella prossima riunione della Conferenza Stato-Regioni del 6 febbraio 2003.

 

Il confronto sulla manovra finanziaria

 

Per quanto attiene più in generale la manovra finanziaria attuata dal Governo nel corso dell’anno, le Regioni si sono espresse con documenti recanti specifici e puntuali osservazioni e proposte, sottolineando al Governo una serie di questioni cruciali circa l’impostazione del rapporto Stato-Regioni – anche alla luce delle modifiche del Titolo V della Costituzione -soprattutto in un settore di rilevanza finanziaria per le Regioni quale quello della Sanità.

Il confronto si è aperto con il primo documento recante il parere al DPEF – 11 luglio 2002 – nel quale sono state evidenziate le questioni che maggiormente e direttamente impattano sul sistema di finanza regionale, al quale è seguito un altro documento - 26 settembre 2002- sulle principali indicazioni delle Regioni al DDL finanziaria 2003, a seguito della illustrazione del Presidente del Consiglio delle linee di base della manovra.  Le Regioni, sin da questa prima bozza di DDL, hanno espresso  preoccupazioni in ordine alla sostenibilità finanziaria con particolare riferimento al “welfare” ed alla Sanità.

Successivamente - attraverso un’approfondita analisi sulle disposizioni del DDL finanziaria durante l’iter parlamentare, condotta sia dai tecnici che dagli Assessori alla Sanità ed al Bilancio ed infine in Conferenza dei Presidenti - sono stati elaborati due articolati documenti il 3 e 16 ottobre 2002 (illustrati e consegnati al Governo nelle sedi formali di confronto della Conferenza Stato-Regioni ai fini dell’espressione del parere). Nei documenti , accanto alla preoccupazione generale per le prospettive aperte dalla finanziaria sul tema della Sanità ed alla denuncia del mancato rispetto da parte del Governo degli impegni assunti nell’Accordo 8 agosto, sono state definite precise proposte di emendamento per il settore, sia di tipo normativo-istituzionale che più strettamente legate agli aspetti finanziari.

A seguito di reiterate richieste d’incontro dei Presidenti con il Governo durante l’iter delle Finanziaria, si è svolto un incontro formale con il sottosegretario Letta ed i Ministri di settore interessati l’8 novembre a Palazzo Chigi ed in tale sede sono state concordate alcune proposte di emendamenti ritenute più rilevanti dalle Regioni che hanno sottolineato la necessità che venissero recepiti in Finanziaria.

Il testo approvato di legge Finanziaria per il 2003 non ha recepito le richieste delle Regioni ed i Presidenti hanno espresso un giudizio negativo sulla parte di impatto per le regioni, soprattutto per la Sanità, poiché possono essere messi a rischio servizi essenziali per i cittadini, e hanno richiesto – documento 19 dicembre 2002 – un incontro con il Presidente della Repubblica al fine di rappresentare la complessità della situazione derivante dalla manovra finanziaria.

 

Decreto Taglia spese : il ricorso delle Regioni al Tar

 

Da ultimo, la Conferenza dei Presidenti (a seguito di un serrato confronto a livello politico e tecnico nel quale è stata altresì sottolineata - documento 12 dicembre 2002 – la reiterata tendenza ad estendere l’azione del Governo su materie di attribuzione regionale senza nessun tipo di interlocuzione) ha deliberato all’unanimità il ricorso al Tar  avverso il  Decreto del Ministro dell’Economia 29 novembre 2002 c. d. “taglia spese”, provvedimento invasivo della competenza regionale in materia sanitaria ed inapplicabile, disponendo tagli del 15% su spese”non obbligatorie”ad anno pressoché concluso.


 

DOCUMENTAZIONE


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Documento su problematiche economico-finanziarie in materia di sanità

 

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, riunitasi in data odierna, ha esaminato le principali problematiche finanziarie in materia di Sanità da sottoporre ad un confronto urgente con il Governo.

In relazione ai reciproci impegni previsti nell’Accordo sulla spesa sanitaria sancito l’8 agosto 2001, le Regioni con forte senso di responsabilità istituzionale hanno attuato, pur con differente tempistica e modalità, un percorso virtuoso  per il raggiungimento degli obiettivi concordati.

Per quanto attiene il problema dell’integrazione al FSN 2001 diverse ed articolate sono state le manovre poste in essere dalle Regioni: dalle misure di tipo fiscale (tra cui l’aumento dell’addizionale IRPEF e del bollo auto) a quelle di razionalizzazione e contenimento della spesa (centralizzazione degli acquisti; riduzione dei posti letto ospedalieri), fino alle pesanti misure operate sulla farmaceutica (delisting e introduzione di ticket). La verifica degli adempimenti regionali  - effettuata con il Ministero dell’Economia – ha evidenziato un percorso differenziato per le singole Regioni, ma ha altresì evidenziato che il sistema Regioni nel suo complesso ha positivamente risposto agli impegni assunti con il Governo.

Allo stato attuale molti sono i trasferimenti di fondi non ancora erogati, tra i quali alcuni già previsti e stanziati nelle precedenti leggi finanziarie: il decreto di ripiano dei disavanzi pregressi anni 1994-1999 delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere; la liquidazione del saldo dell’integrazione  per il maggior fabbisogno per l’anno 2000; l’integrazione al FSN 2001; la proposta di riparto del FSN 2002.

Il mancato trasferimento ed il ritardo nell’erogazione di tali risorse da parte del Governo ha determinato una situazione non più sostenibile a livello di cassa per le Regioni le quali, per far fronte alla scarsità di liquidità, sono costrette da un lato a ricorrere ad onerose anticipazioni di cassa e dall’altro si trovano a fronteggiare condizioni di mercato non favorevoli per gli acquisti di beni e servizi.  Le Regioni si riservano di quantificare gli oneri diretti ed indiretti legati ai ritardi e di chiedere il relativo rimborso. Inoltre il prolungarsi di tale situazione porterebbe in tempi brevi a forti difficoltà anche nell’erogazione degli stipendi al personale del settore.

        A ciò si aggiunga che il tavolo di monitoraggio, istituito presso il Ministero dell’Economia  per la verifica degli adempimenti di cui al punto 2) dell’Accordo dell’8 agosto 2001, ha acquisito gli ulteriori elementi rispetto alle criticità rilevate a livello tecnico ed ha pertanto concluso i suoi lavori per cui il Ministero è nelle condizioni di assumere un atto conclusivo riguardante l’insieme delle Regioni.

        Pertanto le Regioni chiedono al Governo l’erogazione immediata delle risorse relative ai disavanzi pregressi e, a seguito delle manovre effettuate a copertura dei disavanzi 2001, l’erogazione dell’integrazione prevista al FSN 2001.

E’ necessario al riguardo concordare, in un tavolo di lavoro misto Governo-Regioni, i criteri che le Regioni, nell’ambito della loro autonomia, possono prevedere per un eventuale maggior fabbisogno anche per gli anni successivi.

        Si sollecita, inoltre, il Governo ad emanare tutti i provvedimenti previsti al punto 13 dell’Accordo dell’8 agosto 2001 volti a prevedere una adeguata corresponsabilizzazione finanziaria delle università per le attività assistenziali svolte dalle aziende ospedaliere universitarie (miste e Policlinici).

 Le Regioni, infine, sollecitano al Governo - già nella prossima Conferenza Stato- Regioni – la proposta di riparto per l’anno 2002 sulla base della ripartizione definita dalla Conferenza dei Presidenti nel dicembre 2001 a Perugia, che si allega.

       

 

Roma, 19 settembre 2002

 


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Verifica dei punti dell’Accordo 8 agosto 2001

       

Premessa

 

A più di un anno dall’Accordo sulla spesa sanitaria, le Regioni, con forte senso di responsabilità istituzionale, hanno portato avanti, sia pur con tempi e modalità diversi, un percorso virtuoso per il raggiungimento degli obiettivi concordati con il Governo nel suddetto Accordo.

        Il complesso delle Regioni ha risposto positivamente agli impegni programmati ed il sistema Regioni risulta aver rispettato il patto di stabilità interno.

        Tramite manovre differenziate, peculiari delle singole realtà locali, le Regioni hanno attuato misure di copertura  e di rientro dal  disavanzo che complessivamente assicurano la copertura dell’intero squilibrio finanziario dell’anno  2001.

        Forti ritardi si registrano, invece, sul fronte degli impegni del Governo: il ritardo nell’assegnazione di fondi già stanziati in precedenti Finanziarie nonché la mancata erogazione di risorse integrative ai fondi 2000 e 2001, cui si aggiunge la tardiva proposta di ripartizione delle risorse da destinare al servizio sanitario nazionale per il 2002, hanno comportato una grave situazione di liquidità delle Regioni. Il ricorso ad onerose anticipazioni di tesoreria da parte delle Aziende sanitarie ed gli interessi sul ritardato pagamento delle forniture incidono pesantemente sul volume di spesa complessiva: le Regioni hanno quantificato tali oneri e ne chiedono il rimborso.

        In questo contesto è venuto meno il principio fondamentale dell’Accordo: quello di dare “stabilità e certezza” al finanziamento del SSN per il 2001 e per gli anni successivi. La qualificazione del 2001 quale “anno zero” ha comportato, di fatto, una unilaterale assunzione di responsabilità, quella del sistema Regioni.

 

Punti specifici dell’Accordo

 

        Una rilettura dei punti concordati in sede di Accordo evidenzia una serie di criticità riscontrate nella fase attuativa che, in alcuni casi, hanno rischiato di compromettere il percorso comune concertato fra le Regioni. Inoltre  hanno creato situazioni di stallo e di ritardo dell’azione governativa  determinando condizioni non più sostenibili da parte delle Regioni.

 

        In particolare:

 

Per quanto attiene l’impegno del Governo ad integrare le risorse del FSN 2001, previsto ai punti 1 e 5, si evidenzia che – come rappresentato al Governo in note formali – si è registrata una diversa interpretazione e quantificazione della integrazione delle  risorse da parte dello Stato: 7157 mld di vecchie lire per le Regioni , che corrispondono alla differenza tra il fabbisogno 2001 deliberato dal Cipe e il fabbisogno riconosciuto in sede di Accordo; 6608 mld per il Governo, che ha previsto la partecipazione delle Regioni a statuto speciale per la piena  copertura del fabbisogno 2001 rideterminato.

Sempre in relazione all’integrazione per l’anno 2001, il Tavolo di monitoraggio istituito presso il Ministero dell’Economia per la verifica degli adempimenti regionali ( punti  2 e 15) ha concluso i suoi lavori ed il Ministero , di conseguenza, è nelle condizioni di assumere l’atto conclusivo del procedimento di verifica per l’insieme delle Regioni. Gli oneri relativi ad ogni ulteriore ritardo nell’erogazione, come già citato in premessa, vanno imputati “al livello istituzionale che li ha provocati”.

In merito alla questione più volte sollevata in sede di confronto con il Governo, relativa alla diversa quantificazione delle entrate proprie (punto 3) che concorrono alla copertura del fabbisogno a partire dal 2002, le Regioni  ribadiscono che tali entrate  devono essere quantificate “nella misura corrispondente all’importo considerato per la determinazione della copertura del fabbisogno finanziario 2001” attestandosi a circa 3838 mld di lire e non 4250 circa, come stimato dal Ministero.

In tale direzione la certezza delle risorse che le Regioni devono poter acquisire all’inizio dell’esercizio finanziario per poter pienamente esercitare l’azione di programmazione annuale, non è stata garantita (punto 4) .

Con la recente disposizione dell’art. 4 della L. 112/2002 , di estensione agli anni 2002, 2003 e 2004 della previsione normativa di cui all’art. 40 della Finanziaria 2002 relativo al rispetto degli adempimenti regionali previsti nell’Accordo ai fini del finanziamento del SSN, è venuta meno la certezza delle risorse anche nell’arco pluriennale. Si evidenzia ancora che a livello procedurale tale previsione normativa non è stata concertata con le Regioni; è stato pertanto modificato unilateralmente uno dei principi cardine dell’Accordo.

Per quanto riguarda la liquidazione del saldo riferito all’integrazione al FSN 2000 ( punto 7), si ritiene che la stessa debba avvenire in tempi rapidi, contestualmente alla comunicazione delle singole Regioni dell’avvenuta assunzione dei provvedimenti di copertura della quota di disavanzo posta a loro carico.

Le disposizioni  sul contenimento della spesa farmaceutica (punto 9) sono state adottate in ritardo o   non sono state ancora assunte ( prezzo di rimborso per categoria; riduzione del costo dei medicinali all’aumentare del fatturato; recepimento della proposta che definisce lo sconto per le farmacie rurali; norme sull’informazione scientifica; applicazione delle confezioni ottimali), determinando un risparmio inferiore a quanto ipotizzato al momento dell’Accordo.

Si sottolinea, riguardo ai rinnovi contrattuali per il personale dipendente, (punto 9) la mancata piena copertura degli incrementi contrattuali previsti nell’Accordo sul pubblico impiego del mese di febbraio 2002, anche tramite il DDL Finanziaria 2003.

Relativamente all’impegno del Governo ad attribuire alle Regioni autonomia  nel settore dell’organizzazione della Sanità (punto 9), le Regioni hanno più volte sollecitato, anche formalmente nei documenti della Conferenza dei Presidenti, l’attivazione di un Tavolo comune sull’attuazione delle modifiche al Titolo V della Costituzione, al fine di definire in un documento condiviso quali parti del Dlgs 502/92 e successive integrazioni e modificazioni, siano da considerarsi norme di principio fondamentali  e quali invece da riportarsi alla potestà legislativa e regolamentare delle Regioni. Tale proposta non ha avuto seguito da parte del Governo e, al contempo, si sono registrate iniziative ministeriali lesive dell’autonomia organizzativa delle Regioni ( a titolo esemplificativo si richiama la confusione procedurale e normativa che riguarda la costituzione e la conferma delle Aziende ospedaliere).

Sull’impegno previsto al punto 10, relativo alle misure di non assoggettabilità all’IVA dei contratti di fornitura di servizi delle Aziende sanitarie, nel richiedere un aggiornamento delle azioni intraprese, si ribadisce come l’IVA costituisca nel sistema sanitario un costo puro, che vanifica nella maggior parte dei casi i risparmi attesi dalle operazioni di esternalizzazione dei servizi.

Anche per quanto attiene la definizione degli strumenti atti a consentire una razionalizzazione delle risorse umane (punto 11) funzionali e di sostegno alle operazioni regionali di riorganizzazione dei servizi, al momento  non risultano adottati provvedimenti in materia.

Nessuna informativa è stata prodotta in merito alla possibilità di modificare la normativa vigente, in materia di capacità e forme di indebitamento da parte delle Aziende sanitarie (punto 12).

Nessuna iniziativa è stata adottata per definire (punto 13) la adeguata corresponsabilizzazione finanziaria delle Università  per le attività assistenziali svolte dalle Aziende ospedaliere universitarie (miste e policlinici). L’unica iniziativa ha riguardato il Policlinico Umberto I°  per il quale la Regione Lazio ha presentato il relativo Piano di risanamento. Resta ancora aperta la definizione della copertura dei disavanzi di tali aziende, per la parte non coperta dalle Regioni, certificata per il 2001 in oltre 800 mld di lire ( 490 circa per i Policlinici e 348 circa per le Aziende miste).

Il  DPCM  29 novembre 2001, che ha definito i Livelli Essenziali di Assistenza, (punto 15) è comunque entrato in vigore solo dal mese di marzo 2002: solo da quel momento è stato possibile per le Regione emanare i relativi provvedimenti attuativi. Il Tavolo di monitoraggio  sta procedendo alla verifica dell’impatto, anche finanziario,  dei LEA e si è in attesa di acquisire elementi conoscitivi utili per un’effettiva valutazione della congruità tra le prestazioni da garantire  e le risorse messe a disposizione.

In relazione alle risorse per il finanziamento dell’esclusività di rapporto del personale dipendente dagli IRCCS, ospedali classificati religiosi nonché della componente universitaria delle Aziende miste e dei Policlinici, le Regioni hanno definitivamente chiarito che  per l’anno 2001 i predetti oneri hanno già trovato copertura attraverso la remunerazione a tariffa DRG, o attraverso altre modalità riconducibili all’autonomia organizzativa regionale.  Per quanto riguarda gli anni 2002, 2003 e 2004, le Regioni sottolineano che l’Accordo prevede uno specifico finanziamento (punto 17) che è da intendersi come somma da attribuire alle Regioni interessate per la copertura, secondo autonome modalità,  dei predetti oneri. Il Ministero competente ha sostenuto una diversa posizione, anche con note formali, senza peraltro fornire una chiara definizione della questione.

 

Roma, 3 ottobre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Osservazioni e proposte di emendamento
al DDL di conversione del DL 15 aprile 2002,
 n. 63, concernente: “Disposizioni finanziarie e
fiscali urgenti in materia di riscossione,
 razionalizzazione del sistema di formazione
del costo dei prodotti farmaceutici,
adempimenti ed adeguamenti comunitari,
 cartolarizzazione, valorizzazione del patrimonio
 e finanziamento delle infrastrutture” per
gli aspetti relativi agli articoli 3 e 4 ,
recanti "razionalizzazione del sistema dei
 costi dei prodotti farmaceutici" e "concorso
delle Regioni al rispetto degli obiettivi di
finanza pubblica"

 

Punto 2) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni

 

La Conferenza permanente dei Presidenti  delle Regioni e delle Province Autonome propone le seguenti osservazioni ed emendamenti agli articoli 3 e 4 del D.L. n. 63/2002:

 

Articolo 3

 

Le Regioni chiedono al Governo:

 

di portare al 6% la riduzione del prezzo di vendita al pubblico dei medicinali prevista dal comma 1 .

di prevedere la seguente proposta di emendamento aggiuntivo “i provvedimenti della CUF diventano esecutivi solo a seguito dell'espletamento di una procedura certificativa, stabilita dalla Conferenza Stato - Regioni, che attesti il mantenimento dell'equilibrio economico - finanziario”;

di introdurre disposizioni normative al fine di prevedere un immediato adeguamento della copertura brevettuale alla normativa comunitaria con la rimodulazione del comma 8;

di stabilire una tempistica certa per la revisione dell’intera normativa che riguarda i meccanismi di determinazione del prezzo dei medicinali

di valutare l’opportunità di inserire ulteriori norme in grado di risolvere il contenzioso che si sta sviluppando in applicazione degli articoli 6 e 7 del D.L. n. 347 convertito nella legge n. 405 del 16 novembre 2001, nel pieno rispetto dell’accordo dell’8 agosto 2001;

di inserire disposizioni normative per l’attivazione dell’organismo di manutenzione dei LEA, prevedendo che i relativi provvedimenti siano assunti d’intesa con la Conferenza Stato Regioni e fermo restando quanto previsto dal punto 6 dell’Accordo Stato Regioni del 22 novembre 2001.

 

E’ stato inoltre chiesto  dalla Regione Marche di chiarire se l’articolo 3 comma 1è  riferito anche ai farmaci classificati H (ospedalieri).

 

In riferimento all’iter di conversione del Decreto Legge le Regioni:

 

-       Dichiarano che eventuali modifiche al testo in esame (diluizione temporale dell’adeguamento alla normativa europea, limitazione a soli otto mesi della riduzione del prezzo dei farmaci) tese ad attenuare l’impatto delle nuove misure sull’industria farmaceutica, in quanto attinenti ad aspetti generali di politica industriale e non di politica sanitaria, vanno quantificate in termini di costi finanziari da porre non a carico del fondo sanitario bensì di altre fonti di finanziamento più appropriate

 

Non ritengono accettabile l’inserimento di  norme che prevedano dirette segnalazioni da parte dei collegi sindacali o dei direttori generali delle aziende sanitarie o ospedaliere a Ministeri centrali senza il tramite delle Regioni, relativamente a scostamenti della spesa e dei relativi provvedimenti assunti.

 

Articolo 4

 

Le Regioni chiedono

di inserire disposizioni normative in grado di sbloccare i fondi relativi agli anni pregressi con acconti di importo pari al 100% per l’anno 2000 e al 50% per l’anno 2001, salvo i relativi conguagli, prevedendo inoltre una tempistica certa per la liquidazione del saldo da corrispondersi entro 30 giorni dalla certificazione regionale;

di inserire i seguenti comma aggiuntivi in materia di patto di stabilità:

“le disposizioni di cui al primo comma del presente articolo sono applicabili successivamente alle verifiche previste dal punto 15 dell’accordo Stato Regioni dell’8 agosto 2001”

“al comma 1 del DL 347 del 18.09.2001 convertito con la legge 405 del 16 novembre 2001 dopo le parole “Programmi comunitari” sono aggiunte le seguenti parole “delle spese finanziate con trasferimenti statali, “

“al comma 2 del DL 347 del 18.09.2001 convertito con la legge 405 del 16 novembre 2001dopo le parole “finanziamenti statali” sono aggiunte le parole “nonché quelle che per loro natura rivestono carattere di eccezionalità”

 

In occasione della espressione del parere sugli articoli 3 e 4 le regioni ritengono opportuno esprimere osservazioni anche in riferimento ai seguenti articoli 7, 8, 9.

 

Pur tenendo ferme le diversificate posizioni politiche sullo spirito ed i contenuti del provvedimento, nel merito si formulano le seguenti osservazioni concernenti le competenze delle Regioni in materia.

Gli articoli in questione dispongono circa il ricorso al mercato finanziario per il collocamento del patrimonio dello stato, per il finanziamento delle infrastrutture e per la cartolarizzazione di immobili.

Le Regioni osservano che all’articolo 7 sarebbe opportuno precisare che non possono essere trasferite al patrimonio della nuova S.p.A i beni demaniali da trasferirsi alle Regioni.

Nel merito della scelta dello Stato non vi sono osservazioni se non nella misura in cui tale iniziativa costituisca un precedente “attivabile” dalle regioni per il patrimonio di competenza e per le infrastrutture ad iniziativa propria, fruendo delle medesime condizioni di esenzione fiscale riservata allo Stato.

La Cassa Depositi e Prestiti e la futura società “Infrastrutture S.p.A.” potrebbero rivelarsi entrambe canali di finanziamento anche per opere regionali.

 

All’ articolo 9 la Regione Lazio chiede di aggiungere il seguente comma: “il termine del 30 giugno 2002, di cui all’articolo 90 della legge 23 dicembre 200 n.388, così come modificato dall’articolo 52 comma 53 della legge 28 dicembre 2001 n.448, è prorogato al 31 dicembre 2002 limitatamente ai processi di ristrutturazione dei sistemi sanitari regionali finalizzati alla razionalizzazione ed al contenimento della spesa sanitaria.”

 

In relazione a quanto sopra richiamato, si esprime parere favorevole condizionato all’accoglimento degli emendamenti richiesti in materia di rapporto della CUF e del nascente organismo di manutenzione dei LEA con la Conferenza Stato Regioni e in materia di patto di stabilità , con la raccomandazione di tener conto delle altre osservazioni e proposte di emendamenti.

 

Roma, 9 maggio 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Parere della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle province autonome in merito al disegno di legge di conversione in legge del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, recante “Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate” per gli aspetti relativi agli artt. 9, 10, 11, 13 (a.c. 2972)

 

Punto 3.1) O.d.g. Conferenza Stato Regioni

 

Le Regioni e le Province Autonome rilevano che la Camera dei Deputati ha già licenziato il provvedimento in oggetto in data 19 luglio 2002, pertanto la richiesta di parere è perciò tardiva e formale. Non può pertanto tacersi, la scorrettezza istituzionale del Governo, che è intervenuto anche su temi di esclusiva competenza regionale senza neppure un preventivo confronto con le Regioni che, nella loro autonomia, avrebbero potuto variamente intervenire. Le Regioni richiamano, inoltre, l’attenzione del Governo al rispetto del recente Accordo interistituzionale sottoscritto fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, che fa riferimento al principio di leale collaborazione fra i diversi livelli istituzionali, auspicando l’attivazione della Conferenza mista per definire l’impianto complessivo del federalismo fiscale di cui al titolo II punto 4 del citato Accordo, entro e non oltre la data del 30 settembre 2002.

 

Nel merito dei contenuti del provvedimento propongono le seguenti osservazioni:

       

in relazione all’articolo 9 (Finanziamento della spesa sanitaria e prontuario) le Regioni ritengono la formulazione dell’articolo coerente con le proprie considerazioni;

 

in relazione all’articolo 11 (Contributi per gli investimenti in agricoltura) che introduce modifiche all’art. 8 della legge 388/00, si osserva che limitare l’intervento a favore delle sole imprese che hanno presentato domanda ed ottenuto istruttoria favorevole ai sensi del regolamento comunitario 1257/99, in attuazione dei Programmi Operativi Regionali (POR) e dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR), non consente alle imprese che non hanno partecipato a tali bandi di poter accedere agli incentivi. La norma non assicura, quindi, un eguale trattamento a tutte le imprese che operano in agricoltura. In ogni caso si evidenzia che le risorse finanziarie messe a disposizione sembrano largamente sottostimate rispetto alle necessità: per l’anno 2002 sarebbero disponibili solo 85 mln di euro, che aumentano a 175 mln di euro per gli anni 2003 e 2004. In conclusione si ritiene opportuno estendere la possibilità di accesso al credito di imposta anche alle altre imprese agricole ed incrementare contestualmente la dotazione finanziaria;

 

in relazione all’articolo 13 (Disposizioni in materia idrica)

 

per quanto concerne il dettato del comma 4  si evidenzia il contrasto con le competenze regionali in materia di gestione delle risorse idriche. Vista l’Intesa interistituzionale sottoscritta il 20 giugno ultimo scorso, si chiede lo stralcio del comma in argomento;

in riferimento comma 6 dopo le parole “delle medesime provvidenze” si chiede di aggiungere la seguente proposizione: “o nelle aree delimitate da ordinanze ministeriali della Protezione Civile e da dichiarazione di calamità naturale con atti di declaratoria”;

ancora in riferimento comma 6 dopo le parole “sono concessi finanziamenti decennali a tasso agevolato” aggiungere le parole “tre anni di preammortamento”;

in riferimento alle disposizioni recate per sovvenire agli ingenti danni, causati dalla straordinaria siccità, alle imprese operanti nel settore agricolo e ai consorzi di bonifica, si osserva che le risorse finanziarie messe a disposizione risultano insufficienti ed inefficaci. Si rileva, altresì, che le risorse non possono in alcun modo essere ricercate esclusivamente nell’ambito delle risorse disponibili del MIPAF o dei trasferimenti già assegnati alle Regioni per compiti e funzioni a carico delle stesse. D’altra parte il sistema stabilito per l’accesso alle risorse prevede l’accensione di mutui da parte delle Regioni, le cui rate sarebbero pagate alle banche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. In questo modo si allungano le procedure di accesso alle risorse finanziarie, in quanto le Regioni devono attivare in tempi brevissimi le trattative con le banche disponibili a concedere il mutuo. Le imprese, in questo modo, potrebbero accedere alle provvidenze solo dopo l’accensione e la stipula del mutuo. Si rileva altresì che la legge 14 febbraio 1992, n.185 non è sufficiente per far fronte all’emergenza in atto, poiché non contempla interventi a favore dei produttori agricoli per le mancate produzioni non avviate a causa della carenza idrica. Inoltre si rileva che nessun intervento è previsto a favore delle imprese cooperative di lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli, che, a causa della siccità, non hanno potuto lavorare i quantitativi medi ordinari, per i minori conferimenti da parte degli associati, con impatto negativo sui costi fissi di gestione;

in riferimento al comma 8 si chiede una ristesura dell’articolo tale da consentire la quantificazione dell’onere conseguente al minore gettito conseguito dai consorzi di bonifica; tale onere non deve essere in alcun modo a carico delle finanze regionali;

si rileva, infine, che nel testo del provvedimento non si fa menzione della possibilità di intervenire con sospensioni degli oneri fiscali, contributivi e previdenziali per l’anno in corso e per l’anno 2003. Tali agevolazioni potrebbero risultare strumenti di maggiore efficacia per il ristoro dei danni prodotti dagli eventi calamitosi di cui sopra;

 

in relazione all’articolo 14 (Interpretazione autentica della definizione di “rifiuto” di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22) si ritengono necessarie alcune modifiche al testo, al fine di renderlo applicabile all’attuale situazione. L’approvazione del testo nell’attuale formulazione potrebbe attivare, secondo le Regioni, procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea;

 

in particolare al comma 1 lettera c), rispetto all’obbligo di disfarsi” di un materiale o altro rifiuto pericoloso, si ritiene non possa essere la sua “pericolosità” il solo presupposto dell’obbligo di disfarsene, esistendo anche cicli produttivi di riutilizzo diretto di materie pericolose; pertanto non si ritiene corretto l’obbligo di “disfarsi” di quei materiali che vengono riutilizzati in un flusso diretto produttore – riutilizzatore. Al contrario devono essere considerati “rifiuti” i materiali di scarto che necessitano di un trattamento specifico prima di poter essere riutilizzati. Si fa presente, inoltre che il citato allegato D è ormai superato. Infine si nota come si attribuisca ai termini “riutilizzo” e “recupero” una diversità di significato che operativamente non esiste. In conclusione si propone il seguente emendamento: art. 14 comma 1 lettera c): eliminare le parole “o dal fatto che i  medesimi siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto legislativo n.22”; 

 

in particolare al comma 2, non esistono, a parere delle Regioni, trattamenti, che non rientrano nell’allegato C del decreto legislativo 22/1997. Si propone, pertanto, il seguente emendamento:art. 14 comma 2: eliminare la lettera b).

 

Alla luce delle predette considerazioni le Regioni esprimono parere negativo salvo l’accoglimento degli emendamenti e delle raccomandazioni di cui sopra.

 

 

Roma, 25 luglio 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

 

Parere delle Regioni e delle Province autonome sul documento di programmazione economico finanziaria (Dpef) relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003 - 2006

 

Punto 2) O.d.g. Conferenza Unificata

 

Le Regioni rilevano in maniera critica che il Dpef 2003-2006 è stato loro reso disponibile con modalità e tempi che hanno reso impossibile una completa disamina dello stesso.

Pertanto, esse hanno potuto concentrarsi soltanto sulle questioni che maggiormente e direttamente impattano sul sistema di finanza regionale.

 

Ciò premesso, le regioni rilevano quanto segue.

 

Nel quadriennio 2003 – 2006 il DPEF presenta le seguenti linee di cui le Regioni prendono atto:

Una crescita del PIL reale effettivo del 2,9% per il 2003 e il 2004 e del 3% per i due anni successivi, ossia tassi di gran lunga superiori a quello che è stato rideterminato per il 2002 (+1,3 anziché 3,1 come programmato l’anno scorso nel DPEF 2002-2006).

Un indebitamento netto che si colloca al –0,8 del PIL ossia in linea con le scelte effettuate a Siviglia di avvicinare il pareggio nel 2003 e di raggiungerlo e superarlo negli anni successivi.

Un rapporto debito Pubblica Amministrazione su PIL che decresce fino a scendere con il 2004 sotto il 100.

Un’evoluzione positiva degli indicatori del mercato del lavoro (la disoccupazione scende dal 9,1 al 6,8 nel 2006 e il tasso di occupazione cresce dal 54,6 al 60 nel 2006).

Una riduzione della pressione fiscale dal 42,3 al 41,9 nel 2003 fino al 39,8 del 2006.

 

Il raggiungimento di questi risultati è secondo il Governo oltre che il frutto di un quadro macroeconomico internazione di netta ripresa (+3,0 i paesi OCSE rispetto a +1,8 del 2002, +2,8 i paesi UE a fronte di +1,3 del 2002) la conseguenza di azioni, riforme e progetti che riguardano l’economia (fisco, mercato del lavoro, previdenza, funzione pubblica) la società e le istituzioni (scuola, salute, ambiente, sicurezza, giustizia, devoluzione) e progetti di grande rilievo (infrastrutture, Mezzogiorno, sistema produttivo, innovazione tecnologica).

 

Le Regioni rilevano che il 2002 è stato un anno di profondo ridimensionamento, su scala internazionale, dei programmati obiettivi di sviluppo, tanto da lasciare ancora incertezze nelle dinamiche delle grandezze economiche e finanziarie così come sono state delineate nello stesso DPEF.

E’ indubbio che il peggioramento delle prospettive di sviluppo nel 2002 ha creato difficoltà nelle politiche di bilancio dei più grandi paesi dell’UEM come Italia, Francia e Germania, inducendo l’attenuazione, proclamata a Siviglia, delle strategie di rientro secondo i parametri del trattato di Maastricht.

Tutto questo ha allargato i margini di manovra riprofilando l’indebitamento netto al –0,8 del PIL anziché al pareggio come originariamente previsto nella nota integrativa e spostando tale traguardo al 2005.

Le Regioni, nel prendere atto che questo nuovo indirizzo consente al Governo di programmare con maggior respiro una politica di sgravi fiscali alle famiglie con redditi medio-bassi e alle imprese con  una riduzione dell’IRAP e dell’IRPEG, da concretizzare con la prossima legge finanziaria, si dichiarano d’accordo con questo orientamento, ma sottolineano come oramai sia abitudine ricorrente del Governo intervenire nella materia fiscale, anche di competenza regionale come l'IRAP e la tassa automobilistica, in maniera unilaterale e ribadiscono che tali manovre non debbono comportare, comunque, perdite di gettito di propria spettanza.

Questo atteggiamento che di per sé sarebbe stato già criticabile, lo è a maggior ragione nel nuovo contesto del Titolo V°. Le Regioni chiedono quindi che gli indirizzi sulla politica fiscale e sulla riduzione della relativa pressione vengano preventivamente concertati con le Regioni e le Autonomie Locali, che sono detentrici di potestà impositiva, affinchè l’ obbiettivo di riduzione della pressione fiscale sia effettivamente reale. In definitiva ogni programmazione di riduzione fiscale deve essere coerente e rapportato con l’intero sistema istituzionale che governa la leva fiscale.

In sostanza e nonostante la positiva intesa interistituzionale intercorsa tra Stato-Regioni ed Enti Locali, la questione del federalismo fiscale non pare ancora acquisita nei fatti dal Governo nella sua fondamentale importanza come dimostrano sia la riforma fiscale presentata in Parlamento sia le ricorrenti manovre finanziarie effettuate (2002) o programmate (2003). Le Regioni, nell’evidenziare che si tratta del primo DPEF dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione, precisano che questo loro parere è informato ad  un’ottica istituzionale coerente con il nuovo profilo che la riforma costituzionale ha configurato per l’autonomia regionale.

 

Analizzando più in dettaglio il quadro programmatico, si segnala che:

 

Il tasso di inflazione programmato è modulato nella misura del 1,4% per il 2003 quando per il 2002  è attualmente al 2,2%  nonostante che il DPEF 2002-2006 prevedesse una crescita per il 2002 dell’1,7% e per il 2003 dell’1,3%. Le Regioni richiamano quanto detto nel parere sul precedente DPEF, ossia che l’indicazione di un parametro comporta politiche coerenti con esso, determinando altrimenti criticità sulle conseguenti evoluzioni della spesa.

La spesa sanitaria nell’ultimo quadriennio pieno (1998-2001) è cresciuta in media del 7,4% l’anno con accentuazione nel secondo biennio (+8,8 medio annuo) mentre il PIL nominale è cresciuto con una media annua del 4,3%. L’andamento del 2001 presenta – secondo la Corte dei Conti – un extra deficit di circa 8.700 mld di lire che attesta la spesa 2001 a livelli prossimi agli stanziamenti 2002.

Poiché nel quadro tendenziale di finanza pubblica 2003-2006 la crescita dei consumi intermedi, nel cui aggregato è compresa la spesa sanitaria, è prevista pari al PIL nominale, ossia +4,4%, le Regioni rilevano come ancora una volta si sta programmando una previsione sottostimata della spesa, avuto riguardo ai trends che riguardano in particolare i rinnovi contrattuali.

 

Il federalismo e la devoluzione

 

La prevista manovra finanziaria su IRAP e tassa auto comporterà in primo luogo una necessaria ridefinizione delle aliquote del decreto legislativo 56/2000 che sostanzialmente si traduce in una quota della copertura finanziaria della spesa sanitaria, ove non sia addirittura necessario superare il modello introdotto prevedendone la modifica strutturale nell'ottica del più ampio processo di riforma federalista. Per le Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome tale manovra dovrà assicurare gli equilibri finanziari in conformità ai rispettivi Statuti e relative norme di attuazione., precisando che la Val d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano chiedono di rinegoziare ad un tavolo politico gli accordi intercorsi con il Governo e formalizzati con l’articolo 34 comma 3 della legge 23/12/1994, n. 724. Nel DDL La Loggia lo Stato avvia il trasferimento delle risorse umane finanziarie e strumentali a   decorrere dalla data di entrata in vigore della legge anziché dal 2003 come previsto dall'accordo inter - istituzionale con il Governo. Nel testo emerge già la decisione di  quantificare  le risorse "tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato per l'anno 2002" l'alternativa proposta della media delle risorse degli ultimi tre anni non viene presa in considerazione. Stante l'indeterminatezza dei tempi si pone il problema dell'aggiornamento della base di calcolo delle risorse prese a riferimento per la quantificazione. Inoltre, la copertura finanziaria è decisa con legge finanziaria statale ogni anno fino all'entrata in vigore delle norme relative all'art.119 anziché con la previsione di inserimento dei trasferimenti nel meccanismo di finanziamento del d.lgs.56/00. Il fatto di inserire i fondi in legge finanziaria è accettabile solo relativamente alla prima erogazione ma non per le successive in quanto ciò implica incertezza sulla quantità delle risorse e dipendenza dai tempi tecnici e politici del Governo e in sostanza un arretramento rispetto l'autonomia regionale finanziaria già riconosciuta dalla Costituzione. In ogni caso il sistema dovrà assicurare un trend crescente delle risorse, almeno del tasso previsto di incremento del PIL nominale. Le Regioni ribadiscono l'importanza dell'erogazione dei trasferimenti, dopo il primo anno, attraverso il sistema di compartecipazione al gettito dei tributi erariali (decreto legislativo 56/00) fino all'entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Le Regioni, nel riconoscere che il DPEF inizia a delineare la devoluzione nei settori della Sanità, della Sicurezza e dell’Istruzione, chiedono che venga altresì delineato un percorso condiviso che renda chiari i meccanismi del sistema di finanza regionale in applicazione dell’art. 119 della Costituzione.

Le Regioni chiedono che fin da adesso sia aperto il tavolo di confronto tra Governo e regioni sull’applicazione dell’articolo 119 che secondo le Regioni dovrà ispirarsi ai seguenti principi:

 

autonomia finanziaria di entrata e di spesa: affermazione del principio che le Regioni, in quanto equiordinate allo Stato e altrettanto dotate di potere legislativo, soggiacciono soltanto a norme aventi requisito di principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, non possono essere sottoposte al potere ispettivo dello Stato; abolizione dei vincoli di destinazione salvo quelli derivanti dai programmi UE, e da accordi  che costituiscano obbligazioni reciproche tra Stato e Regioni; introduzione di una norma transitoria circa la verifica delle partite finanziarie pregresse tra Stato e singole Regioni in maniera da rendere certi e veridici i residui e le economie vincolate, e circa le modalità e i tempi di erogazione delle risorse dovute dallo Stato;  indebitamento solo per spese di investimento ; oneri di indebitamento nei limiti di una capacità giuridica definita in rapporto alle entrate tributarie; esclusione della circolare e del regolamento come possibili strumenti formali di coordinamento e di indirizzo  dello Stato verso le Regioni in materia di entrata e di spesa; individuazione nell'Accordo sancito in Conferenza Stato- Regioni della fonte sostitutiva del regolamento e della circolare;

coordinamento finanza pubblica : affermazione del principio e del metodo del confronto tra Stato e Regioni per il raggiungimento dei comuni obbiettivi nel quadro del Patto di stabilità; indicazione del DPEF come contenitore degli indirizzi economici e finanziari per la programmazione dello Stato e delle Regioni con particolare riguardo alla politica fiscale, all'equa ripartizione dei vincoli derivanti dal Patto di stabilità, alle politiche di spesa con obbligo di indicazione del rapporto tra spesa sanitaria e PIL; indicazione della "legge di stabilità" come strumento per normare quanto indicato nel DPEF, con esclusione quindi di norme unilaterali e improvvise nel corso dell'anno; monitoraggio concordato della spesa corrente e di investimento e messa a disposizione reciproca dei dati;

 coordinamento del sistema tributario: affermazione del principio che le Regioni stabiliscono tributi propri su basi imponibili non toccate da imposizioni statali, indicazione dei tributi erariali sui quali le Regioni possono avere addizionali in base a specifiche leggi dello Stato, indicazione di altri tributi erariali sui quali le Regioni possono esercitare una loro capacità impositiva, indicazione dei tributi erariali compartecipati, attribuzione alle Regioni della competenza sulla finanza locale e principi di esercizio, determinazione dei principi generali entro cui la legge regionale può disciplinare i tributi locali, monitoraggio concordato delle entrate e messa a disposizione reciproca dei dati, agenzie fiscali come centri di servizio tributari di Stato, Regioni ed Enti locali

abolizione di tutti i trasferimenti erariali a favore delle Regioni a statuto ordinario, ad eccezione di quelli relativi al cofinanziamento dei programmi UE, di quelli previsti dagli accordi di programmazione negoziata, nonché degli interventi speciali ex art. 119 ; abolizione delle aliquote di compartecipazione ai tributi erariali stabiliti dalla legge 549/1995 come modificata dall'art.17 della legge 449/1997 (accisa benzina lire 242 al litro), dal DLGS 446/1997 (addizionale Irpef 0,5%), dal DLGS 56/2000 (addizionale Irpef 0,4%, Iva nell'aliquota al momento vigente, accisa benzina lire 8 al litro);

sostituzione dei trasferimenti e delle compartecipazioni di cui alla lettera d) con: aliquote di compartecipazione ai grandi tributi erariali Irpef, Iva, Irpeg;

in previsione della soppressione parziale o totale dell'Irap sua sostituzione, ai fini della stabilizzazione delle risorse,  con aliquote di compartecipazione ai grandi tributi erariali Irpef, Irpeg, Iva in aggiunta a quanto previsto alla lettera e), e, ai fini del recupero della soppressa capacità impositiva sull'Irap, individuazione di una specifica area di imposizione

determinazione delle esatte misure delle aliquote di compartecipazione ai grandi tributi erariali Irpef, Irpeg, Iva in maniera da assicurare la copertura complessiva dei trasferimenti aboliti, la copertura complessiva delle aliquote di compartecipazione previgenti, la copertura complessiva del minor gettito derivante dalla soppressione parziale o totale dell'Irap

previsione di meccanismi perequativi a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante, incentivando la capacità di recupero dell'evasione fiscale e l’incremento delle proprie basi imponibili, e salvaguardando il principio del finanziamento delle funzioni con il gettito dei tributi raccolti sul territorio, riconoscendo alle Regioni la competenza ad esercitare la funzione di perequazione a favore dei territori con minore capacità fiscale in ambito infraregionale;

previsione di un fondo perequativo nazionale finanziato attingendo alla compartecipazione all'Iva di cui alla lettera f

previsione, inoltre, di un eventuale periodo transitorio non superiore ad un triennio nel quale la perequazione possa anche tener conto della spesa storica al fine di consentire a tutte le Regioni a statuto ordinario di svolgere le proprie funzioni e di erogare i servizi di loro competenza ai livelli essenziali

previsione di un fondo speciale dello Stato per destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di Regioni (oltre che di Comuni, Province, Città metropolitane come previsto dall'art. 119) per promuovere lo sviluppo economico, la coesione, e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri socioeconomici;

estensione alle Regioni della esenzione fiscale per le operazioni di trasformazione e soppressione di enti pubblici, di organizzazione della gestione di funzioni che preveda la costituzione di società, di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico ivi inclusa la costituzione di specifiche società

previsione di assicurare da parte dello Stato la continuità dell' intervento di riduzione dell'accisa della benzina nelle zone di confine, ove questo sia in corso, a seguito dell'abolizione della compartecipazione all'accisa sulla benzina delle Regioni a statuto ordinari

definizione delle modalità attraverso le quali le Regioni e gli Enti locali siano coinvolti nella predisposizione dei provvedimenti attuativi, nel processo di individuazione dei trasferimenti erariali e delle compartecipazioni tributarie da abolire e da sostituire con nuove aliquote di compartecipazione ai grandi tributi erariali Irpef, Irpeg, Iva e nel processo di determinazione e di ripartizione del fondo perequativo, nella predisposizione della disciplina relativa

 

La riforma tributaria

 

Le Regioni, nel ribadire quanto già indicato nel parere espresso sul disegno di legge delega in materia tributaria, ricordano che l'eventuale abolizione dell'IRAP deve corrispondere all'istituzione o sostituzione con un’ imposta con pari gettito fiscale e con pari possibilità di manovra di aliquota e base imponibile per le Regioni. Non si può pensare di abolire un tributo regionale sostituendolo con trasferimenti.

 

La neutralità fiscale

 

Le Regioni avanzano le seguenti richieste:

 

applicazione anche alle Regioni dei benefici fiscali della legge 410/2001: il parere dell'Agenzia delle Entrate sul tema della esenzione fiscale del trasferimento dei beni ferroviari di cui all'art.8 del d.lgs.422/97 non è infatti sufficiente a risolvere la questione sulla possibilità di esenzione fiscale in operazioni di trasformazione di enti e di valorizzazioni del patrimonio;

modifiche al regime fiscale IVA sanità: l’IVA sugli acquisti costituisce un costo puro, a causa della non deducibilità della stessa, in quanto di fatto gli operatori sanitari sono considerati consumatori finali e come tali sono i soggetti su cui va a gravare l’imposta poiché i servizi prestati sono in regime di esenzione dall’IVA. Per favorire il contenimento della spesa sanitaria e le operazioni riorganizzative evitando aggravi di costi, occorre quindi: verificare i profili fiscali connessi prevedendo una disciplina di esenzione dall'IVA delle operazioni a carattere sanitario sopra indicate; rendere fiscalmente neutro il trasferimento di beni e l'esternalizzazione di servizi in capo a nuovi soggetti costituiti nell'ambito di riorganizzazioni del Servizio sanitario.;

la previsione dell’IVA sulle locazioni degli immobili strumentali alle attività esenti o escluse dall’imposta (istruzione, formazione, sanità e assistenza) viene a costituire un costo puro per le aziende – previsione introdotta con l’art. 35 bis, del DL 2 marzo 1989, in contrasto peraltro con la Direttiva comunitaria. Da segnalare inoltre che sugli immobili destinati all’attività sanitaria si applica una tassa sul reddito figurativo in percentuale della rendita catastale, che penalizza fortemente l’erogatore pubblico e/o privato non profit.In questa ottica ne andrebbe sterilizzato l’impatto

il regime fiscale del trasferimento di beni e dell’esternalizzazione di servizi in capo a nuovi soggetti costituiti nell'ambito di riorganizzazioni nel Servizio Sanitario Regionale ein altri ambiti di competenza regionale. A tal fine può trarsi ispirazione dall'art.90 della legge 23/12/2000 n.388 (legge finanziaria 2001) per rendere permanente ed esteso un regime fiscale agevolato, ossia non limitato al 31/12/2001, non limitato alle sperimentazioni gestionali, non limitato alle sole imposte ivi menzionate.

Adeguato finanziamento, a carico del bilancio dello Stato, del capitolo relativo alla erogazione a favore degli Enti emittenti del 50% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva (12,5%) che grava sugli interessi percepiti dai sottoscrittori delle obbligazioni (L. 724/94 – art. 35 e Dlgs 239/96 – art. 1 – comma 2).

 

Patto di stabilità

 

Data la rilevanza strategica dell'obiettivo di risanamento della finanza pubblica e dell'importanza del concorso del comparto regionale, si richiede la partecipazione delle Regioni a ogni decisione relativa agli obiettivi e ai metodi di calcolo sulla rilevazione dei dati per il Patto di stabilità.

Il sistema delle Regioni ha sempre rispettato i dettami del Patto di stabilità interno nonostante che i limiti si siano fatti sempre più stringenti fino a raggiungere con il 2002 e per gli anni successivi la forma del tetto alla crescita della spesa corrente secondo i tassi di inflazione programmata, e quindi con una riduzione reale.

Le Regioni hanno presentato in occasione del parere sul DL 63/2002 nella Conferenza Stato-Regioni del 9.5.2002 proposte di emendamento alle norme sul patto di stabilità (art. 1 della L. 405/2001) in maniera da escludere dai vincoli del Patto stesso le spese finanziate con trasferimenti statali e quelle che per loro natura rivestono carattere di eccezionalità. Poiché gli emendamenti proposti non hanno trovato accoglimento da parte del Governo in sede di esame del DL 63/2002, le Regioni chiedono che essi siano inseriti in altro provvedimento di legge.

Le Regioni in ordine alla strategia di contenimento della spesa corrente, per cui l’obiettivo programmatico migliora di 8,2 miliardi di euro rispetto al tendenziale, in mancanza di specificazioni su quali settori inciderà la manovra, esprimono, anche per le considerazioni dette a proposito di spesa sanitaria, le proprie preoccupazioni in merito.

 

La questione sanità

 

L’accordo dell’agosto 2001 tra Governo e Regioni sulla spesa sanitaria ha significato per le Regioni un incremento delle risorse per il periodo 2001-2004 superiore a quanto previsto in precedenza (accordo agosto 2000, legge finanziaria 2001), ma comunque non ancora allineato al fabbisogno nel frattempo alimentato sia da incrementi della spesa farmaceutica originati anche dall’eliminazione del ticket, sia dalla dinamica della spesa di personale. Valgono al riguardo le segnalazioni della Corte dei Conti al Parlamento soprariferite.

Le Regioni ritengono che l’obiettivo di dare stabilità, certezza e congruità ai finanziamenti per il servizio sanitario non è ancora stato raggiunto sebbene le Regioni abbiano fatto fronte alle loro responsabilità.

Lo Stato pertanto non può considerare esaustivo il livello di finanziamento indicato nell’accordo dell’8 agosto 2001 e ribadito nel DPEF 2003-2006, pari per il 2002 a lire 144.376 miliardi, per il 2003 a lire 150.122 miliardi, e per il 2004 a lire 155.871 miliardi cui si aggiungono risorse di L. 2000 miliardi per ciascuno degli anni 2002 e 2003, e di L. 1500 miliardi per il 2004. Infatti come ha rappresentato la Corte dei Conti nei referti al Parlamento già nel 2001 si sono raggiunti livelli di spesa pari circa allo stanziato per il 2002. Su questo esercizio, a parte l’effervescenza della spesa farmaceutica, si stanno scaricando oneri aggiuntivi di spesa relativi al contratto di lavoro nonché per la riduzione delle liste di attesa.

Il livello di finanziamento a carico dello Stato per ciascuno dei tre anni dovrà essere riverificato sulla base del lavoro dei tavoli di monitoraggio e verifica sui livelli essenziali di assistenza effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti articolati per fattori produttivi e responsabilità decisionali.

Già  da ora le Regioni evidenziano che il principio di ancorare il finanziamento pubblico della sanità al PIL nominale, affermato nell’accordo dell’8 agosto 2001, deve trovare una più congrua esplicitazione intorno a livelli più allineati a quelli di altri paesi dell’Unione Europea, e comunque in misura non inferiore al 6 per cento.

Infatti, se è vero che il DPEF prefigura azioni di utilizzo di leve già adottate (controlli, e-procurement, ruolo CONSIP), e forme di contenimento ulteriore dei consumi di farmaci (nuovo prontuario), le Regioni, con riferimento alle azioni di controllo e di razionalizzazione dell’acquisto di beni e servizi, ritengono che tali azioni rientrino nella loro sfera di competenza e le stanno già attivando, in base al principio di responsabilità amministrativa e politica. Le regioni ritengono che questi interventi non siano completamente risolutivi del problema del finanziamento della spesa sanitaria che, negli ultimi due anni rendicontati (2000 e 2001) ha prodotto un incremento medio annuo dell’8,8%.

 

Le Regioni, nell’ esprimere apprezzamento per l’impegno del Governo a sostenere il completamento del processo di trasferimento alle stesse delle funzioni di gestione e di organizzazione della Sanità, chiedono che nella stesura definitiva del testo venga, anche sul piano terminologico, pienamente rispettata l’effettiva portata della riforma del Titolo V della Costituzione.

        In particolare si sottolinea come le attività di indirizzo e coordinamento dello Stato possano riguardare solo l’aspetto relativo ai Livelli Essenziali di Assistenza, in quanto nella più generale materia della tutela della salute, oggetto di competenza legislativa concorrente, ogni potestà regolamentare è riservata alle Regioni.

Una notazione specifica va fatta a proposito della prospettata necessità di procedere all’attuazione della legge 368/1999 per l’attivazione dei contratti di formazione lavoro per i medici specializzandi. Le Regioni ovviamente esprimono accordo ma richiedono che i costi incrementali derivanti da tale attivazione – pari a circa 100 milioni di euro annui – siano almeno in parte coperti con fondi aggiuntivi rispetto a quello previsti dall’ Accordo dell’8 agosto 2001.

Sugli esercizi 2001 e precedenti (addirittura fino al 1994) le Regioni sottolineano i ritardi del Governo nella erogazione delle risorse. Mentre ancora non sono state erogate completamene le risorse stanziate per il periodo 1994-1999, il DL 63/2002 dispone l’erogazione del 50% (697,2 milioni di euro pari a 1350 miliardi di lire) riferiti al 2000, e il 25% (853,17 milioni di euro pari a 1652 miliardi di lire) riferiti al 2001.

Questo acuisce la crisi di liquidità in cui versa il sistema sanitario pubblico, espone le Regioni ad un contenzioso sempre più pesante e ad oneri finanziari aggiuntivi per interessi e spese legali, e pone difficoltà alle politiche di contenimento dei costi per acquisto di beni e servizi.

Poiché gli emendamenti proposti dalle Regioni volti ad ottenere la liquidazione dell’intero importo 2000 (1394,4 milioni di euro) e del 50% dell’importo 2001 (1706,3 milioni di euro) avanzati nella Conferenza Stato Regioni del 9.5.2002 non hanno trovato accoglimento da parte del Governo in sede di esame del DL 63/2002 da parte del Parlamento , chiedono al Governo di farsi carico del problema nella prossima legge di assestamento del bilancio 2002.

 

La casa e le infrastrutture

 

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonché in quello sulla legge  finanziaria 2001 e nel parere sull’intesa della Conferenza Unificata di cui all’art. 64 del D.lgs 112/1998, le Regioni avevano richiesto l’impegno del Governo a finanziare per il futuro l’edilizia residenziale pubblica, competenza trasferita alle Regioni dal D.lgs 112/98 con almeno 1.100.053.195,06 euro (2130 mld di lire) l’anno che equivalgono alla media dei finanziamenti assicurati al settore dallo Stato nel triennio di riferimento per la spesa storica 1995/1997. Le Regioni chiedono inoltre che vengano distribuite alle stesse per i loro interventi di politica abitativa, le risorse del bilancio dello Stato sull’edilizia residenziale pari a residui passivi per circa 570 milioni di euro (1.100 miliardi di lire circa).

Allo scopo di contenere la spesa corrente, le Regioni richiedono che in attuazione della L.133/99 e della L. 388/2000 venga adottato il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze che stabilisce il tasso di riferimento per la rinegoziazione dei mutui in edilizia residenziale. Nelle more di detto provvedimento le Regioni continuano a sostenere spese per contributi in c/interesse in misura superiore a quanto risulterebbe ai tassi di mercato e alle norme sui tassi usurari.

 

IVA trasporti

 

Il d.lgs.56/2000 conferisce alle Regioni una compartecipazione IVA sostitutiva di trasferimenti. Nel 2001 la compartecipazione è stata attribuita per €27.437.805.677,94 (53.127 mld di lire) corrispondenti al 38,55%  del gettito IVA 1999.

Le Regioni attivando i contratti di servizio del Trasporto Pubblico Locale in base alla legge 422/97 pagano l'IVA sui contratti che affluisce alle casse dello Stato (gettito stimato in € 568.102.589,00 (1.100 mld di lire).

Le Regioni hanno ottenuto il recupero dell'IVA attraverso il d.lgs.472/99 che ha previsto allo scopo maggiori contributi statali a favore delle Regioni; tuttavia non viene restituita l'intera somma ma viene operata una decurtazione del 38,55% pari alla quota di compartecipazione IVA di tutte le Regioni  e del 10% per la quota spettante all'UE.

La trattenuta del 38,55% è assolutamente infondata perché le Regioni dalla compartecipazione IVA non hanno ricevuto risorse aggiuntive ma solo risorse sostitutive di trasferimenti statali soppressi di pari ammontare. Le Regioni chiedono che venga assicurato loro il recupero dell'IVA senza la decurtazione del 38,55%. Al riguardo sono già state fornite prime assicurazioni da parte dello Stato. Occorre che adesso seguano atti formali per consentire alle Regioni di procedere alla sistemazione della partita finanziaria nei loro bilanci assicurando la piena e rapida efficienza gestionale.

 

Riduzione gettito accisa sulla benzina

 

Con il collegato alla legge finanziaria 1998, venivano apportate modifiche alle finanze regionali prevedendo un aumento del gettito delle tasse automobilistiche dovuto al cambiamento di calcolo basato non più sui cavalli fiscali ma sulla potenza effettiva dei veicoli e la contestuale riduzione della quota di accisa sulla benzina spettante alle regioni a statuto ordinario a 242 lire al litro: l'articolo stabiliva un'equivalenza tra il gettito delle nuove tasse automobilistiche e la riduzione dell'accisa.

Nei fatti la manovra statale si è concretizzata in una sottrazione di entrate per le regioni, in parte ripianata a seguito dall'attività svolta dal gruppo di lavoro Regioni - Ministero delle Finanze, che ha portato al riconoscimento di una perdita annua per le regioni di € 342.582.904,24 (lire 663.333.000.000) fino al 2000.

Dal 2001 e per gli anni seguenti manca il provvedimento legislativo per la copertura di queste perdite.

Inoltre, le Regioni hanno accertato perdite di entrata in continua crescita a causa del trend in diminuzione dell'accisa sulla benzina e della crescita minima del gettito delle tasse automobilistiche.

Diventa necessario costituire, come già avvenuto nel 1999, un tavolo di lavoro Stato -  Regioni per l'aggiornamento e il riconoscimento di risorse compensative per queste minori entrate.

 

Contratto autoferrotranvieri 2000-2003

 

A novembre del 2000, le Regioni e le Autonomie Locali hanno sottoscritto con i Ministeri del Lavoro e dei Trasporti un protocollo d'intesa al fine di assicurare la copertura finanziaria degli oneri legati al rinnovo del CCNL autoferrotranvieri e per permettere la chiusura delle trattative sindacali. Nel protocollo si prevedeva l'impegno dei sottoscrittori ad affrontare congiuntamente i problemi delle dinamiche contrattuali oltre il 2001. Infatti, la copertura prevista dal Governo per il contratto per il 2001 è solo parziale (art.145, comma 30 legge 388/00) e la quota a carico delle Regioni è di € 41.833.008,83 (81 mld.di lire).

Per gli anni 2002 – 2003, venendo a mancare l’intervento dello Stato  l’onere complessivo per le Regioni è stimato in oltre € 211.747.328,63 (410 mld di lire) - effetti del I biennio. Questo importo non tiene conto dei maggiori oneri legati alla rinegoziazione economica del II biennio del contratto.

È necessario che il Governo provveda ad assicurare la copertura del contratto per la sua parte concordando con le Regioni anche la parte a loro carico.

 

Decentramento amministrativo ex legge 59/1997 e DLGS 112/1998

 

Le Regioni riaffermano di voler essere protagoniste del confronto sul processo di riforme costituzionali e federaliste. Per quanto concerne il federalismo amministrativo (decentramento Bassanini) occorre che il confronto Governo-Regioni risolva definitivamente questioni di carattere finanziario e organizzativo che incidono pesantemente sull’esercizio delle competenze trasferite alle Regioni e agli Enti locali, tenuto conto che in molte Regioni risultano criticità per quanto concerne specifiche materie peculiari di ciascuna realtà.

 

In conclusione le Regioni sanno di aver posto sul tappeto, con queste loro osservazioni, una serie di questioni cruciali circa l’impostazione del rapporto Stato Regioni e la struttura della prossima finanziaria, e si aspettano, anche alla luce delle modifiche del Titolo V della Costituzione, risposte puntuali dal Governo e dal Parlamento.

 

Su tutte le questioni finanziarie rimaste aperte fra Governo e Regioni, ivi comprese quelle relative al decentramento Bassanini, si allegano al presente documento le specifiche tabelle riepilogative per materia.

 

Roma, 11 luglio 2002

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabelle riepilogative delle questioni finanziarie aperte

 

 

 


 

 

Entrate e flussi finanziari

 

 

 

1

Minori entrate dovute alla diminuzione dell’aliquota sull’accisa della benzina non compensate dall’aumento del gettito della tassa automobilistica.

 

€ 345,582 milioni (663.333 milioni di lire). Lo stanziamento  per la copertura delle minori entrate dovrà essere rivisto alla luce dei nuovi dati raccolti sui gettiti di accisa e tassa automobilistica per il 2000 e 2001.

La legge finanziaria 2001 (art.52, comma 9) riconosce le perdite per gli anni 1999 e 2000.

Nessuna posizione per il riconoscimento delle perdite dal 2001 in poi.

 

Ottenere la norma di legge per la copertura delle minori entrate del 2001 (La copertura è prevista in tab.A della legge finanziaria 2002 per il 2003) .

Ottenere l'impegno per la costituzione di un tavolo di lavoro Stato - Regioni per la rideterminazione delle minori entrate, sulla base della nuova ricognizione in corso tra le regioni.

Ottenere l’impegno del Governo a modificare le aliquote del d.lgs.56/00 stabilizzando gli importi nelle entrate regionali a partire dal 2002.

Vedi anche punto 3.

2

Applicazione del d.lgs.56/2000

€ 29.260,382 milioni (56.656 mld di lire  per il 2001)

 

 

Impegnare il Governo a rendere disponibili i dati dei gettiti tributari;

Provvedimenti legislativi per fiscalizzazione nel 2002 delle minori entrate tassa autom. - accisa;

Adeguamento aliquote a regime per tener conto del FSN capitale previsto per il 2003 per un importo più alto.

3

Tesoreria

Con l'art. 66 della legge 23/12/2000 n.388 si è ridotta ulteriormente l’autonomia finanziaria regionale a causa dell’azzeramento di fatto delle giacenze fruttifere e dei relativi interessi attivi.

Pubblicazione della circolare. Il nuovo sistema decorre dal 1 marzo 2001.

Richiedere il superamento della Tesoreria Unica

Chiedere la modifica della normativa per consentire di effettuare pagamenti e incassi "per valuta" sulle disponibilità di tesoreria regionale.


 

 


 

 

Entrate e flussi finanziari

 

 

 

4

Patto di stabilità interno

 

Art.1 legge 405/2001: regole per il patto di stabilità per il 2002;

D.L.63/02: estensione al 2003 e 2004 delle regole per il patto previste per il 2002 dalla legge 405/01;

Emissione di un DM NON CONCORDATO CON LE REGIONI per gli adempimenti 2002.

Sono stati presentati emendamenti al D.L.63/02 all'art.4 e all'art.1 della legge 405/01 (circa le spese da non considerare nel patto). Non sono stati accolti.

