PARERE SUL DISEGNO DI LEGGE

“MODIFICAZIONI ALL’ART. 117 DELLA COSTITUZIONE”

 

Le Regioni e gli enti locali da sempre concordano sulla esigenza di completare il processo di revisione costituzionale avviato con l’approvazione della l. Cost. n. 3/01, di riforma del Titolo V della Costituzione, collegando il nuovo assetto delle competenze ivi delineato con una coerente riforma, in senso federalista, del Parlamento. Il disegno di legge costituzionale sulla c.d. “devoluzione”, approvato lo scorso 13 dicembre, tradisce queste attese perché si limita ad intervenire su di un solo comma dell’art. 117, così palesando la rinuncia ad un’idea organica di riforma costituzionale. L’indiscutibile priorità condivisa dalle Regioni e dagli enti locali è invece quella di intervenire con la riforma del Parlamento, garantendo efficacemente  la partecipazione  del sistema delle autonomie territoriali alla formazione delle decisioni fondamentali dello Stato.

 

Per quanto riguarda, invece, l’oggetto della disciplina recata dal testo in esame, essa presenta  una nutrita serie di profili problematici, concernenti la sua compatibilità con il quadro costituzionale, come recentemente modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001 .

 

In primo luogo, viene in considerazione il procedimento normativo introdotto, in base al quale ciascuna regione potrebbe attivare, con propria legge, la competenza legislativa esclusiva nelle materie ivi indicate, vale a dire: a) assistenza ed organizzazione sanitaria, b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione, d) polizia locale.

Questo procedimento si traduce, in buona sostanza, nella facoltà concessa alle regioni di operare un’auto-attribuzione di potestà legislativa esclusiva in quelle delicatissime materie, con ciò ponendosi in forte contrasto con il procedimento previsto dall’art. 116 della Costituzione per l’attribuzione di "forme e condizioni particolari di autonomia” (che resterebbe comunque valevole per le altre materie non soggette al nuovo procedimento) il quale presuppone un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata: un sistema, quest’ultimo, che non solo si pone a garanzia della coerenza e dell’unità complessiva dei rapporti tra livello nazionale ed autonomie territoriali, ma che consente anche di modulare il passaggio di funzioni e i compiti che ciascuno dei soggetti assume, assai meglio di come lo possa unilateralmente fare una legge regionale.

A ciò si aggiunga che la procedura prevista dall’art. 116 Cost.  (co. 3) espressamente prescrive il coinvolgimento degli enti locali, secondo un modello concertativo sul quale saldamente si fonda il nuovo assetto costituzionale; il procedimento di auto- attribuzione in esame, invece, ne prescinde completamente (come prescinde, per altri versi, come si dirà oltre, dal preservare l’autonomia delle istituzioni scolastiche) con ciò contraddicendo quello stesso modello di pluralismo istituzionale paritario che il nuovo testo costituzionale ha voluto fortemente affermare. 

Nè si può tacere di un altro aspetto critico, intrinseco al disegno di legge in oggetto: non si comprende, cioè, con quali risorse finanziarie le Regioni possano far fronte  agli oneri derivanti dalle autonome scelte di attivazione della potestà esclusiva.

 

Ma vi è una obiezione più profonda che rende inaccettabile tale meccanismo di auto-attribuzione, che non trova riscontro in nessun ordinamento giuridico al mondo, neppure in quelli (come l’ordinamento spagnolo)che riconoscono forme di autonomia differenziata: esso  rischia di porre le premesse di un ordinamento costituito da micro-sistemi regionali differenziati ed in contrapposizione  gli uni con gli altri.  Proprio per prevenire simili gravissimi e distorcenti  effetti,  il più volte richiamato articolo 116 Cost. detta una procedura condivisa e proprio per questo  idonea ad assicurare l’unitarietà e la tenuta del sistema: appare dunque assai più ragionevole operare ai fini dell’attivazione di questo modello, piuttosto che dettarne uno nuovo, quello dell’auto-attribuzione, che elimina  tali fondamentali garanzie.

E’ di tutta evidenza che l’autonoma attivazione della potestà legislativa esclusiva da parte solo di alcune regioni avrebbe come unica conseguenza la creazione di un ordinamento regionale disomogeneo e frazionato,  “aprendo il varco ad una insanabile frattura tra le diverse Regioni, molte bloccate in un vecchio sistema di competenze, altre in grado di definire con ampiezza alcune rilevanti politiche sociali” (così B. Caravita), fino a giungere ad incrinare l’assetto unitario della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.

 Il rischio ora evocato diviene più concreto se solo si pone attenzione all’importanza delle materie elencate dal disegno di legge sulla c.d. devolution.

 

Prima di entrare nel merito dei profili critici connessi alla interpretazione delle suddette materie, vi è un rilievo fondamentale di metodo che deve essere evidenziato: se la finalità del progetto di legge in esame è quella di incrementare la potestà legislativa esclusiva regionale, ricomprendendovi alcune materie ora elencate tra quelle di esclusiva competenza statale o di competenza regionale concorrente, sarebbe necessario ed imprescindibile incidere direttamente sugli elenchi contenuti nei commi 2 e 3 dell’art. 117, piuttosto che inserire un comma aggiuntivo nuovo del tutto disomogeneo rispetto alla sistematica dei criteri di riparto che regge gli altri due. Tale operazione, inoltre, renderebbe assai più chiaro e trasparente il contenuto delle innovazioni che si vanno ad apportare al vigente testo costituzionale.

 

Con riferimento alla sanità, vi è da rilevare come l’ambito della possibile “devoluzione” è oltremodo esteso, comprendendo, oltre  all’“organizzazione”, anche l’“assistenza”, inclusa evidentemente quella ospedaliera.

Qualora vi fosse un’attivazione della potestà legislativa esclusiva da parte di alcune regioni su tale materia, si verrebbe a determinare un complessivo smantellamento del sistema sanitario nazionale deciso, in modo puntiforme, dalla volontà di un numero assai limitato di autonomie regionali e non già, come sarebbe invece opportuno, da un attività condivisa in modo unitario da tutte le regioni italiane, col pericolo di porre inevitabilmente a repentaglio i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie ai cittadini.

Se non si assicura che, sia pure in un assetto fortemente regionalistico, venga garantito uno standard minimo di tutela dei diritti sociali in tutte le Regioni, si corre il rischio non solo di toccare il cuore della forma di Stato, ma di intaccare gravemente la coesione sociale e l’unità nazionale, che presuppongono godimento di eguali diritti di cittadinanza quale che sia la Regione di residenza.

Per questa via, contrariamente a quanto è possibile leggere nella relazione introduttiva al disegno di legge in esame, si verrebbe ad escludere in modo totale l’intervento dello Stato nella tutela del diritto alla salute, garantito dall’art. 32 Cost., che rappresenta invece un obbligo costituzionale per i poteri pubblici centrali.

D’altra parte, non si può non rammentare che l’attuale art. 117, comma terzo, prevede già quale materia di potestà concorrente la «tutela della salute», che ovviamente comprende anche l’assistenza e l’organizzazione sanitaria. Se si desidera che le Regioni siano più libere nell’organizzare i servizi di quanto lo siano state nel passato, è necessario e sufficiente l’intervento del solo legislatore ordinario, che individui i pochissimi principi inderogabili e per il resto abiliti le Regioni a disciplinare come meglio credono sia l’attività di assistenza che la relativa organizzazione: basta, in sostanza, attuare correttamente la Costituzione vigente, e non giova modificarla.

 

Per quanto concerne la materia dell’istruzione, viene a delinearsi un’attribuzione generale ed indefinita, alle regioni che attivassero la propria legislazione esclusiva, tanto dell’organizzazione scolastica, quanto della determinazione dei programmi educativi.

Ciò, da un lato, costituirebbe una lesione delle competenze già attribuite alle autonomie locali per quanto concerne la gestione degli istituti scolastici, in palese contraddizione col principio di sussidiarietà costituzionalizzato nell’art. 118 Cost.; dall’altro, per quanto riguarda i programmi scolastici, si assisterebbe ad un’illegittima invasione della sfera dell’autonomia scolastica degli istituti, già sancita in via amministrativa, nonché della libertà d’insegnamento dei docenti, tutelata all’art. 33 della Costituzione.