Necessità di verifica con le Regioni sul modello 2002 predisposto dal Ministero (voci di spesa troppo dettagliate)

5

Decreto legge 63/2002 convertito in legge 112/2002

 

All'art.1, comma 2, è prevista l'applicazione a tutti gli enti territoriali delle modalità di riscossione delle imposte con D.M. ;

art.3: costi dei prodotti farmaceutici

art.4: estensione al 2002, 2003 e 2004 dell'art.40 della legge finanziaria 2002, in caso di inadempimento regionale il livello di finanziamento del SSN torna ad essere quello dell'accordo del 2000;

Art.4 bis: copertura del SSN anni 2000 e 2001

Art.1 . invasivo della competenza regionale (art.117 della Costituzione)

Art.3: riduttivo degli effetti di risparmio delle spese farmaceutiche;

Art.4 richieste:

per la soppressione del riferimento all'anno 2002;

inserimento di un secondo comma per l'applicazione immediata dell'accordo dell'8 agosto 2001;

emendamento all'art.1 DL.347/01 convertito in L.405/01;

confronto con il Ministero sul modello patto di stabilità 2002 predisposto dal Ministero senza la consultazione delle Regioni.

Art.4 bis: le Regioni hanno richiesto il pagamento per il 2000 del 100% dello spettante a fronte del 50% previsto dal DL; per il 2001 l'erogazione è del 25% contro la richiesta regionale del 50%


 

 

6

Trasformazione e soppressione enti pubblici

 

Agevolazioni previste nella legge finanziaria 2002 (legge 448/01 art.28, comma 7)

Occorre chiarire che la non rilevanza ai fini fiscali prevista dal comma 7 dell'articolo 28 della legge 448/2001, come del resto desumibile dal comma 10 dello stesso articolo, riguarda anche le operazioni di conferimento di beni della Regione o dei propri enti in sede di trasformazione o costituzione di società o altri soggetti con personalità giuridica.

. La nota dell’Agenzia delle Entrate del  24/5/2002 è un passo avanti  ma occorre ottenere per le Regioni un trattamento analogo a quello che lo Stato riserva in operazioni del genere per se e per le proprie agenzie come ad esempio per Ferrovie dello Stato Spa.


 

 

 

Entrate e flussi finanziari

 

 

 

 

Sanità

 

 

 

7

FSN in conto capitale

€ 77,469 milioni (150 mld  di lire)

Incluso nel d.lgs.56/00

L’importo previsto per il 2001 è stato ridotto di 100 mld rispetto all’anno 2000. (Dal 2001 il trasferimento è sostituito con compartecipazioni erariali  - d.lgs.56/00).

Tenere conto del maggiore importo previsto nel 2003 in finanziaria €219.494.182,11 (425 mld) in fase di rideterminazione delle aliquote del d.lgs.56/00

8

Modifiche del regime fiscale in sanità

Non deducibilità dell'IVA sugli acquisti;

applicazione dell'IVA sulla locazione degli immobili strumentali;

regime fiscale del trasferimento dei beni e dell'esternalizzazione dei servizi.

Solo per le sperimentazioni gestionali è stato previsto un regime fiscale agevolato art.90, legge 388/00.

Può trarsi ispirazione dall'art.90 della legge 23/12/2000 n.388 (legge finanziaria 2001) per rendere permanente ed esteso un regime fiscale agevolato, ossia non limitato al 31/12/2001, non limitato alle sperimentazioni gestionali, non limitato alle sole imposte ivi menzionate.

Per favorire il contenimento della spesa sanitaria e le operazioni riorganizzative evitando aggravi di costi, occorre quindi:

verificare i profili fiscali connessi prevedendo una disciplina di esenzione dall'IVA delle operazioni a carattere sanitario sopra indicate;

b) rendere fiscalmente neutro il trasferimento di beni e l'esternalizzazione di servizi in capo a nuovi soggetti costituiti nell'ambito di riorganizzazioni del Servizio sanitario.

 

Trasporti

 

 

 

9

IVA su contratti di servizio per il  trasporto pubblico.

 

Pubblicazione del decreto (22/12/00) del Ministero dell’Interno.

Operata la riduzione del 10% per l'IVA UE e del 38,55% per l'IVA compartecipazione regioni con decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze del 20/12/01

Richiesto più volte al Governo di riesaminare l’intera questione modificando la L.472/99 o comunque assicurando alle regioni e EELL la totale copertura degli oneri IVA sui contratti.

Definire inequivocabilmente che dai rimborsi IVA sui contratti di trasporto pubblico non deve essere scorporata, almeno nel periodo transitorio, la quota di compartecipazione IVA, 38,55%, riconosciuta alle Regioni ai sensi del D.lgs.56/00, finalizzata a compensare le soppressioni dei trasferimenti statali relativi a materie che non attengono ai trasporti. È stato proposto un emendamento alla legge 472/99.

È stato ribadito dalle Regioni la non applicabilità della decurtazione nella riunione tecnica del 14 maggio 2002. In attesa di risposta dal Ministero dell'Economia e delle finanze. A parere della Presidenza del Consiglio è una questione politica.

Anche tali contributi erariali aggiuntivi dovrebbero a regime essere completamente fiscalizzati nel 56/2000.

‘E stata assicurata da parte dello Stato la sistemazione della pendenza relativa alla trattenuta del 38,55%. Occorre che seguano atti formali per consentire alle Regioni di procedere alla sistemazione della partita nei loro bilanci e assicurare la rapidità e l’efficienza gestionale


 

 

 

Entrate e flussi finanziari

 

 

 

10

Trasporti – spese contrattuali auto-ferro-tranvieri 2000-2003

La copertura prevista dal Governo per il 2001 è solo parziale (art.145, comma 30 legge 388/00). La quota a carico delle Regioni per il 2001 è di € 41,833 milioni (81 mld di lire).

Per gli anni 2002 – 2003, venendo a mancare l’intervento dello Stato  l’onere complessivo è stimato in oltre € 211,747 milioni (410 mld . di lire) (effetti del I biennio). Questo importo non tiene conto dei maggiori oneri legati alla rinegoziazione economica del II biennio del contratto.

 

 

Necessità di individuare, anche nell’ambito del Tavolo del Federalismo fiscale, nuovi cespiti di autonomia finanziaria a disposizione delle Regioni per la copertura dei maggiori oneri previsti per il biennio 2002 – 2003, quantificati in circa 410 mld., oltre agli effetti del II biennio contrattuale.

 

Questioni pregresse

 

 

 

11

Apprendisti artigiani

 

L’Inail non ha dato il proprio formale nulla osta  sulla ipotesi di schema elaborato dalle Regioni e sul quale c’è l’assenso dell’Inps.

Occorre far fronte immediatamente a questa vertenza  che provoca il ricrearsi di debiti pregressi nei confronti dell’INPS e INAILcon l’aumento ingiustificato  dei residui passivi regionali.


 

 

12

Anagrafe tributaria

 

Il D.M. previsto dall’art.23 del d.lgs.446/97, per l’accesso telematico alle informazioni delle dichiarazioni IRAP e altri tributi, è stato approvato dal Dipartimento delle Politiche fiscali ma è fermo per divergenze con l'Agenzia delle Entrate.

Occorre un intervento di carattere politico presso il Ministero dell'Economia e delle finanze per sbloccare il DM.

Occorre al più presto la disponibilità dei dati per governare il quadro della finanza regionale alla luce del 56/2000.

Al momento sono disponibili i dati dei versamenti ma non sono sufficienti.


 

 


 

 

DPCM Bassanini

 

 

 

 

1

Ambiente

 

Nel parere espresso sul D.P.C.M. chiedono che i 206.582.759,64 € (400 mld di lire) previsti fino al 2002 dalle delibere CIPE sulle aree depresse siano confermati anche per il futuro per gli interventi in campo ambientale.

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

€ 206.582.759,64 (400 mld di lire)

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonché in quello sulla legge  finanziaria 2001 e 2002 e, in sede di accordo ex art. 7 co 8 D.lgs 112/1998 della Conferenza Unificata sullo schema di D.P.C.M. di riferimento, le Regioni hanno richiesto che i 206.582.759,64 euro (400 mld di lire) previsti fino al 2002 dalle delibere CIPE sulle aree depresse siano confermati anche per il futuro per gli interventi in campo ambientale.

 

2

Protezione civile

La Conferenza ha espresso parere favorevole al DPCM condizionandolo alla richiesta di un impegno formale del Governo per la costituzione di un Fondo di 1000 mld per le Regioni e le Autonomie Locali per i compiti di protezione civile da inserire nel prossimo DPEF.

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

€ 516.456.899,09 + €103.291.379,82

(1000 mld + 200 mld di lire) per il reintegro delle risorse in materia di viabilità)

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonchè in quello sulla legge  finanziaria 2001 e, in sede di accordo ex art. 7 co 8 D.lgs 112/1998 della Conferenza Unificata sullo schema di D.P.C.M. di riferimento, le Regioni avevano richiesto un impegno formale del Governo per la costituzione di un Fondo di 516.456.899,09 euro (1000 mld di lire) per le Regioni e le Autonomie Locali per i compiti di protezione civile.

Si rende altresì necessario procedere al reintegro dei 103.291.379,82 euro (200 mld di lire) a favore delle Regioni e delle Autonomie locali Regioni decurtati a valere sulle risorse in materia di viabilità ex art.138 co 17 L. 388/2000.

 

3

Trasporti – sicurezza dei percorsi

È necessario quantificare le risorse finanziarie, strumentali ed umane da adibire all'espletamento delle competenze in materia di sicurezza dei percorsi.

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

Non quantificato

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonché in quello sulla legge  finanziaria 2001 e, in sede di accordo ex art. 7 co 8 D.lgs 112/1998 della Conferenza Unificata sullo schema di D.P.C.M. di riferimento, le Regioni hanno ribadito la necessità di quantificare le risorse finanziarie, strumentali ed umane da adibire all'espletamento delle competenze in materia di sicurezza dei percorsi.

 


 

 


 

 

DPCM Bassanini

 

 

 

4

Trasporti – Demanio marittimo e Porti

Documento Conferenza Unificata del 22/03/2001 (punto 23): si rivendica la gestione del Piano triennale per le Opere marittime predisposto dalla Direzione Generale Opere Pubbliche del Ministero dei Lavori Pubblici.

€ 501.479.649,02 (971 mld di lire) PER LA GESTIONE DEL PIANO.

Per gli anni successivi quote di €23.757.017,36 (46 mld di lire) annui a regime per la manutenzione e il rinnovo investimenti.

 

Per un rapido completamento del processo di devoluzione in materia anche alla luce della legge Costituzionale 3/2001, occorre:

elencare in modo chiaro ed esaustivo tutte le competenze residuate allo Stato in materia di demanio marittimo e disciplinare le modalità di trasferimento;

Riaprire le trattative per una riconsiderazione delle risorse da trasferire a sostegno delle funzioni conferite tenuto conto delle modifiche legislative apportate all’art.105 del d.lgs.112/98;

Modifica dell’art.4 della legge 84/1994 in cui si preveda esplicitamente che i porti non ricadenti sotto la giurisdizione delle autorità portuali, esclusi quelli militari, siano assegnati alla competenza delle regioni che provvederanno autonomamente alla loro classificazione;

Assegnazione alle regioni delle risorse e della gestione del Piano triennale per le opere marittime;

Assegnazione alle regioni dei proventi dei canoni di concessione sul demanio marittimo unitamente alle risorse necessarie alla loro riscossione e riconoscimento di autonomia decisionale in ordine alla determinazione dei canoni di concessione.

Assegnazione alle regioni di autonomia impositiva o quote di fiscalità a sostegno delle funzioni conferite.

Devono essere promossi accordi specifici fra Regioni e Governo per la definizione delle competenze in materia di sicurezza e disciplina delle navigazione interna e corrispondentemente devono essere quantificate le risorse.


 

 

5

Viabilità

Già richiesti in sede di predisposizione degli schemi di decreto

Parere Conferenza Unificata 1/6/2000

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

€ 516.456.899,09

(1000 mld di lire) + €103.291.379,82 ( 200 mld di lire)

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonché in quello sulla legge  finanziaria 2001 e, in sede di accordo ex art. 7 co 8 D.lgs 112/1998 della Conferenza Unificata sullo schema di D.P.C.M. di riferimento, le Regioni avevano richiesto l’impegno del governo ad assicurare anche dopo il 2002 adeguata copertura finanziaria per il piano straordinario di intervento e per la messa in sicurezza della rete stradale.

Occorre anche provvedere al reintegro dei 103.291.379,82 euro (200 mld di lire) non erogati causa legge finanziaria 2001 art.138.


 

 

DPCM Bassanini

 

 

 

 

6

Edilizia residenziale

Già richiesti in sede di predisposizione degli schemi di decreto

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

€1.100.053.195,06 (2130 mld di lire)

Nel parere al D.P.E.F. 2002/2006, nonché in quello sulla legge  finanziaria 2001 e nel parere sull’intesa della Conferenza Unificata di cui all’art. 64 del D.lgs 112/1998, le Regioni avevano richiesto l’impegno del Governo a finanziare per il futuro l’edilizia residenziale pubblica, competenza trasferita alle Regioni dal D.lgs 112/98 con almeno 1.100.053.195,06 euro (2130 mld di lire) l’anno che equivalgono alla media dei finanziamenti assicurati al settore dallo Stato nel triennio di riferimento per la spesa storica 1995/1997.

È in corso la liquidazione delle somme (1999, 2000, 2002) precedentemente individuate.


 

 

7

Invalidi civili

 

Già richiesti in sede di predisposizione degli schemi di decreto

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

Non sono state quantificate nei DPCM le risorse per la legittimazione passiva.

E' necessaria l'integrazione delle risorse per la legittimazione passiva (le Regioni a tal proposito avevano presentato un emendamento alla finanziaria 2002) e si ricorda, inoltre,  l’impegno del governo in relazione allo smaltimento delle pratiche pendenti, al trasferimento del personale, all’attività di formazione del personale neo – assunto ed ad assumere tutti i provvedimenti per rendere compatibili i sistemi informatici e telematici tra Prefettura, INPS e nuovi Enti concessori ai fini di un adeguato svolgimento delle funzioni trasferite.

Sono state richieste le integrazioni delle risorse per le predette spese sostenute e per la legittimazione passiva.

In esito a una Conferenza Unificata è stato costituito un tavolo politico presso il Ministero dell'Economia e delle finanze (sottosegretario Vegas) per affrontare la questione; il tavolo fino ad ora non si è mai riunito. Per la convocazione il Ministero ha richiesto oltre la quantificazione delle spese aggiuntive (quantificazione già fatta dalle regioni) anche quella per la legittimazione passiva. È in corso la ricognizione interregionale che si concluderà entro giugno.


 

 


 

 

DPCM Bassanini

 

 

 

 

8

Salute umana e veterinaria

Già richiesti in sede di predisposizione degli schemi di decreto

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

€ 263.393.018,54

(510 mld di lire)

È stata approvato il  DPCM 8 gennaio 2002 per la determinazione delle risorse aggiuntive 263.393.018,54 euro (510 mld di lire) per le somme anticipate dalle Regioni. Il Ministero del Tesoro si è impegnato all'erogazione immediata di un acconto pari alla somma prevista nel DPCM 13 novembre 2000.

È stata approvata una delibera il 18/04/02 della Conferenza Unificata riguardante le modalità di rendicontazione da parte delle Regioni che prevede l'erogazione a conguaglio entro il 15/11/2002.

Resta da predisporre il DPCM di ridefinizione delle risorse "a regime".

Sono inoltre da definire le questioni relative ai ricorsi tutt'ora pendenti e non ancora istruiti presso il Ministero della Salute e le Commissioni Medico Ospedaliere (C.M.O.)

9

Incentivi alle imprese

Carenza già registrata in sede di predisposizione degli schemi di decreto.

Ulteriori 414 - 465 ml di euro (800–900 mld di lire) ai fini di congruità

Richiedere integrazione risorse quantificate

10

Opere pubbliche

Parere Conferenza Unificata 01/06/2000

Da definire sulla base del principio di congruità.

Particolare attenzione alla materia di difesa del suolo nell’ambito del tavolo tecnico - politico di monitoraggio, al fine di ridefinire le risorse in modo congruo.


 

 


 

 

DPCM Bassanini

 

 

 

 

11

Trasferimento del personale statale

Parere alla finanziaria 2001 e 2002

 

Ricordare l’impegno del governo a garantire corrispondenti risorse finanziarie qualora il personale da trasferire – una volta esperite le procedure di mobilità – risulti insufficiente a coprire i contingenti individuati dagli specifici DPCM di conferimento.

Vi è tuttora incertezza sul numero e sulla qualifica del personale che sarà effettivamente trasferito ponendo le amministrazioni destinatarie nell’impossibilità di quantificare esattamente l’organico da prevedere in ruolo.

Non bisogna dimenticare l’aspetto della professionalità del personale che sarà conferito: allo stato attuale non sembra che le procedure messe in atto possano assicurare l’adeguata professionalità del personale per lo svolgimento delle funzioni (carenza di tecnici laureati o qualificati). La risoluzione a tale problema può essere solo una adeguata monetizzazione del personale.

Occorre porre attenzione affinché la monetizzazione del personale corrisponda effettivamente alle risorse finanziarie previste per gli stipendi, gli oneri riflessi e la retribuzione variabile come stabilito nei criteri dei DPCM di individuazione delle risorse e siano calcolate con decorrenza dal trasferimento delle funzioni (generalmente febbraio 2001).

Il segretario generale del CINSEDO, dr. Mochi Onori ha sollecitato la compensazione monetaria  del personale (maggio 2002)


 

 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Regioni su proposte Finanziaria 2003 (a seguito dell’incontro con il Presidente del Consiglio del 25 settembre)

 

La Legge finanziaria 2003 è la prima legge finanziaria che viene predisposta dopo le modifiche costituzionali del Titolo V. Pur intervenendo in una situazione economica che presenta criticità e problemi derivanti dalla mancata ripresa della congiuntura internazionale, essa rappresenta per le Regioni e le Province autonome un passaggio fondamentale per avviare a soluzione le questioni finanziarie pendenti più volte presentate al Governo, da ultimo anche in occasione del parere sul Dpef 2003/2006.

 

La manovra 2003 deve considerare la problematicità di tali questioni - non più ulteriormente procrastinabili – affrontandole e risolvendole, sia per non mettere in crisi gli equilibri finanziari delle Regioni, sia per non incrinare un rapporto istituzionale che finora ha visto le Regioni e le  Province autonome fiduciose e anche pazienti nonostante le elusioni e i dinieghi del Governo.

 

Le proposte illustrate nell’incontro del 25 settembre 2002 con il Presidente del Consiglio dei Ministri per la presentazione delle linee guida della prossima manovra finanziaria non sono condivisibili ed accrescono le  preoccupazioni in ordine alla sostenibilità finanziaria, con particolare riferimento al “welfare”, alla sanità, nonché ad altri servizi pubblici essenziali.

 

Per questo, le Regioni chiedono al Governo ogni sforzo possibile per evitare che alcune delle proposte illustrate ieri trovino una collocazione nella Legge finanziaria tale da rendere inevitabile una “frattura istituzionale” che non gioverebbe alla tenuta del Sistema Paese.

 

Sono questi i motivi che inducono la Conferenza dei Presidenti delle Regioni a chiedere un incontro urgentissimo al Presidente del Consiglio che consenta un’analisi di dettaglio dell’impianto della Legge in tutti gli aspetti i cui effetti incidano direttamente o indirettamente sui bilanci regionali. Dovrà trattarsi di un incontro che permetta il dialogo e il confronto tra diverse proposte in campo perché la prossima Legge finanziaria possa dirsi effettivamente condivisa dalle Regioni.

 

Roma, 26 settembre 2002


 

Allegato: Sintesi principali indicazioni delle Regioni riguardo al prossimo d.d.l. finanziaria 2003

 

Le Regioni chiedono l’immediata applicazione del punto 4 parte II dell’Intesa interistituzionale del 20 giugno 2002, in cui si prevede la necessità di:

 

costituire un Conferenza mista per definire l’impianto complessivo del federalismo fiscale;

avviare il trasferimento delle risorse necessarie per svolgere le competenze esclusive derivanti dalla L.C. 3/2001.

 

Tali adempimenti dovevano, peraltro, essere già previsti nel testo del DPEF 2003 - 2006.

 

La Conferenza mista dovrà essere ispirata ai seguenti principi:

 

autonomia finanziaria di entrata e di spesa: le Regioni, in quanto equiordinate allo Stato, soggiacciono soltanto a norme aventi requisito di principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

coordinamento finanza pubblica: Stato e Regioni, per il raggiungimento dei comuni obiettivi nel quadro del Patto di stabilità dovranno operare d’intesa e in modo coordinato;

coordinamento del sistema tributario: le Regioni stabiliscono tributi propri su basi imponibili non toccate da imposizioni statali, lo Stato indicherà i tributi sui quali le Regioni potranno avere addizionali;

monitoraggio concordato delle entrate e messa a disposizione reciproca dei dati, agenzie fiscali come centri di servizio tributari di Stato, Regioni ed Enti locali;

abolizione di tutti i trasferimenti erariali e loro sostituzione con aliquote di compartecipazione ai grandi tributi erariali Irpef, Iva, Irpeg; fatta salva la previsione di un fondo speciale dello Stato per destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali;

previsione di meccanismi perequativi a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante, salvaguardando il principio del finanziamento delle funzioni con il gettito dei tributi raccolti sul territorio;

estensione alle Regioni della esenzione fiscale per le operazioni di trasformazione e soppressione di enti pubblici, di organizzazione della gestione di funzioni che preveda la costituzione di società, di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico;

 

Richieste specifiche per la finanziaria 2003

 

Neutralità fiscale

 

applicazione anche alle Regioni dei benefici fiscali della legge 410/2001. Il parere dell'Agenzia delle Entrate sul tema della esenzione fiscale del trasferimento dei beni ferroviari di cui all'art. 8 del d.lgs. 422/97 non è infatti sufficiente a risolvere la questione sulla possibilità di esenzione fiscale in operazioni di trasformazione di enti e di valorizzazioni del patrimonio;

modifiche al regime fiscale IVA sanità. L’IVA sugli acquisti costituisce un costo puro, a causa della non deducibilità della stessa, ciò aumenta l’onere delle prestazioni erogate;

il regime fiscale del trasferimento di beni e dell’esternalizzazione di servizi in capo a nuovi soggetti costituiti nell'ambito di riorganizzazioni nel Servizio Sanitario Regionale e in altri ambiti di competenza regionale, deve essere orientato a rendere permanente ed esteso un regime fiscale agevolato, ossia non limitato alle sperimentazioni gestionali;

adeguato finanziamento, a carico del bilancio dello Stato, del capitolo relativo alla erogazione a favore degli Enti emittenti del 50% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva (12,5%) che grava sugli interessi percepiti dai sottoscrittori delle obbligazioni (L. 724/94 – art. 35 e Dlgs 239/96 – art. 1 – comma 2).

 

Patto di stabilità

Escludere dai vincoli del Patto stesso le spese finanziate con trasferimenti statali e quelle che per loro natura rivestono carattere di eccezionalità. Le Regioni in ordine alla strategia di contenimento della spesa corrente, in mancanza di specificazioni su quali settori inciderà la manovra, esprimono le proprie preoccupazioni in merito.

 

La questione sanità

L’accordo dell’agosto 2001 tra Governo e Regioni sulla spesa sanitaria ha significato per le Regioni un incremento delle risorse per il periodo 2001-2004 superiore a quanto previsto in precedenza (accordo agosto 2000, legge finanziaria 2001), ma comunque non ancora allineato al fabbisogno. Le Regioni, con riferimento alle azioni di controllo e di razionalizzazione dell’acquisto di beni e servizi, ritengono che tali azioni rientrino nella loro sfera di competenza e le stanno già attivando, in base al principio di responsabilità amministrativa e politica. Le regioni comunque ritengono che il problema del finanziamento della spesa sanitaria sia serio e vada affrontato nel suo complesso.

 

La casa e le infrastrutture

Finanziare per il futuro l’edilizia residenziale pubblica, competenza trasferita alle Regioni dal D.lgs 112/98 con almeno 1.100.053.195,06 euro (2130 mld di lire) l’anno, che equivalgono alla media dei finanziamenti assicurati al settore dallo Stato nel triennio di riferimento per la spesa storica 1995/1997. Le Regioni chiedono inoltre che vengano distribuite alle stesse per i loro interventi di politica abitativa, le risorse del bilancio dello Stato sull’edilizia residenziale pari a residui passivi per circa 570 milioni di euro (1.100 miliardi di lire circa).

 

IVA trasporti

Le Regioni hanno ottenuto il recupero dell'IVA attraverso il d.lgs.472/99 che ha previsto allo scopo maggiori contributi statali a favore delle Regioni; tuttavia non viene restituita l'intera somma ma viene operata una decurtazione del 38,55% pari alla quota di compartecipazione IVA di tutte le Regioni  e del 10% per la quota spettante all'UE. La trattenuta del 38,55% è assolutamente infondata perché le Regioni dalla compartecipazione IVA non hanno ricevuto risorse aggiuntive ma solo risorse sostitutive di trasferimenti statali soppressi di pari ammontare. Le Regioni chiedono che venga assicurato loro il recupero dell'IVA senza la decurtazione del 38,55%.

 

Riduzione gettito accisa sulla benzina

Nei fatti la manovra statale si è concretizzata in una sottrazione di entrate per le regioni, in parte ripianata a seguito dall'attività svolta dal gruppo di lavoro Regioni - Ministero delle Finanze, che ha portato al riconoscimento di una perdita annua per le regioni di € 342.582.904,24 (lire 663.333.000.000) fino al 2000. Diventa necessario costituire, come già avvenuto nel 1999, un tavolo di lavoro Stato -  Regioni per l'aggiornamento e il riconoscimento di risorse compensative per queste minori entrate.

 

Contratto autoferrotranvieri 2000-2003

A novembre del 2000, le Regioni e le Autonomie Locali hanno sottoscritto con i Ministeri del Lavoro e dei Trasporti un protocollo d'intesa al fine di assicurare la copertura finanziaria degli oneri legati al rinnovo del CCNL autoferrotranvieri e per permettere la chiusura delle trattative sindacali. Nel protocollo si prevedeva l'impegno dei sottoscrittori ad affrontare congiuntamente i problemi delle dinamiche contrattuali oltre il 2001. Per gli anni 2002 – 2003, venendo a mancare l’intervento dello Stato  l’onere complessivo per le Regioni è stimato in oltre € 211.747.328,63 (410 mld di lire) - effetti del I biennio. Questo importo non tiene conto dei maggiori oneri legati alla rinegoziazione economica del II biennio del contratto.

 

Decentramento amministrativo ex legge 59/1997 e DLGS 112/1998

Per quanto concerne il federalismo amministrativo (decentramento Bassanini) occorre risolvere definitivamente questioni di carattere finanziario e organizzativo che incidono pesantemente sull’esercizio delle competenze trasferite alle Regioni e agli Enti locali, tenuto conto che in molte Regioni risultano criticità per quanto concerne specifiche materie peculiari di ciascuna realtà.


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Prime considerazioni sul d.d.l. Finanziaria 2003

 

Regioni e Province Autonome hanno esaminato il disegno di legge finanziaria 2003 soffermandosi sui punti che comportano riflessi e criticità sul sistema delle regioni.

 

Esse hanno elaborato un documento di taglio istituzionale che non assume  posizioni pregiudiziali o aprioristiche verso il Governo, ma intende garantire le competenze delle Regioni nell’interesse del Paese e dei cittadini.

Regioni e Province autonome sono parte della Repubblica a pari dignita’ con lo Stato (pur nella diversità nelle rispettive competenze) e intendono collaborare – come sempre hanno fatto – alla crescita complessiva del sistema Paese.

 

La legge finanziaria del 2003 è la prima legge finanziaria che viene predisposta dopo il rinnovato titolo V della Costituzione che configura un nuovo assetto del sistema delle autonomie territoriali, e in questo quadro va valutata.

 

Le Regioni confermano la loro convinta adesione ad un percorso di rinnovamento della pubblica amministrazione e di miglioramento della situazione finanziaria nazionale e decentrata, cui d’altra parte hanno concorso negli ultimi anni con circa 25.000 milioni di euro (circa 50.000 miliardi di lire) derivanti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 1994 al 2001 e dal contributo in termini di rallentamento della spese effettuato coerentemente con il rispetto del patto di stabilità interno.

 

Le Regioni, consapevoli, del difficile contesto derivante dalla crisi economica internazionale sostengono che l’obiettivo della riduzione della pressione fiscale, in sé condivisibile, va perseguito salvaguardando comunque i livelli essenziali dei servizi erogati ai cittadini dalle Regioni e dagli enti locali. Esse ritengono indispensabili modifiche sostanziali all’articolato del ddl finanziaria, poiché in diversi articoli,  disegna condizioni insostenibili per le Regioni stesse.

 

Le Regioni si attendevano l’espressione di scelte condivise e orientate alla riforma del sistema tributario impostato sulla base del federalismo fiscale quale segnale concreto dell’attuazione dell’accordo interistituzionale tra il Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Comunità Montane, stipulato il 20 giugno.

 

Con la legge finanziaria 2003 avrebbero dovuto essere altresì individuati i primi trasferimenti di risorse al sistema delle autonomie per le materie di legislazione esclusiva regionale.

 

Diversamente da quanto indicato nell’accordo, che prevedeva un confronto per la costruzione di un sistema coerente di federalismo fiscale, la finanziaria attiva unilateralmente la riforma per la parte statale (revisione delle aliquote IRPEF), mentre si rinvia ad un nuovo accordo da definire tra Stato Regioni ed Enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, che per le Regioni si deve avviare già dal 2003.

 

Le Regioni segnalano la necessità di svolgere un’azione efficace e profonda per rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno, i cui processi di crescita non devono subire i rallentamenti derivanti dal clima di sfiducia tra gli imprenditori.

 

Le Regioni a Statuto Speciale evidenziano che le modifiche tributarie aventi riflessi sui gettiti comportano dirette ripercussioni sul livello di risorse disponibili per lo svolgimento di funzioni e rischiano di introdurre elementi di squilibrio nel sistema non avendo margini di flessibilità in termini di leva tributaria.

 

Esaminiamo ora in dettaglio alcuni singoli capitoli del rapporto Stato Regioni.

 

 

SANITÀ

In merito alla Sanità, di seguito sono articolate proposte di modifica e osservazioni al d.d.l.

 

Proposte :

 

Attivazione contratti di formazione per medici specializzandi in attuazione della legge 368/1999 le Regioni, nell’esprimere accordo, richiedono che i costi incrementali derivanti da tale attivazione – pari a circa 100 milioni di euro annui – siano coperti con fondi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’Accordo dell’8 agosto.

 

Piano straordinario per la riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani (art. 71 l. 448/98):

a seguito della decurtazione del finanziamento assegnato, non si è avuta alcuna assicurazione formale da parte del Governo relativa al ripristino dell’assegnazione complessiva delle somme ripartite a tutte le Regioni con il decreto del 22 marzo 2001. Si chiede pertanto il ripristino delle somme decurtate e si propone l'inserimento del seguente emendamento:

"L'importo di € 1.239.496.557,81 stanziato dall'articolo 71 della Legge 23 dicembre 1998 n. 488 e successive integrazioni e decurtato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2002, è reintegrato per l'importo di € 209.907.192,70."

Occorre pertanto disporre nella Tabella D della finanziaria, il rifinanziamento dell'intero importo stanziato.

 

Previsione finanziamento II fase programmi regionali ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico

Non risultano previste nella tabella D le somme necessarie per la copertura del finanziamento degli Accordi di programma ex art. 5 bis del DLgs 502/92 e successive modificazioni. Peraltro, vi sono Regioni che hanno di recente completato la programmazione sanitaria, anche in applicazione della Legge 405/2001 e che hanno in corso la definizione dell’accordo di programma.

Occorre  prevedere la quota di finanziamento utilizzabile nel 2003 sia per dare attuazione agli accordi di programma  in fase di esecuzione sia per avviare la operatività di quelli la cui sottoscrizione, negli stanziamenti generali già programmati

 

Previsione normativa relativa alla costituzione della Struttura interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con il personale, medici ed altre professionalità sanitarie, convenzionato con il S.S.N.:

Il comma 9 dell'articolo 4 della legge 412/91 è così sostituito:

" 1. È istituita la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato con il S.S.N..

2. tale struttura, che rappresenta la delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario a rapporto convenzionale, è costituita da rappresentanti regionali nominati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano.

3. La delegazione di cui al comma precedente è assistita, limitatamente alle materie di rispettiva competenza, da rappresentanti dei Ministeri dell'Economia e Finanze, del Welfare e della Salute, designati dai rispettivi Ministri.

4. Con accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo agli accordi di cui al comma 2, tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 40, 41,42,42,46.47,48,49 del Decreto Legislativo 165/2001"

 

Proposta di costituzione di un organismo unico, d’intesa tra Governo e Regioni e Province autonome, per il governo della spesa farmaceutica. All’interno di detto organismo confluiranno  le funzioni della CUF, della Commissione nazionale per la Spesa farmaceutica e dell'Osservatorio sui Farmaci, che cesseranno di esistere. In sede di Conferenza Stato Regioni saranno dati gli indirizzi generali per il lavoro di detto organismo.

 

Va assicurato l’accesso al FSN a tutte le Regioni cosi come determinato dall’Accordo dell’8 agosto 2001, ferma restando la successiva verifica del rispetto delle condizioni previste dall’Accordo stesso.

 

Le Regioni, prendendo atto della necessità di non aumentare la pressione fiscale complessiva, rilevano che occorre coerentemente ripristinare le condizioni previste nell’accordo, per assicurare gli obiettivi che il patto si prefigge e cioè, la tenuta del sistema sanitario e l’erogazione dei livelli di qualità nelle prestazioni ai cittadini, individuando, congiuntamente con il Governo, le necessarie  soluzioni.

 

DECENTRAMENTO

 

Le Regioni concordano sull’eliminazione dei trasferimenti erariali per la costituzione di un fondo unico di cui però non è prevista la confluenza nel sistema delle compartecipazioni di cui al decreto legislativo n°56/2000; si richiede l’intesa con la Conferenza Stato Regioni per l’individuazione dei trasferimenti erariali correnti da attribuire al fondo.

 

In merito all’attuazione del decentramento amministrativo si ricorda che la fiscalizzazione delle risorse doveva iniziare con il 1° gennaio 2003. La norma contenuta nel ddl prevede lo slittamento di un anno (1° gennaio 2004). Le Regioni chiedono che, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni, vengano individuate le partite concluse da includere nel nuovo sistema di finanziamento prevedendo altresì la definizione delle partite aperte relativamente al personale ed alle materie  per le quali sono state richieste le rideterminazioni di tipo finanziario (si evidenzia che per alcune materie manca ancora il DPCM di assegnazione delle risorse – Edilizia residenziale 1.100 ml di euro; Sicurezza dei percorsi- in via di quantificazione;, per altre deve essere attuato – Agricoltura; Istruzione)  senza contare la mancata congruità delle risorse per alcune materie, al fine di completare il processo entro la scadenza del 30 giugno per la rideterminazione definitiva delle aliquote. Resta da chiarire l’esclusione delle risorse per il Trasporto pubblico locale e per la Salute umana e veterinaria dalla fiscalizzazione.

 

L’importo dei trasferimenti assegnati alle Regioni nel 2001 è pari a 4.500 milioni di euro; le Regioni hanno inoltre individuato ulteriori somme, necessarie ai fini di congruità per l’esercizio delle funzioni, ammontanti a 3.200 milioni di euro di cui una quota rilevante è relativa all’Edilizia Residenziale Pubblica il cui fabbisogno è quantificato in 1.100 milioni di euro.

 

TAGLI AI  TRASFERIMENTI

 

La norma prevede la riduzione del 2,5% delle dotazioni finanziarie per gli enti previsti in tabella C: tale manovra dovrebbe configurarsi unicamente quale misura di razionalizzazione del comparto statale.

La norma delinea altresì un taglio anche per gli enti pubblici non rientranti nella Tab.C. per cui ne andrebbe precisata la portata ed il riflesso sui trasferimenti alle Regioni in quanto diventerebbe inaccettabile la riduzione unilaterale degli stanziamenti di bilancio destinati alle Regioni.

 

ENTRATE

 

Per quanto riguarda le minori entrate accisa / tassa automobilistica,  si concorda sulla previsione inserita in finanziaria  di erogare le risorse in base alle determinazioni della Conferenza Stato regioni. Si rinnova la necessità di prevedere il recupero dell’erogazione che attualmente avviene con due anni di ritardo.

Non vengono adeguate le risorse per la copertura di queste perdite come richiesto dalle Regioni in sede di Conferenza dei Presidenti.

Si ribadisce, inoltre, che anche queste risorse dovrebbero rientrare nel sistema di fiscalizzazione del d.lgs.56/00.

 

La riduzione dell’IRAP (art. 5) attraverso nuove deduzioni e nuove modalità di determinazione della base imponibile nonché la proroga delle agevolazioni per il settore agricolo (art.10), riducono i gettiti regionali senza prevedere le necessarie compensazioni con un altro tributo o quote di compartecipazione; L’IRAP rappresenta un tributo regionale che assicura manovrabilità in termini di determinazione sia della base imponibile che di aliquota la cui sostituzione non può essere fatta attraverso meri trasferimenti statali (fondo di garanzia).

 

PATTO DI STABILITÀ

 

Si conferma l’adesione agli obiettivi del patto di stabilità interno (articolo 16) previsto per le Regioni e confermato per il triennio 2003-2005; con riferimento al comma 10 si ribadisce la necessità di chiarirne la portata, nel senso di prevedere che il livello annuale di finanziamento della spesa sanitaria sia conforme a quello dell’accordo 8 agosto 2001 senza alcuna decurtazione preventiva.

 

Attualmente il rispetto del raggiungimento degli obiettivi collegati al patto di stabilità interno viene formalmente comunicato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome; è, quindi, del tutto impraticabile ed inopportuna la previsione di una certificazione sottoscritta dal responsabile finanziario. 

 

BENI E SERVIZI

 

In materia di acquisto di beni e servizi vengono introdotte norme di principio e coordinamento in una competenza strettamente regionale trattandosi di autonomia gestionale oltre a disposizioni che assumono il carattere “ispettivo”; pur condividendo la necessità di recuperare margini di efficienza si fa rilevare che i risparmi derivanti dall’adesione a CONSIP e gli acquisti centralizzati sono solo “attesi” e  dipendono dall’esito delle gare e dalla tempistica delle scadenze dei contratti in corso; d’altro canto le Regioni si sono già attivate autonomamente con sistemi di budgetizzazione delle risorse di funzionamento, con i sistemi di controllo di gestione affinché trovino piena applicazione le manovre di risparmio; anche in questo caso l’autonomia regionale deve essere rispettata.

 

PERSONALE

 

Non è prevista alcuna norma per la copertura degli oneri contrattuali degli autoferrotranvieri,  questione più volte ricordata dalle Regioni.

Per gli anni 2002 – 2003, venendo a mancare l’intervento dello Stato  l’onere complessivo per le Regioni è stimato in circa € 212 milioni di euro (410 mld di lire) - effetti del I biennio. Questo importo non tiene conto dei maggiori oneri legati alla rinegoziazione economica del II biennio del contratto.

 

Sono posti a carico delle Regioni tutti gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2002-2003 anche per il personale del Servizio Sanitario.

 

Si evidenzia che la situazione si presenta estremamente diversificata da Regione a Regione come mostra il tasso di incidenza delle spese di personale sul totale delle riscossioni tributarie (indice calcolato dalla Corte dei Conti) preso in considerazione al comma 8 dell’articolo 21 del disegno di legge.

 

È opportuno infatti non operare indistintamente ma concordare azioni diversificate e mirate alla razionalizzazione della spesa; diversamente si correrebbe il rischio di penalizzare le Regioni che già hanno iniziato un percorso virtuoso in termini di ottimizzazione delle risorse umane ed organizzative.

 

ACQUISIZIONE DI INFORMAZIONI

 

L’articolo 15 tratta unilateralmente della necessità da parte dello Stato di acquisire ogni utile informazione sul comportamento degli enti e organismi pubblici oltre a richiamare l’esigenza di monitoraggio delle informazioni finanziarie tramite apposita codifica uniforme, pena il blocco da parte delle Tesorerie delle disposizioni di pagamento.

Si richiama l’attenzione sull’impostazione di un sistema di scambio di informazioni tra Stato e Regioni rinnovando l’impegno delle Regioni a definire tale materia tramite un accordo.

Sembra inopportuno ribadire con norma statale quanto già stabilito chiaramente  dall’articolo 119 della Costituzione accompagnandolo con l’introduzione di sanzioni pecuniarie a carico degli amministratori.

 

ISTITUZIONE DI FONDI

 

Nel condividere l’obiettivo di incrementare efficacia ed efficienza al finanziamento degli investimenti, le Regioni sottolineano la necessità di superare la gestione centralizzata dei Fondi, soprattutto nelle materie di competenza regionale.

Centralizzazione che, confliggendo con le autonomie regionali per gli interventi relativi allo sviluppo dei propri territori, determinerebbe un possibile rallentamento delle erogazioni in termini di cassa con riflessi negativi sui flussi finanziari delle Regioni.

Tale peculiarità si enfatizza in ordine alle strategicità degli interventi programmati nelle aree del Mezzogiorno, ove assumono valenza di fattore di sviluppo fondamentale nell’economia di quei territori il cui protagonismo decisionale costituisce garanzia per una migliore allocazione delle risorse anche in termini di complementarietà dei Fondi comunitari.

 

FONDO POLITICHE SOCIALI

 

Viene previsto il riversamento del Fondo per le politiche sociali in un Fondo senza vincoli di destinazione. Si concorda con questa scelta precisando che finanziaria prevede un sistema di ripartizione annuale dei fondi alle Regioni a fronte della richiesta regionale di includere anche il fondo politiche sociali tra i trasferimenti da sopprimere e sostituire con compartecipazioni ai tributi.

È prevista la definizione tramite intesa dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire sul territorio nazionale e modalità per il loro monitoraggio.

 

FONDO PER INCENTIVI ALLE IMPRESE

 

Vengono introdotte norme di principio e coordinamento (art. 36, 3c.) che comportano la necessità di adeguare anche le leggi regionali in materia di incentivi alle imprese. La concessione di contributi dovrà basarsi sull’utilizzo di fondi rotativi che prevedano:

la quota di rimborso non inferiore al 50%;

la decorrenza del rimborso dal primo quinquennio fino ad un massimo di 10 anni;

tasso non inferiore allo 0,5% annuo.

 

Considerando che sulla base del nuovo Titolo V la materia “incentivi alle imprese” è in parte materia a legislazione esclusiva regionale (es. commercio, turismo…) è evidente l’incursione statale nel disciplinare anche materie spettanti alle Regioni.

L’introduzione di regole rigide a livello centrale perpetuerebbe le criticità e l’inefficacia evidenziate dalle procedure statali impedendo di conseguenza alle Regioni di esplicare delle politiche mirate sulle esigenze imprenditoriali espresse in ciascuna realtà territoriale.

Per quanto riguarda le competenze del CIPE si ribadisce che sui programmi pregressi può essere previsto il suo intervento purché accompagnato dall’intesa con le Regioni mentre sui nuovi programmi di competenza regionale in base al nuovo titolo V il CIPE non può più dare indicazioni di carattere amministrativo procedurale.

 

Roma, 3 Ottobre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Parere sul Disegno di legge “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)” e proposte di emendamenti

 

Si confermano le considerazioni espresse dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, contenute nel documento presentato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 4 ottobre scorso.

 

In particolare, le Regioni confermano la loro convinta adesione ad un percorso di rinnovamento della pubblica amministrazione e di miglioramento della situazione finanziaria nazionale e decentrata, coerentemente con i percorsi già seguiti negli anni precedenti. Lo dimostra il concorso delle Regioni, ammontante a circa 25.000 milioni di euro, al contributo in termini di rallentamento delle spese effettuate negli anni dal 1994 al 2001 e, da ultimo, nel rispetto del Patto di stabilità interno.

 

Pur tuttavia, le Regioni ritengono la manovra messa a punto con la finanziaria eccessivamente penalizzante per l’intero sistema delle Autonomie ed incisiva, per aspetti non secondari, delle competenze, spesso esclusive, delle Regioni, quali definite dal nuovo impianto Costituzionale.

 

Da ciò l’esigenza che la finanziaria sia modificata anche per salvaguardare i livelli essenziali dei servizi erogati ai cittadini, in linea con quanto richiesto anche dagli Enti locali .

 

Da sempre i sistemi federali sono caratterizzati da assetti finanziari fondati su patti, accordi ed intese, impliciti ed espliciti, tra Governo centrale ed Enti decentrati. Negoziando attraverso la quantificazione economica delle grandezze, i vincoli più o meno stringenti relativi a obiettivi, competenze e risorse, e regolando le responsabilità reciproche che, nel loro insieme, concorrono al perseguimento degli obiettivi di risultato della finanza pubblica nel suo complesso (disavanzo, spesa, debito). Il necessario complemento di tale sistema è dato dalla definizione di meccanismi di incentivazione e penalizzazione finanziaria su risultati conseguiti nel raggiungimento dei rispettivi obiettivi evitando che, misure ex post di carattere generale ed indifferenziato (ripiani, integrazioni mirate), generino distorsioni allocative ed effetti redistributivi occulti.

 

La manovra per il 2003 non presenta contenuti coerenti con i principi esposti e neppure con quanto enunciato nella relazione di accompagnamento relativamente alla necessità di dare concreto avvio al processo di federalismo fiscale. La finanziaria pare contraddistinguersi per il ritorno ad un sistema di vincoli e prescrizioni, adottato in maniera unilaterale dallo Stato centrale, tipico delle manovre finanziarie dei primi anni ’90.

 

Appare d’altronde opportuno, che la Finanziaria 2003 individui i trasferimenti di risorse necessarie al sistema delle autonomie nelle materie di legislazione esclusiva regionale e, in questo contesto, realizzi un’azione efficace e profonda per rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno, attraverso l’utilizzo di una leva fiscale incentivante e la dotazione di risorse finanziarie e di coerenti interventi sociali, necessari a creare un clima di fiducia.

 

Da ultimo, ma non meno importante, vi è da evidenziare, all’interno di questa panoramica generale, la necessità di garantire alle Regioni a Statuto speciale, prive della flessibilità in termini di leva tributaria, l’adeguata copertura finanziaria rispetto alle modifiche tributarie aventi riflessi sui gettiti di quei territori.

 

Le Regioni esprimono viva preoccupazione per le prospettive aperte dalla legge Finanziaria sul tema della Sanità. Le Regioni denunciano che, con essa, il Governo si pone nella condizione di disdettare unilateralmente il Patto dell'8 agosto 2001,  a fronte del processo positivo di risanamento e assunzione di responsabilità che, nel rispetto di tale accordo, le Regioni hanno avviato. Si allega sul punto il documento già approvato in data 3 ottobre 2002.

 

La dilazione dell'erogazione a livello di cassa di quanto dovuto al sistema regionale, per disavanzi pregressi e in relazione alle risorse aggiuntive del 2001, aumentando a dismisura gli oneri per interessi a carico delle Regioni, sta creando le condizioni per un progressivo deterioramento del sistema sanitario regionale. Mancano le risorse per gli investimenti e l’accesso al Fondo 2003 non è rapportato alle risorse previste nell’Accordo del agosto 2001.

 

Va, altresì, sottolineata che la proposta di avvio del Federalismo fiscale, attraverso l'istituzione dell'Alta Commissione, è del tutto indeterminata nei tempi, rendendo, di fatto - se fosse confermata questa impostazione - aleatoria la garanzia delle risorse per finanziare le competenze delle Regioni. La connessione tra questa questione e i problemi evidenziati per il finanziamento del SSN delinea una situazione non sostenibile.

 

Le Regioni, infine, sono contrarie alla confluenza nel fondo di cui all’art.34 delle risorse riferite alla legge 64/86, già trasferite per l’attuazione del dlgs. 112/1998.

 

Alla luce delle considerazioni esposte sull’insieme delle questioni che le riguardano, le Regioni esprimono parere negativo alla proposta di legge Finanziaria 2003, e propongono un serrato confronto con Governo e Parlamento. Le Regioni chiedono, pertanto, modifiche sostanziali così come indicato dagli emendamenti, auspicando, a fronte di risposte concrete, di poter modificare questo parere.

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Proposte di emendamenti

 

Articolo 2 (Riforma dell’Irpef)

Relativamente all’articolo 2 le Regioni evidenziano che il meccanismo di cui al comma 4, oltre ad appesantire gli adempimenti derivanti ai contribuenti e ai sostituti d’imposta, obbligati a un doppio calcolo per definire la base imponibile Irpef e quella delle addizionali, può prestarsi a dubbi interpretativi anche in considerazione di quanto contenuto nella relazione del ddl in esame.

 

Articolo 3 (Sospensione aumenti addizionali Irpef)

La sospensione della possibilità, per Regioni e Comuni, di utilizzare la propria leva fiscale sull’addizionale Irpef è una chiara violazione dell’autonomia impositiva delle Regioni, costituzionalmente garantita.      Appare interessante lo strumento dell’Alta Commissione di studio per la definizione dei principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in ordine a quanto disposto dal nuovo Titolo V della Costituzione. Ciò che non appare immediatamente condivisibile è la sospensione praticamente “sine die” per Comuni e Regioni di determinare il carico fiscale nel proprio territorio. Non è altrettanto condivisibile nella misura in cui la composizione dell’Alta Commissione è attribuita al potere del Presidente del Consiglio, senza alcun riferimento ad un accordo Stato/Regioni.

 

Proposta di emendamento

 

La lettera b) dell’articolo 3 è così sostituita: “b) è istituita l’Alta Commissione di studio per la definizione, sulla base dell’accordo di cui alla lettera a) dei principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119, secondo comma, della Costituzione. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della presente legge con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza Stato/Regioni, è definita la composizione dell’Alta Commissione. Con lo stesso decreto sono emanate le disposizioni occorrenti per il funzionamento della Commissione medesima e stabilita la data di inizio delle sue attività, che comunque dovranno concludersi entro il 30 giugno successivo. Per l’espletamento della sua attività l’Alta Commissione si avvale della struttura di supporto della Commissione per la spesa pubblica, la quale è soppressa con decorrenza dalla predetta data.

 

Articolo 5 (Riforma IRAP)

Anche il contenuto dell’articolo 5 è lesivo della titolarità delle Regioni in materia di tributi propri, ancorché lo stesso appaia condivisibile nelle misure tendenti ad adeguare il disposto normativo, di cui al decreto legislativo 446/97, alle modifiche introdotte dalla legge delega sulla riforma fiscale dello Stato. Tuttavia, vi è da evidenziare che la riforma strutturale dell’Irap dovrà essere concordata all’interno dei lavori dell’Alta Commissione di cui all’articolo 3 del d.d.l. finanziaria 2003.

Nell’esame specifico delle disposizioni recate dall’articolo 5, vi è da evidenziare che le stesse, per il solo anno 2003, non hanno ripercussioni sui bilanci regionali delle RSO, alla luce del sistema di finanziamento della sanità, previsto dal d.lgs. 56/2000; è, pertanto, opportuno prevedere la garanzia dell’invarianza di gettito sugli esercizi futuri delle Regioni a carico del bilancio dello Stato, qualora, come è facilmente prevedibile, dovesse emergere nel 2003 una contrazione del gettito per le Regioni medesime. L’articolato ha ripercussioni immediate e pesanti per le RSS per le quali occorre prevedere meccanismi di compensazione coerenti con i rispettivi statuti.

 

Proposta di emendamento

Vedasi, per la garanzia dell’invarianza di gettito, la proposta di emendamento di cui all’articolo 17 del ddl.

 

 

Articolo 6 (Concordato preventivo triennale)

L’introduzione del concordato preventivo triennale, riferendosi anche all’Irpef e all’Irap, presumibilmente andrà a ridurre le rispettive basi imponibili senza alcun intervento da parte delle Regioni. Tale articolo necessita della previsione di una partecipazione delle Regioni alla definizione delle norme attuative.

 

Proposta di emendamento

All’articolo 6, comma 2, dopo la cifra “400” è inserita la seguente frase. , d’intesa con la Conferenza Stato/Regioni

 

 

Articolo 7 (Concordato per gli anni pregressi)

Analoghe riflessioni, per di più su redditi imponibili già realizzati e, quindi, accertabili, vanno condotte alla portata dei contenuti dell’articolo 7 che definisce il Concordato per gli anni pregressi. Non individuando elementi di partecipazione delle Regioni alle risorse realizzate e alle procedure di dettaglio, recate nel medesimo articolo è opportuno, per le Regioni, prevedere l’esercizio della potestà legislativa ad esse riconosciuta dall’art. 119, comma 2, della Costituzione, specialmente alla luce della mancanza di un sistema certo di scambio di informazioni relative all’impatto sugli imponibili regionali.

 

Proposta di emendamento

 

All’articolo 7 è aggiunto il seguente comma 15: “15. Per l’IRAP e le Addizionali all’IRPEF si applicano le disposizioni contenute nel presente articolo ove non diversamente stabilito dalle singole leggi regionali

 

 

Articolo 9 (Concordato sulle liti fiscali)

Se per le materie oggetto di contenzioso d’innanzi alle Commissioni tributarie, le Regioni, in virtù del disposto costituzionale, non possono legiferare in quanto competenza esclusiva statale, relativamente alle liti fiscali “che possono insorgere per avvisi di accertamento, ecc.”, ribadiscono le medesime perplessità espresse circa la portata dell’articolo 7 del d.d.l. in esame, auspicando un sistema certo di scambio di informazioni sull’andamento delle definizioni automatiche delle liti fiscali, interessanti i tributi propri regionali.

 

 

Articolo 10 (Proroghe benefici settore agricolo)

Per quanto condivisibili le proroghe di agevolazioni per il settore agricolo, avrebbero dovuto essere concordate con le Regioni, vista la competenza esclusiva riconosciuta dalla Costituzione.

Per la garanzia dell’invarianza di gettito si rinvia alla proposta di emendamento di cui all’articolo 17 del ddl.

L’articolo ha ripercussioni anche per le RSS per le quali occorre prevedere meccanismi di compensazione coerenti con i loro statuti.

 

 

Articolo 12 (Razionalizzazione delle spese e flessibilità del bilancio)

La norma prevede la riduzione del 2,5% delle dotazioni finanziarie per gli Enti previsti in Tabella C: tale manovra dovrebbe configurarsi unicamente quale misura di razionalizzazione del comparto statale. Viene delineato, altresì, una riduzione per gli Enti pubblici diversi da quelli indicati nella Tabella C, per cui andrebbe precisata la portata e il riflesso sui trasferimenti alle Regioni in quanto diventerebbe inaccettabile la riduzione unilaterale degli stanziamenti di bilancio destinati alle Regioni.

 

Articolo 13 (Beni e servizi)

In materia di acquisto di beni e servizi vengono introdotte norme di principio e coordinamento in una competenza strettamente regionale trattandosi di autonomia gestionale oltre a disposizioni che assumono il carattere “ispettivo”; pur condividendo la necessità di recuperare margini di efficienza si fa rilevare che i risparmi derivanti dall’adesione a CONSIP e gli acquisti centralizzati sono solo “attesi” e dipendono dall’esito delle gare e dalla tempistica delle scadenze dei contratti in corso; d’altro canto le Regioni si sono già attivate autonomamente con sistemi di budgetizzazione delle risorse di funzionamento, con i sistemi di controllo di gestione affinché trovino piena applicazione le manovre di risparmio; anche in questo caso l’autonomia regionale deve essere rispettata. Relativamente alle convenzioni CONSIP va ripristinato il dettato della legge n. 405/2001.

Alcuni dei commi di questo articolo sono espressamente qualificati come “norme di principio e di coordinamento” per le Regioni. In realtà si tratta di norme di dettaglio imperative e immediatamente applicabili.

L’articolo presenta, inoltre, diversi problemi:

In materia di responsabilità del soggetto che sottoscrive il contratto di acquisto;

La limitazione al ricorso alla trattativa privata, anche laddove consentita dalla legge, solo ai casi eccezionali e motivati e previo esperimento di una documentata indagine di mercato. Tale limitazione può creare problemi relativamente alla fornitura di servizi essenziali (specialmente nella Sanità) nonché può essere causa di incertezza nell’individuazione della normativa di riferimento da applicare.

 

Proposta di emendamento

Al comma 1 dell’art.13 in fine è aggiunto “salvo quanto disposto dalle leggi regionali”.

Il comma 3 dell’articolo 13 è abrogato

Il comma 4 dell’articolo 13 è abrogato

Il comma 5 dell’articolo 13 è abrogato.

Il comma 7 dell’articolo 13 è abrogato

 

Articolo 14  (Innovazione tecnologica)

La materia regolamentata dall’articolo 14 istituisce un fondo per il finanziamento dei progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel Paese. L’articolo attribuisce alla competenza statale la definizione dei decreti attuativi nonché le norme di coordinamento in materia, “liberalizzando a favore delle amministrazioni interessate gli strumenti finanziari per la diffusione della carta d’identità elettronica e della carta nazionale dei servizi”. Anche in questo caso non può essere taciuta la necessità del coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali.

Le regioni, oltre a rilevare un netto ridimensionamento del Fondo, ridotto a soli 100 milioni di Euro, segnalano l'aleatoria copertura che ne viene data, in quanto legata, per l'8% a riduzioni di stanziamento per l'informatica e, per il resto, a riduzioni di consumi.

 

Proposta di emendamento

Al comma 1 la frase “una dotazione di 100 milioni di Euro per l’anno 2003” è sostituita dalla frase “una dotazione di 200 milioni di Euro per l’anno 2003.

 

Si aggiunge il comma 4: “4. I decreti e i provvedimenti di cui al presente articolo vengono adottati sentita la Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie locali”.

 

Articolo 15 (Acquisizione di informazioni)

L’articolo 15 tratta unilateralmente della necessità da parte dello Stato di acquisire ogni utile informazione sul comportamento degli enti e organismi pubblici oltre a richiamare l’esigenza di monitoraggio delle informazioni finanziarie tramite apposita codifica uniforme, pena il blocco da parte delle Tesorerie delle disposizioni di pagamento.

Si richiama l’attenzione sull’impostazione di un sistema di scambio di informazioni tra Stato e Regioni rinnovando la richiesta di definire tale materia tramite un accordo.

 

Proposta di emendamenti

Al comma 1 dell’articolo 15, dopo le parole “il Ministero dell’Economia” è aggiunta la seguente frase: “, secondo modalità e parametri stabiliti d’intesa con la Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie locali,

 

Il comma 4 dell’articolo 15 è abrogato

 

Articolo 16 (Patto di stabilità)

Nel prendere atto che per le Regioni risultano confermate le disposizioni contenute nella legge 405/2001, non appare condivisibile la previsione della certificazione annuale del rispetto del Patto da parte del responsabile del servizio finanziario, atteso che attualmente il rispetto del raggiungimento degli obiettivi collegati al patto di stabilità viene formalmente comunicato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome.

Pare, inoltre, assolutamente sproporzionata, rispetto al mancato adempimento di un obbligo formale la sanzione prevista per la mancata presentazione della certificazione di cui sopra.

Vi è, inoltre, la necessità di meglio definire i contenuti del comma 10, in modo che sia chiaro che non vi è alcuna decurtazione preventiva del livello annuale di finanziamento della spesa sanitaria rispetto a quello dell’accordo dell’8 agosto 2001.

 

Proposta di emendamento

Il comma 13 dell’articolo 16 è abrogato

 

Articolo 17 (Decentramento e varie disposizioni)

Le Regioni concordano sull’eliminazione dei trasferimenti erariali per la costituzione di un Fondo unico di cui però non è prevista la confluenza nel sistema delle compartecipazioni di cui al d.lgs.56/2000. Si richiede l’intesa con la Conferenza Stato – Regioni per l’individuazione dei trasferimenti erariali.

In merito all’attuazione del decentramento amministrativo, il rinvio di un anno, rispetto all’originaria previsione, della fiscalizzazione delle risorse derivanti dalla attuazione dei decreti “Bassanini” modifica la composizione delle entrate regionali e riduce fortemente la capacità di indebitamento.  

In merito alle minori entrate per la riduzione dell’accisa sulle benzine e tassa automobilistica, la norma non garantisce la stabilizzazione di tali entrate attraverso la loro inclusione nel meccanismo di fiscalizzazione previsto dal d.lgs.56/2000 sul federalismo fiscale. Non è prevista la copertura dal 2005 per le minori entrate relative al 2003: si rinnova la necessità di prevedere il recupero dell’erogazione che attualmente avviene con due anni di ritardo e l’adeguamento delle risorse per la copertura delle perdite come richiesto dalle Regioni.

Le Regioni richiedono l’introduzione di una norma di salvaguardia dei gettiti tributari in attesa della legge quadro sul Federalismo fiscale.

Non appare congruo lo stanziamento dell’UPB 4.1.2.18 “Federalismo fiscale” relativo alla compartecipazione IVA da attribuire nel 2003 alle Regioni rispetto alle stime regionali dell’andamento dei gettiti IRAP e Addizionale IRPEF. Si ricorda che tale stanziamento è necessario per la copertura della spesa sanitaria.

Il comma 12, pone a carico degli amministratori una sanzione pecuniaria in caso di ricorso ad indebitamento per finanziare spese diverse dagli investimenti, in violazione dell’art. 119 della Costituzione. Poiché la norma contiene espressioni generiche, presenta difficoltà interpretative relativamente alla nozione di spese di investimento e affida alla Corte dei Conti il compito di configurare la fattispecie illecita, oltre a introdurre uno “strano” potere sanzionatorio attribuito alla  medesima Corte, commisurato all’indennità di carica percepita al momento della presunta violazione. Non appare questa la sede idonea per la regolamentazione di questa materia.

 

Proposta di emendamento

 

Al comma 1 dell’articolo 17 sostituire la parola “sentita” con le parole “d’intesa con”.

 

Il comma 2 dell’articolo 17 è così sostituito “ Al comma 3, dell’articolo 5 del d.lgs.56/2000, le parole “a norma del comma 2 entro il 30 settembre 2002, sulla base dei dati consuntivi risultanti per l’anno 2001” sono sostituite dalle parole “a norma del comma 2, si provvede entro il 30 novembre 2003 sulla base dei dati consuntivi risultanti per l’anno 2002” .

 

Dopo il comma 2 dell’articolo 17 aggiungere il seguente comma. “2bis.  Entro il 30 giugno 2003 dall’entrata in vigore della presente legge sono definitivamente individuate le risorse finanziarie, umane e strumentali relative alle funzioni conferite con i decreti legislativi attuativi della legge n. 59/1997 tenendo conto dei fabbisogni aggiuntivi determinati sulla base del principio di congruità per i DPCM già emanati nonché di quelli necessari per i DPCM ancora da definire”.

 

Al comma 3 dell’articolo 17 le parole “ad esclusione di quelle relative all’esercizio delle funzioni nei settori del Trasporto pubblico locale e della Salute umana e veterinaria” sono soppresse.

 

Al comma 4, ultimo periodo, dell'articolo 17, dopo la parola "Alla" aggiungere le parole: "definitiva quantificazione e"

 

Dopo il comma 4 dell’articolo 17 è aggiunto il comma 4 bis: “ 4 bis. Per garantire l’invarianza del gettito delle entrate tributarie spettanti alla Regione siciliana in virtù dell’art.36 del Regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n.2, si provvede con oneri a carico del bilancio dello Stato, mediante misure volte a compensare le minori entrate conseguenti alla applicazione nella presente legge, nonché quelle derivanti da misure agevolative, mediate crediti d’imposta, già disposte con leggi entrate in vigore anteriormente. L’ammontare delle predette misure compensative sarà determinato con successivo provvedimento da emanarsi d’intesa con la Regione siciliana, anche sulla base delle risultanze prodotte dall’Agenzia delle Entrate – Struttura di gestione.”.

 

Dopo il comma 6 aggiungere il seguente comma 6 bis: “ 6 bis. Nell’ambito della definizione dei rapporti finanziari pregressi tra lo Stato e la Regione Sicilia, in base alle risultanze dei lavori svolti dal Comitato tecnico, istituito con DPCM 18/10/2001, n.10, è attribuita alla Regione Sicilia la somma di euro 794.000.000 da corrispondere entro il ……….. “.

 

Il comma 12 dell’articolo 17 è abrogato.

 

 

Articolo 18 (Disposizoni varie per gli Enti locali)

All’articolo 18, comma 10, lettera b) è aggiunto il seguente periodo: “Per le province della Sicilia alle riduzioni di cui alla presente lettera provvede la Regione stessa in conformità in conformità al proprio statuto ed alle relative norme di attuazione in materia finanziaria.”

 

 

Articolo 19 (Tesoreria Unica)

Le regioni, pur non presentando formali proposte di emendamento, ribadiscono l’auspicio del superamento del sistema di Tesoreria unica, delineato dall’art. 66, commi 1 e 2 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

 

Articoli 20 e 21 (Personale)

Nelle misure in materia di personale vi sono diversi punti da contestare, sia di metodo che di sostanza. In primo luogo non si tiene in alcuna considerazione il fatto che la potestà legislativa in materia di ordinamento degli uffici è nella potestà esclusiva delle Regioni. In questa prospettiva appaiono, certamente deprecabili, in quanto concretano una pesante interferenza organizzativa, tutte le disposizioni che si connotano per l’elevata precisione e puntualità. A titolo esemplificativo si può ricordare la limitazione delle assunzioni a tempo indeterminato al 50% dei dipendenti cessati dal servizio dal 2002, oppure l’obbligo per le Regioni di provvedere alla rideterminazione degli organici. Quest’ultima prescrizione viene giustificata in relazione ai processi di trasferimento di funzioni dallo Stato al sistema delle Autonomie che sono oggi in corso; se non si può negare a priori l’utilità di una simile misura va osservato tuttavia che questa avrebbe dovuta essere preliminarmente concertata in sede Conferenza Stato – Regioni e certo non venire imposta in via unilaterale con legge dello Stato.

Le misure della finanziaria vanno valutate all’interno del nuovo quadro costituzionale e si deve osservare a questo proposito che:

se è indubitabile che lo Stato conserva una potestà legislativa in materia di finanza pubblica, è altrettanto vero che la Regione ha potestà concorrente in materia;

lo Stato è responsabile del rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’UE ed in particolare del patto di stabilità e crescita;

le spese per il personale costituiscono una delle quote più importanti della spesa pubblica.

In forza della accennata competenza esclusiva che la Regione ha in materia di organizzazione degli uffici e personale non possibile in alcun modo giustificare interventi autoritativi da parte dello Stato.

 Inoltre, in contrasto con la tendenza alla contrattualizzazione dei rapporti di lavoro in ambito pubblico, interviene legislativamente su alcuni aspetti dei rinnovi contrattuali e ciò è maggiormente evidente nei vari commi che costituiscono l’articolo 21.

Pare più opportuno individuare, nell’ambito di un’intesa tra Governo e Regioni un obiettivo generale di risparmio economico sulla spesa relativa al personale nell’ambito del quale le singole Regioni possano autonomamente operare.

Quindi, le regioni chiedono di essere escluse dai vincoli contenuti negli articoli 20 e 21.

Non sono neppure previsti tutti gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2002-2003 per il personale del Servizio Sanitario.

 

Articolo 28 (Fondo politiche sociali)

Il d.d.l. Finanziaria 2003 prevede una diminuzione complessiva dello stanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali: il 2003 diminuisce del 6,2% rispetto al 2002, gli stanziamenti per il 2004 e 2005 diminuiscono del 21,4% rispetto al 2003 (2002 Euro 1.622.889.189, 2003 Euro 1.522.766.000, 2004 e 2005 Euro 1.197.257.000). Le Regioni richiedono che gli stanziamenti vengano, quanto meno, mantenuti negli attuali livelli di spesa.

L'articolato, peraltro, sembra invasivo della competenza esclusiva delle Regioni in materia di organizzazione. Inoltre, non viene rispettato il principio di sussidiarietà laddove si affida a una legge dello Stato la ripartizione delle risorse ai Comuni e alle Regioni per garantire su tutto il territorio nazionale livelli uniformi di assistenza quando,ancora, non si è definita la composizione della spesa di ciascun livello e la relativa disponibilità economica. Né si intravede lo strumento con il quale collegare la spesa statale e quella delle autonomie locali per la realizzazione dei livelli.

 

Proposta di emendamenti

Al comma 2 dell'articolo 28 sostituire le parole "propri decreti" con la parola "decreto".

 

Al comma 2 dell'articolo 28 cancellare la parola "risorse".

 

Al comma 2 dell'articolo 28 dopo le parole "comma 1" cancellare il resto del periodo.

 

Al comma 3 dell'articolo 28 cancellare la frase da "Nei limiti…." e fino a "enti locali e" e sostituirla con la frase: "Nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle"

Al comma 4 dell'articolo 28 sostituire la parola "sentita" con le parole "d'intesa con"

 

Al comma 5 dell'articolo 28 sostituire la frase da "entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui sono state assegnate" con la seguente: "oltre un anno dalla data di effettiva disponibilità delle risorse attribuite dal decreto di assegnazione delle stesse".

 

Articolo 30 (Sanità)

L’articolo, in particolare, il comma 2 amplia e modifica unilateralmente i contenuti dell’accordo dell’8 agosto 2001 e, pertanto, la materia dovrebbe essere rivista previo accordo con le Regioni. Le Regioni, comunque, sostengono che debba essere riconosciuto il livello di finanziamento così come integrato dall’Accordo 8 agosto 2001 e, solo successivamente all’accertamento del mancato rispetto degli adempimenti, prevedere il ripristino delle risorse al livello dell’Accordo del 2001.

Il comma 5 prevede che con decreto del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie siano stabilite le modalità per l’assorbimento in via sperimentale della tessera recante il codice fiscale nella Carta nazionale dei servizi e per la sua progressiva utilizzazione. Non pare essere questa la sede idonea per trattare la materia.

 

Proposta di emendamenti

Il comma 1 dell’articolo 30 è sostituito dai seguenti commi: “1. A decorrere dal 1° gennaio 2003, i cittadini che usufruiscono delle cure termali, con l’esclusione dei soggetti individuati dall’art.8, comma 16 della legge 24 dicembre 1993, n.537 e successive modificazioni, dei soggetti individuati dal regolamento 28 maggio 1999, n.329, degli invalidi di guerra titolari di pensione diretta vitalizia, dei grandi invalidi per servizio, degli invalidi civili al 100% e dei grandi invalidi del lavoro, sono tenuti a partecipare alla spesa per un importo di 40 euro.

 

Il primo periodo del comma 2 è così sostituito “Tra gli adempimenti cui sono tenute le Regioni, ai sensi dell’art. 4 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, ai fini del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per gli anni 2003 e 2004 come determinato ai sensi dell’accordo dell’8 agosto 2001 e salvo verifica a consuntivo, sono ricompresi anche i seguenti:

 

Alla fine del comma 2 lettera a) dell’articolo 30 aggiungere “La relativa verifica avviene secondo modalità definite in sede di Conferenza Stato/Regioni;

 

Alla fine del comma 2 lettera b) dell’articolo 30 aggiungere “La relativa verifica avviene secondo modalità definite in sede di Conferenza Stato/Regioni;

 

Le lettere c) e d) del comma 2 dell’articolo 30 sono soppresse

 

Il comma 5 dell’articolo 30 è soppresso.

 

Il comma 7 è così sostituito: “La riduzione di cui al comma 1 dell’articolo 3 del deceto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge 15 giugno 2002, n. 112 è dell’8% dal 1° gennaio 2003”

 

Dopo il comma 7 dell’articolo 30 inserire il seguente comma 8: “8. Al fine di adeguare progressivamente la durata della copertura brevettuale complementare a quella prevista dalla normativa comunitaria e le disposizioni di cui alla legge 19/10/1991 n.349 ed al REG (CE) 1768/1992 del Consiglio del 18/06/1992, trovano attuazione attraverso una riduzione della “protezione complementare” pari a due anni per ogni anno solare a decorrere dal 1° gennaio 2003, fino al completo allineamento alla durata prevista dalla normativa europea”.

 

All’articolo 30 aggiungere il seguente comma 9. “9. Al comma 5 dell’articolo 9 del decreto legge 8 luglio 1974, n. 264, convertito, con modificazioni, nella legge 17 agosto 1974, n. 386, dopo la parola “concedere” sono aggiunte le seguenti: “alle aziende sanitarie territoriali, anche per tutti gli usi di cui al decreto 347/01 convertito in legge 405/01”.

 

 

Articolo 31 (Sanità – Dispositivi medici)

 

Proposta di emendamenti

All’articolo 31 inserire il seguente comma 0: “Con apposito accordo in sede di Conferenza Stato/Regioni è istituito il repertorio dei dispositivi medici

Al comma 1 dell’articolo 31, dopo le parole “a carico del bilancio dello Stato” aggiungere “, delle regioni e degli Enti locali,

Al comma 1 dell’articolo 31 sopprimere le parole “con l’indicazione del prezzo di riferimento”.

 

 

Articolo 32 (Sanità – Farmaci)

Anche in considerazione delle modifiche richieste al DL 264/74, le Regioni chiedono la predisposizione di una norma che riformi la disciplina di determinazione del prezzo dei farmaci, da concordare in sede di Conferenza Stato/Regioni.

 

Ulteriori proposte in materia sanitaria

 

Attivazione contratti di formazione per medici specializzandi

in attuazione della legge 368/1999 le Regioni, nell’esprimere accordo, richiedono che i costi incrementali derivanti da tale attivazione – pari a circa 100 milioni di euro annui – siano coperti con fondi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’Accordo dell’8 agosto.

Piano straordinario per la riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani (art. 71 l. 448/98):

a seguito della decurtazione del finanziamento assegnato, non si è avuta alcuna assicurazione formale da parte del Governo relativa al ripristino dell’assegnazione complessiva delle somme ripartite a tutte le Regioni con il decreto del 22 marzo 2001. Si chiede pertanto il ripristino delle somme decurtate e si propone l'inserimento del seguente emendamento:

"L'importo di € 1.239.496.557,81 stanziato dall'articolo 71 della Legge 23 dicembre 1998 n. 488 e successive integrazioni e decurtato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2002, è reintegrato per l'importo di € 209.907.192,70."

Occorre pertanto disporre nella Tabella D della finanziaria, il rifinanziamento dell'intero importo stanziato.

Previsione finanziamento II fase programmi regionali ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico

Non risultano previste nella tabella D somme necessarie per la copertura del finanziamento degli Accordi di programma ex art. 5 bis del Dlgs 502/92 e successive modificazioni, nonché i fondi aggiuntivi per gli investimenti già previsti nella finanziaria 2001. Peraltro, vi sono Regioni che hanno di recente completato la programmazione sanitaria, anche in applicazione della Legge 405/2001 e che hanno in corso la definizione dell’Accordo di programma.

Occorre prevedere la quota di finanziamento utilizzabile nel 2003 sia per dare attuazione agli accordi di programma in fase di esecuzione sia per avviare le operatività di quelli la cui sottoscrizione è programmata entro il 31/12/2002.

E’ quindi necessario prevedere la modifica delle disposizioni relative all’art. 5bis dlgs. 229/99 per permettere la stipula degli Accordi di programma, anche in presenza di una non totale copertura finanziaria degli stessi.

 

Previsione normativa relativa alla costituzione della Struttura interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con il personale, medici ed altre professionalità sanitarie, convenzionato con il S.S.N.:

Il comma 9 dell'articolo 4 della legge 412/91 è così sostituito:

" 1. È istituita la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato con il S.S.N..

2. tale struttura, che rappresenta la delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario a rapporto convenzionale, è costituita da rappresentanti regionali nominati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano.

3. La delegazione di cui al comma precedente è assistita, limitatamente alle materie di rispettiva competenza, da rappresentanti dei Ministeri dell'Economia e Finanze, del Welfare e della Salute, designati dai rispettivi Ministri.

4. Con accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo agli accordi di cui al comma 2, tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 40, 41,42,42,46.47,48,49 del Decreto Legislativo 145/2001"

 

Proposta di costituzione di un organismo unico, d’intesa tra Governo e Regioni e Province autonome, per il governo della spesa farmaceutica. All’interno di detto organismo confluiranno le funzioni della CUF, della Commissione nazionale per la spesa farmaceutica e dell’Osservatorio sui Farmaci, che cesseranno di esistere. In sede di Conferenza Stato Regioni saranno dati gli indirizzi generali per il lavoro di detto organismo.

 

 

Capo V (Finanziamento degli investimenti)

 

Le Regioni condividono l’obiettivo di incrementare l’efficacia e l’efficienza del finanziamento degli investimenti. Tuttavia, ribadiscono la necessità di superare la gestione centralizzata dei Fondi che confligge con l’autonomia delle Regioni, dirette responsabili dello sviluppo dei propri territori. Inoltre, la “centralizzazione” determina inevitabilmente un rallentamento delle erogazioni, che ha riflessi negativi sui flussi finanziari.

Tale rallentamento si enfatizza in ordine alla strategicità degli interventi programmati nelle aree del Mezzogiorno, dove il protagonismo regionale costituisce garanzia per lo sviluppo economico di quei territori e per una migliore allocazione delle risorse, anche in termini di complementarietà dei Fondi comunitari.

Con riferimento al presente Capo V si richiama, in particolare, l’attenzione sulla norma (art.33, comma 1) secondo la quale “le disponibilità assegnate agli strumenti della programmazione negoziata possono essere diversamente allocate dal CIPE……., in relazione….. allo stato di attuazione degli interventi finanziati ….”. in termini generali, non può che suscitare perplessità la filosofia di fondo che delinea tale impostazione: lo strumento della programmazione negoziata, risultato di accordi bilaterali, diventa scelta unilaterale del Governo nazionale attraverso il ruolo attribuito al CIPE. In particolare, il rischi è che risorse assegnate sul 2002 siano decurtate, in assenza della stipula di APQ sulle risorse precedentemente assegnate. È noto, come per molte Regioni, è ormai dal febbraio 2002 che sono stati aperti tavoli di confronto presso il Ministero dell’Economia e della finanze e dei Ministeri competenti per materia. Difficoltà di vario ordine hanno ostacolato ad oggi la definizione degli accordi. Si propone pertanto:

Una modifica alla norma – art.33 comma 1 – che confermi il carattere bilaterale, in termini istituzionali, della programmazione negoziata;

Un’azione decisa in sede di Conferenza Stato – Regioni perché le trattative in corso si possano chiudere celermente;

Modifiche significative, anche in termini di scadenze temporali, da apportare alla deliberazione CIPE 36/2002;

L’inserimento, comunque, di un’espressione di un parere obbligatorio da parte della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e della Conferenza Stato – Regioni nell’istruttoria relativa a quanto previsto dagli articoli 33, 34, 35, 36 e 37 del ddl in esame.

 

Inoltre, è da evidenziare che solo per il 2003 si può accedere al concetto di Fondo Unico a condizione che tutte le Regioni possano partecipare alle sedute del CIPE, in cui si decide il riparto e la riprogrammazione delle risorse del Fondo medesimo.

 

 

Articolo 34 (Fondo per le aree sottoutilizzate)

Le regioni rilevano che, per la prima volta, appare il termine "sottoutilizzate", in luogo di "depresse". Ciò potrebbe determinare da parte dell'UE una richiesta di chiarimenti e di esatta individuazione di tali aree da notificare alla stessa UE, con la conseguenza di bloccare l'erogazione dei finanziamenti ex aree depresse e i correlati incentivi alle imprese. Si richiede, perciò, di ripristinare i termini "aree depresse".

Il comma 1 dell’articolo 34 del ddl fa confluire nel fondo per le aree sottoutilizzate le risorse disponibili autorizzate dalle disposizioni legislative con finalità di riequilibrio economico e sociale, tra le quali vengono incluse le risorse ex lege 64/86.

Andrebbe, pertanto, prevista l’esplicita esclusione delle risorse per infrastrutture, studi e incentivi di cui alla legge 64/86, già oggetto di riparto sulla base dei programmi regionali di sviluppo e dei programmi ricadenti nelle specifiche azioni organiche riferite alla medesima legge e rientranti nell’ambito dei trasferimenti relativi alle funzioni conferite con i decreti attuativi del d.lgs.112/98.

 

Articolo 35 (Fondo rotativo per la progettualità)

La norma esclude il ruolo degli Organismi Certificatori del Nucleo di Valutazione regionale e accentra presso la Cassa Depositi e Prestiti le attività di valutazione dei progetti. Viene meno, pertanto, la possibilità per le Regioni di verificare la coerenza di tali progetti con la programmazione regionale.

 

Articolo 37 (Fondi rotativi per le imprese)

Vengono introdotte norme di principio e di coordinamento che obbligherebbero le Regioni ad adeguare la propria legislazione in materia di incentivi alle imprese. Considerando che sulla base del nuovo Titolo V della Costituzione la materia “incentivi alle imprese” è in parte a legislazione esclusiva regionale (commercio, turismo, ecc.) è evidente l’incursione statale nel disciplinare anche materie spettanti alle Regioni. Esse sole sono in grado di esplicare delle politiche mirate sulle esigenze imprenditoriali espresse nella propria realtà territoriale.

 

Proposta di emendamenti

 

Il comma 3 dell’articolo 37 è soppresso

 

 

Articolo 40 (Interventi ambientali)

La norma introduce una previsione che sottrae di fatto le competenze già attribuite alle Regioni in materia di autorizzazioni ambientali. La direttiva 96/61 CE sulla prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento, recepita parzialmente con il D.Lgs. 372/99, ha introdotto il rilascio e il rinnovo dell’autorizzazione ambientale integrata per taluni impianti industriali esistenti. Tale autorizzazione riassorbe tutte le autorizzazioni ambientali di competenza regionale. L’art. 40 attribuisce la competenza relativa all’autorizzazione ambientale integrata allo Stato per tutti i numerosi casi in cui sussiste la competenza dello Stato in materia di VIA, ai sensi del DPCM 377/88 e s.m.i.

La norma appare coerente in caso di autorizzazione di nuovi impianti soggetti a VIA statale, mentre appare del tutto illogica nei casi di rilascio di autorizzazione ambientale integrata per gli impianti esistenti. Le Regioni hanno già proceduto in molti casi al rilascio delle autorizzazioni ambientali in base alla normativa esistente.

Si propone pertanto l’abrogazione totale della previsione normativa, in quanto:

ingenera confusione e dubbi nell’attuazione del D. Lgs 372/99 (esiste già una calendarizzazione del rinnovo dell’autorizzazione ambientale integrata come prevista dalla normativa comunitaria e statale);

costituirebbe un appesantimento procedurale per le imprese e la P.A: oltre che una ulteriore sottrazione delle competenze regionali in materia ambientale, tra l’altro intrecciate con quelle proprie delle Regioni in materia industriale.

 

Articolo 42 (Misure di razionalizzazione diverse)

 

Proposta di emendamento

Al comma 3 dell'articolo 42 dopo la cifra "269" inserire le parole "per il funzionamento del coordinamento centrale e dei livelli territoriali" e cancellare le parole "al Fondo per il funzionamento della" sostituendole con la parola "alla".

 

 

Articolo 46 (Copertura finanziaria ed entrata in vigore)

 

Proposta di emendamento

Al comma 2 dell’articolo 46, in fine si aggiunge: “e delle relative norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della Costituzione per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite

 

Roma, 16 ottobre 2002

 


 

 

Resoconto sintetico incontro Governo
 delegazione Conferenza dei Presidenti
  (Palazzo Chigi, 8 nov. 2002
)

 

A seguito delle intese raggiunte a conclusione del primo confronto dei Presidenti delle Regioni con il Ministro dell’Economia, Tremonti tenutosi giovedì 7 novembre u.s. in merito alle proposte formulate dalle Regioni al DDL Finanziaria 2003, si è svolto un successivo incontro (8 novembre) per proseguire l’esame degli emendamenti di parte regionale.

Sulla base del documento di emendamenti recante il parere al DDL Finanziaria 2003 del 16 ottobre u.s., è stato redatto – sotto il coordinamento della Regione Lombardia - un ulteriore documento dividendo gli emendamenti senza impatto finanziario da quelli con impatto finanziario, documento sul quale si è incentrato il confronto.

Il Governo ha inoltre fornito risposte a puntuali richieste - già avanzate in precedenti documenti della Conferenza consegnati al Governo – su alcune questioni finanziarie della Sanità.

Nell’incontro sono state affrontate in via preliminare le questioni finanziarie della Sanità e, successivamente, sono stati esaminati gli emendamenti in Finanziaria 2003.

Su questo secondo argomento, si allegano per completezza d’informazione, le schede consegnate recanti gli emendamenti delle Regioni con le risposte del Governo, ove fornite, sulle singole richieste (evidenziate nei riquadri).

 

RICHIESTE IN MATERIA SANITARIA

 

Per quanto attiene alle risorse relative ai disavanzi pregressi 1994-1999 – conclusosi l’iter del provvedimento -  il Governo  si è impegnato ad erogarle in tempi brevi.

In merito al saldo dell’integrazione al FSN 2000, il Governo si è riservato un’ulteriore verifica dell’impatto sul debito pubblico, assicurandone comunque la messa in pagamento nei prossimi giorni.

In relazione al problema della quantificazione delle entrate proprie nel riparto del FSN 2002, nel dare risposta positiva all’interpretazione sostenuta dalle Regioni, il Governo si è impegnato a trovare copertura durante l’iter parlamentare della Finanziaria al Senato.

Per quanto attiene le risorse relative al Finanziamento degli IRCCS, Aziende miste e Policlinici e dell’Ospedale “Bambino Gesù”, non è stata fornita nessuna assicurazione alle richieste avanzate dalle Regioni.

E’ stato ancora una volta evidenziato con forza dai Presidenti il problema degli interessi per il ritardato trasferimento delle risorse in Sanità di cui si chiede il rimborso.

Sempre in materia di Sanità, i Presidenti hanno espresso la loro contrarietà all’emendamento presentato in Finanziaria sul contributo da versare alle Aziende sanitarie da parte dei medici che optano per la non esclusività. I Presidenti hanno ricordato la posizione già espressa sulla questione, e, nel chiedere il ritiro dell’emendamento, hanno ricordato che sul DDL di riordino del rapporto di lavoro dei medici del SSN era stato richiesto di specificare che “eventuali spese aggiuntive dirette ed indirette fossero a carico dello Stato” e tale emendamento non era stato accettato.

 

RISPOSTE AGLI EMENDAMENTI AVANZATI AL DDL FINANZIARIA 2003

 

Si riportano le schede analitiche.


 

 

EMENDAMENTI SENZA IMPATTO FINANZIARIO

 

RAZIONALIZZAZIONE DELLA SPESA SANITARIA

 

Emendamento:

Il primo periodo del comma 2 dell’art.30 è così sostituito “Tra gli adempimenti cui sono tenute le Regioni, ai sensi dell’art. 4 del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, ai fini del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per gli anni 2003 e 2004 come determinato ai sensi dell’accordo dell’8 agosto 2001 e salvo verifica a consuntivo, sono ricompresi anche i seguenti:”.

Alla fine del comma 2 lettera a) dell’articolo 30 aggiungere “La relativa verifica avviene secondo modalità definite in sede di Conferenza Stato/Regioni;”

Alla fine del comma 2 lettera b) dell’articolo 30 aggiungere “La relativa verifica avviene secondo modalità definite in sede di Conferenza Stato/Regioni;”

Le lettere c) e d) del comma 2 dell’articolo 30 sono soppresse

Il comma 5 dell’articolo 30 è soppresso.

 

Le risorse per il fabbisogno sanitario sono definite nell’ambito dell’Accordo 8 agosto 2001

 

Motivazioni

 

L’articolo, in particolare, il comma 2 amplia e modifica unilateralmente i contenuti dell’accordo dell’8 agosto 2001 e, pertanto, la materia dovrebbe essere rivista previo accordo con le Regioni. Le Regioni, comunque, sostengono che debba essere riconosciuto il livello di finanziamento così come integrato dall’Accordo 8 agosto 2001 e solo successivamente all’accertamento del mancato rispetto degli adempimenti, prevedere il ripristino delle risorse al livello dell’Accordo del 2001.

Il comma 5 prevede che con decreto del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie siano stabilite le modalità per l’assorbimento in via sperimentale della tessera recante il codice fiscale nella Carta nazionale dei servizi e per la sua  progressiva  utilizzazione. Non pare essere questa la sede idonea per trattare la materia.

 

Sono state accolte la seconda e la terza proposta di emendamento.

 

I Presidenti hanno richiesto che le questioni definite nell’ambito dell’Accordo dell’8 agosto 2001 sulla spesa sanitaria non venissero trattate in  sede di Finanziaria, bensì riviste sempre in sede bilaterale di accordo. E’ stata sottolineata la gravità delle anticipazioni in dodicesimi che, se calcolate in base all’Accordo 3 agosto 2000 senza le integrazioni concordate nel successivo Accordo, verrebbero parametrate su un budget inferiore di circa 13 mila miliardi di lire.

Il Governo non ha dato nessuna assicurazione in merito all’accoglimento delle proposte regionali.

 

Emendamento:

All’articolo 30 aggiungere il seguente comma 9. :” Al comma 5 dell’articolo 9 del decreto legge 8 luglio 1974 , n.264, convertito, con modificazioni, nella legge 17 agosto 1974, n.368, dopo la parola “concedere” sono aggiunte le seguenti: “alle Aziende sanitarie territoriali, anche per tutti gli usi di cui al decreto 347/01 convertito in legge 405/01”.

 

Motivazione

 

L’estensione del beneficio di cui al comma 5 dell’articolo 9 della legge richiamata è giustificata dalle modifiche dell’organizzazione sanitaria a seguito del Dlgs. 502/92 e successive modifiche.

 

L’emendamento è stato accolto

 

Emendamento:

Il comma 9 dell’articolo 4 della legge 412/91 è così sostituito:

“1. E’ istituita la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato con il S.S.N.

2. Tale struttura , che rappresenta la delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario a rapporto convenzionale, è costituita da rappresentanti regionali nominati dalla conferenza dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

3. La delegazione di cui al punto precedente è assistita, limitatamente alle materie di rispettiva competenza, da rappresentanti dei Ministeri dell’Economia e Finanza, del Lavoro e delle Politiche sociali e delle Salute, designati dai rispettivi Ministri.

4. Con Accordo con la Conferenza permanete con lo Stato, le Regioni e le Province autonome, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo agli accordi di cui agli accordi di cui al comma 2, tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 40, 41, 42, 46, 47, 48, 49 del Decreto Legislativo 145/2001”

 

Motivazione

 

Sulla scorta delle modifiche al Titolo V della Costituzione, si ritiene necessario che tale tipo di contrattazione avvenga tramite un organismo sottoposto ad indirizzo politico delle Regioni stesse.

 

L’emendamento è stato accolto con la seguente proposta di modifica al comma 3: “Alla delegazione partecipano i rappresentanti dei Ministeri ecc...”

 

Emendamento:

All’articolo 31 inserire il seguente comma 0.

“Con apposito Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni è inserito il repertorio dei dispositivi medici “

Al comma 1 dell’articolo 31, dopo le parole “a carico del Bilancio dello Stato” aggiungere “ delle Regioni e degli Enti Locali”.

Al comma 1 dell’articolo 31 sopprimere le parole “ con le indicazioni del prezzo di riferimento”

 

Motivazione

Si ritiene opportuno l’istituzione del repertorio dei dispositivi medici in sede di Conferenza Stato –Regioni.

 

L’emendamento non è stato accolto

 

LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA

 

Emendamento:

 

Dal 1° gennaio 2001 sono confermati i livelli essenziali di assistenza previsti dall’articolo 1, comma 6 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni.

Le prestazioni riconducibili ai suddetti livelli di assistenza e garantite dal Servizio Sanitario Nazionale sono quelle individuate all’allegato “1” del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, con le esclusioni ed i limiti di cui agli allegati 2 e 3 con decorrenza dalla data di pubblicazione dello stesso decreto.

La individuazione di prestazioni che non soddisfano i principi e le condizioni stabilite dall’art. 1, comma 7, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nonché le modifiche agli allegati di cui al comma precedente sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con la Conferenza permanente fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

 

L’emendamento è stato accolto.

 

EDILIZIA RESIDENZIALE – RINEGOZIAZIONE MUTUI AGEVOLATI A LIVELLO DI QUELLI ORDINARI PRIMA CASA

 

All’art.17 è inserito il seguente comma …….

 

“All’art. 145 della legge 23 dicembre 2000, n.388, il comma 62 è sostituito dal seguente:

“62. Per determinare la misura del tasso di cui al comma 1 dell’art.29 della legge 13 maggio 1999, n.133, si applica quanto previsto per i mutui prima casa dal decreto legge 20 dicembre 2000, n.394, convertito in legge 28 febbraio 2001, n.24. Il tasso così determinato è applicato, senza effetti novativi, ai mutui in corso di ammortamento all’entrata in vigore della stessa legge n.133, a decorrere dalla semestralità in scadenza all’1 gennaio 2002.

A modifica dell’art.29 della legge 13 maggio 1999, n.133, la rinegoziazione non si applica ai mutui agevolati di cui alle leggi 22 ottobre 1971, n.865, 27 maggio 1975, n.166, del decreto legge 13 agosto 1975, n.376, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 ottobre 1975, n. 492, nonché ai mutui integrativi della legge 8 agosto 1977, n.513, qualora l’onere a carico dello Stato risulti, per effetto della rideterminazione della nuova rata di ammortamento complessiva, superiore a quello originario. Per tali mutui agevolati l’onere a carico dello Stato si determina calcolando la differenza tra la semestralità derivante dal nuovo tasso di riferimento e la semestralità derivante dal nuovo tasso agevolato.””

 

Motivazioni

Nelle more di questo provvedimento le Regioni continuano a sostenere spese per contributi in c/interesse in misura superiore a quanto risulterebbe ai tassi di mercato e alle norme sui tassi usurai.

 

Ad avviso del Governo occorre una legge organica in materia e coordinare l’operazione con l’ABI.

 

FONDI PER LE IMPRESE

 

Emendamento:

Il comma 3 dell’articolo 37 è soppresso

 

Motivazione

 

Il comma 3 introduce norme di principio e di coordinamento che obbligherebbero le Regioni ad adeguare la propria legislazione in materia di incentivi alle imprese. Considerando che sulla base del nuovo Titolo V della Costituzione la materia “incentivi alle imprese” è in parte a legislazione esclusiva regionale (commercio, turismo, ecc.) è evidente l’incursione statale nel disciplinare anche materie spettanti alle Regioni. Esse sole sono in grado di esplicare delle politiche mirate sulle esigenze imprenditoriali espresse nella propria realtà territoriale.

 

L’emendamento non è stato accolto.

 

RINNOVI CONTRATTUALI

 

Emendamento:

 

All’art. 20, comma 4, nel secondo periodo dopo l’espressione “I comitati di settore” è aggiunto il seguente inciso “ad eccezione di quello del comparto Regioni - Autonomie locali”

 

Motivazione

Una legge statale non può fissare indirizzi per il Comitato di settore.

 

L’emendamento non è stato accolto.

E’ stato ribadito dai Presidenti che i vincoli non valgono per le Regioni.

 

ORGANICI – ASSUNZIONE PERSONALE

 

Emendamento:

All’art. 21, comma 1, tra le parole “successive modificazioni” e “provvedono ”è aggiunto il seguente inciso “ad eccezione delle amministrazioni regionali”.

 

All’art.21, comma 8, nel primo periodo, le parole “autonomie regionali e locali” sono sostituite dalle seguenti “autonomie locali”; le parole “per le amministrazioni regionali” sono soppresse. Nell’ultimo periodo del medesimo comma, le parole “per le Regioni” sono soppresse.

 

All’art.21, comma 15, dopo le parole “Ministro dell’Economia e delle finanze” sono aggiunte le seguenti “e d’intesa con la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,”.

 

Motivazioni

La potestà legislativa in materia di ordinamento degli uffici è nella competenza esclusiva delle Regioni e le misure del ddl vanno valutate all’interno del nuovo quadro costituzionale: non è possibile in alcun modo giustificare interventi autoritativi da parte dello Stato.

Gli emendamenti mirano a prevedere la non applicabilità delle norme alle Regioni, pur accettando il principio della fissazione di un tetto di spesa massimo da concordare in sede di Conferenza Unificata. Attraverso la Conferenza le Regioni e le Autonomie locali verrebbero coinvolte in una procedura di valenza strategica diretta a semplificare il passaggio di risorse umane dallo Stato, magari riuscendo ad evitare gli inconvenienti del “Sistema Bassanini”.

 

E’ stata accolta solo la terza proposta di emendamento.

 

BENI E SERVIZI

 

Emendamento

Al comma 1 dell’art.13 in fine è aggiunto “salvo quanto disposto dalle leggi regionali”.

Il comma 3 dell’articolo 13 è abrogato

Il comma 4 dell’articolo 13 è abrogato

Il comma 5 dell’articolo 13 è abrogato.

Il comma 7 dell’articolo 13 è abrogato

 

Motivazione

 

In materia di acquisto di beni e servizi vengono introdotte norme di principio e coordinamento in una competenza strettamente regionale trattandosi di autonomia gestionale. Pur condividendo la necessità di recuperare margini di efficienza si fa rilevare che le Regioni si sono già attivate autonomamente con sistemi di budgetizzazione delle risorse di funzionamento, con i sistemi di controllo di gestione affinché trovino piena applicazione le manovre di risparmio; anche in questo caso l’autonomia regionale deve essere rispettata. Relativamente alle convenzioni CONSIP va ripristinato il dettato della legge n. 405/2001.

La limitazione al ricorso alla trattativa privata, anche laddove consentita dalla legge, solo ai casi eccezionali e motivati e previo esperimento di una documentata indagine di mercato. Tale limitazione può creare problemi relativamente alla fornitura di servizi essenziali (specialmente nella Sanità) nonché può essere causa di incertezza nell’individuazione della normativa di riferimento da applicare.

L’emendamento non è stato accolto. E’ stato comunque specificato che restano validi gli acquisti a prezzi più favorevoli rispetto al parametro CONSIP.

 

PATTO DI STABILITA’ - CERTIFICAZIONE

 

Emendamento:

Il comma 13 dell’articolo 16 è abrogato

 

Nessun costo per lo Stato

 

Motivazione

Nel prendere atto che per le Regioni risultano confermate le disposizioni contenute nella legge 405/2001, non appare condivisibile la previsione della certificazione annuale del rispetto del Patto da parte del responsabile del servizio finanziario, atteso che attualmente il rispetto del raggiungimento degli obiettivi collegati al patto di stabilità viene formalmente comunicato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome.

Pare, inoltre, assolutamente sproporzionata, rispetto al mancato adempimento di un obbligo formale la sanzione prevista per la mancata presentazione della certificazione di cui sopra.

Vi è, inoltre, la necessità di meglio definire i contenuti del comma 10, in modo che sia chiaro che non vi è alcuna decurtazione preventiva del livello annuale di finanziamento della spesa sanitaria rispetto a quello dell’accordo dell’8 agosto 2001. (Si veda emendamento proposto all’art.30 del ddl).

 

L’emendamento è stato accolto.

 

EMENDAMENTI CON IMPATTO FINANZIARIO

 

ATTUAZIONE DEL D. LGS. 56/2000

 

Emendamento:

All’art.17 dopo il comma …. È inserito il seguente comma….:.

“E’autorizzata all’U.P.B.4.1.2.18 “Federalismo fiscale“ la spesa di 382. milioni di euro per la quota residua 2002 a copertura del fabbisogno regionale determinato sulla base dell’accordo Governo – Regioni dell’8 agosto 2001 ed in attuazione del d.lgs.56/2000 art.2.

 

Le relative somme sono individuate riducendo il capitolo 3000 “Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine” U.P.B. 4.1.5.10 dello Stato di Previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze del ddl Bilancio di previsione 2003.

 

Motivazione.

 

Si evidenzia che la dotazione del capitolo del bilancio dello Stato relativo all’attuazione del federalismo fiscale (U.P.B. 4.1.2.18 (Federalismo Fiscale) deve essere coerente con gli impegni assunti l’8 agosto 2001 in merito ai livelli di finanziamento della spesa sanitaria e con i corrispondenti livelli delle compartecipazioni attributi alle Regioni. L’attuale stanziamento (sul 2002) rideterminato in base al ddl assestamento del bilancio  dello Stato è di € 30.536 milioni a fronte di un fabbisogno 30.918 milioni.

 

Occorre prevedere di recuperare sul 2003 la somma mancante pari a 382 milioni di euro.

 

L’emendamento non è stato accolto, ma è stato garantito l’approfondimento tecnico in materia su dati a consuntivo.

 

MINORI ENTRATE ACCISA / TASSA AUTOMOBILISTICA

 

Emendamento:

All’art.17 comma 4 :

Le parole “342,583 milioni di euro” sono sostituite dalle parole “388,061 milioni di euro”.

 

Il maggior onere di 45,478 milioni di euro trova copertura mediante corrispondente riduzione del capitolo 3000 “Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine” U.P.B. 4.1.5.10 dello Stato di Previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze del ddl Bilancio di previsione 2003.

 

Motivazione.

In merito alle minori entrate per la riduzione dell’accisa sulle benzine e tassa automobilistica, la norma non garantisce il recupero di due annualità arretrate né la stabilizzazione di tali entrate attraverso la loro inclusione nel meccanismo di fiscalizzazione previsto dal d.lgs.56/2000 sul federalismo fiscale. Non è prevista la copertura dal 2005 per le minori entrate relative al 2003.

L’emendamento è finalizzato a:

integrare la somma annua a copertura delle perdite da 342,583 milioni di euro a 388,061.

 

Il Governo si è impegnato a portare a soluzione il problema entro il 30 giugno 2003.


 

CONTRATTO AUTOFERROTRANVIERI

 

Emendamento:

 

Dopo il comma 1 dell’art.20 è aggiunto il seguente comma 1 bis:

“Sono stanziati 424 milioni di euro quale concorso dello Stato agli oneri del contratto degli autoferrotranviari per il biennio economico 2002 – 2003”.

 

Le relative somme sono individuate riducendo il capitolo 3000 “Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine” U.P.B. 4.1.5.10 dello Stato di Previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze del ddl Bilancio di previsione 2003.

 

Motivazione

A novembre del 2000, le Regioni e le Autonomie Locali hanno sottoscritto con i Ministeri del Lavoro e dei Trasporti un protocollo d'intesa al fine di assicurare la copertura finanziaria degli oneri legati al rinnovo del CCNL autoferrotranvieri e per permettere la chiusura delle trattative sindacali. Nel protocollo si prevedeva l'impegno dei sottoscrittori ad affrontare congiuntamente i problemi delle dinamiche contrattuali oltre il 2001. Infatti, la copertura prevista dal Governo per il contratto per il 2001 è solo parziale (art.145, comma 30 legge 388/00) e la quota a carico delle Regioni è di € 41.833.008,83 (81 mld.di lire).

Per gli anni 2002 – 2003, venendo a mancare l’intervento dello Stato  l’onere complessivo per le Regioni è stimato in oltre € 211.747.328,63 (410 mld di lire) - effetti del I biennio. Questo importo non tiene conto dei maggiori oneri legati alla rinegoziazione economica del II biennio del contratto.

È necessario che il Governo provveda ad assicurare la copertura del contratto per la sua parte concordando con le Regioni anche la parte a loro carico.

 

L’emendamento non è stato accolto. Non esiste la documentazione necessaria in materia: l’impegno dello scorso Governo è stato solo verbale.

 

RETROCESSIONE AGLI ENTI TERRITORIALI IMPOSTA SOSTITUTIVA DLGS. 239/96

 

Emendamento:

All’art.17 dopo il comma …. È inserito il seguente comma….:

In attuazione del D.lgs.239/96 art.1, comma 2, per l’erogazione a favore degli Enti pubblici emittenti del 50% del gettito dell’imposta sostitutiva che grava sugli interessi percepiti dai sottoscrittori delle obbligazioni, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro annui”.

 

Sono corrispondentemente ridotte le dotazioni degli accantonamenti previsti in tabella A del Ministero dell'Economia e delle finanze come segue:

2003 meno 10 milioni di euro

2004 meno 10 milioni di euro

2005 meno 10 milioni di euro

 

Motivazione.

La richiesta di prevedere l’adeguato finanziamento a carico del bilancio dello Stato del capitolo relativo alla erogazione a favore degli Enti pubblici emittenti del 50% del gettito dell’imposta sostitutiva che grava sugli interessi percepiti dai sottoscrittori delle obbligazioni, è avanzata in attuazione di una precisa disposizione di legge statale.

 

L’emendamento è stato accolto. Il Governo si è impegnato ad agire per superare il ritardo, in una materia estremamente complessa, con un atto amministrativo.

 

Casella di testo: EMENDAMENTI  CON IMPATTO FINANZIARIO

DECENTRAMENTO E ALTRE DISPOSIZIONI REGIONALI

 

 

Emendamento:

Al comma 1 dell’articolo 17 sostituire la parola “sentita” con le parole “d’intesa con”.

Il comma 2 dell’articolo 17 è così sostituito “Al comma 3, dell’articolo 5 del d.lgs.56/2000, le parole “a norma del comma 2 entro il 30 settembre 2002, sulla base dei dati consuntivi risultanti per l’anno 2001” sono sostituite dalle parole “a norma del comma 2, si provvede entro il 30 novembre 2003 sulla base dei dati consuntivi risultanti per l’anno 2002” .

Dopo il comma 2 dell’articolo 17 aggiungere il seguente comma.  “2 bis.  Entro il 30 giugno 2003 dall’entrata in vigore della presente legge sono definitivamente individuate le risorse finanziarie, umane e strumentali relative alle funzioni conferite con i decreti legislativi attuativi della legge n. 59/1997 tenendo conto dei fabbisogni aggiuntivi determinati sulla base del principio di congruità per i DPCM già emanati nonché di quelli necessari per i DPCM ancora da definire”.

Al comma 3 dell’articolo 17 le parole “ad esclusione di quelle relative all’esercizio delle funzioni nei settori del Trasporto pubblico locale e della Salute umana e veterinaria” sono soppresse.

Il comma 12 dell’articolo 17 è abrogato.

 

Le maggiori risorse valutate in 3.170 ml di euro, ai fini della congruità di cui al punto c), devono essere reperite con pari definanziamento del bilancio statale

 

Motivazioni

Per quanto riguarda la “fiscalizzazione dei Bassanini”, il rinvio di un anno, rispetto all’originaria previsione, della fiscalizzazione delle risorse derivanti dalla attuazione dei decreti “Bassanini” modifica la composizione delle entrate regionali e riduce fortemente la capacità di indebitamento. L’emendamento mira a chiudere definitivamente tutte le pendenze inerenti il decentramento amministrativo, comprese quelle per il Trasporto Pubblico Locale e per la Salute umana e veterinaria, entro il 30 giugno 2003. Infatti, solo con la definizione delle materie trasferite si può procedere alla fiscalizzazione delle risorse, attraverso la sostituzione dei trasferimenti con compartecipazioni e addizionali.

Le Regioni, inoltre, concordano sull’eliminazione dei trasferimenti erariali per la costituzione di un Fondo unico di cui però non è prevista la confluenza nel sistema delle compartecipazioni di cui al d.lgs.56/2000. Si richiede l’intesa con la Conferenza Stato – Regioni per l’individuazione dei trasferimenti erariali.

Il comma 12, pone a carico degli amministratori una sanzione pecuniaria in caso di ricorso ad indebitamento per finanziare spese diverse dagli investimenti, in violazione dell’art. 119 della Costituzione: la norma contiene espressioni generiche, difficoltà interpretative relativamente alla nozione di spese di investimento e affida alla Corte dei Conti il compito di configurare la fattispecie illecita, oltre a introdurre uno “strano” potere sanzionatorio attribuito alla medesima Corte, commisurato all’indennità di carica percepita al momento della presunta violazione. Non appare questa la sede idonea per la regolamentazione di questa materia.

 

Sono state accolte solo le proposte emendative delle lettere a) e b).

 

EDILIZIA SANITARIA – ARTICOLO 20, LEGGE N. 67/88

 

Emendamento:

 

Fino al 31 dicembre 2003, in deroga a quanto previsto dall’art. 5bis del D. Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modificazioni, per la realizzazione degli interventi previsti all’art. 20 della Legge 11 marzo 1988, n. 67, il Ministero della Salute può stipulare, di concerto con il Ministero dell’Economia e Finanze  e d’Intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, Accordi di programma con le Regioni nei limiti delle quote del fondo di cui al citato articolo 20, ripartite fra le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il Governo si è riservato di verificare la disposizione affinché ci sia una copertura certa ed integrale di tutti i progetti.

 

Nota:

 

In merito alla richiesta già avanzata dalle Regioni nel documento di parere al DPEF relativo al recupero dell’IVA sui contratti di trasporto per mezzo del decreto legislativo 472/1999, il Governo si è impegnato a trovare soluzione per il recupero del gettito dell’imposta senza la decurtazione del 38,55%.

 

A conclusione del confronto si è rimasti intesi che il Governo avrebbe elaborato la proposta di emendamento sulle questioni dibattute ed accolte ed, al contempo, si sarebbe impegnato a definire specifici provvedimenti sulle questioni scorporate dalla Finanziaria 2003.

 

Roma, 8 novembre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Documento della Conferenza dei Presidenti sulla proposta del Ministro della Salute di riparto delle disponibilità del Servizio Sanitario Nazionale, anno 2002

 

Punto 3.1) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni

 

La Conferenza dei Presidenti attende le risposte del Governo alla specifiche richieste avanzate in sede di Conferenza Stato-Regioni del 3 ottobre u.s., relative:

 

- alla quantificazione delle entrate proprie, che per le Regioni, sulla base dell’Accordo dell’8 agosto 2001, devono essere quantificate in circa 3.800 mld di lire e non 4250 circa come stimato nella proposta del Ministero. A tale proposito si ribadisce quanto già espresso nel  “Parere al D.D.L. finanziaria 2003” “...le Regioni denunciano che, con essa, il Governo si pone nella condizione di disdettare unilateralmente il Patto dell'8 agosto 2001,  a fronte del processo positivo di risanamento e assunzione di responsabilità che, nel rispetto di tale accordo, le Regioni hanno avviato...”. Il riparto presentato costituirebbe, di fatto, esplicita violazione dell’Accordo dell’8 agosto 2001.

I Presidenti ribadiscono che l’accoglimento della quantificazione richiesta delle entrate proprie consentirebbe, fra le Regioni, la soluzione della questione del finanziamento dell’ospedale Bambin Gesù.

 

- all’applicazione dell’art.4 della L. n. 112/2002 in merito al quale  le Regioni sostengono che il ripristino delle risorse dell’Accordo 3 agosto 2000 debba avvenire solo successivamente all’accertamento del mancato rispetto degli adempimenti regionali previsti nell’Accordo dell’8 agosto 2001 e non in maniera preventiva;

 

- alla distribuzione dei 2000 mdl di lire relativi al fondo di riequilibrio, in merito al quale le Regioni hanno specificato che 400 saranno ripartiti secondo criteri di efficienza fra le Regioni che accedono a tale fondo e 300 saranno destinati alla copertura degli oneri connessi alla scelta del rapporto esclusivo per gli IRCCS, ospedali classificati, componente universitaria delle aziende miste e dei policlinici.

 

Roma, 24 ottobre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Osservazioni al Decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze del 29 novembre 2002

 

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome nella riunione odierna ha valutato i possibili effetti del decreto del Ministro dell’economia del 29/11/2002, applicativo del decreto legge 6 settembre 2002, n.194, convertito nella legge 31 ottobre 2002, n. 246 “Misure urgenti per il controllo, la trasparenza ed il contenimento della spesa pubblica”, sui bilanci delle Regioni e delle Aziende Sanitarie Locali.

In tale sede sono emerse le seguenti considerazioni:

 

In primo luogo il citato decreto del Ministro dell’economia del 29/11/2002, applicativo del decreto legge 6 settembre 2002, n. 194, convertito nella legge 31 ottobre 2002, n. 246 si discosta dai principi inseriti nella legge.

La legge non cita mai la possibilità di applicazione del decreto a aziende ospedaliere e sanitarie, prevede che con apposito “atto di indirizzo siano definiti i criteri di carattere generale per il coordinamento dell’azione amministrativa del Governo” definendo l’ambito di manovra del decreto all’interno degli enti dell’amministrazione centrale.

 

In particolare si ritiene illegittimo il comma 3 dell’art.2 del decreto 29 novembre 2002 in quanto:

il decreto è invasivo della competenza regionale in materia sanitaria secondo il Titolo V della Costituzione;

la materia sanitaria è regolata dall’Accordo dell’8 agosto 2001 e già assoggettata alle limitazioni finanziarie e ai parametri del patto di stabilità previsti dalle leggi 405/2001 e 112/2002;

la legge 246/2002 al comma 4 fa espresso riferimento alla non applicabilità della riduzione delle spese di funzionamento agli enti e organismi pubblici territoriali, le aziende sanitarie e ospedaliere “sono istituite dalla Regione e soggette alla vigilanza e controllo da parte della stessa” (legge 502/92), rientrano, quindi, nell’ambito d’azione delle regioni. Diverso il discorso per gli Istitutivi Ricovero e cura a carattere scientifico pubblici la cui vigilanza è in capo al Ministero della Salute.

 

L’art.2 si ritiene illegittimo se la sua applicazione si estende anche a enti dipendenti regionali come gli ISU e gli Enti agricoli.

 

Inoltre dal punto di vista tecnico:

vengono dettate regole di contabilità per aziende sanitarie, ospedaliere enti dipendenti della regione (le riduzioni di spesa devono essere appostate in un fondo di accantonamento da iscrivere nel passivo della situazione patrimoniale dell’ente); se il decreto si applica anche a questi enti la legge prevede che “il maggior avanzo derivante da tali riduzioni è reso indisponibile fino a diversa determinazione del Ministero dell’Economia e delle finanze”;

poiché questi enti adottano la contabilità economico – patrimoniale, si interpreta la corrispondenza fra spese di funzionamento e alcuni costi della produzione;

a rigor di logica, anche ammesso che si possa operare una riduzione del 15% sui costi previsti dai budgets 2002, un decreto emanato il 29 di novembre non potrebbe che imporre una riduzione di un dodicesimo delle spese, senza considerare che ogni spesa è legata al rispetto di un preciso contratto sicuramente già in essere in questo momento dell’anno;

è impossibile verificare le tabelle del decreto in quanto lo stanziamento definitivo non corrisponde né a quello di bilancio né a quello dell’assestamento, la legge 246/2002 al comma 1 bis si afferma “per l’individuazione dei limiti degli oneri finanziari si assumono gli stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione dello Stato”.

 

Si fa presente, peraltro, che le misure disposte dal citato DM 29/11/2002 determinano un aggravamento della situazione finanziaria delle Aziende Sanitarie anche sotto il profilo dell’impatto del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” che uniforma a 30 giorni i termini di pagamento nelle transazioni commerciali.

 

Si sottolinea inoltre che il citato DM 29/11/2002, allegato 1 “Blocco degli impegni – D.L. 194” può produrre effetti di decurtazione delle risorse per il finanziamento dei progetti dei grandi centri urbani.

 

La Conferenza dei Presidenti chiede al Governo l’esplicitazione che tali disposizioni – peraltro inapplicabili – non siano riferite alle Regioni ed in particolare al settore Sanità.

 

 

Roma, 12 dicembre 2002


 

 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Ordine del giorno della conferenza contenente l’annuncio del ricorso comune al Tar sul DM Economia 29 novembre 2002 e la richiesta di incontro con il Presidente della Repubblica

 

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni nella seduta del 19 dicembre u.s. ,

 

RILEVATA

 

la disdetta unilaterale da parte del Governo delle disposizioni dell’Intesa Interistituzionale Governo-Regioni e Enti locali siglata il 20 giugno u.s., che si è concretizzata anche nel mancato riscontro agli emendamenti presentati durante l’iter del disegno di legge Finanziaria 2003;

 

tenuto conto delle criticità riscontrate, sia in relazione all’effettiva erogazione delle risorse, sia agli effetti che comporterà, sugli assetti finanziari delle Regioni, l’attuazione del decreto legge 194/2002, convertito in Legge 246/2002 “Misure urgenti per il controllo, la trasparenza ed il contenimento per la spesa pubblica”;

 

evidenziata l’estrema criticità che le disposizioni del disegno di legge Finanziaria 2003, qualora approvato nel testo attualmente all’esame del Parlamento, provocheranno sugli assetti finanziari delle Regioni, anche in termini di cassa, specificamente per i settori sanità, trasporti, edilizia residenziale pubblica e assetto del territorio;

 

HA DELIBERATO QUANTO SEGUE

 

Le Regioni ricorreranno in maniera unitaria al T.A.R., poiché, secondo quanto dichiarato dal Governo nella seduta odierna della Conferenza Stato-Regioni, il decreto “taglia-spese” si applica anche alle aziende sanitarie;

 

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome chiederà un incontro urgente con il Presidente della Repubblica al fine di rappresentare la complessità della situazione derivante dalla manovra finanziaria, certamente non sostenibile per il sistema Regioni.

 

Roma 19 dicembre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

Ordine del giorno per riparto FSN 2002

 

La Conferenza dei Presidenti, riunitasi in data odierna, in relazione all’iscrizione all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri convocato per venerdì 10 gennaio sulla proposta di riparto delle disponibilità finanziarie del SSN 2002 - sulla quale è stata registrata la mancata intesa nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 24 ottobre 2002 - sollecita l’approvazione del relativo DPCM.

Le Regioni sollecitano inoltre la distribuzione dei fondi accantonati per gli obiettivi di P.S.N. pari a circa 1.109 milioni di Euro, secondo i criteri già utilizzati negli anni precedenti.

Si osserva che nella proposta di riparto all’ordine del giorno del DPCM sono già compresi 400 miliardi e 300 miliardi per tutte le Regioni destinati alla copertura degli oneri connessi all’esclusività di rapporto, come sotto indicato, a carico dei 2.000 miliardi di riequilibrio e per la cui distribuzione le Regioni hanno chiesto in sede di Conferenza Stato-Regioni del 24 ottobre 2002 – richiesta condivisa dal Governo - l’accantonamento ai fini di adottare specifici parametri in corso di elaborazione. Pertanto si propone che il conguaglio tra le Regioni (Veneto, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) che accedono ai suddetti 400 miliardi avvenga a carico della loro quota relativa ai 1.109 milioni di Euro di cui sopra, sospendendo, solo per tali Regioni, tale quota fino all’elaborazione della proposta di distribuzione dei 400 miliardi.

La compensazione della distribuzione dei 300 miliardi connessi alla scelta del rapporto esclusivo per gli IRCCS, ospedali classificati, componente universitaria delle aziende miste e dei policlinici avverrà sulle somme previste per l’incremento delle entrate proprie.

Le somme afferenti il Bambin Gesù saranno distribuite secondo i principi della allegata tabella.

In ogni modo, eventuali necessità di ulteriori compensazioni, avverranno per cassa, fra le Regioni , sulla distribuzione dei 1.109 milioni di Euro.

Roma, 9 gennaio 2003


 

 

Tavola 4

 

 

Compartecipazione Ospedale Bambino Gesù con intervento Stato

 

 

 

(valori in euro)

 

 

 

 

 

REGIONI

Quota di accesso

Compartecipazione

 

 

 

PIEMONTE

7,78%

1.976.976

VALLE D'AOSTA

0,22%

55.121

LOMBARDIA

15,78%

4.011.055

 BOLZANO

0,76%

193.464

TRENTO

0,82%

208.596

VENETO

7,82%

1.986.884

FRIULI

2,20%

559.318

LIGURIA

3,16%

803.580

EMILIA ROMAGNA

7,37%

1.872.678

TOSCANA

6,50%

1.651.473

UMBRIA

1,54%

390.712

MARCHE

2,61%

663.796

LAZIO

9,01%

2.289.870

ABRUZZO

2,26%

573.728

MOLISE

0,59%

149.512

CAMPANIA

9,34%

2.373.993

PUGLIA

6,62%

1.682.456

BASILICATA

1,03%

262.636

CALABRIA

3,40%

863.024

SICILIA

8,46%

2.150.986

SARDEGNA

2,73%

694.599

BAMBINO GESU'

 

 

REGIONI + B.G

100%

25.414.456

 

 

 

Disavanzo BG

 

-132.905.018

Mobilità escluso Lazio

 

32.076.105

Intervento Stato

 

50.000.000

Residuo

 

-50.828.913

Intervento Lazio

 

25.414.456

Intervento Regioni

 

25.414.456

Finanziamento BG

 

132.905.018

Fonte: Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome

 


 

 

TABELLE


 

Tavola 1

 

In questa tavola sono riassunte le risorse con destinazione specifica approvate in Conferenza Stato Regioni durante il 2002.

Spesso l’erogazione di tali risorse è molto posticipato nel tempo, per questo motivo si è reso necessario evidenziare nella prima colonna l’anno cui il finanziamento si riferisce.

Tra i riparti, ordinati cronologicamente, non sono considerati l’integrazione del Fondo Sanitario 2001 (derivante dall’applicazione dell’accordo dell’8 agosto 2001) e il riparto del FSN 2002, seppure passati in Conferenza stato regioni durante l’anno.


 

Tavola 1

 

 

 

 

Riparti con destinazione specifica -  Conferenza Stato Regioni - anno 2002 -

 

 

 

 

 

Anno di riferimento

Destinazione

Ammontare

Conferenza Stato Regioni

 

 

euro

%

 

FSN 2000

obiettivi di piano

             12.394.965,58

1,66%

22/11/2001

FSN 2001

obiettivi di piano

           354.805.889,67

47,47%

23/11/2001

 

Ripiani disavanzi correnti al 31/12/1999

             38.175.495,00

5,11%

17/01/2002

 

Ripartizione somma punto 7 accordo agosto 2001

               1.394.643,00

0,19%

17/01/2002

 

Prelievi e trapianti di organi e tessuti per borse di studio

               3.563.552,60

0,48%

14/02/2002

FSN 2000

Esclusività di rapporto per presonale dirigente ruolo sanitario

             36.151.982,94

4,84%

25/07/2002

FSN 2001

Esclusività di rapporto per presonale dirigente ruolo sanitario

             36.151.982,94

4,84%

25/07/2002

 

Prosecuzione programma straordinario per investimeti art. 20 l. 67/1988

               1.239.684,45

0,17%

01/08/2002

FSN 2000 e 2002

Istituti Zooprofilattici 2002

           130.500.000,00

17,46%

24/10/2002

FSN 2001

Borse di studio medicina generale biennio 2000 - 2002

             24.399.633,00

3,26%

28/11/2002

FSN corrente 2000

Hanseniani e familiari a carico

               1.594.228,28

0,21%

19/12/2002

FSN corrente 2001 e 2002

Prevenzione e cura fibrosi cistica

               6.197.482,78

0,83%

19/12/2002

FSN 2002

Prevenzione lotta AIDS

             49.063.405,41

6,56%

19/12/2002

FSN 2001

Borse di studio medicina generale biennio 2001 - 2003

             31.254.320,00

4,18%

19/12/2002

FSN 1999

Farmacovigilanza e informazione operatori sanitari

             20.585.972,04

2,75%

19/12/2002

Totale

 

           747.473.237,70

100%

 

Fonte: Segreteria Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome

 

 

 

 


 

Tavola 2

 

Si evidenziano i  ritardi nell’erogazione di risorse di competenza per gli anni 1995-99, 2000, 2001, 2002.

Per le risorse relative agli anni 1995-99 e 2000 è stato considerato il 50% della quota non ancora erogata.

Per il 2001 si sono presi a riferimento i 3.412 milioni di euro previsti nell’integrazione al FSN 2001.

Per il 2002 è stata calcolata la differenza tra le risorse erogate (parametrate sui valori FSN 2001 non integrato) e il FSN 2002 (computato secondo la quantificazione definita nell’accordo dell’8 agosto 2001).

 


 

Tavola 2

 

 

 

 

 

Risorse dovute non ancora incassate dalle Regioni, per Regione e per anno

valori in euro

 

 

 

 

 

REGIONI

 1995-1999*

 2000*

                  2.001

                  2.002

 Totale

 

 a

 b

 c

 d

 e=a+b+c+d

PIEMONTE

       147.150.445

         59.392.543

       290.958.906

       548.340.366

    1.045.842.260

VALLE D'AOSTA

                       -  

                       -  

                       -  

           2.288.937

           2.288.937

LOMBARDIA

       315.959.697

       119.301.544

       584.409.199

    1.239.262.603

    2.258.933.042

 BOLZANO

                       -  

                       -  

                       -  

              236.537

              236.537

TRENTO

                       -  

                       -  

                       -  

              138.927

              138.927

VENETO

       127.631.026

         59.134.315

       289.659.500

       572.190.087

    1.048.614.928

FRIULI

           2.786.698

                       -  

                       -  

         26.006.187

         28.792.885

LIGURIA

         76.951.039

         24.015.246

       119.611.934

       202.057.306

       422.635.525

EMILIA ROMAGNA

       200.462.644

         55.519.117

       274.668.306

       559.894.540

    1.090.544.606

TOSCANA

       120.659.994

         48.805.177

       243.560.557

       471.530.572

       884.556.300

UMBRIA

         12.770.268

         11.362.052

         56.872.234

       106.466.557

       187.471.110

MARCHE

         81.811.207

         19.625.362

         97.273.108

       199.952.744

       398.662.421

LAZIO

       507.680.635

         68.172.311

       333.290.295

       758.566.212

    1.667.709.454

ABRUZZO

         27.765.804

         17.301.306

         84.384.409

       175.117.623

       304.569.143

MOLISE

           6.783.127

           4.389.884

         21.606.491

         46.091.712

         78.871.214

CAMPANIA

       253.199.574

         72.045.737

       349.304.074

       496.318.179

    1.170.867.564

PUGLIA

       127.863.255

         50.871.005

       246.782.215

       377.810.946

       803.327.420

BASILICATA

           5.589.249

           8.263.310

         38.278.236

         74.647.131

       126.777.926

CALABRIA

         68.966.262

         26.339.302

       127.392.874

       187.966.554

       410.664.992

SICILIA

         45.633.593

         37.701.354

       182.285.012

       306.211.732

       571.831.691

SARDEGNA

         48.420.963

         14.977.250

         72.409.323

       117.323.191

       253.130.727

REGIONI

    2.178.085.478

       697.216.814

    3.412.746.673

    6.468.418.643

  12.756.467.608

Fonte: Segreteria Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome

 

* 50% delle somme attribuite per il ripiano dei disavanzi

 

 

 


 

Tavola 3

 

Si riporta la spesa complessiva per sanità riferita all’anno 2001 e le diverse voci di copertura della stessa.

La spesa regionale 2001 sfiora i 67 miliardi di euro coperti per il 91% dall’originario FSN 2001 (c.d. “fondo Giarda”:  60 miliardi di euro) e per il 5% dall’integrazione prevista nell’accordo 8 agosto 2001 (c.d. “fondo Vegas”: 3,4 miliardi di euro). Il restante 4% (3,3 miliardi di euro), emerso nel corso dei lavori del tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria e delle modalità di copertura dei disavanzi 2001, è a carico delle Regioni.