Sotto il profilo dell’effettivo ambito di tale possibile attribuzione di competenza, si rileva inoltre che essa manterrebbe inalterata la competenza esclusiva dello Stato in ordine alle  norme generali sull’istruzione (v. art. 117, comma secondo, lett. n). Sarebbero quindi, necessariamente tali norme generali sull’istruzione a determinare quanto spazio può rimanere ai programmi di interesse specifico della Regione: per i quali d’altronde, per quanto si voglia credere ai «saperi locali» cui si accenna nella relazione, non si può immaginare che un ruolo puramente integrativo.

 

Appare, infine, assai ambiguo e potenzialmente illegittimo il previsto auto-conferimento di competenza legislativa esclusiva in tema di “polizia locale”.

Infatti, come ha confermato lo stesso Ministro Bossi nell’audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera del 17 gennaio 2002, con l’espressione “polizia locale” non si intende affatto alludere alla “polizia urbana e rurale” già contenuta nell’elenco del previgente art. 117 (cioè come potestà concorrente regionale), né alla “polizia amministrativa locale” indirettamente attribuita alla potestà esclusiva regionale dall’attuale art. 117, comma secondo, lettera h), bensì a “qualcosa di più e di ulteriore”, prefigurando una legislazione regionale relativa a “ordine pubblico e sicurezza di rilievo locale”.

Tale previsione, sia che ipotizzi un futuro smembramento delle forze di polizia nazionali, sia la creazione di una nuova “polizia locale”, competente (sulla base di “auto-attributive”  leggi regionali) in ordine alla prevenzione e repressione tutti i reati non inquadrabili nella cd. grande criminalità, non solo appare impraticabile ed  incerta negli esiti per la tutela dei cittadini dal crimine, ma è in palese contrasto con fondamentali principi costituzionali, quali il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge penale.

 

Quanto sin qui osservato in merito alle diverse materie elencate nel progetto di legge in esame, conferma la difficoltà di raccordare le disposizioni in esso contenute con l’assetto delle competenze delineato nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 117 della Costituzione vigente. L’esame puntuale delle materie induce a ritenere che la valorizzazione del ruolo regionale possa essere conseguita già attuando correttamente le disposizioni costituzionali vigenti. Si conferma, inoltre, la convinzione che lo strumento più adeguato per incrementare ulteriormente, in modo differenziato, le potestà legislative regionali  sia l’attivazione della procedura contenuta nell’art. 116 Cost. vigente, idonea a garantire l’equilibrio complessivo del sistema, e non già l’introduzione di un modello costituzionale nuovo, che appare del tutto privo di coordinamento col contesto normativo ed istituzionale in cui si colloca.

 

Quanto ai  limiti entro i quali dovrebbe esercitarsi la nuova potestà legislativa regionale, l’incipit del progetto di revisione, che evoca una condizione di necessaria osservanza da parte delle Regioni dei “diritti e dei doveri” costituzionalmente garantiti (di cui nessuno ha mai dubitato né può dubitare), si presta anch’esso ad equivoche interpretazioni, potendo esse letto come clausola restrittiva rispetto ai limiti generali della potestà legislativa regionale chiaramente enunciati dall'art. 117, comma I.

 

In conclusione, ciò che appare discutibile è la logica che sottende questo progetto di riforma costituzionale. Esso accoglie una visione dei rapporti centro - periferia che è l’esatto opposto del federalismo, essendo incentrato su una visione “egoistica” dell’ordinamento regionale.

Questa ratio confligge in modo palese con un’autentica riforma federale, volta a ricondurre ad unità le differenti istanze autonomistiche emergenti dai soggetti dell’ordinamento e si pone in netto contrasto con i processi di riforma in senso federalista dello Stato, culminati nell’approvazione della L. cost. n. 3 del 2001.

 

 

Roma, 14 febbraio 2002