 

Tavola 3

 

 

 

 

 

Fabbisogni e disavanzi per Regione e anno

valori in euro

 

 

 

 

 

REGIONI

2001

 

Accordo 3 agosto 2000

Accordo 8 agosto 2001

FSN 2001 integrato

Disavanzo coperto con risorse regionali

Spesa complessiva

 

a

b

c=a+b

d

e=c+d

PIEMONTE

4.940.193.258

290.958.906

5.231.152.164

177.268.150

5.408.420.313

VALLE D'AOSTA

70.304.761

0

70.304.761

26.855.759

97.160.520

LOMBARDIA

10.235.431.526

584.409.199

10.819.840.725

223.625.837

11.043.466.562

 BOLZANO

364.295.785

0

364.295.785

7.746.853

372.042.639

TRENTO

321.812.557

0

321.812.557

0

321.812.557

VENETO

5.034.362.976

289.659.500

5.324.022.476

233.954.975

5.557.977.451

FRIULI

757.270.422

0

757.270.422

55.967.918

813.238.340

LIGURIA

2.063.946.144

119.611.934

2.183.558.078

0

2.183.558.078

EMILIA ROMAGNA

4.834.354.713

274.668.306

5.109.023.018

26.770.027

5.135.793.045

TOSCANA

4.204.927.515

243.560.557

4.448.488.072

0

4.448.488.072

UMBRIA

996.762.332

56.872.234

1.053.634.565

0

1.053.634.565

MARCHE

1.625.067.269

97.273.108

1.722.340.376

108.726.572

1.831.066.948

LAZIO

5.712.089.740

333.290.295

6.045.380.035

857.008.578

6.902.388.613

ABRUZZO

1.439.016.769

84.384.409

1.523.401.179

0

1.523.401.179

MOLISE

357.522.969

21.606.491

379.129.460

40.517.593

419.647.053

CAMPANIA

5.908.073.254

349.304.074

6.257.377.329

723.039.659

6.980.416.987

PUGLIA

4.251.423.097

246.782.215

4.498.205.312

148.984.904

4.647.190.216

BASILICATA

606.847.702

38.278.236

645.125.938

26.855.759

671.981.697

CALABRIA

2.076.695.915

127.392.874

2.204.088.789

155.453.527

2.359.542.316

SICILIA

2.911.177.160

182.285.012

3.093.462.172

386.826.217

3.480.288.390

SARDEGNA

1.207.871.836

72.409.323

1.280.281.159

127.048.397

1.407.329.556

Bambin Gesù

118.149.845

0

118.149.845

0

118.149.845

REGIONI

60.037.597.546

3.412.746.673

63.450.344.219

3.326.650.725

66.776.994.944

Varie

            15.493.707

 

15.493.707

 

15.493.707

Vincolate e altri enti

          566.036.761

 

566.036.761

 

566.036.761

obiettivi di P.S.N.

          984.883.307

 

984.883.307

 

984.883.307

RSS

       5.981.087.348

 

5.981.087.348

 

5.981.087.348

TOTALE

67.585.098.669

 

70.997.845.342

 

74.324.496.067

Fonte: Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome

 

 


 

 

 

 

 

IL FSN 2002 -il riparto come definito a Perugia e il DPCM 10 gennaio 2003

 

Si riportano comparativamente l’ipotesi di riparto come definita a Perugia (dicembre 2001) dalla Conferenza dei Presidenti e il DPCM 10 gennaio 2003 con la ripartizione proposta dal Ministero della Salute.

La differenza tra i due riparti riguarda la quantificazione della voce entrate proprie, che le Regioni ritengono debba essere uguale in valore assoluto al 2001, il Ministero, invece, ha applicato un tasso di crescita.

Ciò ha comportato un minore esborso statale di circa 200 milioni di euro, gravante sui bilanci regionali.

 


 


 


 


 

DPCM 10 gennaio 2003 – Riparto Fondo Sanitario Nazionale 2002

 

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

VISTO l'articolo 2 della legge 23 agosto 1988, n.400;

 

VISTO l'articolo 3, comma 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nel quale dispone che quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunse entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato‑Regioni in cui l'oggetto d posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata;

 

VISTO l'articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 il quale dispone che il CIPE su proposta del Ministero della salute, d'intesa con la Conferenza Stato Regioni, delibera annualmente la ripartizione delle disponibilità finanziarie per il Servizio Sanitario nazionale;

 

VISTO l'articolo 115, comma 1 lettera a) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 il quale dispone ché è constato .alla competenza dello Stato il riparto della disponibilità finanziarie per il Servizio Sanitario nazionale, previa intasa con la Conferenza Stato‑Regioni;

 

VISTA la proposta di ripartizione del Ministro della salute, rimessa alla Segreteria della Conferenza Stato‑Regioni con nota n. 100lscps/5,12375, del 20 settembre 2002, elaborata a partire dall'ipotesi concordata fra le regioni nell'incontro di Perugia del 14 e 15 dicembre 2001 e partecipata ai Ministri dell'economia e finanze, della salute e degli affari regionali con nota della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome rif. 3951/A4SAN/A1FIN del 18 dicembre 2001, ma individuando (entità delle entrate "proprie" secondo l'orientamento adottato dal Ministero dell'Economia e delle finanze;

 

CONSIDERATO che la proposta ministeriale si sintetizza in tre tabelle di cui la prima, tab A, che determina il fabbisogno di ciascuna regione e provincia autonoma per il 2002, è identica alla proposta regionale;

 

CONSIDERATO che nella seconda tabella, B, si evidenziano gli importi di finanziamento del fabbisogno diviso tra entrate per IRAP c addizionale IRPEF, partecipazione all'IVA, Fondo sanitario nazionale, entrate proprie delle aziende sanitarie e compartecipazione delle regioni a statuto speciale;

 

CONSIDERATO che nella tabella C vengono operati i riequilibri come indicati nella proposta regionale;


 

ATTESO che nella riunione del 26 settembre 2002 e nella successiva del 3 ottobre la Conferenza ha ritenuto di rinviare l'esame della proposta ministeriale per ulteriori approfondimenti e che nella seduta del 24 ottobre non si é raggiunta l'intesa sulla stessa proposta ministeriale, relativamente alla Tabella B;

 

CONSIDERATO che la legge 27 dicembre 2002, n. 289 all'articolo 52, comma 18 prevede per l'anno 2002 ulteriori risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quanto stabilito dall'Accordo tra Governo regioni e province autonome di Trento e di Bolzano dell'8 agosto 3001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001, che saranno successivamente ripartite;

 

RITENUTA la necessità di provvedere comunque al riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio Sanitario nazionale secondo la proposta del Ministro della salute;

 

Nella riunione del 10 gennaio 2003

 

Adotta la seguente

 

DELIBERAZIONE

 

La definizione del fabbisogno finanziario per il servizio sanitario nazionale per ciascuna regione e provincia autonoma per l'anno 2002, le relative modalità di finanziamento nonché gli opportuni riequilibri sono individuati nell'allegata proposta per il CIPE del Ministro della salute.

 

Rama, 10 gennaio 2003

 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri

Silvio Berlusconi

 

 

DIPARTIMENTO PER L' ORDINAMENTO SANITARIO, LA RICERCA E

L'ORGANIZZAZIONE DEL MINISTERO

Direzione Generale della Programmazione Sanitaria

 

Proposta per il CIPE

 

OGGETTO.‑Ripartizione delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale nell'anno 2002.

 

Le complessive disponibilità per finanziare il servizio sanitario nazionale per l'anno 2002 ammontano a complessivi € 75.601.861.228, derivanti per € 75.596.861.228 (pari a £. 146.376 miliardi) da quanto convenuto nell'accordo tra Sta­to e regioni in dato 8 agosto 2001 e per  € 5.000.000 dal disposto dell'articolo 52, comma 31 della legge 448/2001 (finanziaria per il 2002), che possono essere,così uti­lizzate:

€ 72.878.584.000 da ripartire tra le regioni e province autonome per il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza di cui al DPCM del 30 novembre 2001;

€ 1.032.913.798 da ripartire tra le regioni secondo quanto previsto nei punti 16 e 17 dell'accordo già citato;

€ 580.497.554 per il finanziamento vincolato da specifiche normative (1);

(1)  Si tratta di somme che debbono essere ripartite con criteri diverbi da quelli che si utilizzano per il finanziamento ilei livelli di assistenza previsti dal Piano sanitario o che finanziano funzioni diverse; sono riferite alle seguenti situazioni espresse in migliaia di euro;

         105.874 per il finanziamento dello Croce Rossa Italiana a carico del FSN

         173.013 per la quota a carico del FSN per il finanziamento  degli specializzandi a norma del decreto legislativo 257/91:

121.367 sono attribuiti allo Regioni par il finanziamento degli istituti zooprofilattici Sperimentali a norma dell’articolo 6 , comma 1 del decreto legislativo 270/93;

49.063 sono assegnati alle regioni sulla base di quanto disposto dalla legge 135/90 articolo 1 commi 1 , lettera d, e  2 per lo svolgimento di corsi dì formazione e di aggiornamento del personale dei reparti di ricovero per malattia infettive e per promuo­vere la graduale attivazione di servizi per Il trattamento a domicilio del soggetti affetti da AIDS;

3254 sono previsti dalla legge 318/86 che detta norme in materia di provvidenze economiche a favore degli Hanseniani e loro familiari a carico; l’erogazione avviene come rimborso alle regioni che documentano la spesa sostenuta

         38.734 sono erogati alle regioni per il finanziamento dei corsi biennali di formazione specifica in medicina generale, a norma dell'articolo 5 della legge 109/88 che pone a carico del Fondo sanitario il relativo onere, in proporzione alle borse di studio in­dividuate per ciascuna regione;

5,784 sono erogati direttamente alla Cassa depositi e Prestiti quale controvalore delle rate dei mutui contratti dagli enti ospedalieri prima della riforma c che l'articolo 14, comma 1 del dl. 382/87, convertito nella legge 456/87 pone a carico del Fondo sa­nitario;

         38.734 vengono messi a disposizione per la erogazione diretta da parte del Ministero del tesoro, bilancio e p.e., alle regioni per corrispondere le indennità di abbattimento degli animali infetti a norma della legge 218/88;

         30.987 sono riservati al finanziamento delle prestazioni sanitario erogate s favore degli extra-comunitari in applicazione della legge 40/98:

         4.390 per la prevenzione e cura della fibrosi cistica a norma della leggi 23 dicembre 1993, n. 548. rifinanziata con la legge 362/99

         9.038 par la erogazione gratuita di farmaci di classe C agli invalidi di guerra a norma della legge 203/2000

         258 alla Regione Lazio per l’esecuzione da parte dell’IZS della sentenza  del TAR 3980/99

 

€ 1.109.865.876 per  finanziare programmi particolari a norma della legge 683/95 ar­ticolo 1 commi 34 e 34bis.

La copertura del fabbisogno sanitario‑ come sopra individuato per  € 75.601.861.228 viene così assicurata:

€ 31.911.187.858 per IRAP e addizionale IRPEF

€ 32.601.562.863 per compartecipazione all'IVA e accise

€ 4.410.830.891 fondo sanitario a norma del d.lgs. 56/2000

€ 6.678.279.616 per entrate dirette e partecipazione regioni a statuto speciale.

Il finanziamento per livelli di assistenza viene ipotizzato con una quota del 5% da riservare alla prevenzione, del 46% alla funzione ospedaliera e 1a rimanenza all'attività sul territorio; il fabbisogno di ciascuna regione viene determinato riparten­do gli importi disponibili per ciascuna funzione a quota capitaria diversamente pesata secondo le circostanze.

Per la prevenzione si ritiene di ripartire la complessiva .somma di € 3.643.930.000 per quota capitaria applicando come correzione la radice cubica del tasso di mortalità infantile e perinatale,

Per ripartire le risorse da assegnare per l'assistenza ospedaliera, valutabili in € 33.524.148.000, si utilizza la popolazione pesata per classi di età secondo valori de­terminati dall'incidenza del ricorso al ricovero evidenziato dall'esame delle schede di dimissione ospedaliera, corretti con la utilizzazione della radice cubica del tasso stan­dardizzato di mortalità.

Nell'ambito dell'attività distrettuale la farmaceutica viene valutata in € 9.474.215.000, pari al 13% del fabbisogno complessivo a norma della vigente legi­slazione. Viene individuata una quota di € 2.959.298.000 , pari a circa il 4,1% che viene ripartita sulla base della distribuzione della popolazione ultrasessantacinquen­ne. Con la residua la disponibilità si finanzia la medicina generale e la pediatria di li­bera scelta, le prestazioni sia specialistiche che diagnostiche e le altre attività sul ter­ritorio con ripartizione a quota capitaria assoluta; su una quota pari a circa il 5% del totale come sopra individuato si applicano, come parametri correttivi, indici che ten­gano conto della concentrazione della popolazione sul territorio.

L'applicazione di quanto sopra riportato secondo le esplicitazione nell'allegata tab. A determina il fabbisogno finanziario di ciascuna regione che corrisponde a quanto le regioni hanno tra loro convenuto ed esplicitato con la lettera del 18 dicem­bre 2001.

La disponibilità dì € 1.032.913.798 (pari a £. 2.000 mld) prevista nell'accordo Stato regioni già citato, viene attribuito con modalità concordate tra le regioni come dianzi accennato; sono stati anche recepiti i riequilibri interni con le modalità indivi­duate tra le regioni.

Al finanziamento complessivo si provvede, come più sopra evidenziato, per € 2.153.966.918 (pari a £. 4.170 mld ) quale quota di entrate proprie distribuite tra le regioni con gli stessi parametri di accesso dell'anno 2001 e per € 4.524.312.698 per la partecipazione alla spesa sanitaria delle regioni a statuto speciale secondo le norme in vigore, per complessivi € 6.678.279.616 .

La tabella B esplicita le quote di IRAP, di addizionale IRPEF e di compartecipazione all'IVA e alle accise per ciascuna regione. La mobilità sanitaria viene regola­ta per cassa dal Ministero dell'economia sulla base dei dati dell'anno 2000 la cui ve­rifica è ancora oggetto di esame tra le regioni.

Da ultimo si propone di assegnare alla CRI € 105.874, a valere sull’accantonamento per attività a destinazione vincolata più sopra specificate. Si allegano le tabelle che esplicitano quanto rappresentato.

Il Ministro

Girolamo Sirchia

 


 


 


 


 

Le due proposte del Ministro della Salute  di riparto del FSN 2003

 

Si riportano le ipotesi di riparto del FSN 2003 che apportano sostanziali modifiche rispetto alle modalità di erogazione degli anni precedenti, orientando il riparto sulla base della quota pro – capite non pesata (il 70% del FSN nella prima versione, poi “limato al 65%).

Si riporta la prima proposta da considerarsi come informativa resa nella Conferenza Stato-Regioni del 9 gennaio 2003.

La seconda è stata invece formalmente presentata nella seduta del 16 gennaio 2003.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calcolo del fabbisogno per la ripartizione del FSN – “Proposta d’approccio”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bozza 24 Dicembre 2002

 


 

 

Criteri di ripartizione FSN – riferimenti normativi

 

Gli elementi da utilizzare per il riparto del FSN sono indicati in due riferimenti legislativi: il D.Legs n. 502 del 1992 e la Legge 662 del 1996.

 

D. Lgs. 502/92:

 

popolazione residente;

mobilità sanitaria per tipologia di prestazioni;

consistenza e stato di conservazione strutture immobiliari, impianti tecnologici e dotazioni strumentali ;

 

 

Legge 662/96

popolazione residente;

frequenza consumi sanitari per età e sesso;

tassi di mortalità della popolazione;

indicatori territoriali utili per i bisogni sanitari

indicatori epidemiologici territoriali

quote su specifici obiettivi

 

Il metodo proposto non utilizza gli elementi sotto indicati per i motivi descritti:

La mobilità sanitaria è già attualmente compensata  tra le Regioni e non deve pertanto essere presa in considerazione tra i criteri di ripartizione.

La consistenza e lo stato di conservazione delle strutture immobiliari, impianti tecnologici e dotazioni strumentali non è ancora ben misurabile essendo generalmente carente il livello di inventario dei beni presenti nello stato patrimoniale delle Azienda Sanitarie. Non è inoltre ad oggi misurato lo stato di conservazione degli stessi.

Questo elemento non può pertanto essere adottato essendo estremamente imprecisi o inesistenti i dati di riferimento.

Gli indicatori territoriali utili per i bisogni sanitari  sono teoricamente molto numerosi ma praticamente poco attendibili nella loro misura o nella loro applicazione. La scelta tra le numerose azioni disponibili (densità della popolazione, accessibilità del servizio, numerosità degli incidenti, tasso di inquinamento, etc ) non è di facile praticabilità ed è, inoltre , complessa la valutazione dell’effettivo impatto sui costi di erogazione del servizio.

 

 

 

 

Il  metodo proposto risulta pertanto costruito sui seguenti elementi:

popolazione residente;

frequenza consumi sanitari per età e sesso;

tasso di mortalità della popolazione;

indicatore epidemiologico territoriale;

quote su specifici obiettivi

 

 

Nuovo metodo proposto per le ripartizione del FSN.

 

Parametri adottati in riferimento agli elementi indicati dai D. Lgs 502/92 e L. 662/96

Nell’ambito degli elementi sopra indicati si è proceduto a scegliere quei parametri che fossero misurabili con dati sufficientemente attendibili e che fossero utilizzati in altri Paesi. I parametri e i Paesi relativi ad ogni elemento prescelto, sono qui sotto indicati.

 

ELEMENTO

PARAMETRO

RIFERIMENTI INTERNAZIONALI

Popolazione residente

Quota capitaria

Tutte le nazioni

Frequenza consumi sanitari per età e sesso

Valore economico dei ricoveri ospedalieri  a tariffa nazionale

Tutte le nazioni

Tasso di mortalità della popolazione

Speranza di vita

Australia, Belgio, Inghilterra, Norvegia, Scozia, Irlanda

Indicatore epidemiologico territoriale

Anni attesi di disabilità e cronicità grave

Inghilterra, Belgio, Finlandia, Olanda, USA Medicare

 

 

Per la popolazione residente, che rappresenta l’elemento di gran lunga più significativo e specifico, si è adottato il parametro quota capitaria, utilizzato in tutte le nazioni.

Per la frequenza di consumi sanitari per età e sesso si è preso a riferimento il ricovero ospedaliero essendo, ad oggi, l’unico dato di consumo sanitario che registri l’età ed il sesso del paziente (SDO ospedaliera).

Per il tasso di mortalità della popolazione si è utilizzata la speranza di vita, che è un parametro molto utilizzato a livello internazionale.

Per l’indicatore epidemiologico territoriale, considerato anche all’estero di notevole significatività, si sono utilizzati anni attesi di disabilità e cronicità grave, che misura quanti anni il cittadino dovrà vivere in tali condizioni prima che sopraggiunga la morte.

Questo parametro viene calcolato sottraendo alla speranza di vita (vedi sopra) la speranza di vita libera da disabilità e cronicità grave.

 

 

Per la ripartizione del Fondo di riequilibrio (2.000 miliardi di lire) si sono utilizzati parametri che hanno l’obiettivo di indurre nelle Regioni significativi miglioramenti nelle aree dei ricoveri impropri, dello sviluppo dell’assistenza territoriale e del contenimento della spesa farmaceutica in riferimento al tetto del 13%.

 

 

ELEMENTO

PARAMETRO

Quota su obiettivi specifici

Miglioramento appropriatezza ricoveri

 

 

 

Sviluppo assistenza territoriale

 

 

 

Contenimento spesa farmaceutica

 

 

Indicatore appropriatezza = reciproco del numero ricoveri degenza ordinaria appartenenti ai 43 DRG a rischio su numero totali ricoveri degenza ordinaria;

Indicatore di spostamento dal ricovero ospedaliero all’assistenza territoriale- reciproco del numero di giornate di degenza per 1000 abitanti/anno;

Reciproco del rapporto tra spesa farmaceutica regionale (in percentuale su spesa totale) e tetto del 13%

 

 

 

Il miglioramento dell’appropriatezza dei ricoveri è misurato utilizzando il rapporto tra i ricoveri considerati inappropriati (43 DRG a rischio) ed il numero totale dei ricoveri in degenza ordinaria e calcolando successivamente il reciproco di tale numero. Vengono in altre parole premiate le Regioni che hanno un basso numero di ricoveri inappropriati: quanto più la Regione riduce tali ricoveri tanto più il parametro assume valori elevati.

Lo sviluppo dell’assistenza territoriale è misurato con un parametro che rappresenta l’entità della riduzione del numero delle giornate di degenza/anno che vengono utilizzate dagli abitanti della Regione. Questo indicatore è molto utilizzato a livello internazionale poiché esprime in modo sintetico sia la riduzione del numero dei ricoveri sia il contenimento della durata di degenza. A parità di finanziamento, quanto più si riduce il numero dei ricoveri  e la durata di degenza tanto più si destinano le risorse finanziarie ai servizi extra-ospedalieri ed allo sviluppo del territorio.

Il contenimento della spesa farmaceutica è infine il terzo parametro che indica la bontà dei provvedimenti assunti a livello regionale per avvicinarsi al tetto prefissato del 13%.

 

 

Pesi associati ai parametri prescelti

L’attribuzione dei pesi da associare ai parametri prescelti è materia di grande complessità, che viene generalmente risolta con modalità molto arbitrarie.

Alla luce anche delle esperienze internazionali si ritiene che l’elemento “popolazione residente” sia a tutti gli effetti il parametro più significativo ed affidabile utilizzato nei criteri di riparto.

Si è pertanto attribuito al parametro quota capitaria il peso del 70% assumendo, di conseguenza, per gli altri parametri, un peso pari al 30%. Altre ipotesi sono ovviamente percorribili fino ad un limite, del 50% per quota capitaria e 50% per gli altri parametri. Oltre tale limite si corre il rischio che i parametri meno significativi condizionino eccessivamente il risultato finale.

 

Progressione di adozione del Nuovo metodo

La ripartizione del Fondo Sanitario per l’anno 2003, qui proposta, ha l’obiettivo di recuperare la situazione di sbilanciamento alla quale si è pervenuti negli anni precedenti.

Tale recupero può essere attuato in un numero di anni ragionevolmente contenuto per non sommare a questo vincolo anche quello di eventuali disavanzi di gestione futuri. Infatti assorbire in tempi più rapidi la squilibrio ereditato dal passato significa essere più pronti a sopportare eventuali difficoltà future.

 

Le ipotesi formulate sono:

 

 

Recupero in 5 Anni

 

Recupero in 4 Anni

 

Recupero in 3 Anni

Anno 2003

10%

 

Anno 2003

20%

 

Anno 2003

30%

Anno 2004

15%

 

Anno 2004

25%

 

Anno 2004

30%

Anno 2005

20%

 

Anno 2005

25%

 

Anno 2005

40%

Anno 2006

25%

 

Anno 2006

30%

 

TOT

100%

Anno 2007

30%

 

TOT

100%

 

 

 

TOT

100%

 

 

 

 

 

 

 

Le percentuali sopra indicate rappresentano i passi intermedi di variazione delle quote di accesso al FSN annuale per passare dal vecchio al nuovo modello di ripartizione.

Nelle ultime due colonne della tabella n. 1 sono indicati i valori assoluti e percentuali dell’incremento del FSN 2003 rispetto al FSN 2002, avendo adottato il primo dei passi previsti (10%).

Analogamente nelle ultime due colonne delle tabelle n. 2 e n. 3 sono indicati i valori per un primo passo rispettivamente del 20% e del 30%, con un periodo di riequilibrio di quattro ovvero tre anni.

Alla luce dei dati presentati si ritiene che la soluzione riportata nella Tabella 3, sia quella da preferirsi.


 


 


 

 

             

Ministero della Salute

DIPARTIMENTO PER L’ORDINAMENTO SANITARIO, LA RICERCA E L’ORGANIZZAZIONE DEL MINISTERO

 

Direzione Generale della Programmazione Sanitaria

 

Proposta per il CIPE

 

OGGETTO:


Ripartizione delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale nell’anno 2003. Richiesta di intesa alla Conferenza Stato Regioni

 

Le complessive disponibilità per finanziare il servizio sanitario nazionale per l’anno 2003 ammontano a complessivi € 78.569.456.403, derivanti per € 77.531.542.605 (pari a £. 150.122 miliardi) da quanto convenuto nell’accordo tra Stato e Regioni in dato 8 agosto 2001 e per € 5.000.000 dal disposto dell’articolo 52, comma 31 della legge 448/2001 (finanziaria per il 2002), che possono essere così utilizzate:

75.796.407.550 da ripartire tra le Regioni e province autonome per il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza di cui al DPCM del 30 novembre 2001;

€   1.032.913.798 da ripartire tra le Regioni secondo quanto previsto nei punti 16 e 17 dell’accordo già citato;

€       586.391.301 per il finanziamento vincolato da specifiche normative[1];

€  1.153.743.754 per finanziare programmi particolari a norma della legge 663/93, articolo 1 commi 34 e 34bis.

 

 

1. Il riparto proposto risulta costruito sui seguenti elementi, previsti dalla legge 662/96:

popolazione residente;

frequenza consumi sanitari per età e sesso;

tasso di mortalità della popolazione;

indicatore epidemiologico territoriale;

quote su specifici obiettivi.

       

Per la popolazione residente, che rappresenta l’elemento di gran lunga più significativo e specifico, si è adottato il parametro quota capitaria, utilizzato in tutte le nazioni.

Per la frequenza di consumi sanitari per età e sesso si è preso a riferimento il ricovero ospedaliero essendo, ad oggi, l’unico dato di consumo sanitario che registri l’età ed il sesso del paziente (SDO ospedaliera).

Per il tasso di mortalità della popolazione si è impiegata la speranza di vita, che è un parametro molto utilizzato a livello internazionale.

Per l’indicatore epidemiologico territoriale, considerato anche all’estero di notevole significatività, si è utilizzato il numero di persone con disabilità e cronicità grave.

 

2. L’attribuzione dei pesi da associare ai parametri prescelti è materia complessa che implica scelte arbitrarie.

Alla luce anche delle esperienze internazionali si ritiene che l’elemento “popolazione residente” sia a tutti gli effetti il parametro più significativo ed affidabile utilizzato nei criteri di riparto.

Si è pertanto, attribuito al parametro quota capitaria il peso del 65%

Sembra anche opportuno adottare una modalità premiante, su un importo limitato, ma significativo pari al 5% del finanziamento per i LEA, che induca nelle Regioni miglioramenti nell’area dei ricoveri impropri, nella riduzione della spesa ospedaliera con lo sviluppo dell’assistenza territoriale e nel contenimento della spesa farmaceutica in riferimento al tetto del 13%, utilizzando, rispettivamente,

un indicatore appropriatezza pari al reciproco del numero ricoveri di degenza ordinaria appartenenti ai 43 DRG a rischio su numero totali ricoveri degenza ordinaria;

un indicatore di spostamento dal ricovero ospedaliero all’assistenza territoriale definito come reciproco del numero di giornate di degenza per 1000 abitanti/anno;

il reciproco del rapporto tra spesa farmaceutica regionale stimata per l’anno 2002 tenendo conto dei provvedimenti adottati per il suo contenimento (in percentuale sull’importo ripartito per il 2002) e il tetto del 13%.

 

 

3. Per la rimanente quota di fondo da ripartire non in base alla popolazione assoluta, alla quale è stato attribuito un peso del 30%, si è proceduto suddividendo tale quota sui diversi livelli di assistenza con le seguenti percentuali:

Ass. collettiva: 5%

Ass. distrettuale (escluso ass. farmaceutica): 36%

Ass. farmaceutica: 13%

Ass. ospedaliera: 46%

Il valore derivante per ogni livello di assistenza è stato quindi ripartito tra le Regioni utilizzando i parametri sopra indicati come pesatura della popolazione residente; si è provveduto ad aggiornare i dati della popolazione integrandoli con i dati resi disponibili dalle prefetture relativi all’attuazione della legge Bossi-Fini. Tale popolazione viene aggiunta alla fascia di età 25 – 44 anni, con riserva di aggiustamento dei dati per gli anni successivi a seguito delle ulteriori regolarizzazioni e ricongiungimento di familiari.

Più in dettaglio i parametri utilizzati per ogni livello di assistenza sono:

Ass. collettiva:

Parametro base: aspettativa di vita calcolata alla nascita (fonte: ISTAT su dati 1999)

Indicatore utilizzato: reciproco del rapporto tra il valore di ogni Regione e quello medio nazionale

Ass. distrettuale (escluso ass. farmaceutica):

Parametro base: numero di persone disabili o con cronicità grave (fonte: ISTAT su dati 1999-2000)

Indicatore utilizzato: rapporto tra il tasso grezzo per 100 persone di ogni Regione e quello medio nazionale

Ass. ospedaliera: peso medio nazionale per fascia di età (fonte: SDO 2000).

 

Per l’assistenza farmaceutica, il fabbisogno regionale è prefissato al 13%.

 

4. L’applicazione di quanto sopra, riportato secondo le esplicitazione nell’allegata tab. A, determina il fabbisogno  finanziario di ciascuna Regione.

La ripartizione delle disponibilità per l’anno 2003, qui proposta, ha l’obiettivo di recuperare la situazione di sbilanciamento alla quale si è pervenuti negli anni precedenti.

     Si ritiene di poter utilizzare l’importo del fondo di riequilibrio (al netto della quota accantonata per le finalità del punto 17 dell’accordo dell’8 agosto 2001) per compensare le differenze negative, laddove esistenti, tra l’attuale riparto e quello determinato con le percentuali di accesso del 2002. Quanto rimane del fondo dopo il riequilibrio (pari ed Euro 493.593.934) è stato ripartito con le medesime percentuali derivanti dall’applicazione del nuovo modello.

 

La tabella B esplicita le quote di IRAP, di addizionale IRPEF e di compartecipazione all’IVA e alle accise per ciascuna Regione. La mobilità sanitaria, compresa quella relativa alle prestazioni dell’Ospedale “Bambino Gesù” viene regolata per cassa dal Ministero dell’economia sulla base dei dati dell’anno 2000 la cui verifica è ancora oggetto di esame tra le Regioni.

 

5. La somma accantonata per finanziare programmi particolari a norma della legge 663/93, articolo 1 commi 34 e 34bis, sarà ripartita, a quota capitaria per il raggiungimento dei seguenti obiettivi strategici, dopo aver concordato con le Regioni le relative modalità:

Attuare, monitorare ed aggiornare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa

Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili

Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche                       

Potenziare i fattori  di sviluppo (o “capitali”) della sanità

  Realizzare una  formazione  permanente  di alto livello in medicina e sanità

Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere

Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza

Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologia e quella sui servizi sanitari

Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute

Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la farmacovigilanza

 

Da ultimo si propone di assegnare alla CRI €.108.251.000, a valere sull’accantonamento per attività a destinazione vincolata più sopra specificate.

Si allegano le tabelle che esplicitano quanto rappresentato.

                                                                                             

 

 

  Il Ministro

  


 


 


 


 

SECONDA PARTE


 

 

 

Sintesi delle altre questioni in materia di sanità

 

Premessa


Anche se le problematiche d’ordine finanziario hanno occupato un’attenzione particolare nelle riunioni della Conferenza, altre ed importanti questioni di tipo istituzionale, o più strettamente legate alla programmazione, sono state esaminate ed approfondite nel dibattito dagli Assessori  alla Sanità e dai Presidenti.

 

Il nuovo scenario costituzionale

 

La Riforma del Titolo V della Costituzione ha completato il processo di regionalizzazione che in materia sanitaria era stato avviato dal Dlgs 502/92 e dalle successive modificazioni ed integrazioni.

La novella costituzionale - art. 117- lettera m) - attribuisce  allo Stato la legislazione esclusiva per la “ determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” mentre la materia “tutela della salute” rientra tra quelle a legislazione concorrente per le quali la potestà legislativa spetta alle Regioni, nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.

Inoltre, in quanto materia attribuita alla competenza concorrente, spetta alle Regioni anche la potestà regolamentare in materia di tutela della salute.

 

L’Intesa interistituzionale

 

Al fine di garantire il processo di adeguamento della Riforma del Titolo V  in maniera armonica e concertata è stata altresì sancita, in sede di Conferenza Unificata, l’Intesa interistituzionale, firmata il 20 giugno 2002 tra Governo, Regioni ed Enti locali. Tale Intesa prevede, al punto 3, l’impegno di verificare che gli atti normativi in via di formazione, rispettino i rispettivi ambiti di competenza assegnati dalla Costituzione.

 

Le difficoltà della “strada pattizia”

 

Anche se proprio in materia Sanitaria la strada c.d. pattizia è stata fin dall’inizio la scelta di un percorso fra Stato e Regioni che ha portato alla definizione di numerosi Accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni, si sono comunque registrati episodi di mancato rispetto da parte del Governo dell’Intesa e da parte del Parlamento di violazione del dettato costituzionale.

La Conferenza si è espressa con posizioni ufficiali, a titoli esemplificativo si citano:

il Decreto del Ministro della Salute del 25 giugno 2002  “Disposizioni di principio sull’organizzazione e sul funzionamento del servizio per le tossicodipendenze del Aziende Sanitarie Locali” che reca disposizioni di principio illegittime in quanto riservate in via esclusiva alle Regioni e del quale è stato richiesto il ritiro

la bozza di proposta di Piano Sanitario Nazionale: la Conferenza ha formulato un parere preliminare allo schema di Piano ed in tale sede si è evidenziato come le modalità di presentazione della bozza di Piano risultino confuse nonché invasive delle competenze regionali in materia

- delega per la trasformazione degli IRCCS in fondazioni – art.42 collegato ordinamentale – Finanziaria 2002: nonostante ripetuti solleciti della Conferenza, non c’è stata concertazione con le Regioni su una materia di piena competenza regionale quale quella dell’ordinamento e degli aspetti assistenziali di tali istituti. Se ne propone l’impugnativa alla Corte Costituzionale.

In sede parlamentare, si ricorda la proposta di legge in materia di salute mentale, in merito al quale le Regioni hanno ribadito la competenza in materia di salute mentale, confermando i contenuti e gli obiettivi proposti nel documento del 28 febbraio 2002.

 

Un tavolo specifico in materia sanitaria

 

Proprio al fine di dare attuazione alla Riforma costituzionale, a stralcio del complessivo percorso sopra ricordato dell’Intesa interistituzionale, le Regioni hanno chiesto un Tavolo specifico in materia sanitaria per pervenire alla definizione condivisa degli ambiti di competenza statale e di quelli regionali.

 

Schema di Piano Sanitario Nazionale

 

La Conferenza dei Presidenti ha definito un primo documento - 20 giugno 2002 -  di valutazioni ed osservazioni allo schema di Piano, riservandosi un parere di merito al momento dell’espressione dell’Intesa. Questo primo lavoro è consistito sia nel formulare osservazioni sui contenuti alla bozza presentata dal Ministero sia nel proporre una nuova articolazione del Piano alla luce del nuovo quadro istituzionale.

Lo schema di Piano, che ha acquisito il parere favorevole con osservazioni delle competenti Commissioni parlamentari, dovrà essere approvato in Consiglio dei Ministri ed acquisire l’intesa in Conferenza Unificata.

 

Il Rapporto di lavoro dei medici del SSN

 

Per quanto riguarda il Disegno di legge recante “Riordino del rapporto di lavoro dei medici del SSN” (approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 5 luglio 2002) va sottolineato che le problematiche legate al rapporto esclusivo dei dirigenti sanitari sono state dibattute in diverse occasioni dalla Conferenza dei Presidenti che si è espressa formalmente in un primo momento sul ddl recante il riordino del rapporto di lavoro dei medici del SSN – seduta del 25 luglio 2002- sul quale è stato reso un parere articolato all’interno della Conferenza, con la richiesta unanime dell’accertamento di eventuali oneri diretti ed indiretti derivanti dall’attuazione del DDL che, se verificati, dovevano ritenersi a carico dello Stato. Successivamente, la Conferenza  - riunione 1 agosto 2002 - ha rinviato l’espressione del parere in attesa di un parere di merito da parte dell’Aran in particolare sui profili d’impatto del provvedimento sul CCNL.

A seguito della relazione fornita dall’Aran - che ha quantificato in circa 2.350 mld di vecchie lire il costo complessivo annuale dell’indennità sostenuto dalle Regioni di cui 700 di maggior costo rispetto alla previsione iniziale - ed in merito ad emendamenti presentati in corso di discussione del DDL Finanziaria 2003, la Conferenza ha ribadito - documento del 12 dicembre 2002- che in caso di modifica dell’attuale quadro normativo, sulla base delle reciproche responsabilità dei livelli istituzionali stabilite nell’Accordo dell’8 agosto 2001, si dovrebbe conseguentemente ridefinire il sistema di finanziamento dell’istituto.

 

La c.d.  “miniARAN”

 

La Struttura interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con il personale, medici e altre professionalità sanitarie, convenzionato con il SSN è stata costituita – riunione del  26 settembre 2002– dalla Conferenza una struttura tecnica interregionale, composta da esperti del settore nominati dalla stessa, per lo svolgimento delle attività relative alla negoziazione e definizione degli Accordi collettivi nazionali del personale convenzionato con il SSN.

L’organismo - che ha già cominciato i lavori di preparazione di una proposta di Accordo - è stato previsto formalmente, recependo la proposta di emendamento formulata dalla Conferenza, all’art:52 -comma 27 -della legge Finanziaria 2003 che prevede altresì che ne facciano parte anche i rappresentanti dei Ministeri interessati. Per tale struttura (a decorrere dall’anno 2003) si prevede un finanziamento annuo di 2 milioni di euro.


 

DOCUMENTAZIONE


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Prime osservazioni e valutazioni sullo schema di
Piano Sanitario Nazionale 2002-2004

 

Punto 2.1) O.d.g. Conferenza Stato-Regioni

 

Le Regioni e le Province autonome, tenuto conto del nuovo quadro istituzionale e del ruolo assegnato allo Stato e alle Regioni, hanno elaborato, con il presente documento, delle prime valutazioni ed osservazioni sullo schema di Piano Sanitario Nazionale, riservandosi il parere di merito al momento dell’espressione dell’intesa.

Nella redazione del documento il lavoro si è sviluppato a partire dallo schema illustrato preventivamente dal Ministro Sirchia alle Regioni sia in Conferenza dei Presidenti che in sede di Conferenza Stato-Regioni.

In particolare si è proceduto nella seguente maniera.

Il Piano proposto dal Ministero della Salute è stato suddiviso in due parti.

La prima è costituita da tutti i contenuti che secondo la valutazione delle Regioni potrebbero legittimamente far parte del PNS inteso come DPR ai sensi del combinato disposto del Dlgs. 502/92 e successive modificazioni ed integrazioni e del nuovo Titolo V della Costituzione. Tali contenuti sono stati riportati nell’allegato 1 nel quale si è cercato già di preservare il massimo grado di coerenza interna, proponendo poi il loro inserimento in una diversa articolazione (riportata nel documento proposto).

La seconda parte è relativa ai contenuti inerenti indicazioni organizzative ormai pertinenti al livello delle competenze regionali ovvero inerenti esemplificazioni di possibili modelli assistenziali ed organizzativi. Tali contenuti, ricavabili per differenza tra lo stesso allegato 1 ed il testo proposto dal Ministero, potranno invece costituire il primo materiale tecnico programmatico di riferimento da completare attraverso i tavoli tecnici di confronto proposti dal Ministro Sirchia, come uno o più documenti da approvare in sede patrizia e complementare al Piano stesso.

Le valutazioni ed osservazioni preliminari contenute nel presente documento sono presentate fermo restando che l’intesa avverrà sul testo definitivamente elaborato, a conclusione dell’iter procedurale previsto, che consentirà alle Regioni, negli ambiti di competenza definiti, di esprimere le necessarie valutazioni di merito.

Va precisato che sono, in ogni caso, da garantirsi i principi di autonomia costituzionalmente previsti per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome.

 

Le osservazioni e valutazioni  risultano così articolate:

 

CONTENUTI DELLO SCHEMA PRESENTATO TRASFERIBILI NEL PSN. (allegato 1)

2.      PROPOSTA DI ARTICOLAZIONE DEFINITIVA DELLO SCHEMA DI PSN.

 

 

Per quanto riguarda la nuova articolazione del piano la proposta si sviluppa nei seguenti punti:

2.1    Il Piano Sanitario Nazionale e il suo ruolo nell’attuale contesto istituzionale;

2.2    Piano Nazionale per la salute: raccordo tra le politiche della salute e le politiche degli altri comparti della pubblica Amministrazione

2.3    Metodologia e contenuti del Piano Sanitario.

Stato di salute della popolazione e rimozione dei relativi squilibri

2.3.2 Priorità del livello centrale di governo nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza: Risorse, Appropriatezza, Equità

        2.3.3.         Priorità trasversali del Piano .

2.3.4. Valutazione sullo stato di garanzia delle tutele dei diritti    sanitari ed eventuale sviluppo di nuovi strumenti per l’attuazione del federalismo sanitario.

 

Il Piano Sanitario Nazionale e il suo ruolo nell’attuale contesto istituzionale

 

Viene riconosciuta pienamente la legittimità di un Piano Sanitario Nazionale, che si configura come Piano nazionale per la salute in un contesto federalista nonché la praticabilità del percorso di adozione come prefigurato dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche e integrazioni.

Al diritto alla salute tutelato dall’articolo 32 della Costituzione , quale diritto di libertà, il Paese ha finora risposto, a partire dalla legge n.833 del 1978 ad oggi, con la costruzione del Servizio Sanitario Nazionale nel suo evolversi nel corso degli anni, a fronte dei mutamenti intervenuti nella popolazione in risposta ai bisogni avanzati.

Oggi il diritto alla salute , unitamente al diritto all’assistenza, già tutelato dall’articolo 38 della Costituzione, trova un ulteriore livello di garanzia di rango costituzionale con la modifica apportata al Titolo V della Costituzione dalla legge n.3 del 18 ottobre 2001.

L’articolo 117, comma 2 lettera m) pone infatti in capo allo Stato la potestà esclusiva nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” .

Alle Regioni è affidata invece la potestà legislativa concorrente in materia di: tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro, professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione, alimentazione, ordinamento sportivo, previdenza complementare e integrativa, armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

Con legge dello Stato, poi prevede il comma 3 dell’articolo 119 è “istituito un fondo perequativo senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti alla persona, prosegue il comma 5 dello stesso articolo, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. “

In questo quadro il Piano Sanitario 2002-2004 vuole porsi come elemento di continuità tra welfare e federalismo in un rapporto in divenire , che deve tenere conto di innovazioni radicali e profonde , ma che nello stesso tempo però ha al centro del sistema l’unico vero attore di sempre il cittadino e la garanzia del suo stato di salute, quindi un Piano nazionale per la salute .

Ed invero il legislatore costituzionale ha posto con grande chiarezza in capo allo Stato la responsabilità di assicurare a tutti i cittadini il diritto alla salute mediante un forte sistema di garanzie, attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza e nello stesso tempo ha affidato alle Regioni la responsabilità diretta della realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese.

Si può partire da un modo nuovo di intendere il concetto di salute: dall’antico significato di “assenza del male” a quello attuale di “star bene” di “benessere”, sia del singolo individuo che della collettività . Un concetto che già sta mutando in quello di “vitalità” come idea complessa di piena realizzazione dell’individuo.

In tale direzione è necessario arrivare, oggi, ad una impostazione intersettoriale delle politiche per la tutela della salute. Non si può più parlare di Sanità in un contesto che non contempli anche le politiche sociali, ambientali ed energetiche, quelle del lavoro, della scuola e dell’istruzione, delle politiche agricole e di quelle produttive.

Solo un modo moderno di intendere la politica sanitaria - azione globale da sviluppare in questi diversi settori per la promozione del benessere – può agevolmente collocarsi in un processo di riforma in senso federale che si sta compiendo in questi ultimi anni.

La tutela della salute pertanto si persegue attraverso una strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per rispondere pienamente ed in maniera specifica ai nuovi bisogni di salute dei cittadini.

In tale contesto il Piano Nazionale per la salute vede impegnati i due livelli di governo, Stato e Regioni, in una programmazione concertata per il raggiungimento dell’unico obiettivo: la salute del cittadino.

Il Piano dunque oggi può e deve ancora svolgere un ruolo determinante quale luogo di confronto e collaborazione tra i livelli istituzionali impegnati nel governo del sistema sanitario, quale momento in cui si definiscono gli obiettivi di respiro nazionale e vengo assunti impegni rispettivamente dallo Stato e dalle Regioni. 

 

In questo quadro non può non essere esaminato anche il ruolo del PSN come propulsore per relazioni con livelli sovranazionali quale il rapporto con l'Unione Europea.

Anche in questo campo con i commi secondo e quarto dell’articolo 117 del novellato Titolo V della Costituzione alle Regioni sono state affidate nuove competenze in materia comunitaria, sia nella fase ascendente di formazione degli atti normativi comunitari sia nell’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea.

 

Significativo in questa prospettiva può essere il ruolo del Piano, tenuto conto della recente elaborazione della cd. “strategia sociale “ comunitaria avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, poi proseguita con quello di Nizza ed esplicitata dalla decisione n.50/2002/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 dicembre 2001 , che istituisce un programma d’azione comunitaria per incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l’emarginazione sociale e con la più ampia accezione di garantire la coesione sociale in Europa.

E’ da rimarcare poi , in particolare, che la strategia comunitaria in materia di sanità mira a garantire un approccio coerente alla sanità in tutti i settori della politica comunitaria e che dal 2002 fino al 2006 la Comunità sarà impegnata allo sviluppo del nuovo programma di azione comunitario nel campo della sanità pubblica. E’ evidente in quest’ottica l’azione di volano di sviluppo di nuove strategie che il Piano può svolgere nei confronti della Comunità e in una sinergia di interventi con le Regioni.

 

2.2 Piano Nazionale per la salute: raccordo tra le politiche della salute e le politiche degli altri comparti della pubblica Amministrazione .

 

In questo quadro un Piano Nazionale per la salute deve coniugare, nell'individuazione delle politiche della salute e degli obiettivi prioritari, il nuovo assetto delle competenze delineato dal Titolo V°della Costituzione, non più e non soltanto in riferimento a quelle in capo al Ministero della salute- ma anche alle altre Amministrazioni., tenuto conto altresì che alle Regioni sono affidate dal novellato Titolo V° della Costituzione competenze anche in altre materie .

Con riferimento a politiche intersettoriali a carattere nazionale, che coinvolgano le competenze di altri Ministeri, in primo luogo, Lavoro e Politiche sociali, Ambiente, Attività produttive, Politiche agricole e forestali , Università e ricerca è indispensabile prevedere nel Piano elementi di raccordo.

In particolare per quanto concerne i rapporti tra il Servizio Sanitario nazionale e l'Università è necessario che nel Piano vengano individuati gli impegni del Governo, già a suo tempo assunti con il punto 13 dell'accordo dell'8 agosto 2001, relativi a tutti i provvedimenti da adottare per riconfermare la piena riconduzione delle attività assistenziali svolte dalle Aziende ospedaliere universitarie ( miste e/o Policlinici) alla programmazione regionale, prevedendo una adeguata corresponsabilizzazione finanziaria delle Università. Allo stato risulta emanato .il D.P.C.M. 24 maggio 2001 recante :"Linee-guida concernenti i protocolli di intesa tra regioni e università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle Università nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n.517".Non può sottacersi in primo luogo lo stretto legame tra le politiche della salute, il sistema di garanzie che il Piano deve definire, gli obiettivi che sono individuati ottimali da raggiungere nel triennio e la compatibilità con la finanza pubblica per quanto attiene alle regole del patto di stabilità interno.

 

Le risoluzioni approvate il 4 giugno dalle Commissioni bilancio della Camera e del Senato richiamano l’attenzione sull’esigenza, alla luce del nuovo riparto di competenze tra i diversi livelli di governo e alla previsione di un nuovo assetto della finanza pubblica, di impostare il prossimo Documento di programmazione economico- finanziaria alla luce del nuovo quadro normativo, costituzionale e legislativo, valorizzandone la funzione di raccordo rispetto agli impegni assunti in sede comunitaria.

 

La stretta interrelazione delle politiche generali in tema di tutela della salute e gli altri comparti della Pubblica Amministrazione richiede che il Piano indichi i principi sui quali costruire , con accordi nella sede della Conferenza, i grandi progetti nazionali . Un esempio può essere il tema della sicurezza alimentare , che , pur nella specificità primaria della salute dei cittadini, impatta in altri settori della vita del Paese. 

 

2.3 Metodologia e contenuti del Piano Sanitario.

 

Alla luce di quanto sopra esposto, cioè del ruolo del Piano nell’attuale contesto istituzionale, sono da definire i suoi contenuti e la metodologia.

La metodologia , intesa come la esplicitazione delle modalità da seguire nella stesura del Piano sanitario nazionale, si sviluppa principalmente su due livelli, che coincidono con i livelli istituzionali :

Il PSN è programmazione di governo, in un contesto di federalismo sanitario, ed in questo senso, traccia le linee del mantenimento e dello sviluppo del Servizio Sanitario Nazionale. In tal senso vanno enunciati prioritariamente i principi fondamentali e successivamente definiti gli obiettivi.

Il Piano Sanitario Nazionale rappresenta lo strumento per garantire l’azione coordinata e concordata tra Stato e Regioni attribuendo, alla parte di PSN di competenza del Governo centrale, il compito di sviluppare sia il tema della tutela della salute, sia quello della garanzia dei livelli essenziali di assistenza.

 

2) In modo complementare e coordinato sui temi di interesse strategico/trasversale, o di preminente interesse interregionale, quali qualità, ricerca, educazione medica continua, integrazione socio sanitaria, comunicazione, prevenzione, mobilità sanitaria, le alte specialità, occorrerà procedere alla stesura di un correlato documento da adottarsi in sede pattizia, in cui pervenire ad un ulteriore approfondimento, finalizzato ad una piena promozione e realizzazione di detti principi e obiettivi nelle varie realtà regionali.

In questo quadro va esplicitato il mutato ruolo degli Enti Locali, già assunto a partire dal processo di decentramento amministrativo, con l'implementazione del concetto della sussidiarietà verticale che ne ha valorizzato il ruolo sul territorio nel quadro della programmazione sanitaria regionale.

 

I contenuti del piano relativamente alle fondamentali garanzie del Servizio sanitario nazionale sono di seguito elencati:

 

2.3.1 Stato di salute della popolazione e rimozione relativi squilibri.

 

Bilancio stato salute

 

Il Piano Sanitario Nazionale tiene conto dello stato di salute del Paese, delle eventuali disomogeneità regionali ed indica gli obbiettivi di salute con le relative priorità del triennio.

I parametri sulla scorta dei quali individuare gli obbiettivi di salute possono essere, ad esempio, la speranza vita senza disabilità e gli anni di vita perduti per morti evitabili. Questo può sottolineare il ruolo della Relazione sullo stato di salute del Paese che può diventare lo strumento attraverso il quale monitorare il grado di raggiungimento degli obbiettivi di salute fissati dal Piano.

Il richiamo agli obbiettivi di salute rappresenta la premessa per il ruolo dei diversi attori istituzionali che concorrono con le proprie attività ad incidere sullo stato di salute.

L'obiettivo della lotta alla rimozione degli squilibri sociali e territoriali esistenti in termini di condizioni di salute può generare una serie di programmi specifici, coinvolgenti i responsabili istituzionali dei vari settori d'intervento della P.A. centrale sui quali programmi il Governo centrale dovrebbe coinvolgere tutti gli altri livelli della P.A. ( regionale, provinciale e comunale).

Esempio: la sicurezza sul lavoro, quella stradale, l'esclusione e l'emarginazione sociale, i poveri, gli anziani, ecc.

Nei confronti di questi temi una volta definite le dimensioni del problema, si dovrebbero individuare gli obiettivi nel triennio, e precisare l'insieme delle politiche di intervento che è opportuno attivare per ridurre gli squilibri osservati.

 

2.3.2 Priorità del livello centrale di governo nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza: risorse, appropriatezza, equità .

 

2.3.2.1 Risorse

L’Accordo sancito dalla Conferenza Stato Regioni l’8 agosto 2001 ha rideterminato il fabbisogno finanziario del Servizio Sanitario Nazionale per gli anni dal 2002 al 2004 nell’ipotesi che tali risorse fossero sufficienti a garantire i LEA in condizioni di uniformità sull’intero territorio nazionale per lo stesso triennio.

La fissazione dei LEA, prima con l’Accordo del 22 novembre 2001 poi con l’adozione degli stessi con il DPCM del 29 novembre 2001, in attuazione dell’art. 6 della legge 405/01 ha definito i confini a carico del SSN utilizzando due concetti principali:

quello di servizi “essenziali”, intesi come accettabili sul piano sociale nonché tecnicamente appropriati ed efficaci in quanto fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente più efficienti;

quello delle “liste negative” consistente nell’individuare precisamente ciò che non deve più essere erogato con finanziamenti a carico del SSN.

 

L’applicazione formale di tali criteri ha consentito l’esclusione di un modesto insieme di prestazioni, cui corrisponde una frazione trascurabile di spesa sanitaria. Del resto il reale significato dell’introduzione dei LEA è consistito nell’aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo complessivo e non in termini residuali (anche per questo i LEA non possono esser definiti come livelli minimi) e nell’aver introdotto uno strumento per il governo dell’evoluzione del SSN e non un semplice modo per ridimensionare la spesa. La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce alcune aree di complessità tra le quali si ritiene opportuno segnalare le seguenti:

 

il notevolissimo impegno da dedicare al miglioramento dell’appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa. Si tratta dell’avvio di un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del SSN per gli aspetti di relativa competenza. Tale processo è certamente in grado di migliorare l’impiego delle risorse, ma più nel senso di consentire un più veloce aumento della qualità del servizio, che in quello di una netta riduzione della spesa;

l’esigenza di individuare ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che, chiamate a garantire l’integrazione socio-sanitaria, sono state escluse totalmente o parzialmente dai LEA. Al riguardo è il caso di sottolineare che qualora non si trovasse una soluzione adeguata a tale problema, anche la parte sanitaria dell’integrazione, ancorché finanziabile col FSN, verrebbe a perdere gran parte della sua efficacia;

la necessità di governare l’impatto dell’introduzione di nuove tecnologie, intese nella più ampia accezione del termine, sotto il profilo clinico, assistenziale, organizzativo ed economico-finanziario. Da questo punto di vista appare evidente come la compatibilità tra i LEA e il relativo finanziamento non possa essere sancita a priori, una volta per tutte, ma rappresenti piuttosto un obiettivo cui tendere costantemente, agendo necessariamente su entrambi i termini in questione: in termini di appropriatezza nei confronti dei LEA; in termini di adeguamento motivato del FSN per quanto riguarda i mezzi finanziari.

 

Anche per i motivi suesposti, l’Accordo Stato Regioni dell’8 agosto 2001 ha previsto la costituzione di una Commissione tecnica incaricata di valutare la compatibilità tra risorse e LEA.

Il Piano Nazionale per la salute dovrebbe assumere le problematiche citate, precisare le modalità con cui affrontarle, enucleando gli obiettivi nel triennio.

 

2.3.2.2 Appropriatezza

 

Per quanto riguarda tutti gli aspetti più direttamente legati alla dimensione clinico-assistenziale dei LEA e alle relative problematiche di uniformità territoriale nella loro erogazione, la materia può essere suddivisa in tre grandi categorie che risultano trasversali rispetto a ciascun livello di assistenza:

 

procedure/servizi/prestazioni acquisite da tempo e quindi molte diffuse nella pratica quotidiana dei servizi;

procedure/servizi/prestazioni di recente introduzione e quindi ancora relativamente poco diffuse nella pratica;

procedure/servizi/prestazioni appena uscite dalla sperimentazione clinica o comunque da una fase “sperimentale” e di imminente introduzione nella pratica.

Le attività da programmare e quindi da inserire nel PNS in termini di costruzione di strumenti, definizione di metodi e delimitazione di obiettivi da perseguire nel triennio sono in parte diversi e specifici per ciascuna categoria.

Il PNS dovrebbe individuare i problemi più urgenti/rilevanti, assumerli come obiettivi, incaricando ad esempio la Commissione sulla manutenzione dei LEA di affrontarli. Il lavoro da fare in questo caso è quello di confrontare le disposizioni delle varie Regioni e giungere ad un indirizzo condiviso e il più scientificamente fondata possibile.

Per le procedure di recente introduzione valgono considerazioni analoghe, ma in questo caso il lavoro è più complesso, poiché le valutazioni da fare sono più ampie nel senso che vanno chiariti elementi che non costituiscono ancora un patrimonio di conoscenza acquisito dal SSN da cui si possa attingere.

Il terzo caso (procedure di imminente introduzione) richiede l’organizzazione di una rete di centri di osservazione specifici e di raccolte mirate di informazioni che consentano di apprezzare compiutamente l’impatto delle innovazioni sui servizi e sui LEA.

 

Equità

 

Il PSN assume, in modo del tutto condivisibile, la garanzia dell’equità di accesso ai servizi sanitari, come suo principale obiettivo generale.

E’ pertanto necessario:

documentare la attuale condizione epidemiologica del Paese e delle Regioni e Province Autonome per quanto riguarda l’equità di accesso, tenendo presente che sono disponibili molti studi epidemiologici al riguardo;

determinare in modo specifico alcuni obiettivi in materia di equità di accesso (ad es. con riferimento alle prestazioni di alta specialità o di particolare criticità per il cittadino in relazione a caratteristiche di urgenza, frequenza, gravità, etc.) ed i target collegati ;

Queste specificazioni permetterebbero di evidenziare e sviluppare i collegamenti con le proposte già avanzate in materia di LEA, sia perché la loro effettiva applicazione nelle diverse realtà regionali potrebbe rappresentare un potenziale fattore di moltiplicazione delle disequità già oggi presenti, sia perché gli indicatori previsti per il monitoraggio e la verifica dei LEA potrebbero risultare carenti per quanto riguarda questo specifico contenuto informativo.

 

2.3.3 Priorità trasversali del Piano

 

Si individuano i seguenti temi sui quali il Piano dovrà definire principi e obiettivi generali:

ECM:

La formazione continua nel Servizio sanitario nazionale   

Ruolo del Ministero della salute nella definizione degli obiettivi nazionali della formazione

Ruolo delle Regioni nella formazione continua e nella definizione degli obiettivi nazionali;

La sostenibilità economica della formazione: i compiti del livello governativo, i compiti del livello regionale, il ruolo degli Enti finanziatori terzi

QUALITA’:

1.dei sistemi regionali:

2.delle strutture

3.dei professionisti

4.dei processi

5.percepita

 

RICERCA:

1 obiettivi triennali condivisi con le Regioni e coerenti con quelli della programmazione europea

2 individuazione dei programmi a rilievo nazionale

3 valorizzazione del ruolo delle Regioni, delle Aziende sanitarie, delle università, degli IRCCS e dei privati

 

INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA

partnership possibili per le politiche sociosanitarie

la valutazione di qualità degli interventi socio-sanitari

le risorse attuali

i fondi integrativi quale nuova modalità di reperimento di risorse

 

PREVENZIONE

la valutazione di qualità degli interventi di prevenzione

supporto alle politiche per la salute

 

COMUNICAZIONE

1 Istituzionale

2 Campagne di comunicazione

3 Comunicazione on line

 

2.3.4 Valutazione sullo stato di garanzia delle tutele dei diritti sanitari ed eventuale sviluppo di nuovi strumenti per l'attuazione del federalismo sanitario

 

Questa parte del P.S.N. dovrà precisare e raccordare le precedenti indicazioni che la normativa statale o gli accordi Stato - Regioni hanno offerto in materia di LEA.

In particolare dovrà precisare gli ambiti relativi al sistema di monitoraggio e garanzie - articolo 9 del D. Lgs 56/2000 e quelli del tavolo di cui all'accordo dell'8 agosto 2001.

Dovrà inoltre sviluppare la tematica della individuazione di interventi e procedure per il rispetto dei livelli di garanzia da effettuare in caso di inadempienza.

 

Roma 20 giugno 2002


 

allegato 1

 

 

Parte Prima

 

Gli obiettivi strategici per il cambiamento

 

 

 

        Legenda

        Il documento riporta in corsivo le parti modificate o aggiunte rispetto allo schema di PSN, mentre non riporta le parti di cui si propone lo stralcio.

 

1.      I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale

 

1.1.   Il primo Piano Sanitario Nazionale dopo il cambiamento

Il Piano 2002-2004 è il primo ad essere varato in uno scenario sociale e politico radicalmente cambiato.

La missione del Ministero della Salute si è significativamente modificata da “organizzazione e governo della sanità” a “garanzia della salute” per ogni cittadino. Il Servizio Sanitario Nazionale è un importante strumento di salute, ma non è l’unico: infatti il benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.

Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta assumendo l’aspetto di una reale devoluzione.

Il decentramento fa parte da tempo degli obiettivi della sanità italiana ed era già presente fra le linee ispiratrici della Legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, come del riordino degli anni '90, nell’ambito del quale veniva riconosciuto alla Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e gestione dei servizi sanitari.

La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione, improntato alla sussidiarietà orizzontale, intesa come partecipazione di diversi soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli più vicini ai cittadini.

Significativi passi in avanti in tal senso sono stati realizzati con la modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda metà del 2001, con l’Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo, convertito poi in Legge (Decreto Legge 18 settembre 2001 n. 347 e Legge 16 novembre 2001 n. 405).

La Legge costituzionale recante “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, varata dal Parlamento l’8 marzo 2001 e approvata in sede di Referendum confermativo il 7 ottobre 2001, ha introdotto i principi della potestà di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni e della potestà regolamentare delle Regioni in materia di sanità.

Rientrano nella competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre 2001 a stralcio del Piano Sanitario Nazionale con le procedure previste dal Decreto Legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito poi nella Legge 16 novembre 2001 n. 405 nonché la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32). In altri termini lo Stato formulerà i principi fondamentali, ma non interverrà sul come questi principi ed obiettivi saranno attuati, perché ciò diviene competenza esclusiva delle Regioni.

Il ruolo dello Stato in materia di sanità si trasforma, quindi, da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a quella di garante dell’equità sul territorio nazionale.

In tale contesto i compiti del Ministero della Salute saranno quelli di:

garantire a tutti l’equità del sistema, la qualità, l’efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed adeguata;

evidenziare le disuguaglianze e le iniquità e promuovere le azioni correttive e migliorative;

collaborare con le Regioni a valutare le realtà sanitarie e a migliorarle;

tracciare le linee dell’innovazione e del cambiamento e fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.

Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano apprezzabili, in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore prevalenza delle patologie più gravi, ulteriori e più avanzati traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione dell’assistenza, nell’utilizzo più razionale ed equo delle risorse, nell’omogeneità dei livelli di prestazione e nella capacità di interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.

Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro Paese è cresciuta e cresce di numero più che in altri Paesi europei ed è aumentato il peso delle risorse private investite nella salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri soggetti privati.

Al Piano Sanitario Nazionale è affidato il compito di delineare gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in ambito sanitario.

Ciò avviene, peraltro, in coerenza con l’Unione Europea e le altre Organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Consiglio d’Europa, che elaborano in modo sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.

La competenza dell’Unione Europea in materia sanitaria è stata ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell’Unione Europea, deliberando con la procedura di co-decisione, può adottare provvedimenti per fissare i livelli di qualità e sicurezza per organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonché misure nei settori veterinario e fitosanitario, il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica.

Con l’inizio dell’anno 2002, poi, è entrato in vigore il nuovo Programma di Azione Comunitario nel settore della sanità pubblica 2001-2006, che individua, tra le aree orizzontali d’azione comunitaria:

la lotta contro i grandi flagelli dell’umanità, le malattie trasmissibili, quelle rare e quelle legate all’inquinamento;

la riduzione della mortalità e della morbilità correlate alle condizioni di vita e agli stili di vita;

l’incoraggiamento ad una maggiore equità nella sanità dell’Unione Europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta, analisi e distribuzione delle informazioni;

la reazione rapida a pericoli che minaccino la salute pubblica;

la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.

Il Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 tiene conto degli obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento con i programmi dell’Unione Europea. Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario contiene:

-       la specificazione degli obiettivi prioritari di salute;

-       la determinazione degli strumenti strategici per conseguire tali obiettivi nel prossimo triennio;

-       le linee di sviluppo per gli altri obiettivi di salute.

L’efficacia del Piano dipende dall’attuazione di una produttiva cooperazione fra i diversi livelli di responsabilità chiamati a:

-       trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;

-       investire nella qualificazione delle risorse umane;

-       adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed efficaci;

-       adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;

-       garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il territorio nazionale.

In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 si configura come un documento di indirizzo e di linea culturale, più che come un progetto che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni cui il presente Piano è diretto e con le quali è stato costruito

 

1.1.1.         L’etica del sistema

La necessità di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo diviene sempre più urgente per il nostro Paese. L’equità dovrebbe guidare le politiche sanitarie, ma è stata finora sottovalutata dal dibattito, uscendo spesso perdente nel conflitto con l’efficienza. Si sono create così diverse iniquità di sistema che vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d’attesa anche per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il malato, agli sprechi e inappropriatezza delle richieste e delle prestazioni, al condizionamento delle libertà di scelta dei malati, alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all’erogazione dei servizi per cronici ed anziani. Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanità e la salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).

Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione internazionale.

Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni conseguenti per la sua tutela.

Equilibrio. La cura del singolo paziente è centrale, ma anche la salute e gli interessi della collettività vanno tutelati. In altri termini non si può evitare il conflitto tra interesse dei singoli e interesse della collettività. Ad esempio, la somministrazione di antibiotici per infezioni minori può giovare al singolo paziente, ma nuoce alla collettività perché aumenta la resistenza dei batteri agli antibiotici.

Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura di tutti i suoi problemi e assicurargli continuità di assistenza (dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e generalisti).

Collaborazione. Degli operatori della sanità tra loro e con il paziente, con il quale è indispensabile stabilire un rapporto di partenariato: “Nulla che mi riguardi senza di me”  è il motto del paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of Health Care Improvement, Boston).

Miglioramento. Non è sufficiente fare bene, dobbiamo fare meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti migliorativi. Vi è ampio spazio per migliorare, giacché tutti i sistemi sanitari soffrono di “overuse, underuse, misuse” delle prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).

Sicurezza. Il principio moderno di ”Primum non nocere” significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.

Onestà, trasparenza, affidabilità, rispetto della dignità personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque rapporto tra medico e paziente.

Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7 sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanità e la libera scelta del paziente.

A questi principi il Piano Sanitario Nazionale intende ispirarsi, proponendo azioni concrete e progressive per attuarli, nella logica che è compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione.

 

1.2.   Dalla sanità alla salute: la nuova visione ed i principi fondamentali

La nuova visione della transizione dalla “sanità” alla “salute” è fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il Servizio Sanitario Nazionale, che rappresentano altresì i punti di riferimento per l’evoluzione prospettata:

-       il diritto alla salute;

-       l’equità all'interno del sistema;

-       la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;

-       la dignità ed il coinvolgimento “di tutti i cittadini”;

-       la qualità delle prestazioni;

-       l’integrazione socio-sanitaria;

-       lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;

-       la sicurezza sanitaria dei cittadini.

Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che costituiscono l’ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un obiettivo prioritario. Pertanto è indispensabile, garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni, assicurare un’efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura della promozione della salute.

L’equità negli accessi ai servizi, nell’appropriatezza e nella qualità delle cure, è un fondamentale diritto da garantire. Troppo spesso accade che, a parità di gravità ed urgenza, l’assistenza erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle circostanze,  delle carenze strutturali e di altri fattori. In particolare, è necessario ridurre al minimo la mobilità dei pazienti in cerca di cure derivante dalla carenza nel territorio di residenza di strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualità richieste.

La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni incaricati di organizzare e erogare le prestazioni di cura è fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di tutti in relazione alla complessità dei bisogni, agli obblighi che discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici, e alla necessità di modulare gli interventi sulla base delle linee di indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema nel rispetto rigoroso delle compatibilità economiche.

La dignità e la partecipazione di tutti coloro che entrano in contatto con i servizi, e di tutti i cittadini, costituisce nella nuova visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli affetti, la considerazione e l’attenzione per la sofferenza, la vigilanza per una partecipazione quanto più piena possibile alla vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e bioetici per la tutela della vita che sono alla base della convivenza sociale.

La qualità delle prestazioni deve essere perseguita per il raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia nell’erogazione dell’assistenza e nella promozione della salute. E’, inoltre, necessario garantire l’equilibrio fra la complessità ed urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse, riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la valorizzazione professionale degli operatori sanitari è un requisito essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione permanente ed altri meccanismi di promozione.

L’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello locale è indispensabile così come la collaborazione tra Istituzioni e pazienti e la disponibilità delle cure specialistiche e riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali, i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti; inoltre, concorrere allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti è molto rilevante sotto il profilo sociale.

Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso la ricerca biomedica e sanitaria, è fondamentale per vincere le nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non guaribili attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie efficaci.

La sicurezza sanitaria dei cittadini è stata messa in evidenza in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti connessi al terrorismo. La sanità di questi anni non può quindi prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e prevenzione, nonché ovviamente di cura degli eventuali danni.

Il raggiungimento di questi obiettivi necessita della misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti, sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non è infatti possibile assicurare pari dignità e pari trattamento senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e della qualità raggiunta nelle varie realtà. La soddisfazione degli utenti e la loro corretta informazione, la qualità delle prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali, nonché il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realtà territoriali.

 

1.3.   Gli obiettivi strategici del Piano Sanitario Nazionale

Gli obiettivi strategici attraverso i quali realizzare i principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale sono inclusi nei seguenti progetti-obiettivo:

Garantire e monitorare l’accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza, manutenerli e proporzionare i tempi di attesa e la facilità d’accesso alle necessità degli utenti;

creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili;

garantire  e monitorare la  qualità  dell’assistenza  sanitaria e delle tecnologie biomediche;

potenziare i fattori  di sviluppo (o “capitali”) della sanità;

realizzare una  formazione  permanente  di alto livello in medicina e sanità;

ridisegnare la rete ospedaliera e i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali;

potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza;

promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari;

promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute;

promuovere un corretto uso dei farmaci e la farmacovigilanza.

A seguire, in questa Parte Prima, si descrivono le linee di pensiero e di azione per l’attuazione dei progetti-obiettivo, mentre gli obiettivi generali del Servizio Sanitario Nazionale sono trattati nella Parte Seconda.

 

2.      Gli obiettivi strategici per il cambiamento: i dieci progetti-obiettivo

 

2.1.   Attuare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa

Il primo frutto concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in materia sanitaria l’8 agosto 2001 è costituito dalla definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e garantire su tutto il territorio nazionale.

Tale definizione è costruita sui seguenti fondamentali principi:

-       il livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;

-       le prestazioni, che fanno parte dell’assistenza erogata, non possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;

-       l’appropriatezza delle prestazioni è collegata al loro corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione, fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;

-       gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di lavoro) e verificano la correttezza dell’utilizzo delle risorse impiegate in termini di bilanciamento qualità-costi.

L’introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce l’avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la prima volta si dà seguito all’esigenza, emersa da anni, di garantire ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate e di individuare il corretto livello di erogazione dei servizi resi.

Nell’ambito dell’accordo particolare importanza riveste la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie, sottolineata più volte anche dal Presidente della Repubblica, e anch’essa obiettivo di primaria importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta da un lato la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall’altro, il  fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio Sanitario.

Il diritto all’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza. Infine, una corretta impostazione del problema dei tempi di accesso e la realizzazione di interventi migliorativi dipendono in larga misura dalla capacità di realizzare sia un unico centro di prenotazione per l’accesso alla struttura da parte degli utenti sia un monitoraggio affidabile dei dati

 

a) Gli obiettivi strategici

Gli obiettivi strategici in questo campo sono i seguenti:

disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero, territoriale e ambiente di lavoro)

rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa, garantendo il raggiungimento del livello previsto;

costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene oggi;

diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con un corretto bilanciamento tra i costi e la qualità (bench-marking a livello regionale ed aziendale);

promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;

attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di salute

 

b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni

Nel corso dei prossimi tre anni occorrerà:

-       sviluppare un sistema di indicatori pertinenti e continuamente aggiornati per il monitoraggio della applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, incrementando gli indicatori del livello territoriale e dell’ambiente di lavoro;

-       concordare con le Regioni le modalità per la verifica e il controllo della loro applicazione;

-       aggiornare con cadenza periodica i Livelli Essenziali di Assistenza in termini di indicatori di appropriatezza e di tipologia delle prestazioni tramite una apposita Commissione nazionale nominata dalle Regioni e dal Ministero della Salute (Commissione Nazionale per la manutenzione dei LEA) operante presso l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali;

-  rendere pubblici i tempi di attesa per le prestazioni appropriate, filtrando quelle non appropriate e ponendo in priorità quelle relative alle patologie più invalidanti e urgenti;

-   monitorare i tempi di attesa per prestazioni ambulatoriali e di ricovero;

-       sperimentare gli strumenti più efficaci compresi quelli previsti dall’accordo Stato Regioni che includono nuove modalità per la realizzazione di condizioni di uniformità e trasparenza delle liste di prenotazione alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche.

 

2.2.   Creare una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili

 

2.2.1.         La cronicità, la vecchiaia, la disabilità: una realtà della società italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie

Il mondo della cronicità e quello dell'anziano hanno delle peculiarità che in parte li rendono assimilabili:

-       sono aree in progressiva crescita;

-       richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali;

-       necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;

-       hanno una copertura finanziaria insufficiente.

Più che mai si rende necessario innanzitutto che si intervenga in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e ritardare l'instaurarsi di condizioni invalidanti che hanno in comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi verso la necessità di interventi sociali e sanitari complessi e costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di tumore), nonché profilassi di particolari malattie. Le Regioni, pienamente responsabili dell'assistenza sanitaria e della relativa spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare già nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo maggiore che in passato. Per gli anziani importante è la possibilità di mantenere una vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale in quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di vita più appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione possono essere di grande aiuto anche in tal senso.

L'anziano vive meglio al proprio domicilio e nel contesto di una famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficoltà economiche e logistiche ad assistere in casa l’anziano che necessita di cure. E', quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito. A fronte di un fabbisogno stimato in circa 30.000 miliardi/anno, oggi l'Italia spende per l'assistenza sociale circa 13.000 miliardi. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il problema di finanziare adeguatamente un settore dell'assistenza che solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora, con l'allungamento dell’aspettativa media di vita, è in aumento progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha più di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la disabilità in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%..

Rispetto al problema dell'autosufficienza delle persone anziane esiste un problema di costi che  nei paesi europei è stato affrontato in modo diverso. Il problema di garantire l'autosufficienza per le patologie croniche e per le disabilità dovrà essere affrontato in modo congiunto tra le diverse parti sociali e prevedendo, anche, la possibilità di trovare altre forme di finanziamento integrativo.

Rispetto ai principali Paesi europei, l'Italia ancora spicca soprattutto per l'assenza di un pensiero e di una proposta forti che affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone anziane e disabili e alle loro famiglie.

Occorre puntare pertanto a:

-       aumentare le risorse finanziarie per la fornitura di servizi sanitari e sociali per la non-autosufficienza attuando un modello adatto al Paese;

-       rendere più efficace ed efficiente la gestione dei servizi esistenti tramite l'introduzione di meccanismi competitivi;

-       attribuire maggiore capacità di scelta ai beneficiari finali dei servizi;

-   sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano dell'assistenza;

-   regolarizzare e stimolare la pluralità dell'offerta di servizi;

-   sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;

-   sperimentare nuove modalità di organizzazione dei servizi anche    

     ricorrendo a collaborazioni con il privato;

-   attivare sistemi di garanzia di qualità e adeguati controlli per gli erogatori di servizi sociali e sanitari, anche attivando graduatorie degli erogatori e commisurando i compensi alla qualità oggettiva.

 

2.2.2.         Le sfide per il Servizio Sanitario Nazionale

Non vi è dubbio che il Servizio Sanitario Nazionale debba prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalità di erogazione, basate sui principi della continuità delle cure per periodi di lunga durata e dell’integrazione tra prestazioni sanitarie e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro (assistenza continuativa integrata).

Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di assistenza sono sempre più numerose: pazienti cronici, anziani non autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati terminali.

Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della situazione patologica in atto e la qualità della vita dei pazienti, raramente quelle della loro guarigione.

Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e sanitarie rese sia dalle professionalità oggi presenti, sia da quelle nuove da creare nei prossimi anni.

Innanzitutto è indispensabile che la continuità delle cure sia garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che limitano la qualità della vita.

A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente l’integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonché la continuità assistenziale nel passaggio da un nodo all’altro, avendo cura che venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione dell’effettivo stato di salute. Dovrà essere di conseguenza ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e potenziata l’assistenza riabilitativa e territoriale.

In accordo con questo orientamento il medico di medicina generale diviene l’operatore di riferimento per il processo di deospedalizzazione e per il corretto utilizzo dei nodi di assistenza collocati nel territorio. La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie  Locali ed i Comuni individuino le forme di governo più adatte affinché le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero raggiungibile dell’autosufficienza e la diminuzione della domanda assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui è opportuno, con l’erogazione dell’assistenza protesica.

Per le disabilità più marcate la disponibilità di Centri territoriali ambulatoriali o residenziali di riabilitazione è essenziale. Il ridisegno della rete ospedaliera e la conversione di alcuni ospedali può aumentare la disponibilità oggi limitata.

 

a) Gli obiettivi strategici

Sono obiettivi a lungo termine in questa area:

-       la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al rischio di non auto-sufficienza della popolazione;

-    la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata, economicamente  

     compatibili, rispettose della dignità della persona,

-   il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione a 

domicilio, assistenza domiciliare integrata, Centri diurni integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo

-   la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;

-.  il miglioramento della autonomia funzionale delle persone disabili, anche  

    in relazione alla vita familiare e al contesto sociale e lavorativo;

-   l’introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la disabilità e  

    la non autosufficienza, che includono le informazioni sugli stili di vita più  

   appropriati e sui rischi da evitare.

 

b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni

Per i tre anni di applicazione del Piano vengono fissati i seguenti obiettivi:

-        avviare lo studio per l’identificazione di una adeguata sorgente di risorse per la copertura dei rischi di non-autosufficienza;

-   la sperimentazione di forme di “governo della rete”

-   la sperimentazione di una metodologia di ospedalizzazione domiciliare;

-   l’attuazione di Linee Guida per le cure palliative (G.U. del 14 maggio 

    2001, n. 110), relative ai percorsi assistenziali e la formazione specifica  

    degli operatori

- la riformulazione ed informatizzazione del nomenclatore tariffario in generale e dei presidi ed ausili tecnici in particolare.

 

2.2.3.         Un modello di cura ed assistenza a domicilio

(integrazione tra ospedale, medicina territoriale e servizi sociali)

 

2.3.   Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche

Un obiettivo importante da perseguire nell’ambito del diritto alla salute è quello della qualità dell’assistenza sanitaria. E' la cultura della qualità che rende efficace il sistema, consentendo di attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell’utente.

Sempre più frequentemente emerge in sanità l'intolleranza dell'opinione pubblica verso disservizi e incidenti, che originano dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualità e che vanno dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure codificate, agli evidenti sprechi.

La qualità in sanità riguarda un insieme di aspetti del servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella umana, economica e clinica delle cure, e va perseguita attraverso la realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia clinica, alla competenza professionale e tecnica, alla efficienza gestionale, alla equità degli accessi, alla appropriatezza dei percorsi terapeutici.

Per l’aspetto umano, è opportuno che venga misurata anche la qualità percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un importante indicatore della soddisfazione dell’utente.

 

a) Gli obiettivi strategici

L'obiettivo a lungo termine è quello di implementare un servizio di garanzia di qualità in tutte le strutture che erogano servizi ed è raggiungibile, in almeno la metà dei casi, nel prossimo quinquennio.

Altri obiettivi a lungo termine sono i seguenti:

-       promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento della qualità all’interno dei servizi per la salute;

-       coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di informazione e formazione sulla qualità e incentivare con opportuni strumenti contrattuali il rispetto della qualità nelle prestazioni sanitarie;

-       valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di definizione, applicazione e misurazione della qualità;

-       promuovere la conoscenza, tramite un servizio preposto, dell’impatto clinico, tecnico ed economico dell’uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le diverse Regioni italiane;

-    mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle  

     procedure diagnostico - terapeutiche ad essi associati, con i relativi costi;

attivare procedure di bench marking sulla base di dati attinenti agli esiti delle prestazioni.

 

2.4.   Potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità

Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di “capitale”: umano, sociale e fisico. Questo concetto, ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, è in linea con il pensiero espresso fin dalla metà del secolo scorso da Carlo Cattaneo, grande filosofo ed “economista pubblico”. Nonostante gli sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate è stata ancora valorizzata nella nostra sanità in misura sufficiente.

Il “capitale umano”, ossia il personale del Servizio Sanitario Nazionale, è quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La Pubblica Amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del personale e alla promozione della professionalità e molti strumenti utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.

Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 diventa, infatti, realtà l’acquisizione dei crediti per tutti gli operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla Commissione Nazionale per l’Educazione Medica Continua. Ben più importante, inizia, secondo l’accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e grazie all’adesione di varie organizzazioni e associazioni inclusi gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie e le Società scientifiche italiane, l’aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi aziendali per il personale, utilizzando anche e soprattutto la rete informatica.

Un personale aggiornato è garanzia, per il malato, di buona qualità delle cure, ma l’aggiornamento sistematico costituisce anche un potente strumento di promozione dell’autostima del personale stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine professionale e la propria credibilità verso la collettività. Ovviamente l’aggiornamento sistematico è solo uno degli strumenti di valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia certificazione della qualità è un altro elemento di gratificazione per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento è costituito da un rapporto di lavoro che premi la professionalità e liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere più efficace la sua opera.

Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione infermieristica e delle altre professioni sanitarie per le quali si impone la nascita di una nuova “cultura della professione”, così che il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della classe medica sia dell’utenza, all’autentico fondamento epistemologico del nursing.

Il capitale sociale va inteso come quella rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership tutti i protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori dell’assistenza, del volontariato e del non-profit, della comunicazione, dell’etica, dell’innovazione, della produzione, della ricerca, nonché del capitale privato, che possono contribuire ad aumentare le risorse finanziarie per l’area del bisogno socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta questa rete sociale, grande patrimonio del vivere civile, è ancora largamente da valorizzare ed è la cultura di questo capitale sociale che va prima di tutto sviluppata.

Vanno potenziati gli investimenti per l'edilizia ospedaliera e per le attrezzature. Secondo quanto stabilito dall'accordo dell'8 agosto.

Il risultato finale deve, in sintesi, prevedere la sinergia di interventi mirati a:

dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;

valorizzare le figure del medico e degli altri operatori sanitari;

detassare le donazioni per sanità e ricerca e strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;

alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacità gestionali e rallentano l’innovazione, consentendo loro una gestione imprenditoriale finalizzata anche all’autofinanziamento;

investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento della società civile e strumento per rapportare i cittadini alle Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati;

Per realizzare questi punti è necessario muoversi per gradi e con la tecnica dei piccoli passi, ben direzionati.

 

2.5.   Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità

L’Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve rispondere alla esigenza di garantire alla collettività il mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come tale, essa si configura come un elemento di tutela dell’equità sociale e riassume in sé i concetti di responsabilità individuale e collettiva, insiti nell’esercizio di ogni attività volta alla tutela e alla promozione della salute della popolazione.

Già nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229) e nel 2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate l’infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed è stato valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla professione medica, interessando le altre professioni dell’area sanitaria solo in maniera frammentaria.

La volontarietà era, del resto, la caratteristica portante di queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di alcune di esse, non è sempre stata data sufficiente importanza alla dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalità e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilità forte nei riguardi della collettività.

Il recente accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha sancito in maniera positiva la convergenza di interesse tra Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente così da creare una forte coscienza della autoformazione e dell’aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie professionali impegnate nella sanità.

La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita nel 2000 e rinnovata il 1 febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto il problema dell’impostazione ex novo del sistema della formazione permanente e dell’aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento, attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del sistema sanitario: ciò ha portato alla attivazione di un programma nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.

Un elemento caratterizzante del programma è la sua estensione a tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio è evidente: nel momento in cui si afferma la centralità del paziente e muta il contesto dell’assistenza, con la nascita di nuovi protagonisti e con l’emergere di una cultura del diritto alla qualità delle cure, risulta impraticabile la strada di una formazione élitaria, limitata ad una o a poche categorie professionali, e diviene obbligo morale la garanzia della qualità professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della équipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse professioni sanitarie e tecniche.

In una prospettiva ancora più ampia, la formazione continua potrà diventare uno degli strumenti di garanzia della qualità dell’esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una nuova cultura della responsabilità e del giusto riconoscimento della eccellenza professionale.

 

a) Gli obiettivi strategici

Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, si pone l’obiettivo di disegnare le linee strategiche della formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E ciò è particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza regionale e di libera scelta.

Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa tra Ministero della Salute e Regioni, dal presente Piano Sanitario e stimolare negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute - in aggiunta a quelle della malattia - alla concretezza dei problemi sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.

Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali, chiamate ad una azione più capillare legata a situazioni epidemiologiche, sociosanitarie e culturali differenti. Il ruolo delle Regioni nel campo della formazione sanitaria continua diviene così un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle realtà, in una parola di coerenza e di compliance della qualità professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del territorio.

Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell’operatore sanitario rappresentano l’elemento eticamente forse più rilevante della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano direttamente alla capacità dell’operatore di riconoscere le proprie esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.

Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dal coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, inclusa quella assai importante dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, non solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei ed internazionali. Sotto quest’ultimo profilo, attenzione dovrà essere posta proprio all’armonizzazione tra il sistema formativo italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera circolazione dei professionisti.

Ancora, le Società Scientifiche dovranno trovare ampia valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non solo della solidità delle basi scientifiche degli eventi formativi, ma anche della qualità pedagogica e della loro efficacia.

Da ormai molti anni la maggior parte delle Società Medico Scientifiche Italiane si è riunita nella Federazione Italiana delle Società Medico Scientifiche (FISM) che ha operato per dare agli specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni, inteso primariamente come contributo culturale ed operativo all’identificazione ed allo sviluppo delle attività sanitarie e mediche nel Paese. Oggi le Società Scientifiche hanno trovato pieno riconoscimento del loro ruolo per l’ECM, la cui organizzazione si è così arricchita di risorse culturali ed umane.

Nel sistema che si sta creando, attenzione dovrà anche essere dedicata al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano coerenti con le finalità del sistema formativo.

Da ultimo, ma non meno importante, è il coinvolgimento degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende Ospedaliere e delle Università nonché delle altre strutture sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella “formazione in contesto professionale”, eminentemente pratica ed operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilità di ricaduta concreta sulla qualità delle cure.

Non potrà, infine, mancare un ruolo sempre più attivo degli Ordini professionali, specie quelli dei medici e degli odontoiatri, cui spetta la difesa dei valori di categoria e il ruolo di “notai” dei crediti acquisiti dai singoli iscritti.

 

2.6.   Ridisegnare la rete ospedaliera: nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali

Per molti anni l’ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere  ad un Ospedale situato a breve distanza dalla propria residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben 1.440 Ospedali,  di dimensioni e potenzialità variabili.

Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici dei medici e degli Ospedali era sia relativamente limitati: non esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era necessario disporre di superspecialisti. Basti citare in proposito l’esempio della bioimmagine che ha visto il progressivo affermarsi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco della radiologia tradizionale, in un vorticoso progresso tecnologico che comporta l’invecchiamento di costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni.

Oltre alla diagnostica per immagini, si pensi alla necessità di Unità Specializzate, come l’Unità Coronarica, per il successo di alcuni trattamenti, senza i quali le possibilità di sopravvivenza dei pazienti scemano vistosamente.

Negli ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in Ospedale.

Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento.

Un Ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre delle attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e tempestive.

Solo se si saprà cogliere con questa ed altre modalità il cambiamento ed il nuovo che avanza in sanità, se si saprà attuare una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed adeguarvisi, se si saprà attirare capitali privati nel servizio pubblico e gestire questo con mentalità imprenditoriale sarà offerta al Paese una sanità  più efficace, più moderna ed anche economicamente più vantaggiosa, modificando una realtà che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi di limitata utilità.

 

Gli obiettivi strategici

Sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete ospedaliera con la finalità di convertire le funzioni di alcuni ospedali;

Attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso dell’operazione, che è quello di fornire ai cittadini servizi ospedalieri più efficaci e più moderni, riducendo i cosiddetti viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che questi comportano per le rispettive famiglie.

 

Gli obiettivi per i prossimi tre anni

        attivare e/o partecipare società che gestiscono attività produttive

 

2.7.   Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza

Le Linee Guida 11 aprile 1996 n. 1 forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza e sulle Unità operative che compongono i Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla base di tali indicazioni il sistema dell’emergenza sanitaria risulta costituito da:

-       un sistema di allarme sanitario assicurato dalla centrale operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale (118);

-       un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi di soccorso distribuiti sul territorio;

-       una rete di servizi e presidi funzionalmente differenziati e gerarchicamente organizzati.

Le Linee Guida citate prevedono, inoltre, l’elaborazione di successivi documenti di approfondimento sulla gestione di tematiche specifiche. Tra queste, le Linee Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle sul triage intraospedaliero sono state approvate dalla Conferenza Stato Regioni il 25 ottobre 2001.

Un aspetto che necessita un approfondito esame è relativo al problema di disincentivare gli accessi "impropri" al Pronto Soccorso, da parte di cittadini che vi accedono di propria iniziativa, saltando le tappe del medico di medicina generale o dei presidi territoriali. Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste un particolare rilievo per le Isole minori e le località montane disagiate, per le quali sono stati previsti specifici interventi sia dall’Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia dalla Legge Finanziaria del 28 dicembre 2001 n. 448. Infatti, mentre l'Accordo garantisce l'erogazione delle prestazioni previste dai livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle popolazioni delle Isole minori e delle comunità montane disagiate, la Legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da impiegare a tale scopo.

 

 a) Gli obiettivi strategici

-       Riorganizzazione dei Pronto Soccorso e dei Dipartimenti d’emergenza e accettazione.

-       Integrazione della rete delle alte specialità nell’ambito dell’emergenza per la gestione del malato critico e politraumatizzato.

Integrazione del territorio con l’Ospedale.

 

b) gli obiettivi per i prossimi tre anni

-   Completare l’attivazione del sistema di emergenza su tutto il territorio 

     nazionale, e rafforzare il collegamento tra il 118 ed i DEA.

-   Completare il programma di assegnazione delle radiofrequenze dedicate  

     alle Regioni, e aggiornare le caratteristiche tecniche dei mezzi di 

     soccorso e le loro dotazioni.

-   Programmare interventi che garantiscano le specifiche esigenze di 

     assistenza sanitaria d’urgenza nelle isole minori e nelle comunità 

     montane disagiate, inclusi i servizi di consulenza a distanza con

     telemedicina, e collegamenti funzionali in rete con i Centri di Eccellenza,

      nonché la disponibilità di trasporto sanitario mediante elicottero.

Elaborare indicatori degli accessi al pronto soccorso, e monitorarne l’andamento temporale.

Promuovere l’organizzazione delle maxiemergenze nelle strutture ospedaliere.

Elaborare protocolli operativi per la gestione di emergenze impreviste che possano coinvolgere un elevato numero di persone, come in caso di eventuali attacchi bioterroristici e di calamità naturali.

Definire protocolli per la gestione delle grandi manifestazioni, degli eventi sportivi di rilevanza, nelle quali è prevista la presenza di mezzi di soccorso.

 

2.8.   Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari

La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte dai risultati della ricerca, in quanto il progresso scientifico contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e di nuove modalità organizzative nell’assistenza e nell’erogazione dei servizi sanitari.

Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a lungo termine il vantaggio, anche economico, di ridurre l’incidenza delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione.

Il convincimento che le sfide più importanti si possano vincere soltanto con l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.

Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica italiana per la ricerca tra le più basse in Europa, rispetto al prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per il nostro Paese. Da più parti si è elevato a questo proposito il monito che, uscendo dalle difficoltà economiche momentanee, l'Italia debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che inizi con l'attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche. Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende solo dalla disponibilità di fondi pubblici. Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito dell’Unione Europea è fondamentale che l’Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta nell’ambito del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione Comunitaria di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la Realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca, dotato di importanti risorse finanziarie. Ciò non solo perché il Programma Quadro contribuirà a modificare nell’arco di cinque anni in modo radicale l’assetto della ricerca in Europa, ma anche perché l’Italia ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze emergenti

 

2.9.   Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute

Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di molte patologie è legata agli stili di vita.

a)     Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso, numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l’artrosi, l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica della prevenzione delle malattie connesse all’alimentazione è la necessità di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve essere rivolta pertanto all’intera popolazione, presso la quale occorre diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di nutrienti, di  scelta di profili alimentari salutari, ma anche coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali  e socio economici. L’accento va posto sulla lettura ed utilizzazione della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di alimenti preconfezionati, che può facilitare scelte idonee ed indurre il settore industriale a migliorare la qualità nutrizionale degli alimenti prodotti.

I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa, bulimia, altri disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a partire dagli anni ’70, un significativo incremento di incidenza e prevalenza. I valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di età compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti a rischio) sono i seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi subclinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%;  bulimia nervosa 1-3%; altri disturbi del comportamento alimentare 6%.

Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione, campagne di sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori adolescenziali e presso i medici di medicina generale.

b)     Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attività fisica riveste un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo dell’esercizio fisico regolare è stato dimostrato soprattutto nei confronti delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, di quelle osteoarticolari (in particolare l’osteoporosi), metaboliche (diabete), della performance fisica e psichica degli anziani. L’esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo, riduce l’ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il benessere psicofisico.

Il fenomeno del tabagismo è molto complesso sia per i risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la pesante compromissione della salute e della qualità di vita dei cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi (non fumatori).

Oggi la comunità scientifica è unanime nel considerare il fumo di tabacco la principale causa di morbosità e mortalità prevenibile. Infatti è scientificamente dimostrato l’aumento della mortalità nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie quali ad esempio il tumore del polmone, delle vie aeree superiori (labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas. Il fumo è causa anche di un aumento della mortalità per malattie aterosclerotiche, aneurisma dell’aorta e broncopneumopatie croniche ostruttive.

Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1 miliardo e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e 1/3 di questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni di fumatori, cioè circa il 30% dell’intera popolazione europea.

In Italia, dalle indagini multiscopo dell’Istat risulta che nel 2000 la percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della popolazione maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il 21,3% dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori più accaniti, in termini di numero medio di sigarette fumate al giorno, sono gli uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne.

Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il 15% di questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000 nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile.

Attualmente il tumore al polmone è la decima causa di morte nel mondo. Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino più concrete politiche antifumo, il tumore al polmone sarà nel 2020 tra le prime 5 cause di morte al mondo.

L’analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative, ci induce a pensare che le politiche intraprese finora dai vari Governi e supportate anche da Organizzazioni sopranazionali, quali l’OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi.

L’odierna normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici risulta essere limitata ed inefficace nella sua applicazione. Il divieto di fumo, così come regolamentato sostanzialmente dalla Legge n. 584 dell’11 novembre 1975 e dalla direttiva 14 dicembre 1995, non è sufficiente. Questa normativa, nel tentativo di puntualizzare i luoghi ove è vietato fumare e di affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti dall’autorità necessaria, ha di fatto creato incertezze e difficoltà che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.

Al fine di attivare una più incisiva azione di dissuasione, con l’articolo 52, comma 20, della Legge Finanziaria 2002 sono state inasprite le sanzioni  per i trasgressori del divieto di fumo prevedendo una sanzione amministrativa da 25 a 250 Euro, raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini fino a 12 anni. Contemporaneamente, sono state intensificate e stimolate procedure di controllo e rilevamento delle infrazioni da parte delle forze dell’ordine.

Un ulteriore sviluppo normativo dovrà prevedere l’applicazione del divieto di fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti.

Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e più incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potrà essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in età scolare e alle donne in età fertile.

In particolare per i giovani va tenuto conto che si è registrato un abbassamento dell’età in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e che il 90% dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20 anni. Inoltre, se si considera che l’iniziazione alle sigarette è fortemente influenzata, sia nelle ragazze sia nei ragazzi, da pressioni sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati a compagni ed amici e da fattori familiari quali la presenza di genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato intervento deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro che rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i genitori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media. Sarà da modificare in particolare il modello proposto nei decenni precedenti che presentava il fumatore come un personaggio emancipato e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che attribuisce al fumatore un basso livello socio-culturale, è quella che più si avvicina alle realtà e che meglio può contrastare la cultura del secolo scorso.

Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e patologie del feto, risulta di particolare rilievo l’intervento di sensibilizzazione destinato alle donne in età fertile. Infatti, ad esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto l’arto del feto può non svilupparsi, è doppio nelle donne fumatrici rispetto alle non fumatrici. L’aborto spontaneo, si produce in quasi 4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica è doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne fumatrici sono più soggette a fenomeni quali la placenta previa, il distacco di placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre alcuni studi dimostrano che l’esposizione dei neonati al fumo passivo aumenta il rischio di SIDS (Sudden Infant Death Sindrome) ed in particolare è direttamente proporzionale al consumo di sigarette fumate dalla madre e al numero di sigarette fumate in sua presenza.

d)     La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall’alcool è, attualmente, uno dei più importanti obiettivi di salute pubblica, che la gran parte degli Stati persegue per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. Numerose evidenze dimostrano che gli individui, (ed i giovani in particolare) che abusano dell’alcool risultano più frequentemente inclini a comportamenti ad alto rischio per sè e per gli altri (quali guida di autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonché al fumo e/o all’abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L’alcool agisce come “ponte” per gli individui più giovani, rappresentando una delle possibili modalità di approccio a sostanze illegali, le cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona che ne fa direttamente uso. Benché il consumo di bevande alcooliche in Italia sia andato diminuendo dal 1981, notevoli sforzi devono essere posti in essere per raggiungere gli obiettivi adottati dall’OMS e, in particolare, dall’Unione Europea con la recente approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli connessi all’alcool.

Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle malattie, e sui comportamenti e le soluzioni più adatte a promuovere lo stato di salute sta alla base di una moderna società del benessere. Molti sono infatti gli strumenti che la scienza e la tecnologia moderna mettono a disposizione della collettività per tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono anche, peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi, dall’inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze innocue come il sale da cucina, se assunto in quantità eccessive possono essere causa di malattie a carico dell’apparato cardio-vascolare.

Va inoltre sottolineata l’importanza di sottoporsi a periodici controlli e a test di screening consigliati per la diagnosi precoce dei tumori nelle età e con i tempi appropriati.

Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o sono scarsamente accessibili ai pazienti. Questo è, ad esempio, il caso delle informazioni:

-       sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;

-       sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;

-       sull’esito di alcune sperimentazioni cliniche;

-       sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le diverse possibilità di cura;

-       sulle modalità di accesso alle cure.

Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle decisioni in materia di salute dovrebbero essere fornite in modo comprensibile e aggiornato. Benché il ruolo del medico e del farmacista rimanga fondamentale nell’informare i pazienti, è necessario tenere conto del fatto che lo sviluppo della società dell’informazione offre numerosi altri strumenti, ivi incluso Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente benefico se opportunamente utilizzati. In effetti, esistono già numerosi siti web che forniscono una varietà di informazioni di carattere sanitario, ma la qualità dell’informazione fornita non è sempre soddisfacente ed, in alcuni casi, è addirittura fuorviante.

Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario Nazionale quello di fornire ai cittadini corretti strumenti di informazione, che consentano di evitare i rischi, di attuare comportamenti salutari, e di conoscere e saper individuare adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio psicofisico e di malattia.

Oltreché all’importanza della informazione sulla salute rivolta ai cittadini, il Servizio Sanitario Nazionale deve prestare attenzione anche alle opportunità dello sviluppo di una corretta comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino ad un recente passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente “a senso unico”, nel quale le informazioni passavano dal medico, o dall’operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno stato moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura più elevati, e soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai processi sociali ed economici che li riguardano, la relazione a due vie tra operatori e utenti è d’obbligo. Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul complesso e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo la quantità dei temi e dei messaggi, che rischiano così di disperdersi in più percorsi di comunicazione, non potendo avere una sufficiente massa critica di risorse.

Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto in passato di attività comunicazionale, un mancato coordinamento a livello di obiettivi strategici desiderati, o addirittura una sovrapposizione degli sforzi da parte di diversi enti, che anziché creare valore incrementale alla comunicazione rischiano di indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.

L’insieme di queste considerazioni evidenzia la necessità di modificare l’approccio alla comunicazione istituzionale in campo sanitario se si vuole raggiungere risultati significativi su questioni di altissimo impatto.

 

a) Gli obiettivi strategici

Occorre orientare l’attività e gli impegni del Servizio Sanitario Nazionale al più presto affinché esso si muova nella direzione dello sviluppo di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli utenti, effettivi e potenziali, sugli stili di vita sani e la prevenzione sanitaria.

Ciò implica la necessità di:

-       acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di informazione dei cittadini in tema di salute e di sanità;

-       avviare un processo di valutazione ed interpretazione della domanda di salute;

-       individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e utenti;

-       mettere a fuoco le lacune in tema di capacità diffuse di prevenzione;

-       progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete dei servizi sanitari e sociosanitari e sulle prestazioni offerte, ed un relativo sistema di trasmissione e distribuzione delle informazioni;

-       contribuire al consolidamento di una corretta cultura della salute nel Paese;

-       coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e la sanità;

portare a regime un piano pluriennale di comunicazione istituzionale sulla salute.

 

Gli obiettivi per i prossimi tre anni

un progetto di supporto alle Regioni per:

il monitoraggio della localizzazione e delle caratteristiche più importanti per i cittadini dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie;

la creazione di banche-dati comunicanti;

la messa a punto di un sistema di trasmissione e condivisione delle informazioni nelle forme adeguate ai diversi referenti;

un piano di verifica della qualità dell’informazione pubblica sulla salute e la sanità in Italia (siti Internet, carta stampata, TV, radio) con introduzione di concetti adeguati nel Piano di Comunicazione Istituzionale e con la progressiva implementazione degli strumenti per la certificazione delle fonti di informazione.

 

2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la farmacovigilanza

L’uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo che il farmaco riveste nella tutela della salute.

A seguito dell’emanazione della Legge 16 novembre 2001 n. 405, i farmaci rappresentano uno dei settori più avanzati di applicazione del processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro peraltro di garanzia per tutti i cittadini di accesso ai farmaci essenziali.

L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza, costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza dei pazienti nell’assunzione dei medicinali. Più in generale, bisogna puntare sul buon uso del farmaco.

In tale contesto, si inserisce l’invio a tutte le famiglie italiane dell’opuscolo “Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso corretto dei farmaci”, a cura del Ministero della Salute. Tale iniziativa intende costituire un supporto di conoscenza e di informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel contesto della salute, mettendo in relazione l’uso dei medicinali con l’attenzione a stili di vita adeguati.

 

 a) Gli obiettivi strategici

Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco possono essere così definiti:

-       offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la valutazione dell’appropriatezza della farmacoterapia e l’impatto delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in base alla citata Legge 405 del 2001;

-       attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei farmaci;

-       porre il farmaco fra i temi nazionali dell’ECM; rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai cittadini; promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;

-       rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo dei comitati etici locali;

assicurare l’accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi per tutti i cittadini.

 

b)     Gli obiettivi per i prossimi tre anni

       

Nel settore della informazione sui farmaci, della appropriatezza delle prescrizioni e della razionalizzazione dei consumi.

consolidare e rafforzare presso il Ministero della Salute il Centro di documentazione e informazione sui farmaci con numero verde (denominato Infoline), in collegamento e collaborazione con i Centri esistenti a livello regionale e locale;

garantire la distribuzione e l’aggiornamento su base annuale del Formulario dei farmaci erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, organizzato per classe terapeutica, principio attivo, note CUF, prezzi e confezioni disponibili;

potenziare il Bollettino di Informazione sui Farmaci del Ministero della Salute inviato bimestralmente a tutti i medici e farmacisti;

migliorare la disponibilità di confezioni ottimali per ciclo di terapia e per le patologie croniche, al fine di evitare gli sprechi di farmaci e favorirne un impiego più mirato e razionale;

migliorare le informazioni sui farmaci favorendo la semplificazione e la leggibilità dei foglietti illustrativi per l’utilizzo da parte dei pazienti; mentre la scheda tecnica, inviata ai medici, dovrà contenere tutte le informazioni tecnico-scientifiche necessarie per una corretta prescrizione dei medicinali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte Seconda

 

Gli obiettivi generali

 

 

3.      La promozione della salute

L’aumento della longevità in Italia potrà essere conseguito soprattutto attraverso la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, la riduzione della mortalità prematura per cancro e una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di prevenzione primaria. Un secondo gruppo include le malattie neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, più eterogeneo, è formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente influenzate dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80 mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria, per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con una migliore assistenza sanitaria. L’incremento del numero delle persone anziane pone la necessità di promuovere la loro partecipazione alla vita sociale, contrastando l’emarginazione e rafforzando l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine di assicurare l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia possibile l’istituzionalizzazione.

 

3.1.Vivere a lungo, vivere bene

L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di vita a 65 anni è aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di 2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di vita alla nascita è stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia,  l’aumento della longevità è un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena autonomia. A tale scopo è stato sviluppato il concetto di “aspettativa di vita sana (o esente da disabilità)”. I dati disponibili, pur limitati, suggeriscono che l’aspettativa di vita esente da disabilità, sia per i maschi che per le femmine, si avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di quanto non avvenga in altri Paesi.

Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia, entro l’anno 2020:

-vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa di vita e di una vita esente da disabilità all’età di 65 anni;

vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di sé.

 

Combattere le malattie

 

3.2.1.Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari

Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi registrati in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie ischemiche del cuore e per il 28% ad accidenti cerebrovascolari. Notevoli differenze si registrano in diverse parti d’Italia sia nell’incidenza sia nella mortalità associata a queste malattie.

I principali fattori di rischio a livello individuale e collettivo sono il fumo di tabacco, la ridotta attività fisica, gli elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa ed il diabete mellito; la presenza contemporanea di due o più fattori moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del  cuore e agli accidenti cardiovascolari.

Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione della letalità per malattie cardiovascolari è ormai dimostrato come la mortalità ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a quanto avveniva negli anni ’60 prima dell’apertura delle Unità di Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia notevolmente diminuita e, dopo l’introduzione della terapia trombolitica, si sia ridotta ulteriormente. Ciò che resta invariata nel tempo è, invece, la quota di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a breve distanza dall’esordio dei sintomi prima di giungere all’osservazione di un medico.

Per quanto riguarda l’ictus (circa 110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni anno mentre più di 200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende indispensabile  promuovere culturalmente l’attenzione all’ictus cerebrale come emergenza medica curabile. E’ necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di assistenza al malato che renda possibile sia un intervento terapeutico in tempi ristretti per evitare l’instaurarsi di danni permanenti, e dall’altro canto un tempestivo inserimento del paziente già colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca l’entità del danno e favorisca il recupero funzionale.

Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle cerebrovascolari, è molto importante intensificare gli sforzi nella direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso:

-       la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattività fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;

E’ necessario anche  migliorare le attività di sorveglianza degli eventi acuti. L’obiettivo adottato nel 1999 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per gli Stati dell’Europa per l’anno 2020 è quello di una riduzione della mortalità cardiovascolare in soggetti al di sotto dei 65 anni di età pari ad almeno il 40%.

 

3.2.2.        I tumori

Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese. Nel 1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa della mortalità complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi è attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto, dello stomaco e della mammella.

Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi casi di tumore all’anno.

L’incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana è ancora in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per età, sono stimati stabili. Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il tumore del polmone è quello con il massimo livello di incidenza, seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.

La distribuzione geografica del cancro in Italia è caratterizzata dall’elevata differenza di incidenza e di mortalità fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di ammalare è molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i tassi standardizzati per età della mortalità per cancro sono stati per 1.000 abitanti pari a:

uomini:

Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e Isole: 3,03;

donne:

Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e Isole: 1,57.

La sopravvivenza in presenza della malattia è costantemente aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di dati. L’incremento in Italia è stato il più forte tra tutti quelli osservati nei Paesi europei.  Le probabilità di sopravvivenza a 5 anni, nell’ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al 1994), sono complessivamente del 47% (39% negli uomini e 56% nelle donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti, la sopravvivenza è migliorata del 7% negli uomini e del 6% nelle donne.

La differenza tra sessi è dovuta soprattutto alla minore letalità dei tumori specifici della popolazione femminile.

Il fumo, il consumo di alcool, le abitudini alimentari scorrette ed, in alcuni casi, l’esposizione a particolari sostanze sono fattori di rischio riconosciuti, per molte categorie di tumori, con peso etiologico variabile, e possono spiegare almeno un terzo dei casi di tumore. Gli interventi per contrastare questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del presente Piano Sanitario,  sono, quindi, di fondamentale importanza.

La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima della diffusione nell’organismo di cellule metastatiche, sarebbe in via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalità. In pratica la diagnosi precoce clinica può non essere sufficiente a salvare la vita del paziente, anche se può in molti casi allungarne il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualità della vita. Deve essere incentivato e reso disponibile l’approfondimento diagnostico anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo, con particolare attenzione alla popolazione anziana.

Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di comprovata efficacia nella riduzione del tasso di mortalità e di morbilità dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze sono il Pap test, la mammografia, e la ricerca del sangue occulto nelle feci.

L’aumentata incidenza delle malattie tumorali ha, come inevitabile conseguenza, il progressivo e importante aumento di pazienti che entrano in fase terminale e che necessitano, quindi, di adeguata assistenza palliativa. Si calcola che vi siano ogni anno in Italia circa 144.000 nuovi pazienti affetti da tumore in fase terminale. In considerazione della elevatissima incidenza di terminalità nella patologia tumorale (almeno 2/3 dei pazienti neoplastici affronta una fase terminale della durata media di circa 90 giorni), si rendono necessari ed urgenti i programmi per lo sviluppo della cultura e della formazione in medicina palliativa e terapia del dolore tra gli operatori sanitari.

Tra i problemi che affliggono l'erogazione di un'adeguata assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla mancanza di “ospedalizzazione a domicilio” vi è la scarsità di adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente due: 1) la gran variabilità della casistica clinica non consente ai tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi e terapia di questa patologia; 2) la necessità di fronteggiare tutte le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare prestazioni adeguate.

L'oncologia è una disciplina che coinvolge molti enti con diverso interesse principale, perché non essendo ancora nota la causa etiologica è necessaria un'intensa attività di ricerca che comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e la ricerca clinica propriamente detta.

Si è però venuta a creare una situazione non bene definita, perché questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati essenzialmente perché manca un accordo formale sulla suddivisione di compiti tra enti diversi.

Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare una discussione su questo problema: l'Unione Europea ha lanciato un'iniziativa definita "European Cancer Research Iniziative” il cui scopo essenziale è di aiutare la Commissione Europea a definire i contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso della discussione è però emersa come prioritaria la necessità di risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute pubblica migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;

favorire la parità tra pazienti e medici;

3)     migliorare l'accesso alle strutture di diagnosi e cura in Europa.

 

3.2.3.        Le cure palliative

Le cure palliative si rivolgono a pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte. Il controllo del dolore, l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali e spirituali è, quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi palliativi sono applicabili anche precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento specifico.

La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, è tesa a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualità di vita del paziente: ciò le distingue, anche dal punto di vista morale, dalla più comune posizione in favore della sospensione del trattamento in assenza di ragionevoli speranze di miglioramento (decisione che comporta non l’azione ma l’astensione dall’azione). Esse infatti:

affermano la vita e considerano il morire come un evento naturale;

non accelerano né ritardano la morte;

provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;

integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza;

aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;

sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.

Sotto il profilo organizzativo l’ambito delle cure palliative è uno dei tipici esempi di integrazione tra il domicilio e la struttura residenziale, compresa la ospedalizzazione a domicilio con tutti i vantaggi che questo assicura alla continuità delle cure.

Lo sviluppo delle cure palliative è legato, ad alcuni fattori di fondamentale importanza. Tra questi: la possibilità di un maggior controllo del dolore cronico maligno attraverso il ponderato uso di analgesici comuni, inclusi gli oppiacei, ed il riconoscimento che i disturbi neuro-psichici richiedono un trattamento aggiuntivo con anticonvulsivanti o antidepressivi; un miglior controllo degli altri sintomi presenti; un maggior rispetto della volontà del paziente circa la propria morte; una miglior comprensione del ruolo dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale nei pazienti terminali; un rifiuto dell’accanimento terapeutico.

In particolare, attraverso una corretta valutazione e scelta degli analgesici, circa l’80% del dolore da cancro può essere contenuto con farmaci poco costosi che il paziente può autonomamente somministrarsi per bocca ad intervalli regolari, permettendo una assunzione più agevole e praticabile anche a domicilio, seppure con dosaggi aumentati rispetto alla somministrazione per iniezione.

Il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nell’utilizzazione dei farmaci oppiacei e presenta ancora una insufficiente diffusione sull’intero territorio dei Centri per le cure palliative con una distribuzione geografica disomogenea. Questa situazione fa sì che solo un numero limitato di pazienti terminali possano giovarsi  di cure efficaci ed integrate del dolore e della sofferenza psicologica, mentre la maggior parte di essi sono condannati a mesi di sofferenze evitabili.

L’OMS ha da tempo individuato in alcuni nodi culturali ed organizzativi i maggiori ostacoli ad un corretta percezione degli oppiacei presso l’opinione pubblica e ad una disponibilità adeguata alle esigenze dei pazienti:

assenza di politiche nazionali sul trattamento del dolore e sulle cure palliative;

scarsa consapevolezza da parte degli operatori sanitari, degli amministratori, e dei cittadini;

scarsità di risorse e restrizioni nell’accesso;

preoccupazione che l’uso di oppiacei possa produrre dipendenza psicologica ed abusi;

restrizioni legali riguardo all’uso e alla disponibilità di oppiacei.

Per questo il documento OMS “Cancer pain relief” considera la morfina e la codeina come farmaci di elezione nel trattamento del dolore, mentre in molti Paesi tali farmaci non sono disponibili, o lo sono a condizioni molto restrittive.

Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative è necessario quindi:

rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci antidolorifici, migliorando la disponibilità degli oppiacei, semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente;

individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;

promuovere una maggiore diffusione dei Centri ed una maggiore integrazione tra l’Ospedale ed il domicilio del malato;

avviare la formazione dei medici e del personale sanitario con l’istituzione di insegnamenti di medicina palliativa, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi europei.

 

3.2.4.        Il diabete e le malattie metaboliche

Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto con l’innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano una causa primaria di morbilità e mortalità nel nostro Paese. L’incidenza del diabete di tipo 2 è in aumento in tutto il mondo occidentale ed anche nei Paesi in via di sviluppo e, la diagnosi viene posta in fase più precoce rispetto al passato. A questo va aggiunto che l’obesità è pure in forte aumento ed occorre ricordare che essa è un alto fattore di rischio per la comparsa della malattia diabetica.

Vi è oggi ampia evidenza che il counselling individuale finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare la dieta (riducendone il contenuto di grassi totali e di grassi saturi e aumentandone il contenuto in fibre) e ad aumentare l’attività fisica, riduce il rischio di progressione verso il diabete del 58% in 4 anni.

Le complicanze del diabete sono assai penalizzanti per la qualità e la durata della vita, e molte di queste possono essere prevenute dalla diagnosi precoce, dal miglioramento del trattamento specifico, e da programmi di educazione sanitaria orientati all'auto-gestione della malattia.

L'OMS ha posto come obiettivo per l'anno 2020 la riduzione di un terzo dell'incidenza delle complicanze legate al diabete.

Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete secondo l’indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze geografiche di prevalenza autopercepita, e questo dato è coerente con la rilevazione della rete di osservatori cardiovascolari relativa alla distribuzione della glicemia ed alla proporzione di diabetici. E’ però assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza sapere di esserlo, sia altrettanto alto.

programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare per il diabete mellito in età evolutiva, con l’obiettivo di ridurre i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente (cecità, amputazioni degli arti);

strategie per migliorare la qualità di vita dei pazienti, attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.

 

3.2.5.        Le malattie respiratorie e allergiche

Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto sulla qualità della vita, sulla disabilità, sui costi per l’assistenza sanitaria, nonché sull’assenteismo dal lavoro in molti Paesi europei ed anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia mostra un tasso di mortalità (circa il 6% della mortalità totale) al di sotto della media dell’Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalità, per malattie croniche respiratorie,  quasi interamente attribuibile a bronchite cronica ed enfisema polmonare,  mostra una tendenza alla diminuzione, che dovrebbe essere ulteriormente confermata attraverso l’intensificazione della prevenzione alle esposizioni ambientali e occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici.

La presenza di rinite allergica stagionale e perenne è invece in costante aumento da tempo, e così pure l’asma allergica. I fattori principali alla base dell’aumento della prevalenza delle malattie allergiche sono l’inquinamento intramurale causato da acari della polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l’inquinamento atmosferico causato da ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre più tempo trascorso in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonché l’introduzione di nuove sostanze nei prodotti e nell’ambiente.

Fra le altre malattie allergiche, l’incidenza cumulativa di dermatite atopica prima dei 7 anni di età è aumentata in modo esponenziale e si stima che essa sia  pari all’1% circa nella popolazione generale. Molto diffusa è anche la dermatite allergica da contatto che, si stima, interessi circa l’1% della popolazione; il nickel è considerato il principale responsabile della sensibilizzazione da contatto.

La diffusione dell’asma bronchiale è un problema di sanità pubblica rilevante (l'asma è malattia sociale riconosciuta dal 1999), perché è la malattia cronica più frequente tra i bambini, per i quali rappresenta anche una causa importante di mortalità, nonostante i miglioramenti terapeutici: anche i tassi di ospedalizzazione per asma sono in aumento, in particolare per gli accessi ai Servizi di Emergenza-Urgenza.

L’asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la diagnosi accurata, l’educazione dei pazienti, modifiche del comportamento, l’individuazione e la rimozione delle condizioni scatenanti l’attacco di asma, una appropriata terapia, e frequenti controlli medici.

Anche gli studi epidemiologici sono complessi e, nonostante siano stati avviati da anni studi collaborativi, molteplici aspetti etiologici rimangono ancora oscuri.

Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza mirati, la conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed ambientali, nonché dell’efficacia dei metodi per la riduzione dell’esposizione agli allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la valutazione dell’impatto di tali metodi sulla salute. È necessario inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il personale sanitario, e per i pazienti e le loro famiglie.

 

3.2.6.        Le malattie reumatiche ed osteoarticolari

Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di patologie, caratterizzate da una progressiva compromissione della qualità della vita delle persone affette per la perdita di autonomia, per i disturbi ed i disagi lamentati ed a causa della mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione.

Tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidità attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette è stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.

La caratteristica cronicità di queste malattie, la mancanza di terapie che portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per alcune forme gravi, la disabilità provocata, con progressiva diminuzione della funzionalità, specie a carico degli arti e dell’apparato locomotorio e la conseguente diminuzione della capacità lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette, nonché l’elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad oggi i maggiori punti di criticità.

Le azioni prioritarie riguardano l’estensione della diagnosi precoce della malattia ed il miglioramento della prestazione di fisioterapia e riabilitazione. E’, inoltre, necessario ridurre l’impatto dei fattori di rischio associati a queste patologie e sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche l’efficace prevenzione dell’osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.

L’osteoporosi è una patologia del metabolismo osseo di prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni, e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia nella vita della donna del 40% contro un 15% nell’uomo. Particolarmente temibile è la frattura femorale per l’elevata mortalità (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche ad essa associate. I più noti e importanti fattori di rischio per l’osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve entità,  la menopausa precoce per la donne, l’amenorrea prolungata, il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di corticosteroidi, il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture. Fondamentale quindi è la prevenzione, con misure volte a migliorare lo stile di vita alimentare e fisico  nei soggetti giovani e anziani.

3.2.7.        Le malattie rare

Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000 patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il 10% delle patologie che affliggono l’umanità. Malattie considerate rare  nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in via di sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui incidenza  non è superiore a 5 su 10.000 abitanti. L’80% delle malattie rare, circa 4000, è di origine genetica, mentre il restante 20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.

Per la loro rarità, queste malattie sono difficili da diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in diversi Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti  farmaci orfani, potenzialmente utili per tali patologie.

Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano un importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta, per coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli difficoltà nell’individuare i Centri specializzati nella diagnosi e nella cura, e, quindi, accedere a eventuali trattamenti, peraltro scarsamente disponibili.

Ciò rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al fine di ottimizzare le risorse disponibili.

A livello della Unione Europea le malattie rare sono state oggetto di attenzione con l’approvazione della Decisione N. 1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d’azione prevede:

il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare, incentivando la creazione di una rete europea d’informazione per i pazienti e le loro famiglie;

la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari, al fine di migliorare la diagnosi precoce;

il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le organizzazioni di volontariato e professionali impegnati nell’assistenza;

il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati membri.

Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio 2001 n. 279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo 29 aprile 1998 n. 124, prevede:

l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l’informazione e la formazione, ridurre l’onere che grava sui malati e sulle famiglie. La rete è costituita da presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche. Tra questi vengono individuati i Centri interregionali di riferimento per le malattie rare, ai quali è affidato, oltre alle funzioni assistenziali, il coordinamento dei presidi secondo metodologie condivise (Registro interregionale, consulenza e supporto ai medici del Servizio Sanitario Nazionale, scambio di informazioni, attività formativa degli operatori sanitari e di informazione per i cittadini);

l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, per poter avere a livello nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle diverse malattie rare;

la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284 patologie (congenite e acquisite) ai fini dell’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;

la promozione di  protocolli diagnostici e terapeutici comuni, lo sviluppo delle attività di  ricerca tese al miglioramento delle conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.

 

3.2.8.         La malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione

Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in termini di controllo di alcune malattie prevenibili con le vaccinazioni. La difterite è stata eliminata e il nostro Paese si appresta a ricevere la certificazione ufficiale di eradicazione della poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane non vaccinate. L’epatite B è in continuo declino, in modo particolare nelle classi di età più giovani, interessate fin dal 1991 dalla vaccinazione universale.

Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali è necessario un controllo più efficace attraverso le vaccinazioni. La vaccinazione contro il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05 casi su 100.000) è raccomandata, ma il livello stimato di copertura di immunizzazione è ancora il più basso tra i Paesi dell’Europa occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse del Paese. La rosolia è ancora frequente (incidenza di 5,76 per 100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia più di 40.400 casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000), nonostante l’esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e rosolia (vaccino MMR), il cui uso è però volontario, sebbene raccomandato.

L'incidenza della pertosse è ancora elevata (circa 7 per 100.000 abitanti nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la vaccinazione è volontaria ma il livello stimato di copertura vaccinale è stato piuttosto alto nel 1998 (87,9 %, con un intervallo tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di età.

Per quanto l’incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in Italia (nel 1999 essa è stata del 2,74 per 100.000), il livello permane ancora fra i più elevati dell’Europa occidentale; la vaccinazione contro l’epatite B è obbligatoria in Italia per i bambini fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998, è stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni con copertura inferiore al 90%.

La vaccinazione contro l'Haemophilus influenzae di tipo B può anche prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e polmoniti. La vaccinazione in Italia è volontaria ed il livello di copertura vaccinale è molto basso e non uniformemente distribuito nelle diverse Regioni.

L’influenza rappresenta ancora, in Italia, un’importante causa di morte per patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il tasso d’attacco dell’infezione può variare dal 5% al 30%, con conseguenti importanti ripercussioni negative sull’attività lavorativa e sulla funzionalità dei servizi di pubblica utilità, in primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani di età pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo 1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.

La recente disponibilità di efficaci vaccini contro la varicella e contro le infezioni invasive da pneumococco, consente l’avvio di iniziative mirate di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione dell’incidenza di queste importanti patologie.

Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione degli obiettivi adottati dall'OMS per questo gruppo di malattie:

-       entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il 2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;

-       entro l'anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un'incidenza inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.

Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture vaccinali. In tale quadro è anche importante:

-       individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli eventi epidemici;

-       sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a vaccinazione;

sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione iatrogena;

controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di viaggi;

diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle malattie infettive;

partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell'Unione Europea;

combattere il crescente problema della resistenza acquisita alla maggior parte degli antibiotici disponibili da parte di microrganismi patogeni, soprattutto batteri, con gravi implicazioni sul trattamento delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono state adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2000 e 2001 sull’uso prudente degli antibiotici nella medicina umana e in altri settori per minimizzare gli inconvenienti derivanti da questa situazione.

Appare nel prossimo futuro la possibilità di realizzare diversi nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza:

1)     vaccini anti-HIV. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha recentemente sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo preventivo che terapeutico. Tale vaccino basato sull’uso della proteina regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l’ISS insieme ad altri Centri clinici nazionali inizierà in primavera i trials clinici di fase I. Un secondo vaccino basato sull’uso di componenti strutturali (Env, Gag) del virus è stato sviluppato e brevettato dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui sperimentazione clinica di fase I inizierà entro l’anno. Recentemente l’ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo sviluppo di un vaccino combinato, che contenendo le tre componenti (TAT, Env, Gag) è destinato potenzialmente ad avere una maggiore efficacia rispetto ai singoli componenti;

2)     vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro il carcinoma della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che inizia prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche per questo vaccino l'Istituto Superiore di Sanità sta realizzando rapporti di partenariato con i produttori.

L'Italia nel giro di pochi anni potrebbe proporre nell'ambito del G8 l'uso di entrambi i suddetti vaccini per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.

 

3.2.9.         La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a trasmissione sessuale

In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da metà del 1996 si è osservato un decremento nel numero di nuovi casi, dovuto in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove infezioni si è stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di quanto accadeva tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni ’90 non tende più alla diminuzione.

Le altre malattie a trasmissione sessuale più frequentemente diagnosticate in Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni genitali non specifiche (infezioni non gonococciche e non causate da Clamidia), la sifilide latente e l’Herpes genitale. Altre classiche malattie veneree, come gonorrea e sifilide, sono rispettivamente al settimo e nono posto per frequenza.

Secondo l'obiettivo definito dall'OMS nel 1999, ciascuno Stato dovrebbe attuare, entro l'anno 2015, una riduzione dell'incidenza della mortalità e delle conseguenze negative dell'infezione da HIV e delle altre malattie a trasmissione sessuale.

A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:

-       il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio dell'infezione da HIV;

-       il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti infettivi;

-       il miglioramento della qualità della vita delle persone infette da HIV;

la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella popolazione giovanile;

lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;

il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.

L'inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate precocemente e la cui attesa di vita è molto prolungata, è un problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo futuro.

Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in quanto la loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti anni. Il progetto di vita comprende il completo reinserimento nel mondo del lavoro e della società in genere. Per queste persone è quindi necessario sviluppare programmi di accompagnamento su questo percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.

 

3.3.  Ridurre gli incidenti e le invalidità

Le cause esterne di morte e disabilità, che includono gli incidenti nell'ambiente sociale e sul lavoro, i disastri naturali e quelli provocati dall'uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante le cure mediche e la violenza, costituiscono, particolarmente nell’età adulta, un'importante causa di morte.

I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a partire dalla fine degli anni '80, soprattutto nel Nord dell’Italia, con un quadro che comporta circa 8.000 morti, 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro circa 20.000 invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la prima causa di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause maggiori di invalidità (più della metà dei traumi cranici e spinali sono attribuibili a questi eventi).

Gli incidenti stradali sono pertanto un’emergenza sanitaria che va affrontata in modo radicale al fine di rovesciare l’attuale tendenza e pervenire, secondo l’obiettivo fissato dall’OMS per l’anno 2020, ad una riduzione almeno del 50% della mortalità e disabilità. Gli interventi principali di prevenzione riguardano:

-       la utilizzazione del casco da parte degli utenti di veicoli a motore a due ruote;

gli standard di sicurezza dei veicoli;

l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza (cinture e seggiolini);

le migliori condizioni di viabilità (segnaletica stradale, illuminazione, condizioni di percorribilità) nelle zone ad alto rischio di incidenti stradali;

la promozione della guida sicura mediante campagne mirate al rispetto dei limiti di velocità e della segnaletica stradale nonché alla riduzione della guida sotto l’influsso dell’alcool;

il potenziamento del trasporto pubblico.

Anche il fenomeno degli incidenti domestici e del tempo libero mostra un andamento in continua crescita, con un numero di casi di circa 4.000.000 per anno, che coinvolgono soprattutto ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la metà di questi incidenti avvenga in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici). Gli incidenti domestici rappresentano dunque un fenomeno di grande rilevanza nell’ambito dei temi legati alla prevenzione degli eventi evitabili e particolare attenzione deve essere dedicata agli incidenti che coinvolgono gli anziani, soprattutto istituzionalizzati. Per quanto riguarda l’obiettivo di ridurre in modo significativo la mortalità e la disabilità da incidenti domestici, gli aspetti prioritari sono quelli connessi all’informazione e comunicazione nonché alla:

incentivazione delle misure di sicurezza domestica strutturale ed impiantistica e dei requisiti di sicurezza dei complementi di arredo;

predisposizione di programmi intersettoriali volti a favorire l’adattamento degli spazi domestici alle condizioni di disabilità e di ridotta funzionalità dei soggetti a rischio;

costruzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica del fenomeno infortunistico e individuazione di criteri di misura degli infortuni domestici.

Per gli incidenti negli ambienti esterni, durante il tempo libero, gli uomini sono più a rischio delle donne, anche per il maggiore consumo di alcool. Le piscine, i laghi ed altri bacini d'acqua dolce contribuiscono in modo significativo alle statistiche sugli annegamenti, specialmente nei bambini, con 500-600 morti all'anno.

Per la problematica relativa agli incidenti sul lavoro, la mutata organizzazione del lavoro (telelavoro, esternalizzazione della produzione), la comparsa di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici, lavoro interinale), le diverse caratteristiche della forza lavoro (invecchiamento della popolazione lavorativa, lavoratori extracomunitari), nonché le nuove tecnologie hanno introdotto modifiche positive nei modelli produttivi e nella distribuzione e diffusione dei rischi, ma permangono in numerosi settori lavorativi i rischi tradizionali, non sempre né diffusamente risolti. Nonostante mostri una complessiva attenuazione se osservato sul lungo periodo, il fenomeno infortunistico è ancora molto rilevante sia in termini di numero di eventi che di gravità degli effetti conseguenti. I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo contro sia della frequenza sia della gravità delle conseguenze), pur con andamenti non costanti in tutte le Regioni, rimangono l’industria del legno, quella dei metalli, l’industria della trasformazione ed il settore delle costruzioni.

Per quello che riguarda le malattie professionali, le principali patologie da rischi noti sono nell'industria le ipoacusie da rumore, le malattie cutanee e la pneumoconiosi, e nell'agricoltura le broncopneumopatie, l'asma bronchiale e le alveoliti allergiche. Accanto alle patologie da rischi tradizionali, prevalentemente in attenuazione, si presta attualmente maggiore attenzione alle patologie da rischi emergenti, quali quelle da sovraccarico meccanico a quelle da fattori psico-sociali (burn-out, mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari), alle patologie da agenti biologici e da composti chimici (effetti cancerogeni), ai tumori di origine professionale.

Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS, entro l'anno 2020 la mortalità e la disabilità dovute ad incidenti sul lavoro, domestici e del tempo libero dovrebbero essere ridotte almeno del 50%. A tal fine vale rilevare che negli ultimi anni si è profondamente modificata la normativa di riferimento con l’avvento delle direttive comunitarie ed in particolare con il Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626 e successive modifiche che, introducendo varie innovazioni nell’organizzazione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, rafforzano la centralità e la responsabilità dell’impresa nei processi di valutazione dei rischi e di organizzazione e gestione della sicurezza.

Inoltre, alcuni obiettivi specifici in materia di sicurezza del lavoro che si intende realizzare riguardano:

la identificazione delle priorità nei settori più a rischio, in funzione degli studi epidemiologici, e di un adeguato sistema informativo;

l’integrazione dei sistemi informativi;

l’informazione e formazione del personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro;

il miglioramento progressivo dei processi di garanzia della qualità e dell’efficacia delle azioni di prevenzione;

lo sviluppo, l’armonizzazione e la completa applicazione della normativa di prevenzione e sicurezza;

il miglioramento dell’accertamento delle malattie professionali.

 

3.4.   Sviluppare la riabilitazione

La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento in parte imputabile all’aumento dei gravi traumatismi accidentali e ai progressi della medicina che consentono la sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all’exitus. In questo contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le  conseguenze altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti indicano l’incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l’anno, di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L’incidenza dei gravi traumatismi cranioencefalici, è di circa 4.500 nuovi casi anno su tutto il territorio nazionale. Di questi la mortalità in fase acuta incide per il 34%, il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti modesti, il 25% è affetto da danni o complicanze di gravità tale da richiedere il ricovero in strutture di terapia intensiva e neuroriabilitazione e lo 1% (45 casi per anno) permane in stato vegetativo dopo 12 mesi dall’evento.

La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve essere garantita con tempestività già durante le fasi di ricovero nelle strutture di emergenza. Non appena cessino le condizioni che richiedono un ricovero nell’area della terapia intensiva, deve essere garantita la continuità del processo terapeutico assistenziale.

Quale che sia la natura dell’evento lesivo che causa la necessità di interventi di riabilitazione, gli obiettivi da perseguire sono la garanzia dell’unitarietà dell’intervento mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e sensoriale. Ciò implica l’attivazione di un percorso in cui si articolano competenze professionali diverse, funzionamento in rete dei servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalità di offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e sociali.

 

3.5.   Migliorare la medicina trasfusionale

Le attività di medicina trasfusionale sono parte integrante dei livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale e si fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata, del sangue e dei suoi componenti.

Considerando che gli attuali sistemi di coordinamento a livello regionale e nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli obiettivi previsti dai precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue, si pone l’urgenza di riformare la Legge 4 maggio 1990 n. 107, anche alla luce dei cambiamenti conseguenti all’organizzazione federalista dello Stato. La nuova Legge dovrà razionalizzare il sistema a livello regionale, indicando i rispettivi ruoli del Ministero della Salute, delle Regioni, dei Centri Regionali di Coordinamento e Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione Sangue da istituirsi presso l’Istituto Superiore di Sanità.

L'introduzione di nuovi test sierologici ed in particolare delle tecniche di biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione dei virus dell'epatite o dell'AIDS mediante la trasfusione del sangue e dei suoi prodotti a livelli molto bassi, inferiori al rischio di infezione associato ad altre manovre invasive ospedaliere. Malgrado questo notevole incremento della sicurezza della trasfusione, per realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse economiche, molto resta ancora da fare per assicurare l’appropriatezza della richiesta e della trasfusione. Per diffondere la cultura del buon uso del sangue sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese Comitati ospedalieri per il buon uso del sangue, ma il risultato è stato molto modesto: tra le cause di questo insuccesso vi è da un lato la scarsa attenzione dei clinici per le problematiche della donazione e trasfusione di sangue, dall'altro l'inquadramento del servizio trasfusionale in un'area quasi esclusivamente di laboratorio.

Gli obiettivi primari dell’autosufficienza regionale e nazionale, i più elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il territorio nazionale e la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo modello di sistema trasfusionale, il cui quadro organizzativo sia di tipo dipartimentale, con criteri di funzionamento e di finanziamento definiti sulla base:

-       delle attività di produzione, comprendenti la selezione ed i controlli periodici del donatore, la raccolta, la lavorazione, la validazione, la conservazione ed il trasporto del sangue e degli emocomponenti, comprese le cellule staminali da sangue periferico e placentare (sangue da cordone ombelicale), nonché la raccolta di plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati;

-       attività di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione del sangue e dei suoi prodotti, anche per l’urgenza.

Con l’intervento insostituibile delle Associazioni di Donatori  Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in tutto il territorio nazionale il numero dei donatori volontari periodici e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora esistenti in alcune Regioni.

Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi:

-       raggiungere l’autosufficienza regionale e nazionale del sangue e dei suoi prodotti;

-       conseguire più elevati livelli di sicurezza nell’ambito di tutto il processo finalizzato alla trasfusione;

-       assicurare al sistema trasfusionale un sistema di garanzia di qualità e sviluppare l’emovigilanza, articolata a livello locale, regionale e nazionale;

-       individuare i responsabili del rispetto delle Linee Guida e del buon uso del sangue, che svolgano funzioni di consulenza di medicina trasfusionale in collaborazione con il Comitato Trasfusionale, cui sono attribuite funzioni di coordinamento;

-       adottare un sistema informativo unico che metta in rete le strutture trasfusionali presenti sul territorio, assicurando il collegamento in linea tra gli operatori del settore;

stipulare fra le Regioni e le Aziende ubicate sul territorio dell’Unione Europea convenzioni per la produzione di emoderivati (specialità medicinali) nel rispetto delle norme per le gare ad evidenza pubblica.

 

 

3.6.   Promuovere i trapianti di organo

Per quanto riguarda i trapianti di organo, è noto che i vantaggi prevalgono sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze) con una sopravvivenza a cinque anni  compresa tra il 70% e l’80%, secondo l’organo trapiantato. E’, comunque, necessario continuare a perseguire il reperimento degli organi in tutte le Regioni. Nel nostro Paese, tuttavia, i livelli di attività sono disomogenei tra le diverse Regioni, sia in termini di donazioni, sia in termini di trapianti, e ciò non contribuisce certamente a garantire quella parità di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto.

Nel corso dell’ultimo triennio l’incremento complessivo del numero di donazioni e della qualità dei trapianti in Italia ha portato il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee, e il numero dei donatori di organo è aumentato del 42,3%, con un incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.

Sono obiettivi strategici in questo campo:

-       promuovere la valutazione di qualità dell’attività di trapianto di organi, tessuti, e cellule staminali;

-       favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili, attraverso la diffusione di tecniche avanzate, addestrando gli operatori e favorendo lo svolgimento di queste attività in Centri di Eccellenza;

-       predisporre un Piano nazionale per prelievo, conservazione, distribuzione e certificazione dei tessuti;

-       verificare la possibilità che nei casi opportuni vengano utilizzati organi anche da donatore vivente, dopo una attenta valutazione dell’applicazione della normativa in vigore e delle Linee Guida, formulate dal Centro Nazionale Trapianti. Va comunque ricordato che la donazione da vivente non è scevre da pericoli sanitari e sociali ed è quindi da considerarsi residuale rispetto alla donazione da cadavere che deve restare l’obiettivo principale del Servizio Sanitario Nazionale;

-       attivare algoritmi oggettivi e trasparenti per l’assegnazione degli organi da trapiantare e per il monitoraggio dei pazienti trapiantati, uniforme su tutto il territorio nazionale;

-       prevedere che il flusso informativo dei dati relativi ai trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell’ambito del Sistema Informativo Trapianti, anche attraverso la collaborazione con il Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e l’organizzazione GRACE (Gruppo di Raccolta e Amplificazione delle Cellule Staminali Emopoietiche) che riunisce le banche di cellule staminali placentari;

-       definire la Carta dei Servizi dei Centri di trapianto, prevedendo aggiornamenti continui;

estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti;

incrementare l’informazione ai cittadini circa le attività quali-quantitative dei Centri di trapianto.

Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:

-       ridurre il divario fra le Regioni in termini di attività di reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per milione di abitanti;

-       prevedere sistemi di verifica sull'efficacia dell'attività dei coordinatori locali, contestualmente al riconoscimento di incentivi;

-       prevedere che in tutte le rianimazioni si attuino procedure per reperire tutti i potenziali donatori e sia disponibile la commissione per l’accertamento della morte;

-       predisporre, per i familiari dei soggetti sottoposti ad accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto;

-       attuare il finanziamento per funzione, come individuato nell’articolo 8 sexies del Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229, superando il finanziamento per DRG;

-       sorvegliare il rispetto delle Linee Guida per i trapianti da donatore vivente attivando in particolare l’organismo di parte terza ivi previsto per informare correttamente le parti in causa sui vantaggi e svantaggi delle procedure;

-       monitorare l’attività delle singole Regioni circa i prelievi di tessuti umani e la loro utilizzazione, l’attivazione di banche dei tessuti regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro funzionalità;

-       inserire anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche tra i trapianti d’organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il Centro Nazionale Trapianti, e collegando quest’ultimo con il registro dei donatori viventi di midollo osseo istituito presso l’Ospedale Galliera di Genova;

-       favorire lo sviluppo di attività di ricerca connesse alle attività di trapianto;

-       supportare l’attivazione di procedure informatiche standardizzate, soprattutto per la gestione delle liste di attesa;

promuovere adeguate campagne di informazione rivolte ai cittadini;

realizzare la selezione dei riceventi il trapianto con algoritmi condivisi e procedure informatizzate, documentando ogni passaggio del processo decisionale ai fini di un controllo superiore;

valutare e rendere pubblici i risultati delle attività di prelievo e trapianto di organi;

rendere sempre più oggettivi e trasparenti i criteri di ammissione del paziente al trapianto.

 

4.      L’ambiente e la salute

Sono in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di rischio ambientali e la salute, anche se la ricerca delle possibili soluzioni resta talvolta problematica particolarmente per le complesse implicazioni socio-economiche sottostanti. In questo settore, importanti benefici sono prevedibili attraverso l’efficace collaborazione fra i settori che, a livello nazionale e territoriale, sono responsabili per la salute o per l’ambiente.

4.1.   I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette

La difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle condizioni climatiche che possano colpire particolari gruppi vulnerabili, rende prioritaria l’attuazione di programmi di informazione ed educazione sanitaria.

Inoltre, vi è la forte necessità di ulteriori ricerche per valutare meglio:

-       l’effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle maggiori cause di malattia e mortalità;

-       l’effetto del riscaldamento globale sulla variabilità climatica e valutazione delle capacità di adattamento specialmente tra le fasce di popolazione particolarmente vulnerabile come gli anziani;

-       l’effetto del riscaldamento globale sulle patologie trasmesse da virus e batteri e stima degli andamenti dell’incidenza di queste malattie;

-       l’impatto potenziale della radiazione UV-B in relazione alla deplezione dell’ozono in termini di aumento dell’incidenza dei casi di cataratta, delle affezioni cutanee e del cancro della pelle;

-       il rischio di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed alle malattie infettive a causa dell’aumento della radiazione UV-B.

Per quanto riguarda gli aspetti connessi all’”effetto-serra” e alla deplezione dell’ozono stratosferico, è indispensabile, da una parte, continuare la politica di collaborazione internazionale dell’Italia a sostegno degli sforzi congiunti per rimuovere le cause di queste modificazioni climatiche, e dall’altra, operare a livello territoriale per il conseguimento degli obiettivi di abbattimento delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.

 

4.2.   L’inquinamento atmosferico

L’inquinamento atmosferico derivante dal traffico veicolare, impianti di riscaldamento e sistemi di produzione industriale, è un noto fattore di rischio per la salute (vedi tabella 1 – pag. 90 e 91 - tratta dal Prof. Antonio Ballarin Denti “Aggiornamenti Sociali” 03[2002-209-220]).

Secondo una serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie ambientali europee e nazionale, il trasporto su strada contribuisce mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al 34% di quelle composti organici volatili e al 65% di quelle del monossido di carbonio.

I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono, che sono prodotti, attraverso una serie complessa di reazioni chimiche, dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili, anch’essi in misura preponderante, al traffico su strada.

 

4.2.1.         L’amianto

Ogni anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o peritoneale causati prevalentemente dall’esposizione ad amianto e altri 1000 per cancro polmonare attribuibile all'amianto.  Nello stesso periodo di tempo si verificano circa 250 casi di asbestosi. E' documentata anche la comparsa di mesoteliomi a seguito di esposizione ambientale non lavorativa in residenti in aree prossime a pregressi impianti di lavorazione dell'amianto o a cave in soggetti che non sono mai stati addetti alla lavorazione dell'amianto. Dati i lunghi periodi di latenza, gli effetti dell'amianto, in misura simile a quella riscontrata negli anni '90, sono destinati a prolungarsi nel tempo anche se, per effetto della Legge 27 marzo 1992 n. 257, in Italia non sono più consentite attività di estrazione, importazione, commercio e esportazione di amianto e materiali contenenti amianto.

Vi è, poi, un numero difficilmente stimabile di lavoratori esposti per la presenza di amianto come isolante in una molteplicità di luoghi di lavoro (quali ad esempio industria chimica, bellica, raffineria, metallurgia, edilizia, trasporti, produzione di energia), ed un numero anch'esso difficilmente stimabile di soggetti residenti in prossimità di stabilimenti nei quali è stato lavorato l'amianto. Il censimento di queste situazioni, previsto dalla citata Legge del 1992, procede con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla mappa delle esposizioni, anche le attività di risanamento ambientale procedono in modo relativamente frammentario ed episodico.

E' quindi prioritaria una più idonea strategia per la bonifica dei siti dove si lavorava amianto e una verifica della presenza di residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.

E’ necessario, poi, elaborare ed adottare d’intesa con le Regioni, Linee Guida che indirizzino l'attività delle strutture sanitarie a fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale delle persone esposte in passato ad amianto. Presentano anche carattere prioritario l'aggiornamento e l'estensione degli studi epidemiologici che, insieme alla mappatura delle esposizioni attuali e pregresse, possano fornire basi più solide agli interventi di risanamento ambientale e criteri per il sostegno sanitario e psicologico alle popolazioni esposte.

 

4.2.2.         Il benzene

Per quanto riguarda il benzene, nota sostanza cancerogena per l'uomo, l'esposizione avviene principalmente nell'ambiente esterno urbano a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il benzene può essere emesso sia come prodotto di combustione (che si forma a partire dai componenti della benzina, in particolare idrocarburi aromatici), sia in forma di sostanza incombusta, per evaporazione dal carburatore, dal serbatoio e da altre parti dei veicoli.

Un'altra sorgente di rilievo in ambito urbano è rappresentata dalla distribuzione, dall'immagazzinamento e dalla manipolazione di carburanti contenenti benzene.

Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli edifici, le sorgenti di maggior rilievo risultano essere alcuni prodotti di consumo, come adesivi, materiali di costruzione e vernici. L'emissione di tali prodotti è funzione della temperatura e, in particolare nel caso delle vernici, decresce con il tempo.

Inoltre, il fumo di sigaretta contiene quantitativi di benzene significativi e considerevolmente variabili.

L'evaporazione del benzene ha anche influenza sulle concentrazioni indoor attribuibili a parcheggi interni agli edifici e sull'esposizione all'interno delle auto. Uno dei problemi tipici degli ambienti urbani italiani è quello della elevatissima densità di auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui corrisponde una considerevole emissione evaporativa dai serbatoi e altre parti delle auto.

Ulteriori condizioni nelle quali si può realizzare l'esposizione al benzene sono quelle particolari di alcuni ambienti di lavoro quali, ad esempio, l'industria della gomma.

L'obiettivo di ridurre l'esposizione al benzene è stato perseguito con successo attraverso la riduzione del benzene nella benzina, ma è indispensabile continuare con determinazione gli sforzi intrapresi. I dati disponibili non indicano in modo chiaro quanto la catalizzazione delle auto abbia contribuito a ridurre l'emissione di benzene, anche se certamente vi sono stati dei significativi benefici. Una valutazione appropriata della possibile riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del parco auto è essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi siano effettivamente conseguibili in tal modo. Appare, comunque, importante prevedere un qualche sistema di controllo della funzionalità dei dispositivi di abbattimento. In base ai dati oggi forniti dai sistemi di monitoraggio, non sembra al momento possibile prescindere da una riduzione e razionalizzazione del traffico, quantomeno nelle aree critiche.

Le concentrazioni indoor, oltre che dall'ovvia eliminazione del fumo di tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere prevedibilmente ridotte da un'ottimizzazione dei sistemi di parcheggio delle auto all'interno degli edifici, con sistemi di ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a ridurre la penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in cui sono posteggiate le auto.

E', infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione per il benzene con particolare riferimento alle aree urbane.

 

4.3.   La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento

In Italia solo i due terzi della popolazione riceve quantità sufficienti di acqua per tutto l’anno, circa il 13% degli Italiani non riceve sufficienti quantità di acqua per un quarto dell’anno e circa il 20% per due/tre quarti dell'anno. Queste proporzioni non sono ugualmente distribuite in tutto il Paese. La maggior parte delle popolazioni del Sud e delle isole non riceve quantità sufficienti di acqua per almeno un quarto dell’anno.

Inoltre, in molte parti d’Italia, per le quali vi sono dati disponibili, i caratteri organolettici dell’acqua come torbidità, colore, odore o sapore sono di bassa qualità. La proporzione della popolazione che non beve o beve raramente acqua di rubinetto è elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.

Per quanto riguarda l’inquinamento, sono quasi scomparse le epidemie idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella, Shigella e Vibrio, ma permane problematica la valutazione del rischio microbiologico di altri agenti biologici patogeni diffusibili attraverso l’acqua potabile. Inoltre, la popolazione italiana resta esposta, attraverso l’acqua potabile, a bassi livelli di numerosi composti chimici, fra i quali vi sono i residui dei prodotti fitosanitari, i nitrati, i sottoprodotti della disinfezione delle acque a fini di potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali con i quali sono state realizzate le reti di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua all’utenza.

Problemi di miglioramento delle caratteristiche delle acque si pongono, inoltre, per il parametro boro e per il parametro arsenico poiché in alcune situazioni, peraltro limitate e localizzate, è accertata la presenza di dette sostanze nelle acque in concentrazioni superiori alle concentrazioni massime ammissibili, per cause connesse alla natura geologica dei suoli.

Per il prossimo futuro occorrerà promuovere le seguenti azioni:

-       riduzione della quantità di prodotti impiegati in agricoltura e autorizzazione dei preparati fitosanitari a minor impatto sull’ambiente e sulla salute umana;

-       adozione di norme per la buona pratica agricola, al fine di ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto sull’ambiente;

-       promozione di un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini epidemiologiche mirate, con particolare riferimento ai potenziali effetti dei contaminanti chimici dell’acqua potabile sulle funzioni riproduttive umane;

-       miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;

-       ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;

-       incremento della tutela delle acque dai processi di contaminazione urbana, agricola o industriale;

intensificazione dell’attività di controllo dei contaminanti chimici, fisici e biologici delle acque potabili con l’esclusione dell’erogazione delle acque non conformi.

 

4.4.   Le acque di balneazione

La normativa italiana relativa al controllo delle acque di balneazione ha fissato, per gli indicatori microbiologici di contaminazione fecale, valori limite più restrittivi rispetto alla direttiva europea attualmente in vigore. Inoltre, la normativa italiana considera “acque di balneazione” le acque nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata dalle Autorità e non vietata, mentre la direttiva europea stabilisce che “acque di balneazione” sono da considerarsi quelle dove la balneazione è praticata da “un congruo numero di bagnanti”. Questo comporta che in Italia, tranne le zone non idonee per motivi diversi dall’inquinamento e quelle verificate non idonee per inquinamento, tutte le acque siano considerate “acque di balneazione”.

A causa di ciò il nostro Paese ha un numero di punti di campionamento controllati di gran lunga superiore a qualsiasi altro Paese dell’Unione Europea.

L’osservazione dei dati raccolti negli ultimi anni, durante le campagne di controllo svolte in base al Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470, porta a riconoscere un generale miglioramento della qualità delle acque delle zone costiere italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata.

L’ulteriore miglioramento della qualità delle acque di balneazione passa attraverso la riduzione della contaminazione ambientale, un opportuno ed idoneo trattamento di tutti gli scarichi, urbani e non, un’adeguata progettazione degli impianti di depurazione, ed il censimento regolare e continuativo degli scarichi.

 

4.5.   L’inquinamento acustico

L’inquinamento acustico causato dal traffico, dalle industrie, dalle attività ricreative interessa circa il 25% della popolazione europea, provocando sia disagi che danni alla salute. Infatti, anche se le conseguenze dell’esposizione al rumore a bassi livelli variano da individuo ad individuo, un’esposizione prolungata nel tempo, che raggiunge determinati valori di pressione sonora, è causa, in tutta la popolazione, di effetti nocivi sull’organo dell’udito e sull’intero organismo. Per un’esposizione ad elevati livelli, protratta per anni, quale può riscontrarsi in alcuni ambienti di lavoro, si registra un abbassamento irreversibile della soglia uditiva. Anche in relazione a esposizione a più bassi livelli di rumore si registrano nell’intero organismo, secondo il perdurare dello stimolo, una serie di modificazioni a carico di vari organi ed apparati.

Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle città italiane esaminate i livelli di rumore sono superiori ai livelli massimi previsti dalle norme vigenti sia di giorno che di notte. Per quanto riguarda l’esposizione al rumore negli ambienti di lavoro, si può stimare, in maniera conservativa, che la popolazione dei lavoratori esposti a più di 90 dB(A) di Leq (Livello Equivalente di pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unità, e le ipoacusie professionali rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in Italia, contribuendo con più del 50% al totale delle malattie professionali indennizzate.

Da quanto esposto scaturisce con urgenza la necessità di interventi, sia negli ambienti di lavoro che negli ambienti di vita, finalizzati alla riduzione dell’esposizione al rumore.

Per quanto riguarda gli ambienti di vita, la limitazione del traffico veicolare è soltanto uno degli strumenti per migliorare la qualità ambientale, e deve essere integrata con altre azioni individuabili a livello locale, nazionale, comunitario: dalla pianificazione urbanistica, alla viabilità e conseguente regolamentazione dei flussi di traffico, al potenziamento dell’attività di controllo e repressione dei comportamenti eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, al finanziamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti, alla zonizzazione acustica (classificazione del territorio comunale in 6 classi in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento acustico comunale.

Per quanto riguarda l’esposizione negli ambienti di lavoro, quattro sono i livelli di azione da intraprendere per ridurre l’incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:

-       migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite una più corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;

-       incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla corretta applicazione della vigente legislazione in materia, in particolare destinando almeno l’1% del personale sanitario della ASL alla vigilanza e alla prevenzione, come previsto da “Carta 2000”;

-       completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dal Decreto Legislativo 15 agosto 1991 n. 277;

-       attuare una politica di incentivazione e di sostegno alle aziende che vogliono attuare interventi di riduzione della rumorosità negli ambienti di lavoro.

I macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati i maggiori sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello estrattivo.

 

4.6.   I campi elettromagnetici

Negli ultimi anni si è verificato un aumento senza precedenti del numero e della varietà di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e distribuzione dell’energia elettrica, apparecchiature per uso domestico, personal computers  (dispositivi operanti tutti alla frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare (sorgenti a radio frequenza e microonde), nonché altre apparecchiature usate in medicina, nell’industria e nel commercio. Tali tecnologie,  pur di grande utilità, generano continue preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.

Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF), l'esposizione dell'uomo è principalmente collegata alla produzione, alla distribuzione ed all'utilizzazione dell’energia elettrica. Nel 1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come "possibili cancerogeni". Possibile cancerogeno  per l’uomo significa che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilità che l'esposizione a campi ELF possa essere associata all’insorgenza dei tumori. Stime sull'esposizione della popolazione italiana ai suddetti campi per valori di induzione magnetica  uguale o superiore a 0,2 micro Tesla sono state fatte  sia in relazione alla residenza in prossimità di linee elettriche che all'uso di apparecchiature elettriche e alla configurazione e posizione dei fili elettrici nelle abitazioni. Circa 306.000 persone, corrispondenti allo 0,54% della popolazione italiana totale, risiedono in prossimità di elettrodotti a 132-380 kV. Risultati preliminari di un vasto studio sulle leucemie nell'infanzia indicano una esposizione all'interno delle case uguale o superiore a 0,2 micro Tesla dovute all'uso di apparecchiature elettriche e alla configurazione e posizione dei fili elettrici dell'abitazione comprese tra 1 e 10 % delle abitazioni. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, è stato calcolato che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di certezza: 0- 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e 26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1 % del totale dei 432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia. Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa – effetto.

Secondo il recente “Libro Bianco” sull’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (documento redatto nel novembre 2001 da un gruppo di studio coordinato dal Prof. Angelo Bernardini dell’Università La Sapienza di Roma), l’analisi delle principali ricerche e studi scientifici effettuati in campo internazionale consente di pervenire alle seguenti considerazioni:

le uniche basi scientifiche a supporto della scelta di un criterio per la limitazione delle emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza sono quelle indicate dall’ICNIRP (International Committee for Non-Ionizing Radiation Protection);

anche in considerazione dell’aumento dei livelli di esposizione della popolazione legato allo sviluppo di sistemi di telecomunicazione, occorre che vengano proseguiti studi e ricerche atti a fornire elementi per la valutazione di eventuali rischi non ancora accertati che consentano di ridurre l’attuale grado di incertezza scientifica;

allo stato attuale, in assenza di risultati scientifici certi, è possibile fare ricorso a politiche cautelative a condizione che valutazioni di rischio e limiti di esposizione siano fondati su basi scientifiche e non su considerazioni improprie e arbitrarie;

in base a quanto emerge dalla letteratura scientifica, non appare giustificato il ricorso alla definizione di nuovi valori rispetto ai limiti indicati dall’ICNIRP; l’unico approccio cautelativo attualmente applicabile consiste nell’imporre criteri di progettazione degli impianti volti a minimizzare i livelli di emissione.

La normativa a tutt’oggi vigente in Italia – in attesa di una nuova generale regolamentazione di tutto il settore – (la Legge Quadro 22 febbraio 2001 n. 36  prevede infatti espressamente l’emanazione di specifici decreti attuativi) è rappresentata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 1992, recante i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno e il Decreto Interministeriale 10 settembre 1998 n. 381, recante “norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”.

Con la suddetta Legge Quadro n. 36, in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono stati previsti fra l’altro l’adozione di limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, la misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico nonché  la fissazione di parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti, in applicazione dell’art. 4, comma 1, lettere a), e) e h).

Questi adempimenti si scontrano con notevoli difficoltà di ordine pratico, essendosi nel frattempo autorevoli consessi scientifici espressi a favore di una maggiore coerenza della normativa italiana con gli orientamenti formulati nella Raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione della esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Le preoccupazioni espresse da più parti si riferiscono al timore che alcuni degli approcci previsti nella citata Legge Quadro n. 36 del 2001 possano portare a decisioni non rispettose del principio costo-beneficio. L’obiettivo prioritario è quello di orientare in modo più scientificamente valido le politiche di protezione sanitaria e ambientale in questo settore, anche alla luce degli sviluppi nella valutazione del rischio e nella conoscenza scientifica.

 

4.7.   Lo smaltimento dei rifiuti

Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonché quando lo smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie. L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti, qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti.

La discarica rimane il sistema più diffuso di smaltimento dei rifiuti, sia perché i costi sono ancora oggi competitivi con quelli degli altri sistemi, sia perché l’esercizio è molto più semplice. La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari inconvenienti, purché sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.

I principali obiettivi in questo settore sono:

-       l’adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell’uomo ed elimini i danni ambientali;

-       l’attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei rifiuti;

-       l’incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con particolare riferimento al riciclaggio;

l’incremento delle attività di tutela ambientale per l’individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di smaltimento non idonee;

il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento.

 

4.8.   Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici ed emergenze di altra natura

Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si è presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un rischio più plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa l’Italia.

Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come d’altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere assicurate se non esiste un’attività di preparazione continua a monte dell’evento. Questo è particolarmente vero per il Servizio Sanitario, specie nelle grandi città ove è più elevato il rischio, e dove i servizi sono, di norma, già saturi di richieste e spesso troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze.

Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad altre emergenze non è solo di competenza del settore sanitario, è ovvia la necessità di preparare e, quando necessario, mobilitare il servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di difesa e di ordine interno, a seconda del caso.

Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri anti-veleni e le Agenzie regionali per l’ambiente, unitamente all’ISS ed all’ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per sviluppare un’adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri gravi eventi non può pertanto che risultare dalla progettualità di ciascuna Regione e dall’efficacia e dall’efficienza delle attività svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria.

Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai danni del nostro Paese sono state già assunte iniziative a livello centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento dell'emergenza.

Fra le iniziative più importanti assunte immediatamente a ridosso dei tragici eventi dell’11 settembre 2001:

è stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001 un’apposita Unità di crisi che, fra l’altro,  ha elaborato il protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica derivante da un eventuale uso del bacillo dell’antrace;

sono stati individuati, d’intesa con le Regioni, l’ISS e l’ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente,  per gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di lavoro; l’Ospedale L. Sacco di Milano, l’IRCSS L. Spallanzani di Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto clinico nonché l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia  quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876 campioni di materiale sospetto);

é stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;

si è provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali ritenuti essenziali;

si è fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario coordinamento per la costruzione di una elevata capacità di risposta sanitaria.

Contestualmente, si è reso necessario predisporre altre misure sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili, stabilendo l’idonea pianificazione degli interventi.

In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato, perciò, redatto un documento di Piano che si articola in due parti: nella prima è presa in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, è trattata la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti può, a sua volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite informazioni sui criteri essenziali per l’identificazione di eventi dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle modalità patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo, una scala di gravità riferita alle caratteristiche specifiche di ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in sede locale le procedure di intervento più idonee. Nell’allegato sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici, chimici e fisici nonché approfondimenti su alcuni temi particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano argomenti ed informazioni già esposti nella prima e nella seconda parte del Piano.

Il documento di Piano, redatto con l’apporto dell’ISS, dell’ISPESL e della Direzione Generale della Sanità Militare, tiene conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo di coordinamento tecnico delle attività di difesa civile al momento dell'emergenza e nel Prefetto l’autorità di coordinamento della difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell’autonomia organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della salute.

Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente riconducibili a:

-       programmare le misure preventive;

-       definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla minaccia;

-       pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati nonché contenere e/o inattivare il rischio residuo;

-       diffondere la cultura dell’emergenza e migliorare la capacità degli operatori a risposte pronte ed adeguate;

-       incrementare la capacità informativa a favore della popolazione (anche attraverso l’accesso al numero telefonico verde), al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei comportamenti più opportuni da adottare;

Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:

predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire, specifichino le modalità di svolgimento ed identifichino i diversi livelli di responsabilità;

approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per affrontare i diversi scenari di emergenza;

adottare procedure operative standard per la risposta a falsi allarmi;

intensificare l’aggiornamento e la formazione di operatori sanitari;

sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il collegamento e l’integrazione tra diversi sistemi informativi.

 

4.9    Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro

Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro è in atto in tutti i settori lavorativi a causa dell’impiego di nuove tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione. Inoltre la competitività del mercato ha determinato la graduale introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi.

Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale ciò sta determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio.

La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro, esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici, lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro (femminilizzazione dell’occupazione, invecchiamento della popolazione lavorativa, lavoratori extracomunitari, ecc.) introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi. Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti.

Ciò comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per quanto concerne il primo, è necessario che sia completato il processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti della partecipazione previsti dal D.Lgs. 626.

Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l’esigenza di una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie Imprese.

Altrettanto significativa è la necessità di una migliore integrazione con l’attività delle Agenzie Regionali per l’ambiente.

Un’indagine svolta nel 2000 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario ha messo in evidenza come, dall’esame di alcuni indicatori, il completamento del processo istitutivo dei Dipartimenti di prevenzione appaia limitato proprio dalla mancata attivazione degli strumenti operativi e gestionali (5% del finanziamento previsto dalla quota del fondo sanitario assegnata integralmente solo nel 26,2% dei casi; assegnazione di budget previsto nel 50,7%; implementazione del sistema informativo dipartimentale nel 54,3%; formazione del personale prevista nel 64,1%; mancata attivazione dello Sportello unico dipartimentale nel 78%).

 

Gli infortuni

Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante in termini sia di numero di eventi sia di gravità degli effetti conseguenti. L’andamento infortunistico dell’anno 2000 mostra una modesta crescita del numero degli infortuni nell’Industria e Servizi (+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento è in linea con la crescita occupazionale registrata nell’ultimo periodo.

I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia della frequenza sia della gravità delle conseguenze), pur con andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l’industria del legno, quella dei metalli, l’industria della trasformazione ed il settore delle costruzioni.

A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai rilevante (più del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli infortuni particolarmente gravi è stata legata a mezzi di trasporto e ad incidenti stradali.

I dati su base regionale mostrano il seguente andamento (Tab. 2):

 

 

 



 

Tabella 2 - Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti)

per regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997 – 1999)

 

Tipo di conseguenza

Regioni

Inabilità temporanea

Inabilità permanente

Morte

Industria e Servizi

 

 

 

Umbria

52.92

3.82

0.08

Emilia

49.63

2.21

0.09

Marche

48.81

3.01

0.10

Friuli Venezia Giulia

49.12

2.10

0.09

Basilicata

46.94

2.80

0.14

Veneto

47.90

1.60

0.09

Abruzzo

43.83

2.55

0.12

Liguria

42.57

2.69

0.06

Puglia

42.27

2.83

0.15

Toscana

41.53

2.44

0.08

Trentino Alto Adige

41.36

1.74

0.07

Molise

37.83

2.43

0.15

Sardegna

34.81

2.21

0.12

Valle D’Aosta

33.92

1.51

0.11

Piemonte

33.69

1.44

0.07

Lombardia

33.07

1.40

0.06

Calabria

28.89

2.38

0.14

Sicilia

26.64

1.92

0.10

Campania

25.12

2.55

0.13

Lazio

25.45

1.41

0.07

Italia

37.99

1.90

0.09

 

Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni nell’industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura.

Altro aspetto rilevante è quello relativo alla sicurezza dei lavoratori in “nero”. Applicando gli indici infortunistici della popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull’occupazione non regolare (anno ’97) è stato stimato che il numero degli infortuni nel “sommerso” sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare conservativa in quanto è presumibile che le attività non regolari vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.

 

Le malattie professionali

Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al lavoro.

Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in attenuazione) acquistano sempre maggior rilievo le patologie da rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi anni; tra questi si segnalano le patologie dell’arto superiore da sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per quanto riguarda quest’ultima, il recente studio multicentrico europeo CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed è stimato in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili a esposizioni lavorative.


 

 

Tabella 3 - Patologie da rischi noti

Industria

Agricoltura

Ipoacusie da rumore

Broncopneumopatie

Malattie cutanee

Asma bronchiale

Pneumoconiosi

Alveoliti allergiche

(Continua)

Segue Tabella 3 - Patologie da rischi emergenti

Patologie dell’arto superiore da sovraccarico meccanico

Patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out, mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari)

Patologie da sensibilizzazione

Tumori di origine professionale

Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro

 

Obiettivi

Riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici e da una maggiore gravità degli effetti.

Riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro.

Riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni alla salute dei lavoratori.

Riordino, coordinamento e semplificazione in un Testo unico delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro, nel rispetto delle normative comunitarie, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione.

Promozione di linee guida per l’applicazione della normativa in settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici).

Identificazione dei requisiti minimi per l’accreditamento e l’esercizio della professione delle figure della prevenzione.

Rafforzamento degli strumenti operativi e gestionali dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali.

Potenziamento e coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche attraverso il monitoraggio dell’applicazione del D.Lgs. 626.

Programmazione delle priorità d’intervento nei settori più a rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti da un adeguato sistema informativo.

Attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in lavori atipici.

Azioni per la specificità di genere sul lavoro a tutela delle lavoratrici.

Azioni per l’inserimento o reinserimento lavorativo di particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i tossicodipendenti, gli immigrati.

Integrazione dei sistemi informativi.

Azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro.

Promozione di programmi di formazione nella scuola.

Miglioramento progressivo dei processi di verifica della qualità e dell’efficacia delle azioni di prevenzione basata sull’evidenza.

Miglioramento dell’accertamento e dell’evidenziazione delle malattie professionali.

Individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo, tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme.

Incentivazione anche attraverso strumenti di defiscalizzazione e/o di tipo premiale alle P.M.I. che realizzino una efficacia prevenzione dei rischi.

 

 

5.      La sicurezza alimentare pubblica

Questa parte va integrata e resa coerente con i contenuti del Progetto Obiettivo Alimentazione

L’impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza degli alimenti  sia sulla salute delle popolazioni animali è stato considerevole. Il sistema Italia ha registrato  notevoli difficoltà di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in seguito alla stipula dell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo SPS) nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della sicurezza igienico–sanitaria. Tali difficoltà sono, per certi aspetti, comuni a tutta l’Unione europea, ma in Italia l’adattamento è risultato, sotto diversi aspetti, più difficile. Molte energie sono state assorbite dalla necessità di gestire una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni causate da tossinfezioni e da nuovi patogeni. ed, in particolare, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei.

Altre recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e altre sostanze chimiche. Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del rischio adeguata alla sfida posta dall’internazionalizzazione dei mercati), malgrado l’impegno profuso da parte di diverse componenti del sistema di Sanità pubblica, non è ancora sufficientemente sviluppata.

Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un Paese come l’Italia, che è membro della Unione Europea e forte importatore di alimenti sia di origine animale sia di origine vegetale da tutto il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realtà del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati. Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e locale che i metodi e l’organizzazione dei controlli si rinnovino e si adeguino continuamente.

Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla realtà esistente fino alla metà degli anni ’90. In particolare, i controlli non sono più concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti lungo tutto il processo di produzione «dall’aratro al piatto» e le garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente determinante del sistema della sicurezza. 

La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una dimensione internazionale e può essere assicurata solo attraverso un’azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di una sempre più marcata domanda di autonomia istituzionale dei livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti diventa sempre più dipendente dalla capacità di azione a livello internazionale. 

Per l’Italia che fonda parte importante del successo economico delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacità di trasformare materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi più avanzati, la capacità di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti può indurre, infatti,  sconvolgimenti profondi del mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel contesto di una forte competizione, può portare a perdite significative di quote di mercato.

Il nuovo orientamento sulla sicurezza alimentare affida alla sanità pubblica la responsabilità della tutela della salute del consumatore, garantendo la sicurezza, la salubrità e tracciabilità della filiera alimentare.

Al fine di tutelare la salute del consumatore finale è necessario agire tra le altre sulle seguenti aree:

tossinfezioni alimentari ed intossicazioni da agenti chimici

OGM

biologico

attuazione del sistema di allerta

potabilità delle acque destinate al consumo umano

tracciabilità – etichettatura

autocontrollo nelle imprese agroalimentari

La strategia e gli obiettivi  da perseguire, in materia di sicurezza degli alimenti animali, dunque, devono necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali, materie prime e prodotti operino secondo criteri di sicurezza equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani. Dall’altro, l’Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del più alto tenore, su tutto il territorio nazionale.

La sicurezza degli alimenti oggi può essere assicurata solo attraverso azioni di eliminazione e mitigazione del rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione, conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate concertate e verificate a livello internazionale, comunitario, nazionale e locale.

Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:

definire una politica della sicurezza degli alimenti e della salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica dell’emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di sicurezza e di salute misurabili e verificati;

ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ai consumatori italiani;

ridurre l’incidenza delle zoonosi e delle tossinfezioni, delle infezioni e delle intossicazioni alimentari (prodotti chimici, fitofarmaci ecc.), con particolare riferimento alle infezioni della lista A dell’OIE, alla brucellosi bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonché alle encefaliti spongiformi trasmissibili.

 è necessario:

Garantire un sistema che:

fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per le attività di pianificazione e legislazione nei settori che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all’uomo ed agli animali, nonché sulla salute ed il benessere degli animali;

rappresenti l’interfaccia operativa nazionale dell’Autorità europea degli alimenti, che ha visto l’avvio con l’inizio del 2002; essa costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento dell’obiettivo di sicurezza alimentare nell’Unione Europea. Ad essa, soggetto indipendente che agisce secondo il principio dell’elevata qualità scientifica e della trasparenza, è attribuito il compito fondamentale dell’analisi scientifica del rischio su cui fondare  le decisioni politiche e amministrative. L’Autorità cura in particolare l’analisi scientifica e la valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti e il sistema di allerta;

raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti destinati all’uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di questi ultimi;

assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come base scientifica per l’azione legislativa e regolamentare del Governo nei campi della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali;

realizzi di un sistema di auditing per la verifica dell’efficacia del sistema nazionale del  controllo ufficiale degli alimenti e delle popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che permettono di  misurare la qualità  del servizio/prodotto;

organizzare un sistema per la gestione delle emergenze in materia di sicurezza alimentare, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati alle esigenze. Particolare attenzione dovrà essere rivolta agli strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la mobilitazione della protezione civile ed individuare idonei sistemi di abbattimento e distruzione delle carcasse animali;

migliorare in modo significativo il sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi.

attuare concretamente un programma di formazione straordinario per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione della qualità nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e assumere comportamenti che assicurino omogeneità di prestazioni su tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato l’accreditamento dei servizi di Sanità pubblica, secondo norme di garanzia delle qualità riconosciute a livello internazionale. L’accreditamento è indispensabile per poter continuare nel medio–lungo termine le attività di certificazione, indispensabili per la libera circolazione degli animali e dei prodotto derivati in ambito internazionale. Le attività di formazione devono, inoltre, essere indirizzate all’introduzione e utilizzazione della sorveglianza epidemiologica e dell’analisi del rischio come strumento di tutela delle popolazioni animali e  della salute dei consumatori.

Nel settore della sicurezza alimentare, più che in molti altri settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti è fortemente condizionato dal contesto internazionale e comunitario. È indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In particolare:

gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l’efficace integrazione del controllo pubblico con l’effettiva attribuzione di responsabilità agli operatori economici della produzione primaria, della trasformazione, e del commercio degli alimenti;

l’attuale revisione delle politiche di sicurezza degli alimenti, in ambito dell’Unione Europea deve tenere conto delle peculiarità del sistema di produzione agro-alimentare dell’Italia;

la partecipazione dell’Italia alle attività delle Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve essere rafforzata;

la collaborazione dell’Italia con i Paesi dai quali il sistema agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata, dando alla cooperazione internazionale un ruolo più importante ed organico.

In linea con il ProgettoOMS “The first action plan for food and nutritional policy “2000-2005” è necessario assicurare i sistemi di sorveglianza nutrizionale per la promozione di stili di vita salutari soprattutto nelle fasce sociali più deboli e nei soggetti che attraversano periodi critici della vita come infanzia, adolescenza, gravidanza, allattamento e vecchiaia.

 

6.      La salute e il sociale

 

Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione socio-sanitaria.

 

6.1.   Le fasce di povertà e di emarginazione

Numerosi studi hanno documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalità non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti.

Effetti diretti della povertà e dell'emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali, dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.

Le cause di morte e di malattia più frequentemente associate alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la scarsa qualità dell’assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in minore misura, quelle ischemiche del cuore.

Un’associazione con la condizione socio-economica misurata in base al livello d’istruzione della madre, è stato osservata anche per il peso alla nascita; la probabilità di mettere al mondo un bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri con un livello di studi universitari.

Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono documentati svantaggi sociali  sia nell'accesso alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.

Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno istruite.

Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti più efficaci.

Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a vantaggio delle persone di più alto stato sociale.

In generale i gruppi di popolazione che meritano più attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni); gli anziani poveri (più di 65 anni); le madri sole con figli a carico; i disoccupati di lunga durata (più di un anno); i disoccupati giovani (15-24 anni); gli stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria; i tossicodipendenti; gli alcoolisti; i senza fissa dimora. Cioè da un lato i gruppi che sono più esposti alla marginalità sociale (si tratta di bambini, adulti e anziani in difficoltà e in povertà), dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati che cercano di inserirsi nella società italiana con un nuovo progetto di vita.

Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori dei principali indicatori di morbilità, disabilità e mortalità nei diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti più uniformemente. Inoltre dovrebbero essere migliorate le condizioni socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute, quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato accesso al mondo del lavoro, così da ridurre la percentuale di persone che vivono in povertà. Infine, i soggetti che hanno bisogni speciali in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure appropriate.

Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini in povertà e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli stranieri immigrati ed altri gruppi.

E’ ben noto che la lotta alla povertà è uno degli strumenti più efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi, di misure di carattere sociale tipiche dello stato assistenziale per contrastare la povertà le quali non rientrano direttamente nella competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E’, quindi, molto importante l’efficace collegamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla povertà con le politiche di sviluppo economico e sociale.

Nell’ambito più specificamente sanitario si tratta, in particolare, di assicurare l’accesso ai servizi sanitari superando, attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di attività, le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche che si frappongono alla fruibilità dei servizi sanitari. Specifici programmi di formazione e obiettivi di qualità per il personale addetto sono auspicabili.

Un’altra serie di interventi di carattere più strettamente sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti da sostanze o alcool) nonché ad interrompere i processi di esclusione che nascono da problemi di salute, quali l’istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei malati poveri.

Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 4.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 4.4); e (v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 4.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per l’assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilità e capacità di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile.

Infine, è molto importante continuare l’approfondimento dei determinanti sociali, economici ed ambientali più direttamente collegati con i problemi della salute, associati alla povertà, e la sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunità per alleviare o rimuovere le difficoltà esistenti.

 

6.2.   La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente

Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalità infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia è sceso di più del 75%, dal 20,5 del 1975 al 5,47/1.000 del 1997. Si tratta di uno dei più significativi miglioramenti registrati nell'Europa occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali (Sicilia, Basilicata, Campania) il tasso di mortalità infantile nel 1997 era di 7,57/1000 nati vivi, rispetto al 3,86 delle Regioni con il tasso di mortalità più basso (Veneto, Lombardia). La mortalità neonatale (entro le prime quattro settimane di vita, ed in particolare entro la prima) più elevata nelle Regioni del Centro-Sud, è responsabile della maggior parte di tale mortalità. Obiettivo fondamentale è quindi innanzitutto ridurre le disparità regionali nei tassi di mortalità neonatale, avvicinando la media nazionale a quella della regione con indice di mortalità più basso. Per quanto riguarda la mortalità nel primo anno di vita, le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurità, 1'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT ("European Registration Of Congenital Anomalies"), indicano che il tasso di malformazioni congenite in Italia è simile a quello di altre aree d'Europa.

Nella valutazione dello stato di salute della popolazione infantile un importante indicatore è il peso alla nascita dei neonati a termine. Esso è influenzato dallo stato sociale e da altri fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT). L'incidenza di basso peso alla nascita non è cambiata in maniera significativa nel corso degli ultimi 15 anni.

Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine). L’educazione a comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda il fumo, è a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono, inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente sulla mortalità perinatale e sugli esiti a distanza (handicap).

Per quanto riguarda il gruppo di età tra 1 e 14 anni, il tasso dì mortalità ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni, da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in questo gruppo di età sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro (5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997 indicano una mortalità più elevata (+14% circa) al Sud che al Nord. L'obiettivo della riduzione della mortalità per incidenti, sia domestici che stradali deve prevedere una forte campagna di prevenzione con misure di educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole.

Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento in continua crescita, sono l'asma e l'obesità. E' significativo che le due condizioni morbose più frequenti siano legate a problematiche ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la prevenzione, in termini dì salvaguardia ambientale (con lotta all’inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica sanitaria per l'immediato futuro.

In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in età adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia. I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra una percentuale più elevata di gravidanze in età adolescenziale in confronto alle Regioni del Nord, anche se questo avviene nel contesto di unioni legali. Obiettivo di questo settore dovrà essere la prevenzione primaria delle gravidanze non desiderate in età adolescenziale con una appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie, nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via sessuale.

La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentavi di razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi europei. Inoltre, malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei punti nascita è ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private accreditate: tra queste poco meno della metà ha meno di 500 parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.

L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuità assistenziale sul territorio, ha determinato, nel 1999 un tasso di ospedalizzazione del 119‰, un valore significativamente più elevato rispetto a quello dei Paesi europei, quali ad esempio il Regno Unito (51‰) e la Spagna (60‰).

 E’ necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una distribuzione geografica diversa, e sono tra i più importanti determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalità infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unità operative pediatriche.

Gli stessi fattori condizionano anche l’elevato numero di parti per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, più frequenti nelle strutture del centro-Sud con un basso numero di nati, fino a raggiungere in Campania il 51% mentre le Regioni Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per taglio cesareo pari la 20%, valori di poco superiori a quelli riportati dalla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea. Fattori economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito di quello per via naturale.

Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non è garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e ciò induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi all’estero per partorire.

Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del Parlamento Europeo del 1986), ancora più del 30% dei pazienti in età evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area pediatrica. L’area pediatrica è "l'ambiente in cui il Servizio Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e l'adolescente".

a) Gli obiettivi strategici

Attivare programmi specifici per la protezione della maternità e migliorare l’assistenza ostetrica e  pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale.

Migliorare la qualità della vita  del bambino in ospedale

Educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali competenti con particolare riguardo alla prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile, dell'obesità, delle malattie sessualmente trasmesse, ed con particolare riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni ed incidenti.

 

b) Gli obiettivi per i prossimi tre anni

Pianificare l'assistenza perinatale

Garantire la copertura dell'emergenza neonatale in ogni regione.

Ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo del 10‰ per anno.

Incrementare l’adozione di strutture socio-sanitarie alternative, quali l'ospedalità a domicilio ed in strutture residenziali funzionalmente collegate con gli Ospedali.

Elaborare Linee Guida clinico-organizzative per le patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in età pediatrica, e per gli interventi chirurgici inappropriati.

Diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con valori medi degli altri Paesi europei.

Rendere disponibile in almeno parte delle strutture il cosiddetto parto indolore.

Ottimizzare il numero di punti nascita, riducendone il numero ed incrementandone la qualità.

 

6.3.   La salute mentale

I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perché la loro prevalenza mostra un trend in aumento e perché ad essi si associa un elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali, che pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettività.

Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale segnalano che nell’arco di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o più dei disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tra i disturbi mentali più frequenti vi sono i disturbi d'ansia,  il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive. La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le fasce d'età e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la prevalenza dei disturbi della personalità e dei disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei più gravi disturbi mentali, è pari a circa lo 0,5%. Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa alle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche (con particolare riferimento alle patologie cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie degenerative del Sistema Nervoso Centrale).

Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali dell’età adulta sono preceduti da disturbi dell’età evolutiva-adolescenziale. In particolare, l’8% circa dei bambini e degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che può determinare difficoltà interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli adolescenti.

Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di disabilità: i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono, quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di disabilità non marcati, anche se alcuni casi di sindrome ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti. D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e sociali in maniera massiccia, per via della gravità, del rischio di suicidio, della lunga durata e delle disabilità marcate che le caratterizzano.

Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell’assistenza psichiatrica alle necessità reali dei malati ed agli orientamenti più attuali della sanità pubblica, avviato con la Legge 23 dicembre 1978 n. 833, ha determinato l’integrazione dell’assistenza psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l’orientamento comunitario dell’assistenza alle persone con disturbi mentali, il superamento del modello custodialistico rappresentato dall’Ospedale Psichiatrico.

 

Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale, al momento attuale, sono:

la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture Residenziali per attività riabilitative, insieme ad una mancanza di coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l’età evolutiva, i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani; tale evidenza induce a valutare, nel rispetto del modello dipartimentale di cui al Progetto Obiettivo Salute Mentale 1998-2000.

la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida da parte dei servizi, nonché di parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;

la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione sociale nella popolazione;

la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai problemi della salute mentale in età evolutiva e nell'età "di confine", che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente ed alla quale è utile rispondere anche con il contributo, almeno in fase sperimentale, di strutture accreditate  del privato sociale ed imprenditoriale;

la carente gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi psichiatrici e patologie organiche;

la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto daI Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 e dal relativo progetto obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza deI modello organizzativo ivi delineato.

Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da:

la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare attenzione all’età adolescenziale e a quella anziana;

la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento, mediante attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi multidisciplinari integrati in risposta ai bisogni di salute mentale dei pazienti e delle famiglie;

la riduzione dei tempi d’attesa per l’accesso ai trattamenti, ivi compresi quelli psicoterapici;

il miglioramento delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni di salute mentale nella popolazione e sull'efficacia degli interventi,

la diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia;

la definizione dei parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali per la salute mentale pubbliche e private, la promozione della salute mentale nell'intero ciclo della vita, garantendo l'integrazione tra servizi sanitari e sociali - pubblici e del privato sociale ed imprenditoriale - con particolare riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a rischio;

la cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non istituzionali (Associazioni dei famigliari, dei pazienti, volontariato, Associazioni di Advocacy), il privato sociale ed imprenditoriale;

la promozione dell'informazione e della conoscenza sulle malattie mentali nella popolazione, al fine:

a) di realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria (informazione sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di volontariato);

b) incrementare la lotta allo stigma verso la malattia mentale e la promozione di una maggiore solidarietà nei confronti delle persone affette da disturbi mentali gravi;

c)     diffondere e sviluppare la cultura del volontariato, dell’associazionismo, dell’auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella cura delle malattie mentali.

A breve termine è necessario pianificare azioni volte a:

concludere il processo di superamento dei manicomi pubblici e privati superando, finalmente qualunque approccio custodialistico;

pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dei disturbi mentali in età infantile ed adolescenziale attivando stretti collegamenti funzionali tra strutture a carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatria di base), ed altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;

assicurare la presa in carico e la continuità terapeutica dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso nel sistema sanitario.

migliorare la gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e patologie organiche,

promuovere la formazione e l'aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel campo della salute mentale;

attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di familiari e di pazienti;

attivare interventi per la prevenzione e cura del disagio psichico nelle carceri, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230.

 

6.4.   Le tossicodipendenze

In un tessuto sociale, educativo e culturale fortemente segnato dalla crisi della famiglia e dai modelli di deresponsabilizzazione individuale e talora istituzionale, nonché di solitudine subita e talora ricercata, la diffusione dei vari tipi di droghe interessa un numero considerevole di giovani e di giovanissimi troppo spesso inconsapevoli dei pericoli cui vanno incontro, ma anche privi di stimoli ed orientamenti positivi per la propria vita.

Adeguate strategie pubbliche contro la droga richiedono che le Amministrazioni dello Stato promuovano una cultura istituzionale idonea a contrastare l’idea della sostanziale innocuità delle droghe e l’atmosfera di “normalità” in cui il loro uso si diffonde determinando un pericoloso abbassamento dell’allarme sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo vantaggio per il mercato criminale nell’offerta di droghe.

Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di droghe dovrà essere, pertanto, la considerazione che la tossicodipendenza e l’uso delle sostanze illecite non possono essere fronteggiati con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si è corso, il rischio di contribuire al rafforzamento di una condizione invalidante e di dipendenza cronica, rinunciando a perseguire l’obiettivo del pieno recupero personale e sociale della persona.

Il fine cui dovranno tendere le Amministrazioni statali, nel pieno rispetto delle proprie competenze e dei propri limiti, è quello di realizzare interventi e progetti che coinvolgano – con pari dignità – soggetti pubblici e privati, con la finalità ultima di ridurre la domanda di droghe fornendo concreto ausilio a coloro che sono già dipendenti, o a rischio di divenirlo, e di individuare progetti di esistenza lontani dall’uso di droghe, nonché di ridurre concretamente l’offerta rendendo le Istituzioni sempre più in grado di esercitare una forte azione di controllo della produzione e del traffico di stupefacenti.

Nel corso del mese di novembre 2001, di fronte al Comitato Interministeriale di Coordinamento per l’azione anti-droga, costituito ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, si è insediato il Commissario straordinario di Governo, in qualità di responsabile del Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga, che avrà il compito di coordinare le politiche e le competenze oggi distribuite in diversi Ministeri, così da progettare un Piano Nazionale più incisivo ed efficace.

Le azioni e gli interventi indicati di seguito sono quelli contenuti nel Piano predisposto e approvato dal Governo il 14 febbraio 2002, che avranno attuazione con il coinvolgimento di tutte le componenti istituzionali direttamente interessate e nel rispetto delle norme regionali derivanti dall’attuazione della modifica del titolo V della costituzione.

Alla luce dei dati più recenti è possibile affermare che il fenomeno della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente prevalente, l'uso contemporaneo di più sostanze, dalle cosiddette droghe leggere, alle amfetamine, all'eroina e alla cocaina.

E' anche accertato come l'età del primo approccio con le sostanze sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche hanno posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la media della "prima esperienza" stabilizzata ormai al di sotto dei 13 anni.

Allo stesso tempo il passaggio dal consumo della cannabis a quello delle altre droghe risulta avvenire in tempi sempre più ridotti rispetto agli anni passati.

Dai dati ufficiali risulta inoltre che:

il consumo di eroina, nonostante in alcune zone del Paese il trend dei nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, è in aumento, specialmente attraverso nuove modalità di assunzione (fumo, inalazione);

continua il progressivo aumento, peraltro già rilevato, del consumo di cocaina, che da droga di "élite" si è trasformata rapidamente in una droga di massa. L'assunzione della sostanza riguarda, infatti, fasce sempre più diversificate e giovani di utilizzatori;

si evidenzia un costante aumento dei consumi di "ecstasy" e di amfetamine, come indirettamente confermato dall'aumento esponenziale dei sequestri di questo tipo di droghe;

il consumo di cannabinoidi coinvolge ormai, secondo le statistiche più attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed è un comportamento considerato "normale" da una parte consistente dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni soggetti istituzionali.

 

Panorama internazionale

L'andamento del fenomeno negli altri Paesi dell'Unione Europea non si discosta significativamente dalla situazione italiana con punte di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, di cannabis in Francia e Spagna e di eroina in Germania.

Al fine di contrastare tale situazione, e facendo seguito agli impegni sottoscritti in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU (giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno 2000) un Piano d'Azione sulle droghe per gli anni 2000-2004, indicando con precisione i seguenti sei obiettivi strategici ed impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento:

ridurre in misura rilevante, nell'arco di cinque anni, il consumo di droghe illecite e il numero di nuovi consumatori, soprattutto tra i giovani di età inferiore ai diciotto anni;

abbassare in misura sostanziale l'incidenza dei danni causati alla salute dall'uso di sostanze stupefacenti nonché, conseguentemente, anche il numero di decessi correlati all'uso di droghe;

aumentare in misura rilevante il numero dei tossicodipendenti sottoposti con successo a trattamento;

diminuire considerevolmente la reperibilità di droghe illecite;

ridurre in misura significativa il numero di reati correlati alla droga;

contrastare in maniera sempre più efficace il riciclaggio di denaro sporco ed il traffico illecito delle sostanze chimiche impiegate nella produzione di droghe.

 

Il contesto nazionale

Nel nostro Paese risultano attivi 556 SerT (Servizi per le Tossicodipendenze), che hanno in carico 145.897 soggetti tossicodipendenti; tale dato presenta un aumento di circa il 4,5% rispetto all'anno precedente. La maggioranza degli utenti dei SerT (82,8%) è dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti che fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono una percentuale del tutto irrilevante.

Nelle strutture socio-riabilitative residenziali e semi-residenziali (in diminuzione del 2% rispetto al 1999), gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del privato sociale, risultano invece assistiti 14.856 soggetti; tale valore manifesta una diminuzione di circa il 5,9% rispetto all'anno precedente.

Per quanto riguarda gli utenti dei SerT i dati mostrano una costante crescita dei trattamenti farmacologici con metadone, trattamenti che superano ormai la metà dei casi seguiti (51,8% rispetto al 49,5% del 1999 e a143% del 1995).

All'interno dei trattamenti metadonici aumentano inoltre i casi di "terapia di lunga durata" (29,4% nel 2000 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli a breve termine (9,9% nel 2000 rispetto al1 0,2% del 1999).

I dati innanzi riferiti evidenziano, in sostanza, come l'approccio farmacologico alla tossicodipendenza rappresenti la principale attività svolta dai SerT.

Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza

Il Governo italiano intende dare piena attuazione al piano di azione comunitario e degli indirizzi ONU in materia di riduzione della domanda e dell'offerta di droga, potenziando, in coerenza con quanto affermato nel DPEF 2002-2006, le iniziative orientate alla prevenzione dalla tossicodipendenza, al recupero del valore della persona nella sua interezza e al suo reinserimento a pieno titolo nella società e nel mondo del lavoro.

Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze

Gli interventi di prevenzione debbono rappresentare il punto centrale delle politiche sociali.

Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di intervento e rivolgerle in modo efficace ad una più vasta platea di soggetti destinatari, considerato che il disagio giovanile non riguarda ormai più "categorie a rischio", ma può prodursi in maniera del tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza imprevedibile, tra le quali, appunto, l'uso di sostanze stupefacenti e/o psicotrope.

In tale ottica risulta, quindi, indispensabile definire un sistema coordinato ed integrato di interventi, che coinvolgano la società civile nel suo insieme e, in particolare, le principali agenzie educative: famiglia e scuola.

Gli interventi debbono pertanto essere orientati, pur nelle differenti specificità e contesti di riferimento, sia al sostegno della progettualità e dell'autonomia dei giovani (in alternativa al modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di intenti tra famiglia e scuola, nell'interesse del futuro dei giovani, libero dall'uso di qualunque sostanza.

I progetti dovranno essere orientati a:

promuovere lo sviluppo integrale della persona;

offrire occasioni di miglioramento dei processi di partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identità;

contribuire a creare consapevolezza e capacità decisionali ed imprenditoriali nei giovani;

offrire concrete occasioni di inserimento nel mondo della formazione e del lavoro;

qualificare la vita in termini complessivi, come valore insostituibile.

Per quanto riguarda, poi, le campagne informative, si intende fare riferimento a dati e ricerche autorevoli, scientificamente credibili e facilmente "acquisibili" dai giovani, evitando messaggi approssimativi e contraddittori.

Una campagna di prevenzione non può ovviamente basarsi sulla sola informazione. Non ci si può, infatti, limitare a spiegare la formula chimica di una droga ed i suoi effetti, ma occorre promuovere e illustrare stili di vita responsabili e rispettosi di se e degli altri.

Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione devono pertanto essere quelli di ridurre il consumo di droghe, promuovere stili di vita responsabili, valorizzare tra i giovani, coloro che non praticano comportamenti a rischio e fornire intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative.

Servizi pubblici per le dipendenze

Strutture socio-riabilitative, pubbliche e private

Le Istituzioni intendono assicurare la disponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e alla riabilitazione dall'uso di sostanze stupefacenti e garantire la libertà di scelta del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere i programmi riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su tutto il territorio nazionale, sia essa pubblica che del privato sociale.

 

I tossicodipendenti in carcere

Un problema prioritario è rappresentato dalle migliaia di detenuti tossicodipendenti ai quali occorre garantire il diritto di accedere, se ne fanno richiesta e secondo le normative vigenti, a percorsi riabilitativi alternativi alla detenzione. A tale scopo vanno previste risorse specifiche.

Reinserimento lavorativo

Un Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve necessariamente prevedere la fase fondamentale del reinserimento lavorativo di coloro che hanno concluso con successo un programma di riabilitazione dalla tossicodipendenza.

A tal fine il Governo intende incentivare con fondi specifici aggiuntivi  i programmi riabilitativi che prevedano e/o includano, fra le finalità, azioni di formazione professionale orientate a facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro degli ex-tossicodipendenti.

incentivazione all'avviamento di attività imprenditoriali da parte di ex-tossicodipendenti;

ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui periodi di aspettativa per i lavoratori che si sottopongono ad un programma riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la disparità di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati.

In sintesi quindi l’azione in questo campo deve tenere conto di due direttrici strategiche:

-       la prima direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone esperienze già in atto nel sistema pubblico e nel privato sociale accreditato in materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero del tossicodipendente;

-       la seconda direttrice prevede, da parte del Ministero della Salute :

l’assunzione - nell’ ambito delle linee strategiche definite  dal “Programma triennale del Governo per la lotta alla produzione, al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope 2002-2004”, e degli indirizzi definiti dal Dipartimento nazionale per le politiche anti-droga istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri -  di un ruolo di coordinamento del settore rispetto agli altri Ministeri coinvolti (Lavoro e Politiche Sociali, Istruzione, Beni Culturali, Comunicazioni, Giustizia, Interno);

In conclusione si possono identificare i seguenti obiettivi prioritari:

-       promuovere la partecipazione delle associazioni delle famiglie sin dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella logica dell’ integrazione interistituzionale;

-       inserire nel programma di abbattimento dell’uso e dell’abuso, oltrechè le sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione dell’alcoolismo (soprattutto giovanile) e del tabagismo e estendere l’ azione anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze comportamentali (es.: gioco d’azzardo);

-       attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;

-       promuovere e attivare sperimentazioni e ricerche su effetti, danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti;

-       attivare sinergie con le Forze dell’Ordine sia sulla repressione del fenomeno sia, soprattutto, sul loro ruolo fondamentale di prevenzione delle attività criminali attraverso le informazioni, le analisi e i collegamenti internazionali;

-       attivare il monitoraggio delle informazioni e della comunicazione dei mass media e delle campagne della stampa quotidiana;

-       garantire costante attenzione alle condizioni di salute, sia fisica che psichica;

 

6.5.   La sanità penitenziaria

Nell’anno 2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e 2.266 donne), nonostante le infrastrutture avessero una disponibilità di 35.000 posti distribuiti nei 200 istituti esistenti. Dei suddetti detenuti 13.668 (25,63%) erano extracomunitari, 14.602 (27,38%) tossicodipendenti, di cui 1.548 (2,9% dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in AIDS conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e 695 (1,3%) alcooldipendenti.

Nel 1999 la sanità penitenziaria ha subito profonde modificazioni a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 che stabilisce il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati. Le funzioni sanitarie svolte dall’amministrazione penitenziaria con riferimento ai soli settori della prevenzione e dall’assistenza ai detenuti e agli internati tossicodipendenti sono già state trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Per il trasferimento graduale delle altre funzioni è in corso una fase sperimentale inizialmente attuata in Toscana, Lazio e Puglia e, recentemente, estesa ad Emilia Romagna, Campania e Molise. Al termine della sperimentazione il Ministro della salute, sulla base delle risultanze del monitoraggio previsto dal Decreto Interministeriale 20 aprile 2000 predisporrà, in collaborazione con il Ministro della Giustizia, una relazione finale al fine di proporre al Governo e al Parlamento il modello definitivo di assetto del settore.

Il Progetto Obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario, emanato nel corso del 2000, previsto dal Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230, propone modelli organizzativi nel rispetto delle funzioni dello Stato, delle Regioni e delle Aziende Sanitarie.

Tra le problematiche sanitarie di più vasto impatto in ambito penitenziario, individuate anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le malattie infettive (specialmente epatiti virali, HIV, tubercolosi, scabbia e dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale. E’ indispensabile prevedere misure di prevenzione, sistemi di sorveglianza e modalità di trattamento. Per contrastare tali patologie è di primaria importanza migliorare la formazione degli operatori sanitari e degli agenti di polizia penitenziaria e l’informazione dei detenuti.

La crescente presenza nelle carceri di cittadini provenienti da altri Paesi rende opportuno prevedere la presenza di mediatori culturali con oneri a carico del ministero di grazia e giustizia, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma anche culturale, che consentano di superare le difficoltà nei rapporti con i questi detenuti.

Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:

attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del disagio ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione globale della persona, sia nel carcere che in comunità di recupero vigilate, nella logica di modelli organizzativi che equiparano strutture pubbliche e private accreditate secondo un modello dipartimentale nel quale siano previsti anche momenti di integrazione interistituzionale;

attivare programmi per la riduzione dell’incidenza delle malattie infettive fra i detenuti;

migliorare la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione a favore dei detenuti.

 

6.6.   La salute degli immigrati

Al 1° gennaio 2001 gli stranieri ufficialmente registrati dal Ministero dell’Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di stranieri regolarmente presenti sul territorio risulta di 1.686.606 persone, pari a circa il 2,9% dell’intera popolazione italiana (la media europea è del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi dell’Europa centro-orientale, il 29,1% dall’Africa settentrionale, il 7,3 % dall’Asia centro meridionale, il 10,5% dall’Asia orientale. Il 67% circa  ha una età compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori è stimato intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%. Meno del 45% degli stranieri è di sesso femminile. La presenza irregolare è stata stimata ufficialmente dal Governo pari a circa 400.000 unità sulla base del numero di domande di regolarizzazione presentate entro il termine del 15 dicembre 1998 sulla base della Legge n. 40 del 1998.

Negli ultimi anni i flussi dall’Europa dell’Est, in particolare ex-Yugoslavia, Polonia e Albania, sono fortemente cresciuti, superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il fenomeno dei “ricongiungimenti familiari” sta rapidamente riequilibrando la composizione per età e genere degli stranieri immigrati, che ancora agli inizi degli anni ’90 era prevalentemente rappresentata da giovani adulti maschi.

Il tempo intercorso dal momento della migrazione configura esperienze di svantaggio molto diverse. In prossimità dell’immigrazione prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal Paese di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di un tetto e di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un riconoscimento giuridico. In questa fase, gli immigrati condividono con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo.

In un secondo momento, diventano più importanti le difficoltà di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e con il sistema dei servizi e le difficoltà di apprendere la lingua accrescono le barriere alla fruizione dei servizi ed alla soddisfazione delle necessità quotidiane.

Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di elasticità dell’offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di salute di questi nuovi gruppi di clienti.

Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono più frequenti la prematurità, il basso peso alla nascita, la mortalità neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi.

Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono l’alto tasso di abortività, la scarsa informazione (con conseguente ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di mutilazioni genitali femminili. Un’indagine coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un trend fortemente decrescente dalle età più giovani a quelle in età più avanzate.

Rilevante è anche il fenomeno della prostituzione. Stime del 1998 indicano il numero delle prostitute straniere compreso tra 15.000 e 19.000.

Per quanto attiene le patologie neoplastiche, secondo un’analisi retrospettiva riguardante 2.800 pazienti stranieri con più di 60 anni visitati presso l’IRCCS S. Gallicano di Roma, si è evidenziato un aumento dal 1994 al 2001 del 7,8% dei casi.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i casi di AIDS notificati in cittadini stranieri sono passati da meno del 3%, sul totale dei casi di AIDS segnalati prima del 1992 ad oltre il 14% nel 2001. Il Sistema di Sorveglianza delle Malattie Sessualmente Trasmesse dell’Istituto Superiore di Sanità, registra una prevalenza di tali patologie nell’ambito della popolazione straniera dell’11,0%. Questa prevalenza, come del resto quella relativa alle malattie tropicali propriamente dette, viene considerata dagli esperti del settore come sottostimata.

Anche la percentuale dei casi di tubercolosi in cittadini stranieri è in costante aumento; secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità essa è passata dall’8,1% nel 1992 al 16,6% nel 1998. Questa tendenza è confermata anche da altri studi epidemiologici europei effettuati dall’International Centre for Migration and Health dell’OMS. Questa patologia colpisce pazienti irregolari che vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia rispetto alla popolazione generale, sia rispetto agli stranieri con regolare permesso di soggiorno.

Una maggiore frequenza, in confronto alla popolazione italiana, dei ricoveri causati da traumatismi (5,7 % negli stranieri, 4,8 negli italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe essere la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali vanno incontro i lavoratori immigrati. L’analisi delle schede di dimissione ospedaliera mostra, inoltre, tra le cause più frequenti di ricovero quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei ricoveri nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle vie aeree (3,1% negli stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8% negli italiani, di cui 0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti (1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane).

Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare l’emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto è quello di assicurare l’accesso delle popolazioni immigrate al Servizio Sanitario Nazionale adeguando l’offerta di assistenza pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile, attivamente disponibile e in sintonia con i bisogni di questi nuovi gruppi di popolazione, in conformità a quanto previsto dal testo unico sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti ed essenziali e alla continuità della cura anche per gli immigrati irregolari. In tale contesto, sono necessari, fra l’altro, sia interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull’offerta dei servizi da parte delle ASL che l’individuazione all’interno di ciascuna ASL di unità di personale esperte e particolarmente idonee per questo tipo di rapporti.

Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:

-       migliorare l’assistenza alle donne straniere in stato di gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.;

-       ridurre l’incidenza dell’HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e delle tubercolosi tramite interventi di prevenzione mirata a questa fascia di popolazione;

-       raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;

ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Parere sul disegno di legge recante “riordino del rapporto di lavoro dei medici del Ssn”

 

Punto 1.1) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni

 

A seguito del confronto svoltosi nella  Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome del 25 luglio 2002, sono emerse le seguenti posizioni:

Un gruppo di Regioni ( Veneto, Liguria, Piemonte, Lombardia, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise) ha espresso parere favorevole a condizione dell'accoglimento di un emendamento volto alla soppressione dell'articolo 4 (collegio di direzione) e di un emendamento al comma 2 dell'articolo 5 che prevede l'inserimento della parola "prioritariamente" dopo le parole “sono destinate”  (in riferimento alle economie di spese conseguenti al passaggio dal rapporto esclusivo a quello non esclusivo da destinarsi ai programmi aziendali per l'abbattimento delle liste d'attesa).

Le stesse Regioni condizionano altresì l’espressione del parere favorevole all’accoglimento della richiesta di cui al punto 4.

Un altro gruppo di Regioni ( Emilia Romagna, Marche, Toscana, Basilicata, Campania ed Umbria) ha espresso parere negativo sul DDL in quanto lesivo della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di tutela della salute e per le soluzioni di merito proposte.

Le stesse Regioni avanzano altresì la richiesta di cui al punto 4.

Le Regioni a statuto speciale e le Province Autonome hanno chiesto l'inserimento all'articolo 7 del seguente comma aggiuntivo:

"Nella materia di cui alla presente legge si provvede, per la Regione Valle d'Aosta, mediante apposite norme di attuazione ai sensi dell'articolo 48 bis dello Statuto speciale. Con riferimento alle altre Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano, è fatto salvo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione".

Tutte le Regioni chiedono che la Conferenza Stato-Regioni affidi uno specifico incarico al Tavolo di monitoraggio di cui al punto 15 dell’Accordo dell’8 agosto 2001per l’accertamento di eventuali oneri diretti ed indiretti derivanti dall'attuazione della presente legge che, se verificati, siano da porre a carico del bilancio dello Stato, ivi compresi quelli derivanti dalla eventuale inapplicabilità della norma cautelativa ( disdetta del contratto ) prevista dall'articolo 42, comma 2 del CCNL per l'area della dirigenza medica e veterinaria sottoscritto il 8.06.2000 e dall’analoga norma prevista dall'articolo 43  del CCNL della area della Dirigenza sanitaria, professionale tecnica e amministrativa sottoscritto in pari data.

Le Regioni e le Province Autonome, cogliendo l’occasione posta dal dibattito che si è  sviluppato intorno al presente DDL, propongono al Ministro degli Affari Regionali di attivare un percorso che porti, ad integrazione della intesa interistituzionale del 30 maggio 2002, alla definizione di un documento condiviso nel quale convenire sulle parti del D.lgs 502/92 e successive modifiche ed integrazioni, da considerarsi  norme di principio fondamentale e sulle parti ormai da considerarsi nella potestà legislativa e regolamentare delle Regioni ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione. 

 

Roma, 25 luglio 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Richiesta parere Aran su schema di Ddl recante: “riordino del rapporto di lavoro dei medici del servizio sanitario nazionale” approvato, in via preliminare, dal consiglio dei ministri nella seduta del 5 luglio 2002

 

Punto 2.3) o.d.g. Conferenza Stato-Regioni

 

La Conferenza dei Presidenti, nel confermare il parere articolato reso nella seduta del 25 luglio, al fine di approfondire le problematiche relative alla verifica ed alla quantificazione di eventuali maggiori oneri conseguenti il ddl, ha richiesto nel merito un parere all’ARAN, in particolare sui seguenti profili:

 

l’impatto del provvedimento sul CCNL ed in particolare sulle disposizioni degli articoli 42 - per l’area della dirigenza medica e veterinaria - e 43 dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica e amministrativa, nel senso di esprimersi sul fatto che il provvedimento in questione costituisca un venir meno della “permanenza stabile nell’attuale quadro normativo del presente sistema di incompatibilità”;

l’impatto specifico dell’articolo 5, comma 1 sul medesimo articolo 42, comma 2, laddove viene prevista l’immediata disdetta del contratto e la riapertura del tavolo di negoziato.

 

In attesa di tale verifica chiede il rinvio dell’espressione del parere sul disegno di legge in oggetto.

 

Roma, 1° agosto 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME


Documento su rapporto esclusivo Dirigenti Sanitari

 

In relazione agli emendamenti che sono stati proposti nel corso della discussione sul DDL Finanziaria 2003 in materia di rapporto esclusivo dei dirigenti sanitari, la Conferenza dei Presidenti osserva quanto segue:

 

Ferma restando la piena potestà del Parlamento a intervenire modificando la disciplina legislativa vigente, si segnala la necessità che ciò avvenga senza invadere, da un lato la potestà legislativa delle Regioni e dall'altro l'ambito riservato alla contrattazione collettiva.

Nel ricordare che l'indennità di esclusività del rapporto è compensativa di un'opzione che modifica in modo irreversibile la sfera giuridica dei dirigenti sanitari, si evidenzia che le norme contrattuali stabiliscono che la disciplina del rapporto di lavoro esclusivo e del connesso trattamento economico è strettamente legata alla permanenza stabile nel quadro normativo del sistema di incompatibilità presente all'atto della stipula del CCNL.

Infatti, come formalizzato anche dall'ARAN in sede di parere richiesto dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, condizione fondamentale per la corresponsione dell'indennità attualmente finanziata con risorse regionali è il permanere dell'attuale quadro normativo sulle incompatibilità introdotto dal D.Lgs. n. 229/99.

La relazione dell'ARAN ha quantificato in circa 2.350 miliardi di vecchie lire il costo complessivo annuale dell'indennità sostenuto dalle Regioni di cui circa 700 miliardi di vecchie lire di maggior costo rispetto alla previsione iniziale.

L’eventuale intervento della legge finanziaria su tale materia che stabilisca non solo la modifica del regime delle incompatibilità, ma anche, contemporaneamente, i relativi aspetti economici, confliggerebbe con la previsione contenuta nel CCNL di riapertura del negoziato, in caso di mutato quadro normativo.

Tali modifiche legislative sarebbero inoltre prive di qualsiasi copertura finanziaria.

E' evidente che, sulla base dei livelli di responsabilità pattuiti nell'accordo 8 agosto 2001 sottoscritto fra Stato e Regioni, si dovrebbe conseguentemente ridefinire il sistema di finanziamento dell'istituto.

Fermo restando quanto sopra affermato, anche ove il quadro normativo rimanga inalterato, le Regioni, preso atto della spesa complessiva evidenziata dalla relazione dell'ARAN oggi presentata in sede di Conferenza, si riservano di procedere alla verifica dell'applicazione dell'istituto, come già previsto ai sensi dell'art. 11 del CCNL 8/6/2000, II biennio economico.

 

Roma, 12 dicembre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Costituzione Struttura interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con  il personale, medici e altre professionalità sanitarie, convenzionato con il S.S.N.

 

Premessa

 

Attualmente, a norma dell’art.48 della Legge 833/78 e successive modificazioni, l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale medico a rapporto convenzionale è garantita sul territorio nazionale da accordi collettivi nazionali, di durata triennale, stipulati fra la delegazione di parte pubblica come definita dall’art.4, comma 9 della Legge 412/1991 e le organizzazioni sindacali di categoria.

La delegazione di parte pubblica  è costituita da rappresentanti regionali nominati dalla Conferenza Stato - Regioni. Vi partecipano i rappresentanti dei Ministeri del Tesoro, del Lavoro e della Previdenza Sociale e della Sanità (oggi dell’Economia e delle Finanze e della Salute).

Gli accordi collettivi nazionali sono resi esecutivi con un Decreto del Presidente della Repubblica in quanto regolamenti di organizzazione, cioè atti amministrativi generali a contenuto normativo ai sensi dell’art.17, c.1, lett. d) della Legge n.400/1988.

Gli AA.CC.NN. sono integrati da Accordi regionali e aziendali.

 

I vigenti AA.CC.NN.:

D.P.R.  28 luglio 2000, n.270 (disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale);

D.P.R. 28 luglio 2000, n.271 (disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni);

D.P.R. 28 luglio 2000, n.272 (disciplina dei rapporti con i pediatri di libera scelta);

D.P.R. 21 dicembre 2001, n.446 (disciplina dei rapporti con i biologi, chimici e psicologi ambulatoriali);

sono scaduti il 31 dicembre 2000. Ancor prima è scaduto il D.P.R. 8 luglio 1998, n.371(disciplina dei rapporti tra farmacie territoriali e SSN) .

 

A seguito della modifica del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n.3) la “tutela della salute” (in sostituzione della vecchia dizione “assistenza sanitaria ed ospedaliera”) costituisce ora materia di legislazione regionale concorrente (art.117, c.3), da esercitarsi entro i seguenti limiti:

Costituzione;

Vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

“Principi fondamentali”, la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato.

 

La potestà regolamentare, riconosciuta allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva statale, viene oggi riconosciuta alle Regioni in ogni altra materia; appare, pertanto, escluso ogni spazio regolamentare statale nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente.

 

Per quanto riguarda la potestà legislativa concorrente si rileva, di conseguenza, la necessità di individuare i nuovi effettivi “principi fondamentali” della materia che, nel caso delle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale, riguardano sia la “tutela della salute” che le “professioni”.

 

In proposito si richiamano le valutazioni sui mutamenti dell’assetto costituzionale, effettuate dall’Area Affari Istituzionali (documento 29 novembre 2001) della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome:

lo Stato non può emanare disposizioni regolamentari in materie diverse da quelle di sua competenza legislativa esclusiva. Eventuali regolamenti statali, adottati in materie regionali, sono viziati da illegittimità costituzionale e sono in ogni caso recessivi rispetto a norme di legge o di regolamento regionale.

Le Regioni possono attivare da subito anche la potestà legislativa concorrente per le materie di cui al comma 2 dell’art.117, desumendo eventualmente i “principi fondamentali” dalla legislazione vigente. L’opportunità di una norma statale che indichi i principi della materia non è, infatti, ostativa né propedeutica alla approvazione di leggi regionali in materia, essendo palesemente inaccettabile che l’esercizio di potestà legislative alle Regioni voluto dal legislatore costituente possa essere condizionato, nella sua effettività, dall’inerzia del legislatore statale ordinario nell’esercitare la propria potestà di determinare i principi. Qualora in una materia non vi sia normativa da cui desumere principi, in aderenza a quanto già accadeva nell’ordinamento previgente, le Regioni possono comunque legiferare. La potestà legislativa concorrente regionale, oltre agli eventuali principi stabiliti dalla legge statale, non troverà altri limiti che quelli stabiliti per la legislazione esclusiva: nessun altro limite specifico è infatti indicato in Costituzione e nessun altro limite è quindi ipotizzabile, a pena di invalidare l’intero impianto costituzionale di equiordinazione tra leggi statali e leggi regionali.

 

Ciò premesso, si rende necessario individuare:

 

1. Soggetti della contrattazione con le OO.SS.

 

Si dovrà prevedere la costituzione di uno specifico organismo che operi sulla base di precisi indirizzi da parte della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome, composto da un coordinatore e da esperti del settore appositamente dedicati nominati dalla stessa Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome. Allo stesso organismo sarà affidato il compito di verifica dell’accordo. Tale organismo si avvale, nelle varie fasi della contrattazione e della verifica anche del gruppo interregionale della medicina convenzionata.

Pur essendo venuta meno nella delegazione trattante di parte pubblica la necessità della partecipazione dei rappresentanti ministeriali, si rileva l’opportunità della presenza  del Ministero della Salute nonché dell’Economia e delle Finanze e del Welfare (per ciò che riguarda gli aspetti previdenziali).

 

2. Oggetto della contrattazione.

 

Per quanto riguarda l’oggetto della contrattazione, si dovrà tendere a definire un accordo collettivo nazionale dai contenuti giuridici ed economici minimi ed essenziali, valido su tutto il territorio a garanzia del principio della continuità nell’assistenza per gli utenti , dei principi di uguaglianza e della libera circolazione dei professionisti e per l’individuazione delle prestazioni sanitarie nel rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza.

La disciplina di dettaglio del rapporto di lavoro dei medici e delle altre professionalità sanitarie e la definizione degli elementi necessari al perseguimento degli obiettivi di salute ulteriori fissati dai diversi Piani Sanitari Regionali dovrà essere invece regolamentata dalle singole Regioni.

 

3. Forma dell’A.C.N.

 

Tale accordo collettivo nazionale, sottoscritto dalle parti, viene recepito con Accordo Nazionale Quadro adottato in sede di Conferenza Stato - Regioni ex art.4 del D.Lgs. 281/1997 attraverso lo strumento dell’Accordo o dell’Intesa.

 

4. Tempi e modalità di attuazione del nuovo A.C.N

 

E’ necessario entro settembre 2002 venga avviata la fase di preparazione dello schema del nuovo A.C.N., a partire da quello relativo ai Medici di Medicina Generale, prima della formale apertura della contrattazione, escludendo qualsiasi ipotesi di accordo ponte.   

 

Proposta Organizzativa: attività, rapporti e funzione della Struttura interregionale

 

In attesa che si pervenga ad una modifica dell'articolo 4 comma 9 della Legge 412/91, in modo da consentire la nascita di un organismo analogo all'ARAN e sottoposto ad indirizzo politico delle Regioni, è necessario, eventualmente ricorrendo ad un accordo transitorio Stato Regioni, garantire fin da subito quanto di seguito proposto. Viene costituito un organismo tecnico delle Regioni denominato "Struttura tecnica interregionale per la negoziazione della disciplina dei rapporti con il personale, medici ed altre professionalità,  convenzionato con il S.S.N." ( di seguito chiamato Struttura interregionale.)  La Struttura interregionale è un organismo tecnico delle Regioni con sede presso la Segreteria della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, a Roma, che svolge ogni attività relativa alla negoziazione e definizione degli accordi collettivi nazionali del personale (medico e delle altre professionalità sanitarie) convenzionato con il SSN, ivi compresa l’interpretazione autentica delle clausole della vigente disciplina contrattuale e i rapporti sindacali.

L’attività di contrattazione collettiva nazionale della Struttura interregionale consiste nel definire gli AA.CC.NN. relativi ai vari settori espressamente previsti dalla legislazione vigente

Nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali, la Struttura interregionale si attiene agli atti di indirizzo ricevuti dal Comitato di coordinamento politico di cui al successivo paragrafo.

Gli atti di indirizzo contengono principi ed obiettivi generali dell'azione di governo delle Regioni sulla sanità ed i conseguenti obiettivi fondamentali della specifica disciplina contrattuale di settore, ivi comprese le disponibilità finanziarie per i contratti da stipulare.

La Struttura interregionale informa costantemente il Comitato di coordinamento politico sullo svolgimento delle trattative.

Raggiunta l’ipotesi di accordo la Struttura interregionale acquisisce il parere favorevole del Comitato di coordinamento politico sul testo contrattuale e sugli oneri finanziari diretti ed indiretti che ne conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate.

Acquisito  il  parere  favorevole  sull'ipotesi  di accordo, la Struttura interregionale trasmette la  quantificazione  dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui  all'articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. La Corte dei conti certifica l'attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli  strumenti di programmazione e di bilancio, e può acquisire a tal fine elementi istruttori e valutazioni da tre esperti designati dal Presidente del  Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.  La designazione degli esperti, avviene  previa  intesa  con  la Conferenza  Stato-Regioni. Gli esperti sono nominati prima che l'ipotesi di accordo sia trasmessa alla Corte dei conti.

La Corte dei conti delibera entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte  all'Agenzia, al Comitato di coordinamento e al Governo. Se la certificazione è positiva, il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome sottoscrive l'A.C.N.

Se  la  certificazione  della  Corte  dei conti non è positiva, la Struttura interregionale, sentito il Comitato dì coordinamento politico , assume le iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi contrattuali ai finì della certificazione, ovvero, qualora  non lo ritenga possibile, convoca le organizzazioni sindacali ai  fini della riapertura delle trattative. Le iniziative assunte dalla Struttura interregionale in seguito alla valutazione espressa dalla Corte dei conti sono comunicate, in ogni caso, al Governo ed alla Corte dei conti, la quale riferisce al Parlamento sulla  definitiva quantificazione dei  costi contrattuali, sulla loro copertura finanziaria e sulla loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. In ogni caso, la procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giorni dall'ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome sottoscrive l'A.C.N. salvo che non si renda necessaria la riapertura delle trattative.

 

La Struttura interregionale è composta da esperti del settore nominati dalla Conferenza dei Presidenti sulla base delle designazioni presentate dalle singole Regioni o Province Autonome e dopo aver esaminato i relativi curriculum professionali.

Tali esperti, a cui si richiede un impegno costante, di almeno tre giorni a settimana, possono essere individuati sia tra dipendenti regionali che all’esterno. A seconda della tipologia del rapporto di lavoro esistente, si individuano due diverse modalità di rimborso degli oneri economici conseguenti:

Personale dipendente delle Regioni: rimborsi spese e diaria giornaliera ovvero trattamento di missione;

Personale esterno all’amministrazione regionale: contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Gli oneri connessi alla partecipazione degli esperti sono anticipati dalla Regione proponente al Cinsedo che provvede a stipulare appositi contratti con gli interessati .

Gli esperti hanno il compito di elaborare le proposte di AA.CC.NN. per il  rinnovo della disciplina dei rapporti del personale 8medico ed altre professionalità sanitarie) per il periodo 2001-2003.

La Struttura interregionale, al fine di verificare la coerenza della contrattazione con gli obiettivi regionali, si avvale della collaborazione del Gruppo interregionale per la medicina convenzionata (costituito dai responsabili o referenti delle singole regioni sulla materia) per lo studio, l’elaborazione, il monitoraggio della documentazione necessaria all’esercizio della contrattazione collettiva,

Nel rispetto dei principi sopra indicati, la Struttura interregionale regola autonomamente le proprie modalità di funzionamento e di deliberazione.


Comitato di coordinamento politico per le Convenzioni.

 

Le Regioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti della Struttura interregionale per le competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale attraverso un Comitato di coordinamento politico

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome sentito il Coordinamento degli Assessori alla sanità definisce principi ed obiettivi della contrattazione per il rinnovo degli AA.CC.NN. dell'area in questione.

Gli  indirizzi  per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dal Comitato di coordinamento prima di ogni rinnovo contrattuale e negli  altri casi  in  cui è richiesta una attività negoziale della Struttura di coordinemento. 

Per la stipulazione di accordi che regolano istituti comuni, o che hanno riflessi, sui contratti del comparto sanità le funzioni di indirizzo e le altre competenze inerenti alla contrattazione collettiva sono esercitate in forma collegiale dal Comitato di coordinamento qui previsto e il Comitato di Settore del comparto sanità.

Gli atti di indirizzo del Comitato di coordinamento, per gli aspetti attinenti gli aspetti economici, prima di essere inviati alla Struttura interregionale, sono sottoposti al Governo che, non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale.

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome potrebbe decidere che il Comitato di Coordinamento politico di cui al presente paragrafo coincida con il Comitato di settore per il comparto sanità (articolo3 DLgs 396/97) prevedendo , eventualmente la integrazione o l'alternanza di alcune Regioni.


 

 

Composizione della Struttura interregionale

 

Sono pervenute alcune segnalazioni da parte delle Regioni per la costituzione della Struttura interregionale.

Le segnalazioni pervenute sono le seguenti::

 

REGIONE

 

NOMINATIVO

 

Basilicata

 

Giacoia   Rocchina

 

Campania

 

Cau Norberto

 

Lazio

 

Coletti Chiara

 

Liguria

 

Basso Giuseppe

 

Lombardia

 

Sandrini Fabio

 

Toscana

 

Faillace Raffaele

 

Umbria

 

Comparozzi Giuliano

 

Valle d'Aosta

 

Scalise Silvana

 

Veneto

 

Covolo Luigi

 

 

 

Roma, 26 settembre 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Linee guida per l'organizzazione dei servizi di soccorso sanitario con elicottero

 

Roma, 28 febbraio 2002

 

“A”

PREMESSA

Il D.P.R. 27 marzo 1992, presupposto normativo imprescindibile, sancisce i livelli di assistenza sanitaria di emergenza.

A tale proposito, nell'ambito di questa norma, vengono disciplinati, tra l'altro, il sistema di emergenza sanitaria (art.2), il sistema di allarme sanitario (art.3), le competenze e responsabilità delle Centrali Operative (art.4) e la disciplina delle attività (art.5).

L'art.5 comma 2, del predetto D.P.R. stabilisce che: "L'attività di soccorso sanitario costituisce competenza esclusiva del Servizio Sanitario Nazionale. Il Governo determina gli standard tipologici e di dotazione dei mezzi di soccorso ed i requisiti professionali del personale di bordo di intesa con la Conferenza Stato - Regioni".

L'atto di intesa tra Stato e Regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del predetto Decreto per quanto relativo al Sistema territoriale - mezzi di soccorso - prevede, al punto 5, "l'eliambulanza: mezzo di norma integrativo delle altre forme di soccorso".

Il coordinamento del servizio di Soccorso Sanitario con elicottero nell’ambito del  sistema dell'emergenza urgenza è assicurato dalla Centrale Operativa. La dotazione di personale sanitario è composta prioritariamente da un medico specialista in anestesia rianimazione o altro specialista che possieda comunque comprovata esperienza e formazione nel campo dell’emergenza con competenze tali da attuare le procedure indicate nell'allegato 1, da un infermiere con documentata esperienza e formazione e/o da altro personale qualificato da stabilire in sede regionale.

L'ubicazione delle basi eliportuali deve tenere conto della dislocazione degli ospedali afferenti al sistema dell'emergenza, dell'orografia, della meteorologia, dei nodi stradali, degli agglomerati urbani ed industriali".

Da quanto sopra esposto si evince inequivocabilmente che la rete dell'emergenza - urgenza, di esclusiva competenza del Servizio Sanitario Nazionale, è sostanzialmente costituita da:

Centrali Operative dotate di un numero telefonico unico nazionale di accesso breve (118) alle quali convergono tutti i collegamenti di allarme sanitario che consentano un unico coordinamento del sistema territoriale di soccorso;

una rete di servizi e presidi, funzionalmente differenziati, in grado di rispondere alle necessità della popolazione in relazione alle potenzialità strutturali ed organizzative richieste.

In funzione di quanto sopra enunciato il servizio di Soccorso Sanitario con elicottero appartiene a pieno titolo a tale sistema.

Alla realizzazione di tale Servizio possono concorrere Enti ed Organizzazioni pubblici e privati oltre alle Società di Lavoro Aereo in possesso dei requisiti richiesti dalle vigenti norme in materia aeronautica purché, in ossequio alla competenza esclusiva del Servizio Sanitario Nazionale relativamente agli interventi di urgenza - emergenza, garantiscano una completa e totale disponibilità ed osservanza dei protocolli di impiego dei mezzi ed equipaggi unilateralmente predisposti dal titolare del servizio.

 

I criteri minimi per la determinazione del fabbisogno, per la definizione degli standard prestazionali comprensivi dei requisiti dei mezzi e del personale addetto, la tipologia delle prestazioni richieste, gli obiettivi del servizio intesi anche come potenzialità operativa, i requisiti necessari alla realizzazione degli indispensabili presupposti di sicurezza e tutto quant'altro attinente alle modalità di svolgimento del servizio nel suo complesso, vengono indicati nel presente documento.

Gli aeromobili, che devono risultare ad uso esclusivo delle Centrali Operative "118", devono rispondere perfettamente ai requisiti previsti dalle norme vigenti ed ai presupposti operativi unilateralmente stabiliti dai rispettivi Responsabili dei Servizi anch'essi naturalmente vincolati dalle normative nazionali e regionali vigenti in materia.

 

"B"
DEFINIZIONE E COMPITI ISTITUZIONALI DEL SERVIZIO

E' compito istituzionale del S.S.N. ed in particolare del Sistema di Urgenza Emergenza Sanitaria "118" la tutela della salute dei cittadini garantendo a chiunque si trovi in una situazione di emergenza sanitaria, reale o potenziale, ogni intervento volto a portare sul luogo dell’evento, il soccorso più qualificato con i propri mezzi disponibili sul territorio, favorendone una corretta ospedalizzazione.

Alla luce delle nuove concezioni del soccorso sanitario, un moderno sistema d'emergenza deve trovare soluzioni sempre più avanzate per la medicalizzazione rapida del paziente critico e per il suo trasporto in condizioni di piena sicurezza nei centri attrezzati per il trattamento della patologia specifica.

I Servizi di Soccorso Sanitario con elicottero, risorse di elevatissimo livello professionale, affidati alla responsabilità di un medico, appartenendo operativamente a tutti gli effetti al Sistema "118", contribuiscono al raggiungimento dei suoi obiettivi.

A livello internazionale il Servizio di Soccorso sanitario con elicottero è classificato:

HEMS (Helicopter Emergency Medical Service) Servizio di emergenza medica con elicottero-Eliambulanza, che ha lo scopo di facilitare l'assistenza sanitaria d'emergenza, anche con tecniche speciali, dov'è essenziale il trasporto rapido ed immediato di:

personale sanitario;

equipaggiamento sanitario;

persone malate o infortunate;

attrezzature, sangue, organi, farmaci,

L'equipaggio HEMS è regolamentato dalla Direttiva Dirigenziale (D.D.) 41/6821/M.3 E., in linea con le norme europee JAR-OPS 3.

HSR o SAR (Helicopter Search and Rescue - Servizio di ricerca e salvataggio) – Elisoccorso - che ha lo scopo di dare immediata assistenza alle persone minacciate da grave pericolo o da un ambiente ostile.Il servizio HSR-SAR è regolato dalla D.D.41/6821/M3E.L'appendice che regola il servizio HEMS non si applica al volo HSR-SAR. Le Autorità dei singoli paesi della Comunità hanno il potere di decidere quali missioni siano da classificare HEMS/HSR/HAA.

HAA (Helicopter Air Ambulance flight) Volo di Eliambulanza, che ha lo scopo di facilitare l'assistenza sanitaria, in un volo normalmente pianificato in anticipo, dove non è essenziale un immediato e rapido trasporto (come al punto 1) e rientra nella normativa per il Trasporto Pubblico Passeggeri.

Queste definizioni sono state adottate con decorrenza marzo 1999 dalla Comunità Economica Europea, nell'ambito della quale la J.A.A.R. (Joint Aviation Authorities Requirements) lascia alle autorità dei singoli Paesi sia il potere di definire con chiarezza quali operazioni debbano considerarsi appartenenti alle singole definizioni che di regolamentare i turni di volo, di servizio e di riposo degli equipaggi di volo.

In relazione alla elevata potenzialità operativa, ma anche in osservanza ai noti limiti meteorologici che ne condizionano la possibilità d'impiego, tali servizi risultano necessariamente integrativi e non sostitutivi dei più tradizionali sistemi del soccorso.

Obiettivo primario del servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è intervenire per "soccorrere" (ed in alcune situazioni prioritariamente per "salvare") chiunque abbia necessità di un intervento che solo mezzi ad ala rotante possono garantire o che risenta sensibilmente del vantaggio dell'intervento di tali mezzi rispetto ad altre alternative.

Questi Servizi, esclusivamente impiegati per interventi sanitari di Urgenza - Emergenza, in particolari contesti, quali quelli connessi all'attività di competenza della Protezione Civile, possono essere straordinariamente utilizzati su formale richiesta dell'Autorità competente.

In ogni caso, anche in questi peculiari contesti, detti Servizi rimangono sotto il controllo diretto della Centrale Operativa "118" che ne gestisce unilateralmente l'impiego in funzione dei propri compiti istituzionali stabilendo le varie priorità di intervento anche in relazione alle estemporanee esigenze ed in funzione del complesso dei supporti logistici e dei mezzi alternativi a disposizione.

Il Servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è gratuito per il Cittadino, se dovuto,  ai sensi dell'art. 11 del D.P.R.27.3.92. E' facoltà delle Amministrazioni Regionali o Provinciali rivalersi su altre Amministrazioni Pubbliche dei costi inerenti gli interventi quando previsto dalle normative vigenti; inoltre è opportuno il recupero degli oneri, nel caso l'assistenza dell'infortunato sia garantita da specifici ed all'uopo predisposti risvolti assicurativi.

Ulteriori necessità straordinarie di velivoli di soccorso sanitario, da prevedersi nell'ambito di manifestazioni di massa a carattere privato, devono essere concordate con la Centrale Operativa di riferimento e le spese inerenti sopportate dall'organizzazione che gestisce l'evento. Quanto sopra allo scopo di non sottrarre la risorsa ai compiti istituzionali a cui deve risultare dedicata.

 

"C"
PARAMETRI PER L'IDENTIFICAZIONE DEL NUMERO DELLE BASI NECESSARIE A LIVELLO REGIONALE

I servizi di Soccorso Sanitario con elicottero, devono essere istituiti su tutto il territorio nazionale ed in particolare devono essere messi a disposizione di quelle popolazioni incidenti su aree in cui non risulta possibile fornire diversamente una risposta completa ed adeguata in termini temporali, qualitativi e quantitativi all’emergenza.

La predisposizione del numero delle basi necessarie a livello delle singole Regioni o Province autonome, non può prescindere dall'analisi accurata di una serie di condizioni oggettivabili e contestualmente da un oculato rapporto costo/beneficio.

Le variabili ordinariamente da considerare dovranno essere:

morfologia del territorio e superficie da "servire";

densità demografica e flussi turistici;

numero, tipologia, dislocazione e potenzialità diagnostico - terapeutica della rete ospedaliera di riferimento, ivi compresi i DEA, Centri Trauma, ecc.;

vie di comunicazione;

numero e tipologia dei mezzi di soccorso ordinariamente predisposti;

altri fattori storicamente ostili.

Per quanto attiene il soccorso sanitario primario dovrà essere garantito, di norma, un intervento nell'ambito di un tempo non superiore ai 20 minuti di volo.

E’ altresì importante che ogni Regione predisponga un modello che consenta una razionale collocazione di elisuperfici predisposte al volo notturno per consentire una migliore integrazione della rete di emergenza con la rete ospedaliera presente sul territorio.

Al fine di contenere gli elevati costi di gestione di tali servizi la strategia di definizione del numero delle basi e delle relative potenzialità operative è auspicabile venga condivisa, ove possibile, anche con le analoghe predisposizioni delle altre Regioni o Province Autonome confinanti, definendo protocolli operativi ed amministrativi comuni.

 

"D"
INDICAZIONI ALL'UTILIZZO DEL VELIVOLO E PROTOCOLLI D'INTERVENTO

AMBITO DI SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO

L'impiego degli aeromobili è previsto nei seguenti casi:

intervento di tipo "primario" ovvero soccorso sanitario extra ospedaliero che prevede il trattamento e l'eventuale trasferimento del paziente dal luogo in cui si è verificato l'evento acuto al presidio ospedaliero più idoneo;quanto sopra in tutte le situazioni e per tutte quelle patologie che mettano a rischio la sopravvivenza di una singola persona o di una collettività, eventualmente in collaborazione con altri enti preposti alla fase di salvataggio;

intervento di tipo "secondario" - anche programmabile - ovvero trasferimento di pazienti critici da ospedale a ospedale;

salvataggio, soccorso e trasporto in occasione di emergenze di massa;

trasporto urgente di sangue, plasma e loro derivati, antidoti e farmaci rari (qualora non disponibili altri mezzi alternativi);

trasporto urgente di équipe e materiale a fini di prelievo o trapianto d'organi o tessuti (qualora non disponibili altri mezzi alternativi);

esercitazioni ed attività formative del personale nel pieno rispetto dell'operatività.

L'impiego di tali aeromobili è esclusivamente disposto dalla Centrale Operativa "118" competente per territorio, indipendentemente se direttamente dotata del servizio, sulla base di protocolli condivisi a livello regionale o di provincia autonoma.

DEFINIZIONE DEI CRITERI DI MISSIONE PER INTERVENTO PRIMARIO E TRASFERIMENTO SECONDARIO

I criteri d'utilizzo dell'elicottero sanitario sono definiti, a livello regionale o di provincia autonoma, in un regolamento o, in alternativa, un documento di indirizzo, redatto dai Responsabili delle CC.OO.118.

Come regola generale, la filosofia di gestione di una base di Soccorso Sanitario con elicottero deve concepire l'intervento dell'aeromobile come veloce mezzo di trasferimento dell'équipe di rianimazione sul luogo di insorgenza della patologia acuta, in supporto ai mezzi terrestri e l'eventuale trasferimento del paziente critico all'ospedale in grado di garantire la diagnosi e la terapia definitiva.

Il trasporto assistito con elicottero consente inoltre di ridurre al minimo il tempo in cui il paziente si trova esposto all'insorgenza di complicanze che, manifestandosi al di fuori dell'ambiente protetto ospedaliero, possono comprometterne la sopravvivenza.

I criteri generali relativi alle indicazioni all'intervento dell'elicottero sanitario devono essere pianificati a livello delle singole Regioni o Province Autonome secondo i principi enunciati dalla letteratura nazionale ed internazionale in materia.

La metodologia di codifica degli interventi è quella prescritta in materia della normativa ministeriale e può essere localmente integrata da ulteriori classificazioni, all'uopo predisposte a livello regionale.

 

"E"
TIPOLOGIA DEI VELIVOLI IMPIEGATI

In ossequio alle indicazioni  internazionali vigenti, i velivoli impiegati devono risultare plurimotori in grado di operare, quantomeno, in categoria “A”.

Tale esigenza è correlata al perseguimento di maggiori garanzie di sicurezza, al fine di poter operare in zone densamente abitate e/o in zone di intervento e da eliporti che, per presenza di ostacoli e/o per collocazione orografica, impongono particolari profili di decollo e atterraggio.

 

"F"
TIPOLOGIA DI VOLO EFFETTUABILE

IL VOLO DIURNO

Qualsiasi missione HEMS - HSR deve essere condotta nel rispetto dei minimi meteorologici disciplinati dalla D.D.41/68221/M3E dell'8/11/94; premesso quanto definito relativamente al volo HEMS e HSR o SAR, nella direttiva sopra citata le operazioni HSR-SAR sono definite anche come "Elisoccorso in Montagna", pertanto in Italia l'Elisoccorso HSR-SAR corrisponde al soccorso in montagna e, per similitudine, l'Elisoccorso che necessita di tecniche alpinistiche di recupero.

L'uso del verricello e del gancio baricentrico, sono da considerarsi tecniche di recupero eseguite sotto la responsabilità dell’Ente o della Società esercente secondo i principi enunciati dalla D.D.41/68221/M3E dell’8/11/94 in particolare per quanto riguarda il volo HSR.

I voli di Eliambulanza non sono regolamentati in modo specifico e rientrano nel più vasto campo dei voli Commerciali di Trasporto Pubblico Passeggeri.

 

IL VOLO NOTTURNO

Caratteristiche del volo a vista notturno con gli elicotteri (VMC).

Un volo viene considerato notturno se effettuato nel periodo compreso fra mezz'ora dopo il tramonto e mezz'ora prima del sorgere del sole, secondo i dati riportati nelle Effemeridi Aeronautiche delle località.

Per quanto concerne le operazioni notturne la direttiva prevede la composizione e le caratteristiche dell'equipaggio di condotta ed i minimi di visibilità. E’ normativamente previsto l’impiego di elisuperfici abilitate.

La realizzazione delle modalità di volo notturno, che presenta non indifferenti problemi sul piano della sicurezza e dell'impegno organizzativo, sia dal punto di vista del reperimento del personale di condotta che da quello dei costi, appare auspicabile unicamente per pochi servizi di Elisoccorso in ambito regionale o interregionale che possano essere anche coinvolti in trasporti secondari urgenti diretti verso centri ad alta specializzazione (Neuro-Cardio-Chirurgia, Patologia Neonatale ecc.) ovvero richiesti da comunità residenti in aree montane o isole.

 

"G"
CARATTERISTICHE DELL'EQUIPAGGIO DI CONDOTTA

La Direttiva 41/6821/M.3E.lascia agli Enti appaltatori del Servizio la possibilità di definire la composizione dell'équipe in attività HEMS, richiedendo come equipaggio minimo: pilota e membro di equipaggio HEMS (soggetto assegnato ad un volo HEMS a disposizione di chiunque necessiti di assistenza a bordo dell'elicottero e per coadiuvare il Pilota durante la missione).A tale soggetto deve essere data formazione specifica.

Per gli interventi di tipologia HSR/SAR, la Direttiva specifica che l'equipaggio minimo deve essere composto dal Pilota, dal Tecnico Elicotterista, da un Medico con conoscenza delle specifiche tecniche di soccorso in montagna e da un Tecnico soccorritore qualificato dagli Enti od Organizzazioni legalmente riconosciute.

Le JAR OPS 3 precisano che la missione di soccorso è prettamente HSR/SAR solo se non vi è una esclusiva esigenza di intervento sanitario, bensì la necessità di soccorrere un soggetto in condizioni di pericolo da ambiente ostile, altrimenti rientrerebbe tra le missioni HEMS.

Per quanto riguarda il numero di addetti, i titoli professionali e le esperienze che i Piloti debbono possedere per operare in attività di volo HEMS e/o HSR/SAR, la Direttiva e le JAR OPS 3 prevedono requisiti minimi per garantire il Servizio ordinariamente.

Gli Esercenti e gli Enti Appaltatori, qualora abbiano necessità di operare in condizioni particolari, possono prevedere personale con un bagaglio di esperienza maggiore, conoscenza approfondita del territorio di competenza, e, ove richiesta o prevista, la conoscenza di una seconda lingua di interesse locale, oltre alla lingua italiana.

L'equipaggio di condotta dovrà svolgere la propria attività conformemente alle norme che ne disciplinano la composizione e la turnazione.

Appare ugualmente importante, durante le missioni, la presenza del Tecnico di Bordo che, oltre a curare la manutenzione, è il responsabile della sicurezza a terra durante le manovre di atterraggio e decollo.

Il Tecnico deve essere in possesso del Certificato di Idoneità Tecnica rilasciato dall’ENAC con abilitazione al tipo di elicottero impiegato ed idoneo per le operazioni di linea ed all'impiego del verricello e/o gancio baricentrico  ove previsto.

La dotazione organica degli equipaggi di volo dovrà comunque essere rispondente alle limitazioni stabilite dalla Direzione Generale dell'Aviazione Civile del Ministero dei Trasporti con Circolari n.440551/PL7 in data 2 aprile 1993 e n.443414/PL7 in data 7 luglio 1995 e successive integrazioni.

 

"H"
CARATTERISTICHE DELLA COMPONENTE  SANITARIA

L'équipe deve essere composta, oltre all'equipaggio di volo, da:

un medico preferibilmente Anestesista Rianimatore;

un infermiere;

altre unità in funzione delle necessità operative, nei limiti delle capacità di trasporto dell'aeromobile.

 

La competenza richiesta al personale impiegato in un servizio di Elisoccorso non può prescindere da una esperienza maturata in reparti di area critica e/o di emergenza, dove vi sia stata la possibilità di acquisire la conoscenza delle  manovre indispensabili per garantire la sopravvivenza di pazienti in condizioni critiche.

In ogni caso, il personale Medico ed Infermieristico impiegato in questi Servizi dovrà essere preparato e formato al compito da svolgere.

La formazione del personale deve svolgersi secondo quanto previsto dalla D.D.41/68217/M3 che realizza i contenuti in materia previsti dalla JAR – OPS 3.

Le caratteristiche del personale sanitario impiegato, le competenze professionali e la formazione sono descritte nell'allegato 1.

 

"I"
FORMAZIONE TECNICA DEL PERSONALE SANITARIO

In relazione alla necessità di effettuare missioni di soccorso in ambiente montano, marino, lacustre o fluviale dovranno essere redatti, in collaborazione con i responsabili degli Enti deputati al soccorso (VV.d.F., C.N.S.A.S., personale di salvataggio, ecc.) idonei protocolli operativi.

Le Regioni e le Province Autonome provvederanno all’eventuale stipula di apposite convenzioni allo scopo di garantire sia la presenza di personale tecnico per le operazioni di soccorso, che l'addestramento e l'equipaggiamento del personale sanitario che partecipa a queste missioni.

Restano comunque da definire, in ambito regionale o di provincia autonoma, le competenze e le responsabilità dei vari Enti che concorrono a tale tipo di soccorso nei casi in cui le competenze tecniche di "salvataggio" si integrino con le competenze "sanitarie" proprie del SSN.

Per quanto riguarda la "formazione tecnica", si possono considerare almeno due settori da prendere in esame a seconda delle caratteristiche del territorio su cui si opera:

settore alpinistico;

settore acquatico.

 

La "FORMAZIONE TECNICA NEL SETTORE ALPINISTICO" è da riferire alla specifica attività alpinistica intesa in senso lato, come attività che si configura quando, nell'effettuare il soccorso, l'elicottero opera su terreno ostile di tipo alpino o utilizza tecniche proprie di volo HSR – SAR.

In tali casi il personale sanitario, per poter operare al di fuori del velivolo, deve possedere una formazione finalizzata.

L'addestramento deve prevedere un minimo di numero 3 giornate intere annuali obbligatorie (con intervento dell'elicottero) con la partecipazione di tutto il personale del servizio.

Il percorso formativo del personale tecnico di supporto alle operazioni con Elisoccorso deve essere accuratamente pianificato a livello Regionale o di Provincia Autonoma secondo le peculiari esigenze orografiche ed operative avvalendosi delle Organizzazioni individuate dalle norme in materia.

 

La "FORMAZIONE TECNICA NEL SETTORE ACQUATICO" deve essere preordinata nelle regioni in cui la conformazione orografica e la pratica operativa lo richiedano. L'addestramento deve prevedere un numero minimo di 1 giornata intera annuale obbligatoria.

I contenuti e i metodi formativi dovranno essere stabiliti, d’intesa con gli Enti Istituzionali preposti, a livello delle singole regioni o province autonome.

 

"J"
DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO DI PERSONALE SANITARIO ED INCENTIVAZIONE IN RELAZIONE ALLO SPECIFICO RISCHIO

La tipicità del lavoro svolto nell'ambito di tutte le funzioni connesse all'Elisoccorso, con ciò comprendendo sia l'attività di volo sia quella svolta a terra eventualmente a bordo di ambulanze o altri mezzi di soccorso non aeronautici, richiede che al personale sanitario impiegato nell'effettuazione dei servizi svolti in Elisoccorso sia riconosciuta, anche in termini economici, una propria specificità.

Il riconoscimento di questo "status" ed il correlato trattamento economico, andrà legato sia alla professionalità specifica richiesta - in termini assistenziali e di procedure diagnostico terapeutiche che è necessario mettere in atto per affrontare la molteplicità di situazioni, strettamente connesse anche agli ambienti di lavoro particolarmente ostili, tipiche dell'Elisoccorso - sia ai rischi comunque connessi all'ambito extra ospedaliero ed, in specifico, a quello dell'attività aeronautica dell'Elisoccorso.

A questo scopo, anche in osservanza a quanto previsto dal Codice della Navigazione Marittima ed Aerea all’art. 907, si ritiene che il Ministero della Sanità, d'intesa con la Conferenza Stato Regioni, debba attivarsi presso Ministero dei Trasporti, affinché il peculiare "status" del personale sanitario che opera nei servizi di Soccorso Sanitario con elicottero sia riconosciuto ed esplicitamente trattato nelle norme contrattuali.

In sede di ogni A.S.L./A.O. titolare del servizio, in attesa di precisi riferimenti contrattuali, è opportuno che vengano individuati sistemi di incentivazione economica, anche attraverso obiettivi legati ad indicatori concordati (di processo, di esito, ecc.), proporzionali alla definizione di precisi standard qualitativi.

 

"K"
DOTAZIONI MATERIALI SANITARI E TECNICI

Per quanto riguarda le attrezzature sanitarie, la dotazione deve essere genericamente sovrapponibile a quella dei mezzi di soccorso avanzato e, ove richiesto, l’installazione deve essere approvata dall’ENAC.

I materiali devono rispondere a precisi requisiti di funzionalità aeronautica (fissaggio, posizionamento di sicurezza, limitazioni d’ingombro e peso ecc.) e devono inoltre essere trasportabili sul terreno ai fini operativi.

Gli elettromedicali devono esser connessi alla rete di bordo per la piena autonomia durante il volo, (compresa l'incubatrice da trasporto neonatale).

Le indicazioni di massima sulle dotazioni sanitarie da prevedersi a bordo dell'aeromobile di soccorso sono enumerate nell'allegato 2.

Per quanto riguarda le dotazioni utili alle prestazioni di soccorso tecnico, si rimanda alle predisposizioni delle stesse in ogni singolo ambito Regionale o di Provincia Autonoma.

 

"L"
PROTOCOLLI OPERATIVI E RAPPORTI CON ALTRI NUCLEI VOLO ISTITUZIONALI

Nell'ambito degli interventi sanitari di soccorso, unitamente all'invio di Eliambulanze/Elisoccorsi gestiti dal SSN è prevedibile che vengano coinvolti anche mezzi aerei appartenenti ad altri Enti ed Istituzioni dello Stato (Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, Aeronautica, Guardia Costiera, Forze Armate, Corpo Forestale dello Stato, ecc.) per svolgere i propri compiti istituzionali.

A questo proposito, ferma restando l'esclusiva competenza della Centrale Operativa del "118" titolare dell'area interessata all'evento nel gestire i risvolti prettamente riferibili al soccorso sanitario, è opportuno che a livello Regionale o di Provincia Autonoma, vengano predisposti appositi protocolli per un proficuo e razionale utilizzo dei mezzi di soccorso, anche aerei, nel rispetto delle specifiche competenze.

 

"M"
REGOLAMENTAZIONE INTERVENTI INTERREGIONALI ED INTERNAZIONALI

INTERVENTI INTERREGIONALI:

Allo scopo di ridurre i tempi di intervento di soccorso primario e di trasporto secondario a mezzo elicottero, di poter disporre di maggiori risorse immediatamente attivabili in caso di calamità o di maxi-emergenze e per ottimizzare l'utilizzo dei mezzi razionalizzandone l'impiego ed i costi relativi è opportuno che siano stipulate tra regioni limitrofe confinanti e comunque nelle zone interessate dalle possibilità operative dei mezzi aerei, convenzioni che assicurino il reciproco intervento degli elicotteri disponibili per operazioni si soccorso HEMS o HSR.

Gli atti amministrativi sopra enunciati devono esplicitare l'oggetto della convenzione, le condizioni tecnico operative che ne sostengono la validità, le modalità di attivazione dei mezzi, i contenuti del protocollo operativo e l'accettazione dello stesso, i responsabili della applicazione, della verifica funzionale e delle eventuali proposte di variazione, le modalità di compensazione delle spese relative agli interventi, la durata dell'atto convenzionale stesso.

 

INTERVENTI INTERNAZIONALI

Ritenendo che il salvataggio di persone infortunate o comunque in situazioni di emergenza sia da considerarsi obbiettivo prioritario, che il soccorso debba essere prestato dal Servizio più vicino ed idoneo indipendentemente dalle delimitazione dei confini nazionali e che ciò non debba essere ostacolato da procedimenti burocratici complessi, si evidenzia la necessità che le Regioni o Province Autonome, direttamente o attraverso le Autorità competenti,  provvedano alla stesura di protocolli di intervento transfrontaliero per i mezzi di soccorso ivi compreso l'elicottero di soccorso.

 

"N"
INDICATORI DI QUALITA'

 

PREMESSA

Il servizio di Soccorso Sanitario con elicottero ha come cliente finale il cittadino.

In questo caso, il fornitore è una struttura pubblica, dedicata, che attua le proprie finalità con il concorso di alcune componenti essenziali (allegato 3).

Perché l'intervento sia efficace, primo presupposto è che il mezzo sia idoneo ed efficiente, quindi sia adeguata tutta la struttura che lo gestisce. La qualità si manifesta con il rispetto di tutte le norme, discipline, raccomandazioni, standard applicabili allo specifico settore di attività.

Alcuni indicatori possono essere i seguenti:

tempo medio di decollo dopo l'allertamento;

distanza di atterraggio dal target (es. >0< di 100 m.);

numero di fermi tecnici dell'aeromobile per anno e loro tipologia (prevedibile o non prevedibile);

tempi medi di eliminazione delle cause dei fermi tecnici fino al ripristino della efficienza totale dell'aeromobile;

incidenza delle avarie o malfunzionamenti delle tecnologie di supporto (radio, meteosat, computer, elettromedicali, cercapersone, ecc.);

rapporto percentuale fra interventi primari e secondari;

valutazione degli interventi rifiutati dal pilota: motivazioni e causali;

valutazione degli interventi non portati a termine (abortiti): incidenza percentuale e causali;

valutazione dell'incidenza di ipotetiche missioni non passate dalla C.O. all'Elisoccorso. Audit periodico sui criteri di dispatch.

Codice di gravità del paziente.

Esistono infine metodi di verifica della qualità prettamente sanitari che si applicano, non tanto all'Elisoccorso in se, quanto allo stesso interpretato come uno degli strumenti operativi all'interno di un Sistema delle Emergenze nella sua globalità.

A tal fine può essere molto utile l'allestimento di data base, all'interno dei quali introdurre dati riferiti a ben definiti eventi patogeni sentinella.

I dati introdotti nel data base devono permettere di valutate le performance dei vari anelli che costituiscono la catena del soccorso (centrale operativa, mezzi di soccorso di vario livello, pronto soccorso, terapia intensiva, outcome, ecc.).

Gli eventi introdotti nel data base vanno misurati utilizzando indici di gravità noti e condivisi tramite i quali sia possibile poi eseguire, a posteriori, un procedimento di audit sull'intero sistema delle emergenze.

Si produce di seguito un elenco di parametri da sorvegliare affrontando il controllo di qualità di sistemi per l'emergenza sanitaria in generale:

formazione permanente del personale strutturato;

formazione del personale volontario e delle Associazioni in convenzione;

verifica degli standard operativi;

valutazione della frequenza di situazioni di urgenza - emergenza contemporanee;

valutazione oggettiva delle reali situazioni di urgenza emergenza mediante applicazione di indici di gravità standardizzati;

valutazione dei ricoveri impropri;

valutazione dei tempi di degenza;

valutazione della qualità delle cure;

valutazione della mortalità precoce;

valutazione dei tempi di ripresa;

valutazione dei deficit funzionali;

valutazione della complessità delle cure;

verifica dei sistemi di invio dei mezzi di soccorso (dispatch);

verifica del burn-out e del turn over del personale;

valutazione costo - beneficio.

 

“O”

CARATTERISTICHE DELLA BASE OPERATIVA

 

La base operativa dell'elisoccorso  deve rispondere a precisi requisiti tecnico costruttivi da prevedersi in fase di progettazione. Si tratta infatti del sito dove: staziona l’équipe del servizio, si effettua la preparazione e la programmazione dell'attività di volo, viene approntato ed immagazzinato il materiale sanitario e tecnico per l'effettuazione dei soccorsi, è dislocato il mezzo aereo, vengono effettuate quantomeno le manutenzioni giornaliere.

La base di elisoccorso può avere dislocazione diversa a seconda del sito individuato dal committente in ragione di necessità organizzative ed operative, nella maggior parte dei casi è lontana dalla sede principale dell'esercente il servizio; devono quindi essere presi in considerazione tutti gli accorgimenti necessari ad una gestione funzionale.

 

ASPETTI LEGATI ALLA GESTIONE TECNICA

 

dislocazione presso la base di magazzino tecnico con le parti di ricambio di consumo maggiore o per le necessità più immediate;

presenza continua di personale in grado di intervenire con tempestività, professionalità certificata e capacità autonoma di decisione per gli interventi atti a mantenere efficiente il mezzo;

pronta disponibilità di personale tecnico per soddisfare in tempi minimi gli interventi di manutenzione maggiore;

dotazione di equipaggiamenti, mezzi e strumenti atti a garantire un buon grado di autonomia della base e del personale in essa dislocato;

archivio per la conservazione della documentazione tecnica relativa alla base, all'elisuperficie, agli impianti, ed al mezzo in servizio.

 

ASPETTI LEGATI ALLA GESTIONE SANITARIA

 

presenza di magazzino farmaceutico per l'approvvigionamento ed il deposito dei materiali di consumo e dei farmaci, compresa la possibilità di conservazione delle sostanze stupefacenti a norma di legge;

possibilità di stoccaggio o di rifornimento immediato per i contenitori di ossigeno;

locale deposito per le attrezzature sanitarie, con impianti adeguati per la ricarica e la manutenzione ordinaria;

locale disinfezione e pulizia dei materiali, possibilità di smaltimento differenziato dei rifiuti;

archivio per la conservazione della documentazione sanitaria relativa alla base ed agli interventi;

 

ASPETTI LOGISTICI

 

locali per il soggiorno e lo stazionamento del personale in servizio, idonei e fisicamente adeguati per quanto concerne gli spazi, i servizi e gli arredi secondo le norme vigenti con eventuali possibilità di fruire di servizio mensa;

disponibilità di mezzi di servizio ove necessari per gli spostamenti;

impianti di telefonia e radiocomunicazione adeguati alle necessita del servizio, compresa la registrazione delle comunicazioni;

 

INFRASTRUTTURE

 

elisuperficie recintata, costruita secondo le norme in vigore,  segnalata e possibilmente sorvegliata;

sistema di illuminazione notturna ed ausili visivi secondo la normativa per il volo a vista notturno(ove previsto);

manica a vento illuminata (ove previsto il volo notturno);

segnaletica verticale diurna e notturna per eventuali ostacoli;

impianto antincendio omologato ed eventuale dotazione di personale secondo le norme;

eventuale struttura di hangaraggio idonea al tipo di mezzo ed alle condizioni climatiche ambientali;

impianto di stivaggio ed erogazione del carburante a norma;

locali di soggiorno, stazionamento, magazzini come previsto ai punti precedenti;

impianti di erogazione delle utenze necessarie al corretto funzionamento della base operativa;

impianti per l'illuminazione complessiva dell'area e sua sorveglianza.


 

 

 

ALLEGATO 1

- PARTE I -
CARATTERISTICHE E COMPETENZE DEL PERSONALE SANITARIO
IMPIEGATO IN SERVIZI HEMS/HSR/HAA INDIVIDUATO NELL’AMBITO DELL’AUTONOMIA REGIONALE E DELLE CARATTERISTICHE DEL SERVIZIO NELLE SINGOLE REGIONI

PER IL PERSONALE MEDICO IN SERVIZIO SONO PREVISTE LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:

1 FORMAZIONE PROFESSIONALE:

deve possedere esperienza clinica di trattamento ospedaliero di pazienti critici;

deve possedere prioritariamente la specialità in Anestesia e Rianimazione o altra idonea Specialità o possedere comunque comprovata esperienza e formazione nel campo dell'emergenza tale da permettere la competente applicazione delle procedure  di sostegno vitale avanzato universalmente riconosciute;

deve avere frequentato un apposito corso di formazione all'elisoccorso,  gestito dalle Centrali Operative Regionali sedi di Elisoccorso che consenta, tra l’altro, l’utilizzo della strumentazione  di cui al successivo allegato 2).

2 PROCEDURE TERAPEUTICHE:

Deve essere in grado di eseguire, quantomeno, le seguenti procedure:

intubazione oro-tracheale;

intubazione rino-tracheale con pinza di Magyll e "alla cieca";

accesso tracheale rapido;

impiego di dispositivi sovraglottici;

drenaggio estemporaneo di pneumotorace e posizionamento di drenaggio toracico;

impiego dei ventilatori automatici e delle diverse tecniche di ventilazione;

rianimazione Cardio Polmonare;

impiego di stimolatore cardiaco esterno;

incannulazione di vene periferiche;

incannulazione di vene centrali compreso l'impiego di cateteri di grande diametro (n.7/9F);

incannulazione di arterie periferiche;

infusione intraossea;

tecniche di emostasi;

reintegro volemico rapido, incluso l'impiego di infusioni a pressione;

impiego dei pantaloni Anti Shock MAST;

infusione continua di farmaci con pompa siringa e per caduta;

monitoraggio cardiaco, inclusa interpretazione dei principali aspetti patologici di un ECG;

pulsiossimetria;

capnometria;

sutura di ferite;

tecniche di immobilizzazione e procedure di recupero dei feriti.

Somministrazione di farmaci (inclusi anestetici e curari) secondo le indicazioni della letteratura internazionale in materia, compatibile con le precedenti procedure.

ASPETTI OPERATIVI:

deve conoscere/attuare tra l’altro:

Gestione della maxiemergenza ed organizzazione del triage e del PMA;

localizzazione ed organizzazione delle strutture specialistiche ospedaliere;

criteri di indirizzo dei pazienti ai centri specialistici;

protocolli di indagine clinica e di controllo di qualità del Servizio;

stesura ed aggiornamento dei protocolli operativi del team;

stesura ed aggiornamento dei protocolli di collaborazione con le altre strutture intra-extra ospedaliere;

utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione;

aspetti normativi e legislativi dell'Elisoccorso;

aspetti aeronautici della missione;

criteri di utilizzo dell'elicottero;

materiali, attrezzature, equipaggiamento individuale;

intervento in ambiente impervio/ostile e tecniche di sbarco/imbarco.

CARATTERISTICHE INDIVIDUALI:

dev'essere idoneo ad operare in situazioni ambientali complesse e/o a rischio.

PER GLI INFERMIERI IN SERVIZIO SONO PREVISTE LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:

1. FORMAZIONE PROFESSIONALE:

deve aver prestato servizio presso Unità di Terapia Intensiva e/o Servizi di Pronto Soccorso e/o Sale Operatorie d'Urgenza e presso Servizi di emergenza 118, dove ha maturato esperienza di trattamento di pazienti critici;

deve aver frequentato un apposito corso di formazione all'Elisoccorso, gestito da una delle Centrali Operative Regionali.

2. PROCEDURE ASSISTENZIALI

deve conoscere/attuare:

controllo delle vie aeree, anche mediante appositi presidi;

ossigenoterapia;

ventilazione con pallone di Ambu;

gestione dei ventilatori automatici e delle diverse tecniche di ventilazione;

rianimazione cardiopolmonare, incluso l'impiego dei defibrillatori automatici;

incannulazione di vene periferiche;

tecniche di emostasi;

impiego dei pantaloni Anti Shock (MAST);

gestione dell'Infusione continua di farmaci, con pompa siringa e per caduta;

monitoraggio cardiaco;

pulsiossimetria;

capnometria;

tecniche di immobilizzazione e procedure di recupero dei feriti/traumatizzati.

 

3. ASPETTI OPERATIVI:

deve conoscere /attuare:

protocolli di trattamento dei pazienti;

gestione della maxi emergenza ed organizzazione del triage e del PMA, ;

impiego del Glasgow Coma Scale e del Trauma Score;

protocolli di indagine clinica e di controllo di qualità del Servizio;

protocolli di collaborazione con le altre strutture intra-extra ospedaliere;

protocolli operativi del TEAM;

utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione;

aspetti normativi e legislativi dell'Elisoccorso;

aspetti aeronautici della missione;

criteri di utilizzo dell'elicottero;

materiali, attrezzature, equipaggiamento individuale;

intervento in ambiente impervio/ostile e tecniche di sbarco/imbarco.

 

4. CARATTERISTICHE INDIVIDUALI:

dev'essere idoneo ed addestrato ad operare in situazioni ambientali ostili complesse e/o a rischio.

 

- PARTE II -

ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE SANITARIO IMPIEGATO IN SERVIZI HEMS/HSAR/HAA

Fermi restando requisiti ed idoneità tecniche ed aeronautiche, verificati e rilasciati preliminarmente dagli enti e dagli esercenti preposti opportunamente coinvolti in fase di realizzazione del percorso formativo, al fine di garantire una adeguata formazione del personale sanitario, anche rispetto alle vigenti normative in materia, si indica uno schema tipo di percorso didattico.

Analogamente a quanto previsto riguardo alle conoscenze tecniche per il personale sanitario, deve essere previsto per il “passeggero tecnico” (se impiegato) un percorso formativo specifico al fine di garantire le conoscenze sanitarie necessarie a coadiuvare medici ed infermieri.

A. CORSO FORMATIVO DI BASE

Il corso è destinato a formare il personale sanitario operante nel servizio di Elisoccorso.

Il programma deve avere come riferimento linee guida nazionali ed internazionali riconosciute e la struttura stessa del corso deve rifarsi, per linee guida e metodologia didattica, agli standard formativi internazionali, nell'intento di uniformare l'operatività di tutto il personale di volo.

Il corso dovrà essere diviso in diversi moduli sequenziali in modo da alternare la parte teorica alla parte di esercitazione pratica, permettendo la valutazione del personale in ogni singola fase del corso. L'obiettivo principale sarà quello di far emergere le eventuali difficoltà sulle singole parti, consentendo l’approfondimento  ed il recupero immediato.

 

Il corso sarà, di norma, concentrato in almeno tre giornate a tempo pieno, comprensivo di teoria ed esercitazione pratica.

OBIETTIVO DEL CORSO

formare il personale, sanitario, operante nel Servizio di Elisoccorso in tutte le sue diverse componenti.

standardizzare il livello formativo ed operativo del servizio di Elisoccorso.

DESTINATARI

Il corso è indirizzato al personale sanitario operante nel Sistema Regionale di Soccorso H.E.M.S. e S.A.R. e successivamente a quello che dovrà essere inserito alla luce delle reali necessità.

Il numero indicativo dei partecipanti è di 12 unità.

SEDE

Area formativa, per la parte teorica e pratica/statica e ambienti operativi, per la parte pratica e di volo.

DOCUMENTAZIONE

All'inizio del corso dovrà essere consegnato al personale, materiale didattico comprensivo del contenuto teorico del corso e la descrizione delle tecniche adottate.

VALUTAZIONE INIZIALE

La valutazione iniziale avverrà attraverso la compilazione di un questionario, a risposte multiple, sugli argomenti che il corso tratterà e presenti nel materiale consegnato in anticipo al personale.

Obiettivo della valutazione iniziale:

valutare la preparazione teorica del singolo e dell'intero gruppo;

adattare eventualmente il corso alle esigenze del singolo in relazione alle sue conoscenze;

valutare l'efficacia del corso misurando lo scostamento con il questionario finale e con le prove pratiche finali.

PARTE TEORICA

La fase teorica dovrà prevedere lezioni frontali, per ogni argomento o parte di esso e vedrà alternarsi, come relatori, personale sanitario e tecnico operante presso il servizio di Elisoccorso (formatori ed istruttori di tutte le figure professionali presenti), supportati dalla proiezione di diapositive, filmati o lucidi.

Verranno dettagliatamente trattati gli argomenti descritti dal prospetto seguente.

Gli allievi verranno addestrati anche all'utilizzo delle apparecchiature, delle attrezzature, delle metodiche ed alle azioni comportamentali da attuare durante una missione di soccorso H.E.M.S. e S.A.R.

ESERCITAZIONI PRATICHE

Le varie esercitazioni pratiche serviranno ad applicare quanto trattato nella fase teorica, nell'ambiente tipico della missione di soccorso, permettendo l'acquisizione della necessaria dimestichezza per operare in missioni H.E.M.S. e S.A.R., nonché comprendere le necessarie procedure di comportamento in relazione ai rischi evolutivi.

VALUTAZIONE FINALE

La valutazione finale si baserà sull'analisi di:

teoria:              valutazione attraverso un questionario, a risposte multiple;

performance:   la valutazione delle esercitazioni pratiche.

STANDARD DI RIFERIMENTO

acquisizione dei concetti e abilità che si vogliono comunicare all'allievo;

entusiasmo e interesse nei confronti del sistema.

Il personale che al termine del corso non dovesse raggiungere una valutazione sufficiente al superamento dello stesso, sarà rimandato alla ripetizione in un corso successivo, anche di singole sessioni per ottenere l'abilitazione al servizio.

 

CONTENUTI FORMATIVI GENERALI DA ADOTTARSI ALLE SPECIFICHE ATTIVITA’ OPERATIVE

 parte teorica:

caratteristiche e prestazioni degli elicotteri nei diversi ambiti operativi;

compiti ed attribuzioni dei membri dell'equipaggio di condotta, sanitario e tecnico;

pericoli e norme comportamentali;

preparazione dell'elicottero e delle attrezzature speciali per missioni HEMS;

preparazione dell'elicottero e delle attrezzature speciali per missioni HSR;

sistemi intercom e di radiocomunicazione;

procedure con elicottero in atterraggio;

procedure con elicottero in hovering;

procedure con il verricello;

procedure con il gancio baricentrico;

meteorologia in montagna;

principi di autoassicurazione;

progressione su terreno con neve e ghiaccio;

tecniche speciali;

tecniche di salvataggio in acqua;

ottimizzazioni delle risorse disponibili sul mezzo;

influenza del fattore umano sull'operatività;

tecniche di gestione del lavoro in équipe;

ipotermia ed assideramento;

tecniche sanitarie e materiali in dotazione;

utilizzo dei presidi sanitari in terreno ostile.

parte pratica:

prova pratica di progressione su terreno ostile;

simulazione di manovre relative a:

immobilizzazione;

estricazione;

posizionamento;

barellamento del paziente su terreno ostile;

imbarco e sbarco con mezzo a terra;

imbarco e sbarco con mezzo in hovering;

imbarco e sbarco con verricello;

preparazione ed utilizzo delle barelle verricellabili;

prova pratica di progressione su neve;

simulazione di casi tecnico/clinici di particolare complessità.

 

B. AGGIORNAMENTO FORMATIVO PERMANENTE

 

DESTINATARI:

L'attività formativa di aggiornamento è rivolta al personale sanitario, medici ed infermieri che effettua turni operativi nel servizio, nonché al personale tecnico di condotta del mezzo aereo ed al personale tecnico di soccorso.

MODULO FORMATIVO:

modulo formativo addestramento teorico e pratico in Base;

modulo formativo in attività operativa simulata.

modulo formativo addestramento teorico/pratico in Base:

un modulo formativo della durata, di norma, di 2 giornate complessive, a persona, con cadenza annuale, comprensive sia dell'attività didattica a terra sia di quella addestrativa in volo. Tali moduli sono effettuati presso la Base di appartenenza o comunque presso idoneo sito nelle vicinanze della Base;

conoscenza dello specifico elicottero utilizzato e caratteristiche di impiego;

procedure particolari, prevenzione dei rischi, procedure di emergenza;

dotazione sanitaria e tecniche di assistenza al paziente;

sistemi di comunicazione radio in uso;

tecniche sanitarie.

Modulo formativo in attività operativa simulata

tecniche sanitarie: manovre relative all'immobilizzazione, estricazione, posizionamento, barellamento del paziente ed assistenza in volo;

imbarco e sbarco con mezzo a terra;

imbarco e sbarco con mezzo in hovering;

imbarco e sbarco con verricello;

preparazione ed utilizzo delle barelle verricellabili;

movimentazione sul terreno;

auto assicurazione.

STANDARD FORMATIVO UTILIZZATO:

i contenuti e le procedure inserite nel modulo formativo devono rispondere allo standard formativo Corso Base HEMS/HSR.

Agli Istruttori HEMS/HSR compete la verifica dell'attinenza dei programmi e delle procedure agli standard sopraccitati.

C. MODALITA’ DI REALIZZAZIONE DEL CORSO E INDIVIDUAZIONE DEL PERSONALE DOCENTE

Alla luce delle indicazioni del presente allegato, ciascuna Regione o Provincia Autonoma, dovrà stabilire un dettagliato programma formativo coinvolgendo i Soggetti istituzionalmente competenti anche adottando  criteri per la individuazione dei docenti, scelti tra personale qualificato della componente sanitaria, aeronautica e tecnica del soccorso, e degli istruttori, per i quali dovrà preliminarmente essere individuato un percorso formativo di certificazione.

 

D. CERTIFICAZIONE REGIONALE

Al termine dell’attività formativa, previa acquisizione dell’idoneità tecnica ed aeronautica e per quanto di competenza del servizio sanitario regionale o provinciale il personale che avrà superato il corso, riceverà un attestato di: "CERTIFICAZIONE REGIONALE PER OPERATORI SANITARI DEL SERVIZIO DI ELISOCCORSO 118" di cui, a livello regionale o provinciale, andranno regolamentati durata e presupposti.

 


 

ALLEGATO 2


DOTAZIONI MINIME DI MATERIALI SANITARI E TECNICI

1)     Materiale adulto:

box farmaci;

sfigmomanometro;

glucometro con relativi accessori;

fonendoscopio;

laccio emostatico;

set per intubazione comprendente:

manico per laringoscopio con luce a freddo;

tubi endotracheali dal 6 all'8;

mandrino grande e piccolo;

cannule orofaringee e rinofaringee delle misure 1, 2, 3, e 5;

lame Mc Intosh delle misure n.3 (medium) e n.4 (large) per adulti;

pinza Magill;

valvola PEEP;

batterie e lampadine di riserva per laringoscopio;

pallone per ventilazione con reservoir;

maschere da ventilazione delle misure 3, 4, e 5;

filtri antibatterici per ventilazione;

catheter mount;

dispositivo per il fissaggio del tubo endotracheale;

dispositivo sovraglottico;

agocannule G 22, G 20, G 18, G 16 e G 14;

siringhe monouso da 2, 5, 10 e 20 ml;

guanti monouso;

rubinetto a tre vie;

soluzioni per infusione in contenitore in materiale plastico: cristalloidi e collodi;

deflussori;

cateteri da aspirazione;

forbice;

bisturi.

 

Materiale pediatrico:

Box farmaci;

pallone per ventilazione pediatrico e neonatale;

pallone con valvola va-e-vieni (2 misure);

maschere per ventilazione delle misure 0, 1, e 2;

aspiratore orale pediatrico;

aspiratore a mano;

cateteri per aspirazione CH 12 e CH 8;

set per intubazione comprendente:

mandrino;

tubi endotracheali delle misure in mm 2.5, 3, 3.5, 4, 4.5 e 5;

laringoscopio a luce fredda;

lame curve delle misure 0, 1, e 2;

lama retta della misura 0;

cannule orofaringee delle misure 000, 00, 0, 1 e 2;

pinza Magill  piccola;

guanti sterili;

laccio emostatico;

rubinetto a 3 vie;

siringhe monouso da 2, 5 e 10 ml;

sensore saturimetria;

sfigmomanometro pediatrico;

stetoscopio pediatrico;

catetere venoso ombelicale da 3 e 5 french;

coperta metallica;

agocannule da 24, 22 e 20;

ago per punzione intraossea 16 e 18

piastre defibrillazione pediatrica;

kit per drenaggio toracico;

kit per assistenza al parto.

Defibrillatore con pacing esterno con possibilità di impiego anche a favore di paziente pediatrico

4)     Sistema di monitoraggio per la rilevazione di:

ECG;

PA non invasiva;

Pulsiossimetria ;

Capnometria (opzionale);

Temperatura.

5)     Pompa infusione a siringa;

6)     Spremisacca;

7)     Set per sutura

8)     Termometro epitimpanico;

9)     Lacci anti-emorragici;

10)   Unità di aspirazione mobile;

11)   Respiratore preferibilmente asportabile;

12)   Dotazione di O2 ad impianto fisso;

13)   Bombola di O2 portatile;

Sistema di respirazione "va e vieni ";

Barella omologata per uso aeronautico;

16)   Materassino a depressione e/o asse spinale e/o barella spinale;

Kit di collari cervicali e di stecche per immobilizzazione arti;

Sistema di immobilizzazione pediatrico;

19)   Trauma Estricatore;

20)   Set per drenaggio toracico completo;

Forbici tecniche per abiti;

Contenitore per rifiuti sanitari e taglienti;

Sacco recupero salme;

MAST;

Imbracatura personale per medico e infermiere;

Casco personale per ogni membro dell'equipaggio;

Triangolo d'evacuazione;

Radio portatile per ciascun membro dell'equipe di bordo;

Telefono cellulare.

 

 

ALLEGATO 3

LINEE GUIDA PER LA VRQ

Il Servizio di Soccorso Sanitario con elicottero è integrato nel Sistema di Emergenza Sanitaria 118 e garantisce una risposta tempestiva ed altamente specializzata con personale e mezzi.

1 DIREZIONE E ORGANIZZAZIONE GENERALE

Il Servizio deve essere organizzato e diretto con efficacia, efficienza e con un adeguato numero di Operatori. Devono essere definiti e documentati le responsabilità, l'autorità e i rapporti reciproci del personale.

Devono essere predisposti documenti programmatici che specifichino la missione, gli obiettivi generali, quelli specifici e l'operatività del Servizio.

Gli obiettivi devono essere basati sui bisogni della popolazione, in base al mandato legislativo - normativo, congruenti al Piano Sanitario Regionale, con l’individuazione dei soggetti coinvolti, delle risorse assegnate e i tempi necessari al loro raggiungimento; devono essere inoltre individuati indicatori misurabili con scadenze previste.

Gli obiettivi ed i relativi indicatori devono essere formulati dal Responsabile Medico Organizzativo della C.O. 118 unitamente al Responsabile dell'Elisoccorso (ove previsto), portati a conoscenza degli Operatori del Servizio, dei D.E.A., delle Direzioni Sanitarie ed accessibili agli utenti - clienti.

La struttura organizzativa di responsabilità, i compiti, le funzioni e le procedure di competenza di ciascuna funzione devono essere esplicitate con documento scritto. Il documento è revisionato annualmente salvo cambiamenti o ristrutturazioni estemporanee.

Deve esistere documentazione attestante il possesso, da parte di tutto il personale, dei requisiti previsti dalla normativa vigente per il ruolo e le funzioni svolte.

Deve essere individuato e nominato il Responsabile Medico della Base Operativa con adeguata esperienza e formazione e formalizzate le sue funzioni. Deve essere individuato e nominato un medico che assuma il ruolo di Responsabile in assenza del Dirigente della Base.

Deve essere individuato il Responsabile Infermieristico della Base tra quelli in possesso di abilitazione a funzioni direttive e devono essere individuate e formalizzate le sue funzioni.

Per ogni turno deve essere individuato un Responsabile Medico (medico in servizio) e un Responsabile Infermieristico (infermiere in servizio) con compiti operativo - gestionali.

La sicurezza e la salute degli operatori nel corso dell'attività devono essere tutelate anche individuando e nominando il referente per la sicurezza.

Devono essere previste analisi delle procedure di valutazione, di controllo, di informazione e di formazione per il personale del Servizio.

Deve esistere documentazione di sorveglianza continua o di censimento periodico degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali degli operatori del Servizio.


 

2-STRUTTURE

Le strutture devono essere sicure, efficienti, idonee per le necessità dei pazienti e per l'uso degli operatori.

Deve esistere un sistema di contatto diretto tra le Basi e le Centrali Operative 118 Regionali, il mezzo e gli operatori. Il sistema radiotelefonico deve risultare adeguatamente dimensionato e organizzato.

La Base Operativa deve essere dotata di opportuni spazi comprendenti: locale di stazionamento adeguato per gli operatori, locale magazzino, sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali, eventuale hangar, etc.

Tutti gli impianti devono essere a norma di legge.

CARATTERISTICHE DEGLI ELICOTTERI

Specifiche obbligatorie

Gli elicotteri impiegati, tenuto conto dell’anno di costruzione, devono rispondere alle normative aeronautiche vigenti, avere prestazioni certificate in grado di permettere l'operatività richiesta ed essere dotati di sistemi di sicurezza per l’equipaggio e per i Pazienti.

Parametri da considerare nell'ambito della pianificazione decentrata Regionale e Provinciale devono essere:

prestazioni tali da consentire, su tutto il territorio di competenza, il volo stazionario fuori effetto suolo (per volo HSR-SAR), idoneità e strumentazione al volo notturno e/o strumentale, localizzatore di emergenza, eventuale faro di ricerca e atterraggio, altoparlante esterno;

b) dimensioni e capacità minime dell'elicottero: oltre all'equipaggio di condotta ed al paziente barellato (uno o due barelle certificate) deve poter ospitare Operatori sanitari e/o Personale specializzato addetto al recupero dell'infortunato, garantendo la possibilità di erogare l'assistenza necessaria. Inoltre l’aeromobile deve consentire un agevole accesso durante le operazioni di imbarco e sbarco delle barelle, essere predisposto per l'installazione di pattini antiaffondamento e dotato di verricello e gancio baricentrico (per volo HSR-SAR), avere un sistema radio di bordo che garantisca la conferenza fra tutti i componenti dell'equipaggio, la comunicazione con i mezzi di soccorso terrestre e con le Centrali Operative, garantire il collegamento fra operatore al verricello o al gancio baricentrico, pilota, personale di soccorso. Deve peraltro possedere un sistema di ossigeno terapia medicale secondo la normativa aeronautica, attrezzature e presidi sanitari per la stabilizzazione di pazienti critici. Tali attrezzature ancorate a bordo, secondo la norma, devono essere asportabili per l'impiego sul terreno, idonee per missioni in ambiente ostile e per gli equipaggiamenti sanitari, deve essere dimostrata la compatibilità elettromagnetica.

SPECIFICHE SUPPLEMENTARI

Deve essere previsto: sistema passivo di sicurezza (trancia cavi), GPS, radar meteo, velocità, autonomia, insonorizzazione, colorazione della cellula a norma CE.

ALTRE INSTALLAZIONI SUPPLEMENTARI PER IL SOCCORSO NOTTURNO

Deve essere eventualmente prevista la compatibilità dei sistemi di illuminazione interna, degli strumenti e di quant’altro interferisce con i visori ad intensificazione di luce, l’illuminazione dei rotori, l’hovering automatico (operazioni in mare), un’autonomia adeguata e, quando indicato, l’impiego del sensore FLIR (Floward Looking Infra Red).

3-ATTREZZATURE E DOTAZIONI

Le attrezzature devono essere a norme CE, adeguate, efficienti, sicure per la risposta alla richiesta di soccorso, per le cure dei pazienti, per l'uso degli operatori, controllate periodicamente.

La Base Operativa deve essere dotata di: sistema telefonico autonomo, adeguato e protetto da interferenze e black-out, sistema radio dedicato 118 in grado di coprire il territorio, registrazione delle comunicazioni, sistema cartografico del territorio di competenza, archivio documentale.

Deve esistere l'inventario completo ed aggiornato delle attrezzature e delle dotazioni comprendente anche la data di acquisto.

Per ogni apparecchiatura biomedica deve esistere un piano per formazione, la manutenzione ordinaria e straordinaria, le procedure e la registrazione degli interventi di riparazione.

Devono essere disponibili i farmaci ed i presidi per il trattamento delle possibili situazioni di emergenza - urgenza; le modalità di conservazione e di uso devono garantire la sicurezza dei pazienti e degli operatori. (controlli approvvigionamento, scadenze, scarico).

Deve essere disponibile all'interno della Base un mobile chiuso a norma per i farmaci stupefacenti.

4-PROCEDURE

Il Servizio deve disporre di regolamenti interni, di linee guida e protocolli (approvati e verificati periodicamente) al fine di adottare il processo più appropriato nella gestione delle situazioni specifiche della emergenza - urgenza o in caso di eventi imprevisti (clinici, organizzativi, tecnologici).

Devono essere presenti i seguenti protocolli e linee-guida: risposta telefonica; accettazione della missione; procedure in caso di black out comunicazioni; comunicazione con i mezzi di soccorso e con le Centrali Operative; collaborazione con altri Enti; collaborazione con altre Regioni; collaborazione con le Nazioni confinanti; riconoscimento dei pazienti; intervento primario; intervento secondario; intervento alpino; intervento in acqua; passaggio di consegne; trasmissione di informazione a terzi; gestione di oggetti e beni; gestione del paziente violento; gestione di situazioni sospette; gestione della morte; delle violenze sessuali; degli abusi e violenze su minori; del suicidio; del TSO; del consenso informato; del rifiuto di trattamento; dell’esposizione a sostanze infette; della prevenzione e controllo delle infezioni; dell'arresto cardiaco e delle emergenze cardiologiche; del politraumatizzato; del coma; delle ustioni; delle intossicazioni e degli avvelenamenti; delle dispnee; del prelievo – conservazione e trasporto di materiali organici; della pulizia e sanificazione dei mezzi; della pulizia, disinfezione e sterilizzazione di tutti gli strumenti ed accessori; della compilazione, conservazione, archiviazione dei documenti sanitari; delle modalità di evacuazione dei locali; della gestione dei soccorsi nelle maxi-emergenze.

5-DOCUMENTAZIONE E SISTEMA INFORMATIVO

Deve esistere un sistema informativo in grado di raccogliere, organizzare, elaborare e diffondere i dati riguardanti l'attività svolta, l'uso delle risorse, l'adeguatezza degli indicatori previsti e garantire la privacy delle informazioni.

Per tutti gli utenti deve essere prevista la compilazione della scheda paziente che deve contenere: data e ora della chiamata, data e ora dell'attivazione del mezzo, della partenza, dell'arrivo, della partenza dal luogo, dell'arrivo al Pronto Soccorso; codice di gravità; dati anagrafici; identificativo del mezzo; dati e firma del medico; problema e trattamento; ipotesi diagnostica; rifiuto del trattamento del trasporto e delle cure; dati utili per adempiere agli obblighi di legge (referto, infortunio); provvedimento finale.

Devono esistere moduli per le denunce obbligatorie di legge.

Deve esistere un report periodico divulgato dell'attività svolta che deve includere: numero e tipologia delle prestazioni; esiti delle prestazioni; attinenza ai protocolli; consumo delle risorse; raggiungimento obiettivi, scostamenti e cause, incidenza di eventi indesiderati.

Devono essere formalizzate procedure di comunicazione con altri Servizi e con altre strutture.

Deve essere prevista una verifica periodica della validità del sistema informativo.

Deve esistere un documento personale sul quale è riportata e vidimata l'attività svolta anche ai fini formativi ed addestrativi.

6-FORMAZIONE DEL PERSONALE

Deve essere presente un programma di formazione e di aggiornamento continuo per lo sviluppo professionale di ciascun operatore, specificatamente correlato agli obiettivi del Servizio.

Tutti gli operatori devono essere formati all’Emergenza - Urgenza ed alla particolare complessità del Servizio attraverso corsi addestrativi documentati a cadenza semestrale e annuale, la frequenza ai quali è riportata sul libretto personale.

Deve essere applicato un piano di affiancamento per l'inserimento dei nuovi operatori, ed esistere strumenti per l'aggiornamento nell'ambito dell'emergenza - urgenza.

7-VALUTAZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA'

Devono essere intraprese iniziative di valutazione e miglioramento delle attività, sia all’interno del Servizio, sia in sintonia con politiche di qualità aziendale, con definizione degli obiettivi della qualità, dei metodi, delle risorse e della pianificazione temporale.

Deve essere nominato un responsabile che coordini le attività di valutazione e miglioramento delle qualità documentando l’attività di valutazione delle procedure e dei risultati.

Devono essere riscontrabili cambiamenti organizzativi e procedurali derivati dalla attività di miglioramento delle qualità.

8-SODDISFAZIONE DEGLI OPERATORI

Deve esistere una periodica valutazione del clima interno relativamente ai rapporti fra gli Operatori e devono essere intraprese iniziative di miglioramento, anche analizzando la partecipazione degli stessi, di attività collettive.

9- SODDISFAZIONE DEGLI UTENTI

Le cure prestate devono rispondere ai bisogni del paziente e garantirne i suoi diritti. Deve essere adeguatamente divulgata l’attività del Servizio, le modalità d'accesso, le prestazioni erogabili e l'organizzazione.

Deve essere previsto un ambito specifico dell’Elisoccorso nelle Carte dei Servizi, un servizio reclami e proteste. Deve essere rilasciato all'utente un modulo sulle prestazioni sanitarie che ne indaghi il grado di soddisfazione.


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Proposte in materia di tutela della salute mentale

 

In relazione al documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome del 18 gennaio 2001 sulla tutela della salute mentale, le Regioni confermano sia la validità del Progetto obiettivo salute mentale, come già richiamato nel documento, sia i contenuti del documento stesso. In particolare richiamano le proposte relative al "Patto per la salute mentale" in merito all’attivazione di una rilevazione a livello territoriale per quanto attiene la integrazione socio - sanitaria e l'accordo sui LEA.

Le Regioni propongono di organizzare un monitoraggio omogeneo e condiviso sullo stato di attuazione della promozione e tutela della salute mentale all'interno dei dipartimenti di salute mentale, avendo riguardo in particolare all'istituzione dei dipartimenti stessi, alla dotazione di strutture e personale, alle tipologie di patologie trattate. Per fare ciò si propone di utilizzare il sistema informativo già approvato dalla Conferenza Stato- Regioni sollecitando le Regioni tutte ad adottare tale sistema che permetterà di configurare le dimensioni di attività dei D.S.M.

 

Verrà inoltre attivato un coordinamento tecnico interregionale permanente sulla salute mentale con il compito di:

 

monitorare periodicamente mediante rilevazione le risposte e le problematiche emerse in ambito regionale in relazione ai problemi della salute mentale;

evidenziare le criticità e formulare proposte per la risoluzione delle stesse alla luce delle nuove modifiche legislative (Legge 18 ottobre 2001 n. 3);

relazionare con periodicità costante alla Conferenza degli Assessori alla Sanità e dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome sulle evidenze emergenti da utilizzarsi nelle opportune sedi istituzionali.

 

 La Conferenza dei Presidenti infine conferma la totale disponibilità delle Regioni alla informazione relativa a richieste provenienti dai vari livelli istituzionali, ribadendo, altresì, la  esclusiva competenza regionale in tema di salute e di salute mentale in particolare.

 

 

Roma, 28 febbraio 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

Documento inerente la delibera della conferenza unificata concernente le modalità di rendicontazione delle risorse finanziarie anticipate dalle regioni per l’esercizio delle funzioni conferite dal d.lgs 112/98 in materia di salute umana, ai sensi dell’art. 2 del Dpcm dell’8 gennaio 2002

 

Punto 15) o.d.g. Conferenza Unificata

 

In relazione alla bozza di delibera pervenuta dall’ufficio del Commissario Straordinario si evidenzia quanto segue:

 

PREMESSO CHE

 

Il conguaglio delle somme anticipate dalle Regioni nel corso dell’anno 2001, per il pagamento degli arretrati relativi alle funzioni trasferite ex D.Lgs 112/98 in materia di salute umana (indennizzi per i danni causati dagli emoderivati), sarà corrisposto dal Ministero dell’Economia alla singola Regione anche prima della data 30 giugno 2002 nella misura dell’80% al momento della effettiva rendicontazione da parte delle Regioni;

Il restante 20% sarà invece liquidato solo al termine delle procedure di rendicontazione da parte di tutte le Regioni e comunque successivamente al 30 giugno 2002 (termine ultimo per la rendicontazione)

 

SI PROPONE

 

Al fine di evitare incertezza sui tempi di trasferimento del restante 20% delle risorse  che sia indicata nella delibera una data certa entro la quale il Ministero dell’Economia provvederà al ristoro; pertanto si chiede di inserire al punto 3) della delibera, al termine del periodo: dopo le parole “30 giugno 2002, termine ultimo per la presentazione di tutte le rendicontazioni ” le parole “e comunque entro il 31 dicembre 2002”.

 

Al punto 2) di sostituire le parole "nell'anno 2001" con le parole "per l'anno 2001"

 

E' altresì necessario che venga assicurata alle Regioni anche l'erogazione delle somme per  le quote di indennizzo annue già accertate per il 2002 relative ai danneggiati in vita come indicate nel medesima tabella di rendicontazione.

 

Roma, 21 marzo 2002


 

CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

 

L’individuazione delle priorità di intervento nel campo della  prevenzione delle malattie infettive

 

Dopo la modifica del titolo V della Costituzione l’attività di pianificazione e programmazione degli interventi in materia di tutela della salute è attribuita alla competenza delle Regioni e Province Autonome.

 

Nel campo della prevenzione delle malattie infettive gli esiti degli interventi preventivi attuati in una regione sono strettamente collegati ed interdipendenti dalle azioni messe in atto in altre regioni in considerazione della contagiosità delle patologie da contrastare.

 

L'enorme numero di patologie, il differente impatto che le stesse hanno sulla popolazione, la necessità di tenere conto della possibile ed eventuale diffusione di malattie infettive collegata a fenomeni esterni di importazione o anche di terrorismo, richiede che, da parte delle Regioni, vengano stabilite delle priorità di intervento e vengano concordati dei programmi per fare fronte all'insorgere di eventi imprevedibili ed al tempo stesso contrastare la diffusione di malattie presenti sul territorio.

Pertanto, fermo restando l’autonomia organizzativa di ogni singola realtà, è opportuno individuare obiettivi comuni, a valenza nazionale, in modo da non vanificare gli sforzi già fatti ed i risultati acquisiti  in alcune Regioni o Province Autonome.

 

Attualmente le strategie di prevenzione sono decise a livello locale, a livello nazionale è garantito il monitoraggio e la sorveglianza delle malattie infettive attraverso il sistema di notifica obbligatorio delle stesse. Tale sistema non è da solo in grado di fornire le informazioni necessarie per la programmazione delle attività per cui , sono nati sistemi di notifica basati sulla volontarietà della rilevazione che permettono di avere una situazione di maggiore dettaglio sull'andamento delle patologie

La conoscenza dei bisogni territoriali consente ad ogni Regione e Provincia Autonoma di programmare le attività necessarie alla prevenzione e al controllo delle malattie infettive adattandole alla specifica realtà di intervento.

 

Con il presente documento le Regioni intendono individuare le priorità di intervento nel campo della prevenzione delle malattie infettive, le strategie di intervento condivisibili e definire i momenti di  raccordo tra le Regioni e le istituzioni centrali cointeressate, il Ministero della Salute e l'Istituto Superiore di Sanità.

 

Le priorità individuate, per un intervento coordinato tra le Regioni e le Province Autonome, attengono ai  seguenti campi:

 

1. Controllo delle malattie prevenibili con vaccinazione, ed in particolare la eliminazione del morbillo;

2. pandemia influenzale: individuazione degli interventi adeguati;

3. miglioramento della sorveglianza delle malattie infettive;

4. tubercolosi :prevenzione e controllo dell'andamento della malattia;

5. malattie a Trasmissione Sessuale e delle infezioni da HIV: prevenzione e controllo;

6. malattie ad alta infettività (Ebola, Marburg, Lassa, vaiolo, ecc.);

7. infezioni acquisite nell’attività di assistenza.

 

1. Il controllo delle malattie prevenibili con vaccinazione.

1.1. Piano italiano di promozione delle vaccinazioni.

 

Il Piano Nazionale Vaccini  1999-2000 approvato dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 18 giugno 1999  è ormai scaduto. Pur restando validi e condivisibili i principi enunciati nel piano 1998-2000 le Regioni e Provincie Autonome ritengono necessaria la predisposizione di un nuovo piano nazionale di promozione delle vaccinazioni anche in considerazione del DPCM sui LEA del 29 novembre 2001 che pone le vaccinazioni tra i livelli essenziali di assistenza che devono essere assicurati  nell'ambito della prevenzione collettiva.

Il nuovo piano vaccini dovrà definire gli obiettivi da raggiungere e le priorità da garantire nel campo delle malattie prevenibili con vaccinazione.

Nella elaborazione del piano di promozione delle vaccinazioni sarà necessario tenere conto delle differenze esistenti a livello territoriale e si dovrà integrare le istanze specifiche dei territori , rappresentate nei piani regionali, con gli obiettivi di carattere nazionale definendo i tempi accettabili per il raggiungimento degli obiettivi per non vanificare l'azione di tutti.

Compito delle Regioni e le Provincie Autonome sarà quello di garantire un impegno per raggiungere gli obiettivi nei tempi stabiliti.

Il Piano nazionale di promozione delle vaccinazioni dovrà essere predisposto, entro il 2002.

La stesura del piano dovrà avere la collaborazione dei diversi attori coinvolti: le Regioni e le Province Autonome, attraverso i propri esperti, il Ministero della salute, l’Istituto Superiore di Sanità e gli altri organismi scientifici del settore.

 

1.2.Programma di eliminazione del morbillo.

 

La definizione e la conduzione di un programma che per il 2006 porti alla eliminazione del morbillo in Italia rappresenta di gran lunga la principale priorità nel campo delle malattie prevenibili con vaccinazione.

La realizzazione di questo programma di eliminazione rappresenta inoltre l’occasione per attuare un programma di miglioramento complessivo del sistema vaccinale di tutte le Regioni e Provincie Autonome.

Il Programma di eliminazione del morbillo costituisce quindi un “programma guida” per attuare una politica di miglioramento della qualità del sistema vaccinale.

Raggiungere l’eliminazione del morbillo garantisce, infatti,  che il  sistema vaccinale di ciascuna Regione e Provincia Autonoma  sia in grado di attuare le azioni che sono necessarie per ottenere una elevata e consapevole adesione alla vaccinazione.

Nel corso del 2002 dovrà essere effettuata una consensus conference che definisca il contenuto del Piano Nazionale di eliminazione del morbillo.

La proposta di Programma elaborata dalla consensus conference verrà presentata dalle Regioni alla Segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni per la stipula di un Accordo.

Il programma di eliminazione del morbillo dovrà essere condotto in modo coordinato in tutte le Regioni e Provincie Autonome a partire dal 2003 e verrà preceduto dalla “Prima conferenza nazionale per la eliminazione del morbillo” che costituirà il momento di ufficiale partenza del programma di eliminazione del morbillo.

Gli Assessorati alla Sanità delle Regioni e Provincie Autonome, congiuntamente al  Ministero della Salute istituiscono un “Gruppo tecnico del programma di eliminazione del morbillo” quale supporto e coordinamento alla conduzione unitaria dei diversi programmi regionali.

Il gruppo tecnico, a cui è affidata la gestione ed il monitoraggio del piano, si avvale per il suo funzionamento della collaborazione operativa dell’Ufficio III della Direzione per la Prevenzione del  Ministero della Salute e del Reparto di Malattie Infettive del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità, strutture operative.

Il gruppo tecnico opera facilitando e coordinando l’attività dei responsabili regionali del programma di eliminazione del morbillo.

 

2. Pandemia influenzale.

 

E’ prioritario che ogni Regione e Provincia Autonoma predisponga un proprio piano per far fronte alla prossima pandemia influenzale, dando pratica attuazione alle indicazioni contenute nel Piano italiano multifase di emergenza per la Pandemia influenzale approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano e pubblicate sulla G.U. n° 72 del 26.3.2002.

Questa attività costituirà, inoltre, un prototipo per altre evenienze che richiedano un improvviso elevato aumento delle necessità di assistenza in risposta ad un rischio biologico ( es. bioterrorismo).

Si ritiene di organizzare, entro il primo semestre 2003, in collaborazione con Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, un corso di formazione rivolto al personale che le  Regioni e Province Autonome individueranno, per predisporre il piano locale, così da permettere la costituzione di una rete che correli i  nuclei tecnici di  ogni Regione e Provincia Autonoma,.

L'obiettivo da raggiungere è l'elaborazione e l'approvazione entro il 2003 dei Piani locali di emergenza per la Pandemia influenzale da parte di ogni Regione e Provincia Autonoma.

 

3. Il miglioramento della sorveglianza delle malattie infettive.

 

Il sistema di sorveglianza delle malattie infettive allo stato attuale si avvale di molte e diverse attività sostanzialmente autonome l’una dall’altra, alcune delle quali non sono in grado di garantire un’adeguata e corretta informazione.

Si ritiene necessario dare avvio ad un sollecito processo di revisione dei vari sistemi informativi   che affronti adeguatamente ed esaustivamente, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, la tipologia minima dei dati essenziali per attuare la prevenzione e il controllo delle malattie infettive.

Per ciascuna malattia infettiva rilevante è necessario individuare quali conoscenze devono essere rese disponibili per l’azione e, partendo dalle attività esistenti, si deve creare un sistema integrato in grado di garantire tali informazioni nel modo più rapido (quando necessario) e completo.

Considerato che a partire dal 1° gennaio 2003 il sistema di notifica delle malattie infettive dovrà  adeguarsi a quanto previsto  dalla Commissione Europea si ritiene opportuno predisporre, per quella data, un progetto di evoluzione dell’attuale sistema di notifica, prevedendo in particolare la segnalazione rapida delle malattie per le quali sia possibile una profilassi post-esposizione.

Il processo di implementazione del sistema informativo dovrà completarsi per le malattie di maggiore importanza entro il 31 dicembre 2003.

Per migliorare la notifica dei casi di malattia verrà condotta da tutte le Regioni e Provincie Autonome, secondo modalità che potranno essere definite unitariamente,  una attività di formazione dei medici obbligati alla notifica e una costante azione di valutazione e controllo della sottonotifica.

 

4. Tubercolosi.

 

La tubercolosi costituisce tuttora un rilevante problema di Sanità Pubblica, per il cui controllo è necessario un intervento organico di riduzione della diffusione della malattia nella popolazione.

Alla luce delle esperienze già condotte dalle Regioni e Provincie Autonome anche in attuazione delle Linee guida per il controllo della malattia tubercolare approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano ed emanate dal Ministero della Salute con provvedimento del 18.12.1998, si individuano tre azioni prioritarie:

il miglioramento organizzativo dei laboratori per la diagnostica della tubercolosi e per la sorveglianza della farmaco-resistenza

la sorveglianza degli esiti del trattamento;

l’attività di controllo dell’infezione nei gruppi ad alto rischio, iniziando dai contatti dei casi di tubercolosi attiva.

 

5. Malattie a trasmissione sessuale e infezioni da HIV.

 

Le malattie a trasmissione sessuale sono una delle più comuni cause di malattia infettiva nel mondo.

L’infezione da HIV, anche se l’incidenza e la mortalità si sono ridotte in questi ultimi anni, costituisce uno dei maggiori problemi di sanità pubblica sia per la gravità che per la percezione di rischio che ne ha la popolazione.

Per lottare contro le malattie a trasmissione sessuale e le infezioni da HIV sono necessari sistemi solidi sia di sorveglianza che di intervento.

Nel prossimo triennio dovrà essere definito un programma per migliorare le azioni di prevenzione nel campo delle malattie a trasmissione sessuale.

 

6. Malattie ad elevata infettività.

 

Le malattie ad elevata infettività ( es. le febbri emorragiche virali (Ebola, Marburg, Lassa, ecc,), il vaiolo, la peste, ed altre ancora ) sono malattie gravi ad elevata letalità che necessitano di un rapido intervento di Sanità Pubblica.

L’importazione in Italia di una di queste malattie esotiche provocherebbe una situazione di emergenza a causa dell’elevato rischio di contagio e delle misure eccezionali di controllo che dovrebbero essere messe in pratica, ma anche per la “percezione del rischio” da parte della  popolazione e dei mass media, che potrebbe facilmente creare un enorme allarme con conseguenze economiche importanti.

Per questo motivo le Regioni e Provincie Autonome ritengono necessario predisporre, in collaborazione con il Ministero della Salute ed altre istituzioni, un protocollo di intervento per il controllo delle malattie ad alta infettività.

Questa protocollo costituirà, inoltre, il riferimento operativo locale per altre evenienze che richiedano la gestione di malattie ad alta infettività ( es. bioterrorismo).

 

7. Infezioni legate all’assistenza.

 

Le infezioni legate alle attività di assistenza, ed in particolare le infezioni ospedaliere, costituiscono una priorità per cui è necessario definire programmi di intervento finalizzati al loro controllo.

Nella maggior parte delle Regioni e Provincie Autonome questa attività non fa riferimento ai Dipartimenti di Prevenzione, a cui afferisce l’attività di  prevenzione collettiva delle malattie infettive, ma viene seguita dalle Direzioni sanitarie che si occupano della gestione dell’assistenza ospedaliera.

I Dipartimenti di Prevenzione possono offrire un utile contributo alla soluzione di questo problema di Sanità Pubblica sia attraverso una competenza generale nella epidemiologia e nella prevenzione delle malattie infettive sia quale struttura specifica di riferimento per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza non ospedaliera (case di riposo, comunità, ecc.). 

E' opportuno stabilire un collegamento operativo a livello regionale tra i soggetti che si occupano della predisposizione delle azioni necessarie per il controllo delle infezioni nell’attività di assistenza.

 

Collaborazione interistituzionale.

 

Appare infine importante definire, nel campo della prevenzione delle malattie infettive, una collaborazione operativa tra le Regioni e Provincie Autonome e le Istituzioni centrali Ministero della Salute, attraverso le sue direzioni ed uffici, Istituto Superiore di Sanità, finalizzata a garantire una migliore integrazione ed efficacia operativa nel campo del monitoraggio delle malattie, nell'avvio di campagne si sensibilizzazione a carattere nazionale e nella stesura di documenti di indirizzo a valenza generale.

Ferme restando le competenze di programmazione, pianificazione e conduzione delle attività attribuite alle Regioni e Provincie Autonome si ritiene necessario che le strutture operative del Ministero garantiscano, in collaborazione con le Regioni e Provincie Autonome, la conduzione unitaria dei sistemi di sorveglianza delle malattie infettive, degli eventi avversi da vaccinazione, e delle coperture vaccinali. A tale scopo dovranno essere migliorati i sistemi già esistenti di notifica delle malattie infettive, partendo da un analisi dei punti di debolezza, e dovranno prevedersi anche altre possibilità di monitoraggio, basate sulla volontarietà dell'adesione, che riescano a dare un quadro più omogeneo della rilevazione dei dati e più aderente alla reale entità della diffusione delle malattie sul territorio.

La gestione centralizzata dei sistemi di sorveglianza permette di ottenere risultati più efficaci.

Inoltre, è da prevedere la realizzazione di alcune campagne nazionali di informazione del grande pubblico, attraverso i mass media, a supporto delle azioni individuate come prioritarie (promozione delle vaccinazioni, prevenzione delle infezioni da HIV, ecc.) da parte del  Ministero della Salute.

L’Istituto Superiore di Sanità è l’organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario e opera con questo mandato a supporto e in diretta collaborazione  con le Regioni e  Provincie Autonome.

Le Regioni e le Province Autonome attuano il monitoraggio dei bisogni territoriali per ciò che attiene il sistema della prevenzione  delle malattie infettive e, attraverso il coordinamento interregionale, propongono la predisposizione di documenti tecnico scientifici collegati a specifiche esigenze emergenti. La stesura operativa dovrà vedere impegnati il Ministero della salute, l'Istituto Superiore di sanità, le Università, le società scientifiche, e le  ASL attraverso i loro rispettivi esperti.

Tali documenti dovranno essere elaborati tenendo conto delle più recenti conoscenze scientifiche e dell'evidence based medicine e dovranno contenere, anche, suggerimenti per l'attuazione di interventi di prevenzione.

Le Regioni e Province Autonome utilizzano i documenti di indirizzo come riferimento per la autonoma programmazione delle loro attività adattandoli al contesto locale.

 

Questo documento che individua le priorità e identifica i rapporti collaborativi tra Regioni e Provincie Autonome e Istituzioni centrali nel campo del controllo delle malattie infettive, viene proposto per l’accordo alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano.

 

Roma, 19 dicembre 2002

 

 


 

 TERZA PARTE


 

 

I principali Accordi in Conferenza Stato-Regioni

 

Come è stato già ricordato, numerosi sono stati , dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, gli Accordi sanciti in Conferenza Stato-Regioni. Se ne citano i più rilevanti:

 

l’Accordo tra Federterme e le Regioni e le Province autonome sui livelli tariffari per l’erogazione delle prestazioni termali – 17 gennaio;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle modalità di erogazione dei fondi relativi al programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative – 31 gennaio;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per l’organizzazione di un sistema integrato di assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o celebrolesi – 4 aprile;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome linee guida per la codifica delle informazioni cliniche presenti nella scheda di dimissione ospedaliera – 6 giugno;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome in materia di campagne informative di sensibilizzazione per la iodoprofilassi – 20 giugno;

 

l’Accordo tra il Governo e le Regioni e le Province autonome sul documento di indicazioni per l’attuazione del punto a) dell’Accordo Stato-Regioni del 14 febbraio 2002, sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa – 11 luglio;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sui criteri di individuazione e di aggiornamento dei centri interregionali di riferimento delle malattie rare – 11 luglio;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulla definizione delle discipline nelle quali possono essere conferiti gli incarichi di struttura complessa nelle Aziende Sanitarie ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.P.R. n. 484/97 –11 luglio;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome linee guida per la prevenzione sanitaria e per lo svolgimento delle attività del Dipartimento di prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali – 25 luglio;

 

l’Accordo tra il Governo e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della Legge n. 210/92, in materia di indennizzi per danni da trasfusione e vaccinazioni di cui al punto 3) del relativo Accordo 8 agosto 2001 – 1° agosto;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulle linee guida per l’organizzazione della attività di Day surgery – 1° agosto;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome sulla semplificazione delle procedure per l’attivazione dei programmi di investimento in sanità – 19 dicembre;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome per la disciplina della formazione complementare in assistenza sanitaria delle figura professionale dell’Operatore socio-sanitario di cui all’art. 1, comma 8 del D.L. n. 402/92, convertito nella Legge n. 1/2001 – 16 gennaio 2003;

 

l’Accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome relativo agli aspetti igienico-sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio – 16 gennaio 2003;

 

 

Una serie di Accordi tra il Ministero della Salute e le Regioni e le Province autonome in materia di Trapianti:

- linee guida per il trapianto renale da donatore vivente e da cadavere – 31 gennaio;

- requisiti delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e di tessuti e sugli standard minimi di attività di cui all’art. 16, comma 1, della Legge n. 91/99 recante “Disposizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e di tessuti” – 14 febbraio;

- modalità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche urgenti e indirizzi applicativi sulle liste di attesa – 14 febbraio;

- individuazione del bacino di utenza minimo, riferito alla popolazione, che comporta l’istituzione dei centri interregionali per i trapianti - 7 marzo;

- linee guida per le attività di coordinamento per il reperimento di organi e di tessuti in ambito nazionale ai fini di trapianto –21 marzo;

- linee guida per il prelievo, la conservazione e l’utilizzo di tessuto muscolo-scheletrico-21 marzo.

 


 

 

Il Tavolo sui Livelli Essenziali di Assistenza

 

Nell’ambito della Segreteria della Conferenza Stato-Regioni sta operando, in attuazione dell’Accordo dell’8 agosto 2001, il Tavolo di monitoraggio e verifica  sui Livelli Essenziali di Assistenza. Al Tavolo - composto da rappresentanti delle Regioni, dei Ministeri della Salute e dell’Economia, con il supporto dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali – sono affidati i compiti indicati:

al punto 15 dell’Accordo dell’8 agosto 2001 di monitoraggio e verifica dei livelli effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, articolati per fattori produttivi e responsabilità decisionali, al fine di identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia dell’efficienza e dell’efficacia del SSN;

 al punto5.2 dell’Accordo del 22 novembre 2001 sui LEA ai fini di effettuare  - sulla base di quanto disposto al punto 5.1 relativo alla definizione di criteri di monitoraggio -la verifica dei LEA effettivamente erogati e della corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, evidenziando eventuali prestazioni effettivamente erogate e non riconducibili ai predetti livelli;

alla lettera a) dell’Accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa.

Il Tavolo ha individuato le seguenti direttrici di lavoro:

Sistema di monitoraggio con lo scopo di individuare i livelli erogati ed i relativi costi tramite. A) la rilevazione dei provvedimenti regionali attuativi del DPCM sui Lea .Sul punto è stata già fornito un quadro di sintesi nella riunione della Conferenza Stato-Regioni del 1 agosto e, recentemente, tale prospetto è stato completato. B) la definizione di un modello di monitoraggio degli indicatori all’interno del sistema di garanzia di cui all’art: 9 del Dlgs 56/2000 per assicurare trasparenza, confrontabilità e verifica dell’assistenza erogata attraverso i LEA.

 Questioni interpretative sorte nella prima fase di applicazione del DPCM sui LEA;

 Liste di attesa. Sulla base di un lavoro istruttorio svolto dal tavolo, è stato elaborato un documento di indicazione per l’attuazione della lettera a) dell’Accordo del 14 febbraio 2002, precedentemente richiamato, sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche ed indirizzi applicativi sulle liste di attesa, documento che è stato oggetto di Accordo nella Conferenza Stato-Regioni dell’11 luglio 2002. L’Accordo individua una serie di tematiche per affrontare il problema dell’individuazione delle priorità di accesso alle prestazioni, quali: priorità ed appropriatezza delle prestazioni; indicazioni generali sui criteri di priorità cliniche; classificazione delle classi nazionali di priorità; individuazione dei tempi massimi validi sul territorio nazionale; sistema di monitoraggio; comunicazione ed informazione agli utenti.

Esame delle questioni rimaste sospese di cui al punto 11) dell’Accordo 22 novembre sui LEA che riguardano in particolare: Visite fiscali; compiti affidati agli ufficiali polizia giudiziaria; finanziamento alle Agenzie regionali per l’ambiente; assistenza sanitaria agli stranieri non regolari.

Mobilità sanitaria il tavolo sta lavorando ad una proposta di accordo-quadro interregionale.

Questioni legate all’integrazione socio-sanitaria per l’approfondimento delle quali sono state coinvolte anche le Associazioni delle Autonomie Locali.

 

Nel mese di novembre il Tavolo ha avviato una rilevazione – tramite l’invio a tutti i Presidenti delle Regioni di una specifiche schede analitiche - per l’acquisizione dei dati relativi all’assistenza erogata per l’anno 2001, ai fini di predisporre una utile base di riferimento iniziale, omogenea per tutte le Regioni, sulla quale definire un sistema di “regole comuni” per la valutazione degli indicatori. Tale rilevazione potrebbe consentire di acquisire una stima dei costi complessivi per una prima valutazione della corrispondenza tra i finanziamenti stabiliti nell’Accordo dell’8 agosto 2001 ed i livelli essenziali di assistenza definiti nel DPCM  del 29 novembre 2001.

 

Il Tavolo di lavoro per l’elaborazione di un piano generale di investimenti per l’adeguamento dei requisiti strutturali e tecnologici minimi per l’esercizio delle strutture sanitarie

 

Il Tavolo è previsto al punto d) delle dichiarazioni a verbale espresse dai Presidenti delle Regioni in relazione all’Accordo dell’8 agosto 2001 nella seduta della Conferenza Stato-Regioni della stessa data. Ne fanno parte rappresentanti delle Regioni, del Ministero dell’Economia e della Ministero della Salute ed ha cominciato ad operare dal mese di aprile 2002.

Nel corso dei lavori i rappresentanti delle Regioni hanno definito una proposta sulla quale si è avviato un confronto con le Amministrazioni centrali, che si sono riservate di formalizzare le proprie valutazioni. Considerata la scadenza ravvicinata per l’adeguamento delle strutture, è necessario pervenire, in tempi brevi, alla definizione di una proposta concertata a livello tecnico per il successivo vaglio politico.

 

Il Tavolo sui criteri di copertura dei disavanzi

 

Infine, è stato avviato sempre presso la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, un Tavolo di lavoro misto Regioni Ministeri Salute ed Economia per l’individuazione di criteri per la copertura da parte delle Regioni degli eventuali disavanzi di loro spettanza imputabili alla spesa sanitaria. Partendo dalla verifica condotta sulle manovre che le Regioni hanno attuato per la copertura dei disavanzi dell’anno 2001, il tavolo si propone di definire un serie di modalità e di possibili manovre idonee a contenere la spesa, anche allo scopo di ridurre i tempi di verifica.

 

 


 

[1] Si tratta di somme che debbono essere ripartite con criteri diversi  da quelli  che si utilizzano per il finanziamento dei livelli di assistenza previsti dal Piano sanitario o che finanziano funzioni diverse; sono riferite alle seguenti situazioni espresse in migliaia di euro:

108.251 per il finanziamento della Croce Rossa Italiana a carico del FSN;

173.013 per la quota a carico del FSN per il finanziamento degli specializzandi a norma del decreto legislativo 257/91;

139.910 sono attribuiti alle Regioni per il finanziamento degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali a norma dell’articolo 6, comma 1 del decreto legislativo 270/93;

49.063 sono assegnati alle regioni sulla base di quanto disposto dalla legge 135/90 all’articolo 1 commi 1 lettera d e 2, per lo svolgimento di corsi di formazione e di aggiornamento del personale dei reparti di ricovero per malattie infettive e per promuovere la graduale attivazione di servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS;

3.254 sono previsti dalla legge 31/1986 che detta norme in materia di provvidenze economiche a favore degli Hanseniani e loro familiari a carico; l’erogazione avviene come rimborso alle regioni che documentano la spesa sostenuta;

38.734 sono erogati alle regioni per il finanziamento dei corsi biennali di formazione specifica in medicina generale, a norma dell’articolo 5 della legge 109/88 che pone a carico del Fondo sanitario il relativo onere, in proporzione alle borse di studio individuate per ciascuna regione;

5.784 sono erogati direttamente alla Cassa depositi e Prestiti quale controvalore delle rate dei  mutui contratti dagli enti ospedalieri prima della riforma e che l’articolo 14, comma 1 del d.l. 382/87, convertito nella legge 456/87 pone a carico del Fondo sanitario;

38.734 vengono messi a disposizione per la erogazione diretta da parte del Ministero del tesoro, bilancio e p.e. alle regioni per corrispondere le indennità di abbattimento degli animali infetti a norma della legge 218/88;

30.987 sono riservati al finanziamento delle prestazioni sanitarie erogate a favore degli extra comunitari  in applicazione della legge 40/98;

4.390 per  prevenzione e cura della fibrosi cistica di cui alla legge  23 dicembre 1993, n. 548, rifinanziata con la legge  362/99.